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Download del file - Gruppo Archeologico Salernitano

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modeste, quando si trovavano in territori soggetti<br />

a Roma erano in una posizione di privilegio,<br />

appartenevano al popolo dominante, erano sottratti<br />

alle leggi ed ai tribunali locali, dovevano<br />

rendere conto <strong>del</strong> proprio operato solo ai magistrati<br />

ed al popolo romano. Abusavano di siffatta<br />

situazione? Forse non tanto quanto si pensa<br />

comunemente. In genere quando alcuni episodi<br />

o personaggi come Verre in Sicilia (propretore<br />

dal 73 al 71 a.C.) sono ricordati, è perché non<br />

rientrano nella consuetudine. Indubbiamente le<br />

orazioni di Cicerone, le Verrinae, hanno contribuito<br />

a dare a quegli avvenimenti un rilievo letterario<br />

e quindi una risonanza che altrimenti<br />

forse non avrebbero avuto, ma Verre era un<br />

magistrato, non un comune cittadino e anzi fra i<br />

capi di accusa che gli furono mossi c’era anche<br />

quello di non aver rispettato i diritti di alcuni cittadini<br />

romani. È risaputo che a Roma non si era<br />

teneri con gli autori di certi abusi, come è dimostrato<br />

dal fatto che Verre, dopo la prima orazione<br />

di Cicerone, non attese la fine <strong>del</strong> dibattimento<br />

ma preferì andare volontariamente in esilio,<br />

evitando guai peggiori.<br />

In ogni caso il crimen repetundarum contemplava<br />

le eventuali malversazioni che potevano<br />

essere commesse dai magistrati romani in<br />

danno di singoli o di intere comunità nelle provincie<br />

loro assegnate. Diverse furono le leggi<br />

che furono promulgate in proposito: la lex Acilia<br />

<strong>del</strong> 123 a.C. prevedeva per questo reato una<br />

sanzione pecuniaria pari al doppio <strong>del</strong> valore di<br />

quanto estorto. Questa sanzione fu poi confermata<br />

dalla lex Servilia <strong>del</strong> 111 a.C., dalla lex<br />

Cornelia <strong>del</strong>l’81 e dalla lex Iulia <strong>del</strong> 59 a.C.. Il<br />

susseguirsi di siffatte leggi, se da un lato evidenzia<br />

la volontà <strong>del</strong>lo Stato di stroncare gli abusi,<br />

dall’altro rivela che la tentazione di impinguare<br />

le tasche era comunque forte.<br />

Abbiamo affermato che in età imperiale si<br />

diffuse sempre più il rifiuto di impegnarsi nelle<br />

cariche pubbliche. Questo fenomeno era certamente<br />

negativo per lo stato romano ed era perciò<br />

necessario porvi riparo in qualche modo.<br />

Augusto, secondo quanto ricorda Svetonio 4 ,<br />

introdusse dei nova officia in modo da coinvolgere<br />

nell’attività di governo il maggior numero<br />

possibile di cittadini e farli partecipi <strong>del</strong>le<br />

SALTERNUM<br />

- 38 -<br />

responsabilità connesse alla pubblica amministrazione<br />

<strong>del</strong>egandoli alla cura <strong>del</strong>le opere pubbliche,<br />

<strong>del</strong>le vie, <strong>del</strong>le acque, <strong>del</strong>l’alveo <strong>del</strong><br />

Tevere, alla distribuzione di grano al popolo.<br />

Istituì anche la prefettura <strong>del</strong>la città, un triumvirato<br />

per la nomina dei senatori ed ancora altre<br />

funzioni, ma tutte di carattere amministrativo e<br />

con poca o nulla rilevanza politica. Gli incarichi<br />

di importanza vitale nella gestione <strong>del</strong>la res<br />

publica restavano nelle mani <strong>del</strong>l’Imperatore e<br />

di poche altre persone a lui vicine e di accertata<br />

fe<strong>del</strong>tà.<br />

La formazione di quella comunità di cives che<br />

va sotto il nome di civitas è in qualche modo<br />

avvolta nelle nebbie di un tempo antico. Si è<br />

avanzata l’ipotesi da parte di alcuni studiosi che<br />

sia stata una forma evolutiva di alcune strutture<br />

sociali caratteristiche dei popoli indoeuropei 5 .<br />

Naturalmente al riguardo mancano <strong>del</strong>le prove<br />

certe e pertanto si deve fare ricorso ad indizi<br />

tratti da quanto conosciamo <strong>del</strong>la vita e dei<br />

costumi religiosi e militari <strong>del</strong>la società romana.<br />

Come tutti sanno, fin dalle origini il popolo<br />

romano era costituito da due classi di cittadini: i<br />

patrizi ed i plebei. La derivazione <strong>del</strong> termine<br />

“patrizio” da pater è più che evidente. I Patres<br />

erano i capifamiglia (Paterfamilias) che, riuniti<br />

in assemblea, discutevano i problemi <strong>del</strong>la collettività<br />

arcaica e prendevano insieme le decisioni<br />

che ritenevano più opportune. L’espressione<br />

rimase e si consolidò col passare <strong>del</strong> tempo<br />

assumendo un significato politico. Patres o<br />

Patres conscripti erano chiamati i senatori,<br />

riunendo in un unico termine i Patres, d’origine<br />

patrizia, ed i Conscripti, ovvero i senatori d’origine<br />

plebea. La parola plebe, con l’aggettivo<br />

corrispondente plebeo, sembra invece che si<br />

possa far risalire etimologicamente ad un termine<br />

arcaico d’origine indoeuropea (radice ples)<br />

affine al greco plêqoß significante la moltitudine,<br />

la massa dei cittadini, quelli, in altri termini,<br />

che non avevano rilevanza politica.<br />

Era inevitabile che la separazione <strong>del</strong> popolo<br />

in due classi, una dominante e l’altra sottomessa,<br />

dovesse avere la conseguenza di determinare<br />

attriti e scontri, di cui la leggenda di Menenio<br />

Agrippa e <strong>del</strong> suo famoso apologo è una lontana<br />

eco. Senza alcun dubbio ci furono tentativi di

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