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è stata italiana ma i gerarchi<br />

di Roma non hanno com-<br />

L’Istria<br />

preso minimamente le specificità<br />

della regione. L’Istria è stata jugoslava<br />

ma il comitato centrale di Belgrado<br />

ha fatto di tutto per (re)interpretare<br />

la nostra realtà come gli faceva comodo,<br />

senza tener conto della storia (fatta<br />

di tante “autoctonie”), dei valori (la proprietà<br />

della terra, la fede), della dimensione<br />

antropologica (il bilinguismo negato,<br />

la toponomastica “ultrafiltrata ideologicamente”).<br />

L’Istria è ora divisa tra<br />

Croazia e Slovenia ma i governi di Zagabria<br />

e di Lubiana sono ben lontani dal<br />

saper cogliere le peculiarità di questa regione<br />

multietnica, multiculturale e plurilingue.<br />

Se per l’Italia del Ventennio gli<br />

Slavi erano popoli senza storia da assimilare<br />

anche con la forza e la violenza,<br />

se per la Jugoslavia comunista l’Istria<br />

era l’orfanella (sirotica) ricondotta alla<br />

madre, per la Croazia e la Slovenia, fresche<br />

di riscatto nazionale, l’Istria è quella<br />

terra in cui l’italiano (per non dire il<br />

veneziano) è stato sostanzialmente un<br />

occupatore. Anche quando dalle capitali<br />

dei due stati in cui risiede anche la<br />

nostra minoranza italiana giungono segnali<br />

d’apertura – come ad esempio sulla<br />

necessità di far luce sul dramma delle<br />

foibe – essi sono dettati da una generica<br />

pietas umana che non problematizza<br />

minimamente la complessità delle ragioni<br />

per le quali, alla fine della seconda<br />

guerra mondiali, gli Italiani dell’Istria<br />

hanno subito una vera e propria tragedia.<br />

In altre parole, si tende ad ammettere<br />

che forse le foibe sono state una reazione<br />

esagerata ai crimini fascisti, mai<br />

ci si spinge più là per tentare di capire se<br />

forse all’epoca era in atto un disegno per<br />

purgare la regione dalla storica presenza<br />

italiana. E qui si nasconde anche un<br />

grave colpa di chi ha deciso quali dovevano<br />

essere i significati della Giornata<br />

del Ricordo del 10 febbraio ed ha messo<br />

a fuoco le foibe (“solo una reazione<br />

incontrollata ai misfatti fascisti” – dice<br />

chi replica), lasciando in secondo piano<br />

l’esodo (la vera tragedia demografica e<br />

storica dell’Istria) per il quale – si spera<br />

che qualcuno lo abbia notato – Croati<br />

e Sloveni non avvertono la minima responsabilità.<br />

L’ennesima prova dell’incomprensione<br />

che regna nelle centrali rispetto<br />

alla periferia istriana si è mostrata<br />

in modo lampante nell’intervista che il<br />

58 <strong>Panorama</strong><br />

JKL Il canto del disincanto<br />

ministro degli Esteri sloveno Samuel<br />

Žbogar ha concesso recentemente a<br />

Stefano Lusa della redazione italiana di<br />

Radio Capodistria e che è stata ripresa<br />

anche dal nostro quotidiano “La voce<br />

del popolo”. Rispetto ad alcune interpretazioni<br />

storiche, la disinvoltura del<br />

capo della diplomazia slovena è stata<br />

tale che persino Stelio Spadaro, rappresentante<br />

di spicco di quella sinistra triestina<br />

che per decenni è stata indulgente<br />

rispetto alla politica jugoslava (poi slovena<br />

e croata) e che non può certo essere<br />

accusata di nazionalismo, ha sentito il<br />

bisogno di reagire.<br />

A parte l’imbarazzo che si prova a<br />

leggere la constatazione di Žbogar per<br />

la quale il noto diplomatico sloveno<br />

Marko Kosin, se fosse in vita, “farebbe<br />

qualche complimento alla politica estera<br />

slovena di oggi” (perché se così fosse<br />

sarebbe l’unico a farlo tra le persone<br />

serie), non si può non provare fastidio<br />

davanti alla totale assenza di pudore che<br />

viene a galla in frasi come questa: “ci<br />

sono alcune questioni aperte (con l’Italia<br />

n.d.r.), come quella della restituzione<br />

delle opere d’arte che sono state portate<br />

via del Litorale sloveno.” È evidente<br />

che anche il più sprovveduto tra gli<br />

