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indice cronologico maggio 2001 - Swif - Università degli Studi di Bari

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SWIF Recensioni<br />

A cura <strong>di</strong> Andrea Rossetti<br />

<strong>maggio</strong> <strong>2001</strong> (9 recensioni)<br />

SWIF – E<strong>di</strong>zioni Digitali <strong>di</strong> Filosofia<br />

Registrazione ISSN 1126-4780


<strong>in<strong>di</strong>ce</strong> <strong>cronologico</strong> <strong>maggio</strong> <strong>2001</strong><br />

<strong>Università</strong> <strong>degli</strong> <strong>Stu<strong>di</strong></strong> <strong>di</strong> <strong>Bari</strong> - Laboratorio <strong>di</strong> Epistemologia Informatica e Dipartimento <strong>di</strong> Scienze Filosofiche<br />

Recensione <strong>di</strong><br />

Gilberto Gobbo -<br />

31/5/<strong>2001</strong><br />

Recensione <strong>di</strong><br />

Marcello Neri -<br />

27/05/<strong>2001</strong><br />

Recensione <strong>di</strong><br />

Luciano Flori<strong>di</strong> -<br />

24/05/<strong>2001</strong><br />

Recensione <strong>di</strong><br />

Vincenzo<br />

Maimone -<br />

21/05/<strong>2001</strong><br />

Recensione <strong>di</strong><br />

Mario Valentino<br />

Bramè -<br />

16/05/<strong>2001</strong><br />

Recensione <strong>di</strong><br />

Gian Paolo<br />

Terravecchia -<br />

13/05/<strong>2001</strong><br />

Recensione <strong>di</strong><br />

Francesco<br />

Armezzani -<br />

9/5/<strong>2001</strong><br />

In<strong>di</strong>ce <strong>cronologico</strong>: <strong>maggio</strong> <strong>2001</strong><br />

Fichte, Johann Gottlieb, La destinazione dell'uomo.<br />

Traduzione <strong>di</strong> Remo Cantoni, a cura <strong>di</strong> C. Cesa. Roma-<strong>Bari</strong>,<br />

Laterza, <strong>2001</strong>, pp. 139, Lit. 28.000, ISBN 88-420-6221-9<br />

Ricoeur, Paul, Riflession fatta. Autobiografia intellettuale.<br />

Milano, Jaca Book, 1998, Lit. 24.000, ISBN 88-16-40460-4<br />

(13/3/<strong>2001</strong>)<br />

Amaducci, Gaia, Lanzoni, Fausto, Filosofia Online. Milano,<br />

Alpha Test, 2000, pp. 190, Lit. 16.000, ISBN 88-483-0159-2<br />

(12/3/<strong>2001</strong>)<br />

Philip Pettit, Il Repubblicanesimo. Una teoria della libertà<br />

e del governo. Prefazione <strong>di</strong> Marco Geuna, traduzione <strong>di</strong><br />

Paolo Costa, Feltrinelli, Milano, 2000, pp. 385, Lit. 60.000,<br />

ISBN 88-07-10288-9 (28/02/<strong>2001</strong>)<br />

Bettelli, Oscar, Processi cognitivi<br />

Bologna, CLUEB, 2000, pp. 159, Lit. 23.000, ISBN 88-491-<br />

1637-3 (13/02/<strong>2001</strong>)<br />

Tampoia, Francesco, Il filosofo <strong>di</strong>mezzato,<br />

Roma, Armando, 2000, pp. 208, Lit. 30.000, ISBN 88-8358-<br />

064-8 (06/05/<strong>2001</strong>)<br />

Kim, Jaegwon, La mente e il mondo fisico<br />

Milano, Mc Graw-Hill (Dynamie), 2000, pp. vii-170, Lit.<br />

28.000, ISBN 88-386-3725-3 (15/02/<strong>2001</strong>)<br />

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<strong>in<strong>di</strong>ce</strong> <strong>cronologico</strong> <strong>maggio</strong> <strong>2001</strong><br />

