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16 <strong>Panorama</strong> Minoranze mi dispiacerebbe perdere Dante, Petrarca, Pirandello in nome di una carnazione occitano-onirica. Eppure io mi considero un nazionalista occitano, ma non nel senso che si dà abitualmente oggi a questo termine. Perché si fa confusione tra nazionalismo e imperialismo, al punto che questo termine viene messo in relazione al concetto di colonialismo e ne assume il signifi cato. François Fontan, il grande teorico che ci ha formato negli anni ‘70, ci ha insegnato che nazionalismo è dare ad ogni lingua una nazione, perché ogni nazione ha diritto ad essere se stessa fi no all’autodeterminazione e nella fraternità con tutti gli altri popoli. Questa ovviamente può essere anche utopia, ma resta un obiettivo...” In un’intervista lei ha dichiarato che “la questione occitana deve andare avanti, oggi, con altri mezzi, diversi dall’estremismo localistico e dall’associazionismo duro e puro”. Crede che questa potrebbe essere una ricetta “universale”, applicabile cioé anche alle altre minoranze, a quella italiana in Istria e a Fiume, nel nostro caso? ”Se andiamo a vedere il mondo francofano, scopriremo che la sua creatività attinge molto anche al di fuori della Francia. Ci sono grandi artisti, cantanti, scrittori nel Quebec, ad esempio. Pensando alla vostra realtà, Valla lamenta il fatto che a parte Fulvio Tomizza, l’Italia conosce poco della cultura di queste terre è un aspetto che mi ha sempre stupito. In Italia, a parte Tomizza e non so chi altri, di questa parte di cultura italiana non si sa nulla, non vi si attinge... Ma se vi chiudete in voi stessi, se la cultura italiana non tiene conto di voi, se gli sloveni di Trieste si chiudono in loro stessi e pensano di fare tutto da soli, per forza di cose il vostro potenziale creativo resterà circoscritto e non ne usciranno grandi produzioni. Una cultura ha bisogno di teste, di cervelli, di premi Nobel, per usare una defi nizione un po’ scontata. Ma che premio Nobel può usci- re da una comunità ristretta? Una critica che io faccio, ad esempio, alle scuole slovene a Trieste è quella di attingere gli insegnanti eclusivamente tra la minoranza slovena del capoluogo giuliano e dintorni, invece di rintracciarli da tutto il mondo sloveno. A mio modo di vedere in quelle scuole ci dovrebbero essere docenti che arrivano da tutta la Slovenia, perché soltanto così si esce dal provincialismo. Nel vostro caso credo sia lo stesso, gli insegnanti sono presi dalle Comunità di Rovigno, di Parenzo, di Pirano e basta. Il localismo è qualcosa che dà anche delle soddisfazioni, ma alla lunga è la morte. L’anno scorso, quando sono venuto qui a Rovigno a un’altra edizione dell’Italian Film Festival, c’era una bellissima mostra sul corredo antico. Va benissimo farla, però se ci si limita a questo è di poco conto...” Nelle scuole della nostra Comunità nazionale, comunque, ci sono anche insegnanti che arrivano dall’Italia. Perché la CNI coglie ogni occasione per mantenere contatti quanto più stretti con l’Italia... Ma siamo estremamente piccoli e con le nostre modeste forze non è facile sfondare sul vasto fronte culturale e mediatico italiano. Altro discorso e altro rapporto numerico per gli sloveni, la cui Nazione madre conta meno di due milioni di abitanti... Dal paese di Ostana, nel Cuneese, si gode una magnifi ca vista sul Monviso, vetta delle Alpi Cozie (3841 metri)
L’Occitania: il sud della Francia, parte della Spagna e del Piemonte ”Ammetto, c’è un‘Italia che comunque pensa poco a questi problemi, a queste comunità...” Per noi, per la nostra sopravvivenza, un problema è anche quello di farci accettare dalla maggioranza, non soltanto quella delle istituzioni ma a livello di opinione pubblica, generalmente poco informata e disinteressata, indifferente, insensibile nei confronti dei nostri elementi distintivi, lingua, cultura, costume, storia... Come combattere questi aspetti? ”Francamente non ho una risposta. Resta da sperare che anche le maggioranze crescano...” Realizzando il documentario sul sommergibile italiano “Medusa”, affondato