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Quella poveretta, Zlatka era il suo nome e teneva sempre le<br />

dita incrociate, non aveva avuto alcuna colpa. Sradicata da un<br />

mucchio di pietre da quel deserto che è l’entroterra dalmata,<br />

quel bagaglino di ossa e di paura, era stato portato, assieme alla<br />

sorella maggiore, su di un altro mucchio di pietre, qua, sul nostro<br />

Carso, un po’ più fertile, ma altrettanto disgraziato. La sorella<br />

maggiore era tutt’altra storia. C’aveva la parlata sporca e<br />

gli occhi più cattivi che avessi mai visto. Non è strano quindi<br />

che se l’abbia presa in moglie il maggiore di famiglia, mio fratello<br />

Stefanio Ludovich, “il matto” come lo chiamavano nelle<br />

osterie di Portole, per via del suo tic all’occhio destro e un carattere<br />

che era il trionfo dell’egoismo. “Il taccagno” lo chiamavo<br />

io, perché custodiva in uno scrigno tutto il denaro che avrebbe<br />

dovuto dividere con i fratelli, come ci divideva il lavoro.<br />

Tenevo ben salda la briglia di Mitz, il mio asino, perché quello<br />

sì che è matto suonato, e m’è scappato tante di quelle volte che mi<br />

son chiesto: ‘Dove vuole andare questo quadrupede senza cervello?’.<br />

Si vede che anche Mitz la pensava come me e voleva scappar<br />

via da quel nido di vespe. Non avrei più dovuto sorbire le critiche<br />

delle mie cognate e ziastre, buone soltanto a riempirsi la bocca di<br />

insulti e preparare sughi insulsi, che cucinano senza sesto, senza un<br />

solo grammo di sale e compassione.<br />

In quella casa regna l’ignoranza. Ecco, l’ho detto. E, accidenti,<br />

ora che l’ho detto sento una fi tta al petto.<br />

Mitz zampetta accanto a me. Guardalo, povera bestiola. Calpesta<br />

i sassi coi suoi piccoli zoccoli vivaci. Tiene lo sguardo in terra<br />

ma, a tratti, mi rivolge il suo lucido e grosso occhio nero. Mi valuta<br />

l’umore, lo so, lo conosco, e aspetta il mio commento successivo.<br />

È un nome stupido per un asino, mi aveva detto quella canaglia<br />

del fi glio di Stefanio. Talmente canaglia che non lo considero<br />

neanche mio nipote. E tutto sua madre e c’ha tutto il sangue suo.<br />

Avrei voluto rispondergli che stupido era chi non ragionava con la<br />

propria zucca bensì usava quella degli altri, come appunto faceva<br />

lui. I nomi non sono stupidi le persone invece sì, gli avevo ribattuto<br />

guardandolo come li guardavo sempre tutti, con rimprovero, e terminando<br />

lì la questione.<br />

Quel tonto, però, non ci aveva capito niente, e uscendo dalla<br />

stalla aveva ripetuto: “Proprio uno stupido nome per un asino!”<br />

MITZ: “Vadano tutti a farsi friggere!” gridò zio Saba, il mio<br />

padrone. Come alzava la voce lui non ho sentito mai nessuno. Gli<br />

ragliai contro, ma per conferma.<br />

La rugiada si stava asciugando e io gli davo sempre più spesso<br />

il mio occhio destro. Volevo fermarmi e approfi ttare dell’erba di<br />

primo mattino, ma niente, Saba non si fermava.<br />

Il sole, intanto, rincorreva le stelle, scacciando quelle lucciole<br />

notturne con la propria luce possente. E noi scendevamo il monte,<br />

ascoltando il cinguettio di passeri e merli.<br />

Il mio padrone mi spaventava ogni dieci passi, guardandosi intorno<br />

e lanciando quel suo vocione nell’aria. Erano tutti rimproveri<br />

per quella gente che stava oramai dietro a noi, gente arcigna<br />

lassù sul monte, gente che fi no al giorno prima aveva rappresentato<br />

l’intero nostro mondo.<br />

SABA: Scendevamo dal colle, io con tali e altri più intimi pensieri;<br />

il mio Mitz a rimpiangere l’erbetta fresca che ci lasciavamo dietro.<br />

Valutai se, una volta presentatosi il mezzodì, avrei trovato presso<br />

qualche contadino di buona volontà un pezzo di cibo da mettere<br />

in bocca.<br />

In quanto a Mitz, be’ l’erba sarebbe stata fresca anche più in basso.<br />

Mi auguravo soltanto di scovare, strada macinando, un po’ di<br />

biada per quella mia bestia testarda, ma pur fedele, che procedeva<br />

accanto a me verso l’ignoto.<br />

MITZ: Dalle parti di Cortinari ci fermammo. Il mio padrone<br />