Recensione <strong>di</strong><br />

Filippo Trasatti -<br />

3/5/<strong>2001</strong><br />

Recensione <strong>di</strong><br />

Andrea Gilardoni -<br />

3/5/<strong>2001</strong><br />

Sini, Carlo, Idoli della conoscenza<br />

Milano, Cortina, 2000, pp. 263, Lit. 35.000 (18/2/<strong>2001</strong>)<br />

Semprini, Andrea, Il multiculturalismo. La sfida della<br />

<strong>di</strong>versità nelle società contemporanee. Milano, Franco<br />

Angeli, Lit. 30.000 (Euro 15,49). (17/2/<strong>2001</strong>)<br />

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<strong>Università</strong> <strong>degli</strong> <strong>Stu<strong>di</strong></strong> <strong>di</strong> <strong>Bari</strong> - Laboratorio <strong>di</strong> Epistemologia Informatica e Dipartimento <strong>di</strong> Scienze<br />

Filosofiche<br />

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<strong>Università</strong> <strong>degli</strong> <strong>Stu<strong>di</strong></strong> <strong>di</strong> <strong>Bari</strong> - Laboratorio <strong>di</strong> Epistemologia Informatica e Dipartimento <strong>di</strong> Scienze Filosofiche<br />

Fichte, Johann Gottlieb, La destinazione dell'uomo<br />

Traduzione <strong>di</strong> Remo Cantoni, a cura <strong>di</strong> C. Cesa. Roma-<strong>Bari</strong>, Laterza, <strong>2001</strong>,<br />

pp. 139, Lit. 28.000, ISBN 88-420-6221-9<br />

Recensione <strong>di</strong> Gilberto Gobbo<br />

In<strong>di</strong>ce - L'autore<br />

[Parole chiave: natura, rappresentazione, agire, spontaneità, sapere, Io, fede, Spirito,<br />

<strong>di</strong>alettica, opposizione, destinazione, modelli, cuore]<br />

È stata nuovamente pubblicata per i tipi <strong>di</strong> Laterza - la prima volta il testo tradotto venne<br />

pubblicato nel 1970 con il titolo La missione dell'uomo - la traduzione <strong>di</strong> Remo Cantoni<br />

dell'opera fichtiana Die Bestimmung des Menschen riveduta e corretta da Clau<strong>di</strong>o Cesa sulla<br />

base della Gesamtausgabe.<br />

Religione e destinazione dell'uomo: due termini che segnano due momenti originari ed<br />

originanti dell'esperienza filosofica fichtiana. Da una parte l'incontro con Kant (1790) viene<br />

anticipato da scritti finalizzati a contribuire al sod<strong>di</strong>sfacimento del "bisogno <strong>di</strong> unirsi con Dio<br />

<strong>degli</strong> uomini" (Gesamtausgabe, Frommann-Holzboog, Stuttgart-Bad Cannstatt, 1962, II, 1,<br />

288); sono questi gli anni che vanno dal 1788 al 1790. La polemica sull'ateismo, poi, segna<br />

l'avvio della rinnovata riflessione intorno a tematiche religiose per il periodo che va dal 1800<br />

al 1806. L'interesse per le tematiche religiose, in realtà, non abbandona mai Fichte; prova <strong>di</strong><br />

ciò è, ad esempio, il fatto che "tra i rami del sapere che sarebbero stati fondati dalla dottrina<br />

della scienza" (p. XI), avrebbe dovuto esserci anche una teoria della teologia, come si<br />

evince dal "Programma" della Dottrina della Scienza, 1794, (Gesamtasugabe, I, 2, 151). Die<br />