al largo di Pola nel 1942 e di cui abbiamo parlato nello scorso numero, ha toccato anche un argomento che l’ha portato, credo, a conoscere meglio queste regioni e la loro storia. Un passato che, come in molte terre di confi ne, è tanto ricco e complesso quanto poco o mal conosciuto, anche perché è stato narrato e usato quasi sempre in maniera strumentale, e si continua a farlo soprattutto sui temi dell’esodo e delle foibe. “C’è troppa storia in così poco spazio. Sono temi che in qualche modo ho sempre seguito, sia pure soltanto da lettore, non da conoscitore o da studioso. Fin dalle prime visite a Trieste, negli anni ‘80 ero andato ad intervistare Margherita Hack, ad esempio, avevo l’abitudine di prendere i giornali del luogo per capire che cosa stava succedendo. Ebbene, sul ‘Piccolo’ di Trieste mi stupiva l’attualità di questioni che erano capitate un bel po’ di anni prima, con lettere, controlettere, esodo, foibe, sloveni, italiani, croati... Ero colpito soprattutto dalla tensione che c’era sotto, e si capiva che non era un ricordo assopito, anzi, era ancora molto vivo, inciso nella carne. Più tardi ho conosciuto quella che poi è diventata mia moglie, che è una slovena di Trieste, e ciò ha favorito ulteriormente le mie indagini... Ho l’impressione che queste terre, da sempre, siano state lasciate sole e che di certi argomenti in Italia non si sia mai parlato perché non conveniva, a qualcuno conveniva troppo, ad altri non conveniva abbastanza. Sono state commesse delle grandi ingiustizie, a tutti, non è un problema di essere italiani, o slavi, o di destra o di sinistra. Le vicende sono le vicende, dopodiché le possiamo leggere da punti di vista diversi. Per le mie convinzioni politiche è drammatico che la sinistra italiana non abbia mai affrontato questi problemi su un piano più generale. Il fascismo ha sollevato dei rancori che poi si sono distribuiti su persone che ne sapevano poco o nulla... Ho sempre trovato inconcepibile che le questioni di queste terre siano state appannaggio del Movimento Sociale Italiano, da una parte prerogativa di una politica, dall’altra la volontà di stenderci una coperta sopra, come dire meglio ne parliamo meglio è...“ ● Minoranze Gullotta recita l’Istria della Mori L’ attore Leo Gullotta ha prestato voce e presenza scenica a “L’Istria” della scrittrice Anna Maria Mori, con uno spettacolo teatrale allestito a Roma. Un protagonista del teatro italiano contemporaneo e fi gura popolarissima della tv, si cimenta dunque con le aspre e intense pagine dedicate dall’autrice, nativa di Pola ed esule, fi rma di punta del giornalismo contemporaneo, alla sua Istria natale e raccolte nei volumi “Bora” (scritto a quattro mani con la polese Nelida Milani) e “Nata in Istria”. Nei due volumi, Anna Maria Mori si confronta con la storia e con i destini degli italiani di queste terre costretti all’esodo del dopoguerra. Pagine scomode, almeno sino a pochi anni addietro, oggi meglio apprezzate in forza di una ritrovata coscienza storica sui tragici anni che videro forse più di 200 mila fi umani, istriani e dalmati abbandonare in circostanze drammatiche beni ed affetti. Ai brani tratti dai libri di Anna Maria Mori si alternano citazioni dai maggiori quotidiani italiani, americani ed inglesi del tempo, in un continuo rimando dalla pagina letteraria all’urgenza della cronaca, che registrò con lento e crescente stupore le violenze sui civili e l’ansia della popolazione per un destino lungamente incerto e temuto. Leo Gullotta è stato insignito lo scorso febbraio del Premio Internazionale “Giorno del Ricordo” istituito dall’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia e conferitogli per la sua interpretazione nella fi ction “Il cuore nel pozzo”, un serial che però non ebbe certo apprezzamenti concordi tra gli storici ed i rimasti. Anna Maria Mori ha ricevuto il medesimo premio per la sezione Letteratura e per l’impegno profuso nella qualifi cata divulgazione di un capitolo della storia italiana sottaciuto per molti decenni. ● <strong>Panorama</strong> 17
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