Racconti con colonna sonora - Sardegna Cultura
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dentro l’occhio destro sbarrato, colle palpebre appiccicate<br />
dal chirurgo, e scende per la guancia fino al doppio<br />
mento. Ricordo di una roncola, quando la famiglia<br />
era unita, e Babbai ancora vivo roncolava ogni tanto,<br />
nell’euforia del vino buono.<br />
“Fuori è vero che piove.”<br />
“Ah, mi piacerebbe, una passeggiata.” Ci sa fare,<br />
Mammai, coll’ironia su se stessa. La passeggiata! Due<br />
ergastoli, deve s<strong>con</strong>tare. Due, i cristiani ammazzati.<br />
Primo, Babbai. Squarciato col coltello grande di cucina<br />
e trascinato sotto il fico del cortile: macellato come<br />
si deve, prima di darlo a mangiare al maiale. Anche la<br />
salsiccia, quell’anno, è stata buona: tutta carne e anice<br />
e niente lardo. Babbai era un porco e un ubria<strong>con</strong>e, e<br />
una sola volta è stato tenero, una sola, nella sua vita<br />
mortale e immortale, dopo che il maiale l’aveva digerito.<br />
Mammai recita la solita litania di lamentele: niente<br />
tele a colori, in cella, e puzza di piscia di donna gravida.<br />
E rancido di donne sporche.<br />
“Da ieri è meglio. Gigliola l’hanno mandata a isolamento.<br />
Non poteva <strong>con</strong>tinuare, a sbattere la testa<br />
sul muro ogni notte alle tre, solo perché quella era<br />
l’ora che, fuori, saliva sul comò e faceva lo strip per il<br />
magnaccia. Dice che non riesce a farne a meno. Nostalgia.<br />
Si è dimenticata che l’ha ucciso, e che è dentro<br />
per quello. Il mondo, dico io, ci ha il culo al posto<br />
della testa. E ieri si è ammattita, e invece di sbattere<br />
al muro ha preso a testate una guardia. Trenta<br />
giorni di cure, per quello. Oh, anche gli sbirri, sembrano<br />
budino. Per una testata quasi moriva, e si è licenziato<br />
e cerca lavoro da muratore. Gente di nulla.”<br />
Mammai sorride. A lei piacevano gli sbirri di un<br />
tempo. Ha persino nostalgia, di quello che aveva resistito<br />
quattordici minuti di orologio, ai suoi cazzotti.<br />
Ah, era un uomo. Era successo quando Mammai si era<br />
arrampicata sul tetto, a respirare. Un bel sole caldo, e<br />
si era sfilata il reggiseno “Anche le tette, a respirare”.<br />
Le mammelle di Mammai: resti sfasciati di una gioventù<br />
ricca di amori. Grandi come angurie e bianche<br />
come formaggio fresco. Quello sbirro, quello dei quattordici<br />
minuti, era salito sul tetto, e voleva riportarla<br />
giù. Al quindici era morto. La mano di Mammai gli<br />
aveva stroncato la spina all’altezza del collo. Così, il<br />
direttore aveva dato ordine che attendessero, e lei era<br />
tornata quando era venuto il buio. Era tornata giù.<br />
C’era freddo, sul tetto.<br />
“Torna giovedì, Piccolo. Portami Grand’Hotel. Quello<br />
del mese scorso l’ho quasi finito.”<br />
“Vabbene, Mammai.”<br />
Piccolo si allontana. Ha paura di tornare a casa: non<br />
riuscirebbe a dormire, per nostalgia di Mammai. Si<br />
lascia tentare da un’autoradio. Poi da un’altra. Così<br />
non spreca il tempo.<br />
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