Bestimmung des Menschen viene redatta da Fichte alla fine del 1799 e viene inviata alle<br />

stampe nel 1800.<br />

Lo scritto, ritenuto a torto o a ragione il punto <strong>di</strong> svolta fra il primo ed il secondo Fichte, può<br />

essere considerato una trilogia e in effetti lo è, se la sua lettura viene accompagnata da<br />

quello stesso coinvolgimento drammatico che accompagna, ad esempio, la lettura del Faust<br />

goethiano. Le vicende dell'Io commuovono il lettore, poiché lungo la riflessione ed il <strong>di</strong>alogo<br />

prende corpo la domanda fondamentale per il sapere e stringente per l'esistenza: "Donde<br />

giunge la certezza al sapere? Donde arriva la soli<strong>di</strong>tà alla coscienza ed al conoscere? Che<br />

cosa fa sì che il mio sapere sia sapere <strong>di</strong> tutti e sia sapere universale?" Questa domanda è<br />

drammatica, poiché la libertà dell'Io si trova <strong>di</strong> fronte al rischio ed alla scelta: o l'Io esce da<br />

se stesso per trovare il fondamento <strong>di</strong> sé e dell'altro da sé, o l'Io resta in sé. Secondo Fichte<br />

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la questione sopra in<strong>di</strong>cata è stringente e <strong>di</strong>venta un punto <strong>di</strong> svolta da affrontare con<br />

assoluta decisione nell'ambito del ragionamento e del <strong>di</strong>scorso <strong>di</strong>alettico: in questo periodo<br />

della sua esistenza e del suo lavoro teoretico, egli si trova nella con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> dover <strong>di</strong>re che<br />

l'Io, se resta in sé, non raggiunge quella certezza, la cui esigenza, per l'uomo, è viscerale,<br />

improrogabile. "Questa voce", scrive Fichte, "mi trae fuori dalla rappresentazione, dal mero<br />

sapere, verso qualcosa che si trova fuori <strong>di</strong> esso ed è ad esso completamente opposto:<br />

qualcosa che è <strong>di</strong> più, è più elevato <strong>di</strong> ogni sapere e che contiene in sé lo scopo finale del<br />

sapere stesso" (p. 76). Il sapere, ci <strong>di</strong>ce Fichte, è contrad<strong>di</strong>ttorio se resta chiuso in se<br />

stesso; il sapere, esercitando le proprie capacità, non può non restare fedele alla sua natura,<br />

la finitezza. Perciò in esso emerge un impulso che spinge al <strong>di</strong> fuori <strong>di</strong> sé. Il percorso<br />

fichtiano, allora, è segnato da tre tappe: la prima, intitolata "Dubbio" è un monologo dell'Io<br />

con se stesso; la seconda, intitolata "Sapere" è un <strong>di</strong>alogo dell'Io con lo Spirito, con la parte<br />

<strong>di</strong> sé che anticipa sempre la riflessione e la decisione; la terza parte, intitolata "Fede", è un<br />

monologo dell'Io abbandonato alle <strong>di</strong>namiche effettive dell'agire e della spontaneità,<br />

immerso cioè a guardare la propria natura: "Se io agirò, saprò senza dubbio che agisco e<br />

come agisco. Questo sapere però non sarà l'agire stesso, ma un guardarlo" (p. 76).<br />

La ricerca del prerazionale accompagna tutta la ricerca fichtiana, dai primi agli ultimi scritti<br />

(p. X) e l'intera riflessione presente nel testo <strong>di</strong>venta uno sguardo penetrante rivolto<br />

all'interiorità dell'uomo e non solo alla coscienza al fine <strong>di</strong> riportare alla luce della<br />

rappresentazione "I concetti finalistici" (p. 77). La riflessione fichtiana, nella parte de<strong>di</strong>cata al<br />

sapere, compie il passo decisivo, dal punto <strong>di</strong> vista teoretico, per passare all'ambito della<br />

fede. Il desiderio <strong>di</strong> realtà, il desiderio <strong>di</strong> gustare con pienezza la realtà del sapere qualcosa,<br />

guida attraverso ragionamenti stringenti la riflessione in un gioco <strong>di</strong>alettico <strong>di</strong><br />

contrapposizioni che, quasi spasmo<strong>di</strong>camente, conducono la riflessione all'impasse ed alla<br />

conclusione che altro dall'intelletto e dalla ragione è l'organo della realtà del sapere e della<br />

verità. "Ora tu cerchi pur sempre qualcosa <strong>di</strong> reale", con le parole dello Spirito, "che esista al<br />