aveva notato il vecchio Zane che pascolava le pecore. Conferiva<br />

Letture<br />

con lui e Zane, che era vecchio e rugoso, mi squadrava come se<br />

non avesse mai visto una bestia, prima di allora.<br />

”E gli hai lasciato tutto, proprio tutto?” chiese il vecchio Zane<br />

al mio padrone.<br />

”Non proprio tutto. Ho preso Mitz” disse il mio padrone, allargando<br />

le braccia verso di me in segno di affetto. Allora io pensai<br />

di essere tutto ciò che lui aveva e voleva nella vita.<br />

”Hum...” fece Zane “e cosa te ne fai di quest’asino?”<br />

”Me ne faccio una compagnia, innanzitutto, Zanetto mio! Una<br />

compagnia!”<br />

”Mah… Be’… Dobrò” rispose Zane “una compagnia dopotuto<br />

ghe vol”.<br />

Allora Saba gli chiese se non avesse da dargli un po’ di biada<br />

per il mio foraggio, e il vecchio Zane gli disse che non ne aveva e<br />

che l’erbetta fresca sarebbe stata più che suffi ciente per un asino il<br />

quale unico compito era tener compagnia al suo padrone. A quel<br />

punto, compresi due cose; Zane ne aveva di biada, ma non voleva<br />

darcela, e, seconda cosa, fi nché il mio padrone m’avesse avuto appresso,<br />

non avrebbe ottenuto la misericordia di alcun cristiano.<br />

SABA: Dopo che quella vecchia testa scarta di Zane s’era rifi utato<br />

il foraggio per il mio Mitz, avevo deciso di procedere verso<br />

nord. Vi erano, in quella direzione, boschi più fi tti e Mitz avrebbe<br />

trovato erba migliore e tutti quei fi ori carnosi che crescevano attorno<br />

alla pineta.<br />

Non lo conoscevo forse quel furbastro di Zanetto? Era un tirchio,<br />

vedovo tre volte. Dicevano che era nato al tempo in cui Franz<br />

Josef era ancora un giovincello, e che non avrebbe tirato i crachi<br />

prima del “mille non più mille”.<br />

Forse è per questo che è tanto tirchio. C’ha troppi anni da vivere,<br />

troppi giorni da passare in Terra. E bisogna cibarsi ogni santo<br />

giorno, se vuoi tenerti in forze per lavorare. E tutto ciò per cui il lavoro<br />

serve è per produrre altro cibo. Vivere è un circolo vizioso, un<br />

maledetto vizio di fatica!<br />

Chissà cosa si staranno dicendo i miei lassù sul monte… Avranno<br />

capito che me ne sono andato per sempre? Chissà le litigate che<br />

accenderanno a mezzogiorno, attorno al tavolo, con occhi famelici<br />

e bocche che fan presto a perder saliva ingurgitando polenta intinta<br />

nei sughi insipidi di quelle megere!<br />

MITZ: Saba è silenzioso. Sta pensando alla nostra gente, lassù.<br />

Credo che gli manchino. Ma io dirò la verità: a me quella gente,<br />

la sua famiglia, non manca per niente. Non mi hanno mai dato<br />

ascolto! Non mi hanno mai considerato! Perché io sono sempre<br />

stato l’asino di Saba. Sua esclusiva creatura. Sua proprietà. Nessun<br />

altro mi hai mai accarezzato o nutrito o rivolto lo sguardo. Si<br />

sono sempre comportati come se io non esistessi. Dicevano che il<br />

nome era stupido, come la mia esistenza. Dicevano che ero un asino<br />

senza senso.<br />

Per fortuna ho il mio padrone. Saba è un grande uomo. Anche<br />

lui si chiede spesso quale sia il mio senso, però se lo chiede con affetto.<br />

Mi accarezza. Mi tiene stretto a sé, volendomi bene.<br />

SABA: Nei pressi di Scoi avevo fatto pascolare Mitz. Aveva<br />

mangiato una buona quantità di petali di margherita. Il solito ingordo.<br />

Quanto al mio di stomaco, ne avevo spento i borbottii con<br />

un pezzo di scorza di pane e un altro di scorza di formaggio che<br />

avevo preso dalla credenza la sera prima. Quella fanfara di mia<br />

cognata se ne sarà accorta della mancanza di quei pezzetti di miseria<br />

che mancano dalla credenza. Avrà cantato il suo panico con<br />

le mani in aria, minacciosa, verso quel poveraccio di mio fratello<br />

che non sopporto, ve lo dico, ma per il quale provo una gran<br />

pena dal giorno del suo matrimonio. Non riesco a capire il tipo<br />

di rassegnazione che occorre ad un uomo per accettare di dividere<br />

i propri giorni, e specialmente il proprio letto, con una donna<br />

rozza, priva di qualsiasi tenerezza verso il prossimo, quando<br />

<strong>Panorama</strong> 35

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