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Racconti con colonna sonora - Sardegna Cultura

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Caino è ringhioso, quando parla:<br />

“Quattro mitra, veri, per subito, e caricatori.”<br />

“Hai dichiarato guerra a qualcuno?”<br />

“Quattro.”<br />

“Kalashnikov, ak 47. Appena oliati: in venti se<strong>con</strong>di<br />

puoi fare una guerra.”<br />

“Il venti per cento del guadagno, se ti fidi.”<br />

“……………………………”<br />

“Con restituzione delle armi.”<br />

Caino si allontana, coi mitra dentro una borsa di pelle<br />

marrone, da operaio. Scende i vicoli della città vecchia.<br />

Gli altri, appartengono al genere “vecchi amici”: nel<br />

senso che finora hanno evitato di ammazzarsi, fra loro.<br />

Il Gobbo è l’autista. Ha scelto una simca verde.<br />

Mosè, comanda l’assalto: l’idea, è sua. Siede davanti,<br />

e <strong>con</strong>trolla le armi.<br />

Il terzo è Cespuglio. Partecipa per finanziare un traffico<br />

di coca. È un sadico violento. Ha portato le bombe.<br />

È una di quelle sere d’estate che il caldo ti costringe<br />

a chiedere la grazia del Maestrale.<br />

Alle colline del Margine Rosso, la simca prende un<br />

viottolo di terra.<br />

Si ferma, al buio.<br />

I quattro, scendono, e cominciano la marcia, in una<br />

campagna di mandorle e ville. Il mitra sulle spalle, e<br />

maschere di cartapesta, in faccia, come a Carnevale.<br />

Arrivano al muro di cinta della casa: oltre il muro,<br />

un giardino e una lolla, e un salone: e decine di giocatori<br />

di carte. Il ritrovo abituale di certi amici che ama-<br />

no giocare forte: la casa, la moglie, l’orologio d’oro (il<br />

cinque per cento delle vincite, alla casa).<br />

Tavoli verdi. Lampade a stelo. Bar, lungo tutta una<br />

parete: per gente che si serve da sola: alcol e bicchieri.<br />

La sala da bagno è degna di un “nait”.<br />

Al primo piano, le stanze, per gli amici che smettono<br />

tardi, e per quelli troppo ubriachi. Cento a letto.<br />

È quasi l’una, e ancora nessuno degli ospiti è andato<br />

a dormire. Si beve. Si gioca. Si parla poco.<br />

Il Gobbo e Caino superano il muro di cinta, attraversano<br />

quattro metri d’ombra, e scivolano dentro la<br />

finestra aperta dei bagni, a pianoterra.<br />

Mosè, segue il muro, fino al cancello principale. Calca<br />

un campanello bianco. Qualcuno, da dentro, aziona<br />

l’apriporta, senza chiedere nemmeno “chi è?”. Nessun<br />

<strong>con</strong>trollo, né all’esterno, né all’ingresso. Vengono solo<br />

amici, quassù. Niente polizia: mai.<br />

Mosè, spinge il cancello. Entra. Ha una maschera da<br />

“Cosa” gialla, sulla faccia. Dopo dieci passi, spara. Una<br />

raffica, un pelo sulle teste. Silenzio. Solo la moglie di<br />

quello che si è giocato la moglie, piange, non ha sentito<br />

gli spari. Un’altra raffica. Anche la donna, tace, e<br />

anche i passi del “privato” che piomba giù dal se<strong>con</strong>do<br />

piano, <strong>con</strong> la mauser in mano.<br />

La terza raffica – il privato si accovaccia dietro la<br />

porta che dà al patio – è seguita da una voce: “State<br />

buoni. Fermi, e zitti. Io non sparo. Se vi muovete, se<br />

parlate, se strisciate, sparo nel mucchio.” Una risatina<br />

lugubre accompagna il silenzio successivo.<br />

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