<strong>di</strong> là della mera immagine - a buon <strong>di</strong>ritto come io so bene - e cerchi una realtà <strong>di</strong>versa da<br />

quella or ora annientata, come io dal pari so. Ma ti affaticheresti invano se la volessi creare<br />

me<strong>di</strong>ante il tuo sapere o dal tuo sapere e se la volessi abbracciare con la tua conoscenza.<br />

Se non possie<strong>di</strong> un altro organo per afferrarla, non la troverai mai" (p. 74). Sembra qui<br />

d'u<strong>di</strong>re il motto pascaliano: "Il cuore ha ragioni che la ragione non ha".<br />

Che cosa appare al sapere abbandonandosi all'agire libero e forte dell'Io, che cosa v'è <strong>di</strong><br />

prerazionale nella Thätigkeit dell'Io? Si è detto che appaiono i concetti finalistici, cioè ciò che<br />

in<strong>di</strong>ca all'uomo la sua missione: tali concetti sono quei modelli prerazionali che orientano<br />

l'azione dell'uomo. Dal punto <strong>di</strong> vista sistematico, ciò che appare è una struttura praticotrascendentale<br />

con carattere platonico formata da:<br />

● forza reale ed efficace che produce un essere<br />

● i modelli <strong>di</strong> ciò che si deve produrre, esterni a tale forza, eppure cogenti e persuasivi<br />

nei suoi confronti<br />

● la conoscenza, che "deve fare da spettatrice" (p. 77)<br />

La fede pratica, in tale contesto, acquista tutto il suo valore filosofico, teoretico e religioso,<br />

ma anche sociale e politico. Per quanto riguarda il soggetto ed il rapporto fra soggetti essa è<br />

atteggiamento <strong>di</strong> obbe<strong>di</strong>enza alla natura dell'uomo che <strong>di</strong>viene forma <strong>di</strong> ogni azione<br />

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in<strong>di</strong>viduale e comunitaria. Al sapere, così, si apre un ambito nuovo, un ambito che il sapere<br />

comune ed il sapere filosofico, ancorato alla superficialità ed alla ristrettezze della<br />

rappresentazione, nemmeno immaginano. All'uomo, che partecipa attivamente alla<br />

realizzazione della destinazione dell'umanità, è dato <strong>di</strong> sperimentare una vita beata e <strong>di</strong><br />

costruire una scienza dell'agire basata sul fundamentum inconcussum, cioè sull'assolutezza<br />

della spontaneità che accomuna <strong>di</strong>vinità ed umanità e che è testimoniata dal cuore: "Dagli<br />

vita e riscaldalo; e tu giungerai alla più perfetta quiete." (p. 74)<br />

La lettura del testo è scorrevole. In alcuni punti ci si deve fermare per ripetere con <strong>maggio</strong>re<br />

attenzione la riflessione fichtiana, poiché non si tratta solo <strong>di</strong> capire, ma specialmente <strong>di</strong><br />

comprendere. Il pathos personale cresce e subisce una catarsi: attraverso ogni passaggio <strong>di</strong><br />

interiorizzazione lo sforzo intellettivo si trasforma in sguardo contemplativo ed alla fine è<br />

come aver contemplato un trittico, ricco indefinitamente <strong>di</strong> giochi cromatici, <strong>di</strong> chiari e scuri,<br />

<strong>di</strong> eventi e <strong>di</strong> significati con un inizio ed una fine che sprofondano nello spazio teoretico<br />

segnato dall'autore.<br />

In<strong>di</strong>ce<br />

Introduzione <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o Cesa<br />

Prefazione<br />

Libro primo - Dubbio<br />

Libro secondo - Sapere<br />

Libro terzo - Fede<br />

L'autore<br />

Johann Gottlieb Fichte, nato nel 1762 in Sassonia, dopo alterne vicende universitari (Jena,<br />