storici sarebbe in grado di capire che la<br />

situazione delle opere d’arte di Capodistria,<br />

Pirano e Isola non è paragonabile,<br />

tanto per fare un esempio, a Napoleone<br />

che va in Egitto e con la violenza trafuga<br />

senza ombra di dubbio vestigia faraoniche<br />

per portarle nei musei francesi.<br />

Vero è invece che le opere di Carpaccio<br />

non sono state prelevate dal Litorale<br />

sloveno bensì da una zona che all’epoca<br />

faceva parte dell’Italia e che precedentemente<br />

mai aveva fatto parte della Slovenia.<br />

In altre parole, in quegli anni non<br />

c’era ragione per ritenere la presenza italiana<br />

a Capodistria occupatrice rispetto<br />

alla Slovenia. Ma c’è anche dell’altro:<br />

è vero che le opere delle chiese del Capodistriano<br />

non sono approdate in Italia<br />

con l’esodo bensì prima, in seguito alla<br />

necessità di metterle al riparo da possibili<br />

danni bellici; ma vero è anche che<br />

se quelle opere fossero state al loro posto<br />

nel 1945, molto probabilmente se ne<br />

sarebbero andate via con gli esuli (come<br />

le bare e i morti dissotterrati dai cimiteri<br />

e caricati sul “Toscana”) poiché facevano<br />

parte di usi, costumi e di una memoria<br />

locale, fondamentalmente italiana,<br />

che nulla aveva a che vedere con il Li-<br />

di Silvio Forza<br />

Storia incondivisa, approccio condiviso…<br />

torale sloveno giunto dopo il 1945. Reclamare<br />

quelle opere, da parte slovena,<br />

è aggiungere la beffa al danno. Sarebbe<br />

molto meglio reclamare il ritorno della<br />

gente che per secoli risiedeva nel …“Litorale<br />

sloveno”. Ma questo sforzo etico,<br />

evidentemente, non sarebbe compatibile<br />

con gli interessi nazionali.<br />

Detto ciò, si potrebbe tuttavia osservare<br />

che quelle opere, oltre ad appartenere<br />

ad una tradizione (che localmente<br />

quasi non esiste più), appartengono anche<br />

ad un territorio – il Capodistriano –<br />

che c’è ancora. Riportarle in sito sarebbe,<br />

da parte italiana, un segnale di buona<br />

volontà. Ma si dovrebbe pensare ad una<br />

“restituzione” che dovrebbe coinvolgere<br />

assolutamente gli esuli e i rimasti,<br />

(una comune istituzione, come proposto<br />

da Maurizio Tremul dell’Unione Italiana)<br />

per salvare lo spirito dell’ambiente<br />

che aveva commissionato quei quadri.<br />

Ma per far questo ci vorrebbe una comprensione<br />

che latita paurosamente.<br />

Incomprensione, si diceva. Nei giorni<br />

in cui è stata pubblicata l’intervista<br />

a Žbogar, all’interno della mailing list<br />

Histria si potevano leggere questi ragionamenti:<br />

“Tito non era istriano, non<br />

aveva subìto il tentativo di assimilazione<br />

fascista, se ne stava comodamente<br />

a Mosca, quindi non si capisce perché<br />

dovrebbe aver influito sulle sue azioni<br />

il ventennio in Istria”. Ma ora attenzione:<br />

“Oltretutto va considerato che in<br />

vent’anni furono fucilati alcuni sloveni<br />

peraltro processati e riconosciuti colpevoli<br />

di omicidio, mentre non si contano<br />

i morti di Tito e gli esodati”. Oppure:<br />

“ovviamente non c’è proporzione tra i<br />

torti subiti e quelli inflitti dagli slavi”. E<br />

ancora: “un conto è riconoscere ed ammettere<br />

i torti inflitti, un altro è giustificare<br />

un omicidio con uno schiaffo”.<br />

Capito tutto? Lo stesso giorno il ministro<br />

degli esteri sloveno dichiara: “Non<br />

vorrei, comunque, fare un paragone tra<br />

la sofferenza sotto il fascismo – che è<br />

durato alcuni decenni – e i fatti avvenuti<br />

dopo la Seconda guerra mondiale”.<br />

Dunque, traducendo, per l’esule<br />

della mailing list i torti subiti dagli italiani<br />

da parte slava sarebbero stati molti<br />

di più e molto peggiori rispetto a quelli<br />

che sono stati loro inflitti, per il capo<br />

della diplomazia vero sarebbe l’esatto<br />

contrario. Qui siamo lontani anni luce<br />

da quella storia condivisa che si va reclamando<br />

ad ogni passo. ●

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