Racconti con colonna sonora - Sardegna Cultura
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Pensava vorticosamente “ora metteranno i blocchi<br />
stradali dappertutto. Avranno telefonato a Villasimius.<br />
Ora mi verranno in<strong>con</strong>tro dall’altra parte della strada e<br />
mi chiuderanno”.<br />
Si stoppò sul bordo della strada. Lasciò la macchina<br />
e cominciò ad arrampicarsi su una collinetta coperta<br />
di cisto e di lentischio. Correva, correva, grasso elefante<br />
in fuga, <strong>con</strong> la velocità dei cervi, qualunque cosa<br />
ne pensassero i polmoni e lo stomaco.<br />
Non rallentò finché non si vide abbastanza lontano<br />
dalla strada. Ma <strong>con</strong>tinuò a marciare finché la strada<br />
non scomparve, mangiata dal verde alle sue spalle.<br />
Scavalcò la collina e si addentrò in un canalone silenzioso.<br />
Calpestò per un paio di chilometri il letto di un fiumiciattolo<br />
disseccato, aggredito dal profumo penetrante<br />
della menta selvatica.<br />
Venne il buio. Guardò le lucette del suo orologio ai<br />
cristalli: le nove e venti.<br />
Tutto attorno silenzio. Silenzio.<br />
Quando si fermò e si sedette, dentro una larga macchia<br />
di mirto, i grilli cominciarono a cantare.<br />
Ora poteva respirare. Non pensava che prima o poi<br />
l’avrebbero catturato, che <strong>con</strong>oscevano sicuramente il<br />
suo nome, che l’auto sul bordo della strada era già stata<br />
trovata, ch’era questione di ore.<br />
Pensava piuttosto alla differenza fra il sogno che aveva<br />
coccolato per tutto il pomeriggio e la realtà che si<br />
era poi trovato di fronte. Era incazzato <strong>con</strong> quella<br />
biondina, che non aveva capito una sega. “Bastava stare<br />
ferma, perdio. Ferma e zitta”.<br />
Seduto dentro la macchia di mirto recuperava il respiro<br />
e la calma. Non pensava a eventualità di salvezza.<br />
Era fuggito abbastanza, ormai. Aveva riacquistato<br />
il <strong>con</strong>trollo di se stesso.<br />
L’aria calda gli permetteva di affrontare tranquillamente<br />
l’idea di una notte in costume da bagno.<br />
Quella mattina – in Via Tuveri, Savino quattordicenne<br />
grasso col culo da matrona, che ha bigiato la scuola<br />
– si era seduto nel salottino della signorina Mulas. L’aveva<br />
sentita mentre lei si stava muovendo in cucina.<br />
“Oho, te lo bevi un caffelatte?”<br />
Era corso a raggiungerla, in cucina. Lei ancora in camicia<br />
da notte.<br />
Ogni tanto intravedeva, fra le pieghe e i pizzi, quando<br />
lei si chinava per un attimo, un pezzetto di tetta<br />
bruna. Mentre inzuppava le gallettine nel caffelatte,<br />
Savino si era vergognato di una impudente erezione –<br />
si era avvicinato al tavolo, per nas<strong>con</strong>dersi, bloccato nei<br />
movimenti, arrossito. Lei non si era accorta di nulla.<br />
Lo lasciò che finiva di inzuppare. “Vado in bagno”.<br />
La seguì, silenzioso spione.<br />
Si chinò sul buco della chiave, credette di vederla –<br />
un attimo – che si spogliava e entrava nella vasca. Si<br />
insaponava. Guaì – Savino – davanti a un ventre nerissimo,<br />
coperto da una foresta di peli.<br />
Spinse la porta mentre lei stava dentro la vasca, si risciacquava.<br />
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