Lipsia, Wittenberg), Fichte si guadagna da vivere come precettore a Zurigo fino al 1790. A<br />

Lipsia legge con ardore ed assiduità la filosofia kantiana. Nel 1792 a Königsberg scrive il<br />

Saggio in critica <strong>di</strong> ogni rivelazione. Nel 1793 ritorna a Zurigo - durante questo viaggio si<br />

ferma la prima volta a Tubinga e tiene una lezione agli allievi dello Stift <strong>di</strong> Tubinga, fra i quali<br />

vi è anche Schelling - e nel 1794 gli viene offerta la cattedra <strong>di</strong> filosofia a Jena. Scrive Sul<br />

concetto della Dottrina della Scienza, La destinazione del Dotto, Il Fondamento dell'intera<br />

Dottrina della Scienza. Nel 1796 esce il primo volume <strong>di</strong> Fondamento <strong>di</strong> Diritto naturale, nel<br />

1798 lo scritto Sistema <strong>di</strong> Etica. Nel 1798 prende avvio la famosa polemica sull'ateismo che<br />

lo porterà a dare le <strong>di</strong>missioni l'anno successivo. Nel 1799 re<strong>di</strong>ge La destinazione dell'uomo.<br />

L'anno seguente inizia la frizione con Schelling, la quale finirà in definitiva rottura nel 1802.<br />

Fino al 1811 Fichte opera all'<strong>Università</strong> <strong>di</strong> Berlino, assumendo anche la carica <strong>di</strong> Rettore<br />

della stessa. Nel 1806 Fichte scrive Avviamento alla vita beata e l'anno successivo i Discorsi<br />

alla Nazione tedesca. Muore nel 1814.<br />

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<strong>Università</strong> <strong>degli</strong> <strong>Stu<strong>di</strong></strong> <strong>di</strong> <strong>Bari</strong> - Laboratorio <strong>di</strong> Epistemologia Informatica e Dipartimento <strong>di</strong> Scienze<br />

Filosofiche<br />

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Paul Ricoeur, Riflession fatta. Autobiografia intellettuale<br />

<strong>Università</strong> <strong>degli</strong> <strong>Stu<strong>di</strong></strong> <strong>di</strong> <strong>Bari</strong> - Laboratorio <strong>di</strong> Epistemologia Informatica e Dipartimento <strong>di</strong> Scienze Filosofiche<br />

Ricoeur, Paul, Riflession fatta. Autobiografia intellettuale.<br />

Milano, Jaca Book, 1998, Lit. 24.000, ISBN 88-16-40460-4.<br />

Recensione <strong>di</strong> Marcello Neri - 13/03/<strong>2001</strong><br />

In<strong>di</strong>ce - L'autore<br />

Il libro <strong>di</strong> Ricoeur, introdotto da un breve saggio <strong>di</strong> Daniella Iannotta che ne ha curato anche<br />

la traduzione ("Dopo la riflessione. Autobiografia e memoria in Paul Ricoeur", pp. 7-16), è<br />

composto da due contributi che il filosofo francese ha steso in occasioni e contesti <strong>di</strong>versi.<br />

L'"Autobiografia intellettuale" (originariamente in lingua inglese) scritta a introduzione<br />

dell'opera collettanea The Philosophy of Paul Ricoeur (Chicago and Lasalle, Open Court<br />

1995); e il saggio "Dalla metafisica alla morale" pubblicato in occasione del centenario della<br />

Revue de métaphisyque et de morale (1994), riprendendo il titolo dato da F. Ravaisson al<br />

suo articolo per il primo numero della rivista fondata da E. Halévy e X. Leon. Entrambi<br />

ripercorrono l'opera filosofica <strong>di</strong> Ricoeur. Il primo in maniera più complessiva, offrendo una<br />

traccia che ne attraversa tutti gli sno<strong>di</strong> <strong>maggio</strong>ri; il secondo si sofferma più puntualmente sui<br />

temi <strong>di</strong> Sé come un altro (Jaca Book, Milano 1993; originale francese del 1990 presso Seuil,<br />

Parigi). Il legame tra i due testi non è <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne biografico, bensì strettamente teoretico: "La<br />

collocazione <strong>di</strong> questo stu<strong>di</strong>o dopo l'Autobiografia intellettuale è sembrata giustificata nella<br />

misura in cui vi si è riflettuto su alcune categorie <strong>di</strong> rango superiore - il Medesimo e l'Altro, la<br />

Potenza e l'Atto - che strutturano il <strong>di</strong>scorso <strong>di</strong> Sé come un altro. Questa riflessione <strong>di</strong><br />

secondo grado, portando la riflessione su un precedente percorso <strong>di</strong> pensiero, si dà il<br />

compito <strong>di</strong> mostrare che una speculazione, che verta sul ruolo tenuto dalla funzione meta-<br />

nel <strong>di</strong>scorso filosofico, tiene aperta la via che conduce ‘dalla metafisica alla morale', quale è<br />

indagata nell'ultima parte <strong>di</strong> Sé come un altro" (p. 18).<br />

Siamo così introdotti, dallo stesso Ricoeur, al principio metodologico, da un lato, e alla<br />

ragione filosofica, dall'altro, che innervano tutta la sua opera, offerta a uno sguardo sintetico<br />

e d'insieme al lettore dell'"Autobiografia intellettuale". Il metodo, mentre assume l'analisi<br />

fenomenologica husserliana come unica adeguata relazione prima del pensiero con la<br />

realtà, la <strong>di</strong>chiara non esaustiva. Infatti, si afferma la necessità <strong>di</strong> un ritorno della riflessione<br />

sul dato acquisito fenomenologicamente, per guadagnare così quegli elementi <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne<br />

superiore che eccedono la mera determinazione del fenomenologico, in quanto mai<br />

propriamente riducibili in via definitiva. Tenendo conto <strong>di</strong> tutta la produzione <strong>di</strong> Ricoeur si<br />

può affermare che tale questione superiore, mai completamente esaurita dalla riduzione<br />

fenomenologica (e che la riflessione <strong>di</strong> ritorno, dopo aver <strong>di</strong>vagato per gli innumerevoli spazi<br />

del sapere filosofico che hanno cercato <strong>di</strong> eliderne l'eccedenza sostenendone la non<br />

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Paul Ricoeur, Riflession fatta. Autobiografia intellettuale<br />

praticabilità o finanche la non esistenza, può cogliere solo nella sua inoggettivabile<br />

irriducibilità) sia esattamente la questione del senso: "L'ermeneutica, pertanto, invita a<br />

risalire nell'opera <strong>di</strong> Husserl dalle Ideen e dalle Cartesianische Me<strong>di</strong>tationen alle Logische<br />

Untersuchungen, vale a <strong>di</strong>re a uno stato della fenomenologia in cui la tesi della intenzionalità<br />

rivela una coscienza <strong>di</strong>retta fuori <strong>di</strong> se stessa, rivolta verso il senso, prima <strong>di</strong> essere per sé<br />

nella riflessione" (p. 72). Il tema del metodo lascia così emergere la qualità della ragione<br />

filosofica messa in campo da Ricoeur. Da un lato, essa vuole liberare la metafisica da un<br />

cattivo essenzialismo scolastico (che finisce col fare della categoria meta- semplicemente<br />

una proiezione del dato fenomenologico in un or<strong>di</strong>ne superiore); dall'altro, mira a elaborare<br />

una teoria compiuta della trasversalità dell'etico all'ontologico (esattamente attraverso<br />

l'indagine del significato della funzione meta- e l'utilizzo <strong>di</strong> categorie <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne superiore:<br />

Potenza e Atto, Medesimo e Altro).<br />

Il metodo si sporge imme<strong>di</strong>atamente sul momento materiale della riflessione, che è a sua<br />

volta <strong>di</strong>rettamente vincolato al metodologico. Mi sembra che quest'intreccio sia presente fin<br />

dall'inizio nella filosofia <strong>di</strong> Ricoeur, sebbene il rigore con cui egli affronta la questione<br />

metodologica lo costringa a una quasi interminabile <strong>di</strong>vagazione rispetto al merito imme<strong>di</strong>ato<br />

della "cosa" <strong>di</strong> cui ne va nella filosofia (che inizia con la Philosophie de la volonté e termina<br />

alle soglie del decimo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Sé come un altro - dal carattere ancora chiaramente<br />

provvisorio, come lascia intendere la titolazione "Verso quale ontologia?"). Il punto <strong>di</strong><br />

partenza è la critica alla deriva ideologica del metodo (fenomenologico) e alla paradossale<br />

produttività fenomenica della riduzione: "Alla traduzione propriamente detta [delle Ideen I <strong>di</strong><br />

Husserl], aggiunsi un commento perpetuo e una introduzione sostanziale, nella quale cercai<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>ssociare quello che mi appariva come il nucleo descrittivo della fenomenologia<br />

dall'interpretazione idealistica <strong>di</strong> cui tale nucleo si trovava investito [...] La riduzione rendeva<br />

possibile la produzione quasi fichteana della fenomenalità ad opera della coscienza pura, la<br />

quale veniva ad erigersi a scaturigine più originaria <strong>di</strong> qualsiasi esteriorità ricevuta" (pp. 32-<br />

33).<br />

La costruzione del progetto filosofico <strong>di</strong> Ricoeur nasce dall'intento <strong>di</strong> offrire "una controparte,<br />

nell'or<strong>di</strong>ne pratico, alla Fenomenologia della percezione <strong>di</strong> Merleau-Ponty" (p. 33). Questa<br />

scelta del pratico impone il tema del soggetto che agisce e patisce, e l'elaborazione <strong>di</strong><br />

un'"ontologia della volontà finita" intesa come "ontologia della sproporzione": "La fragilità<br />

dell'uomo, la sua vulnerabilità morale, non sarebbe altro che una sproporzione costitutiva fra<br />

un polo <strong>di</strong> infinitu<strong>di</strong>ne e un polo <strong>di</strong> finitu<strong>di</strong>ne" (p. 39). L'applicazione dell'analisi eidetica alle<br />

sfere affettive e volitive del soggetto approda non solo alla qualità problematica della sua<br />

ontologia, che chiede un'amplificazione semantica del dato fenomenologico, ma comporta<br />

anche il riscontro <strong>di</strong> una sorta <strong>di</strong> opacità fenomenologica dell'io a se stesso: "Il soggetto,<br />

affermavo, non conosce se stesso in maniera <strong>di</strong>retta, ma soltanto attraverso i segni<br />

depositati nella sua memoria e nel suo immaginario dalle gran<strong>di</strong> culture. Questa opacità del<br />

Cogito non concerneva, in linea <strong>di</strong> principio, la sola esperienza della volontà cattiva, ma tutta<br />

la vita intenzionale del soggetto" (p. 41). Ma questa con<strong>di</strong>zione del Cogito nella<br />

problematicità/sproporzione, e nell'opacità, è esattamente l'oggetto dell'aggressione mossa<br />

contro l'io-soggetto dagli strutturalismi (intesi a decostruirne qualsiasi possibilità <strong>di</strong> posizione<br />

riflessiva) e dalle filosofie del linguaggio (che ne impoveriscono la portata semantica<br />

riducendone la sua funzione grammaticale a mero sistema <strong>di</strong> segni deprivato <strong>di</strong> qualsiasi<br />

legame soggettuale).<br />

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Paul Ricoeur, Riflession fatta. Autobiografia intellettuale<br />

Questi due spettri della filosofia contemporanea rappresentano gli ambiti delle più ampie<br />

<strong>di</strong>vagazioni dell'opera <strong>di</strong> Ricoeur: il confronto con alcune elaborazioni strutturali <strong>di</strong> matrice<br />

francese e quello con alcuni esponenti della scuola anglosassone della filosofia del<br />

linguaggio. Non senza qualche preoccupazione <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne critico, Ricoeur pone l'analisi<br />

strutturale come limite minore della sua indagine sul soggetto nella problematicità o Cogito<br />

lacerato: "Da una parte, ho sempre avuto gran cura <strong>di</strong> <strong>di</strong>ssociare lo strutturalismo, in quanto<br />

modello universale <strong>di</strong> spiegazione, dalle analisi strutturali legittime e fruttuose [...] D'altra<br />

parte, mi adoperavo ad eliminare dalla mia concezione del soggetto pensante, agente e<br />

senziente, tutto ciò che avrebbe potuto rendere impossibile incorporare una fase <strong>di</strong> analisi<br />

strutturale all'operazione riflessiva" (p. 45). La sponda offerta dallo strutturalismo, me<strong>di</strong>ata<br />

da un lungo attraversamento della tematica psicoanalitica e dal confronto con Freud, apre lo<br />

spazio per assumere la filosofia del linguaggio quale limite <strong>maggio</strong>re dell'indagine sul<br />

soggetto-nello-scarto da sé: "Ora, lo strutturalismo non mi sembrava mettere in questione la<br />

nozione <strong>di</strong> soggetto a titolo <strong>di</strong> ermeneutica del sospetto, bensì in quanto astrazione<br />

oggettivante, attraverso cui il linguaggio si troverebbe ridotto al funzionamento <strong>di</strong> un sistema<br />

<strong>di</strong> segni senza ancoraggio soggettivo [...] I limiti mi sembravano quelli stessi della nozione <strong>di</strong><br />

segno... Mi sembrava che, in questo modo, si perdesse <strong>di</strong> vista ciò che Emile Benveniste<br />

aveva, <strong>di</strong> contro, perfettamente riconosciuto, e cioè il fatto che la prima unità <strong>di</strong> senso del<br />

linguaggio non è il segno lessicale ma la frase, che egli chiama istanza <strong>di</strong> <strong>di</strong>scorso [...] La<br />

frase, insegnava Benveniste, contiene quanto meno l'atto sintetico della pre<strong>di</strong>cazione.<br />

Appoggiandomi parimenti su Roman Jakobson, proponevo allora la seguente definizione del<br />

<strong>di</strong>scorso: qualcuno <strong>di</strong>ce qualcosa a qualcuno su qualche cosa secondo delle regole" (p. 51).<br />

In tal modo si recuperano e mettono in luce "la <strong>di</strong>mensione intersoggettiva" e l'"ambizione<br />

referenziale" del linguaggio (p. 52).<br />

Questo intreccio dell'or<strong>di</strong>ne linguistico porta Ricoeur all'in<strong>di</strong>viduazione del "fenomeno<br />

dell'innovazione semantica", ossia <strong>di</strong> quella "produzione <strong>di</strong> un senso nuovo attraverso<br />

procedure del linguaggio" (p. 58). La qualità regolata <strong>di</strong> quest'atto creativo del linguaggio<br />

riaggancia l'analisi sul piano strutturale al livello più elementare della questione etica. D'altro<br />

lato, la sua applicazione porta ad ampliare l'unità semantica fondamentale dalla frase al<br />

testo. Il primo punto sarà svolto da Ricoeur in Sé come un altro, il secondo rappresenta<br />

l'asse portante <strong>di</strong> Tempo e racconto. Il raccordo fra le due opere è dato dalla ricaduta<br />

ontologica dell'incremento semantico me<strong>di</strong>ante l'analisi della referenza metaforica, svolta<br />

nella costruzione <strong>di</strong> una teoria pratica del testo in Tempo e racconto: "Spiegavo l'operazione<br />

veritativa della metafora nel modo seguente: nello stesso modo in cui il senso metaforico<br />

risulta dall'emergenza <strong>di</strong> una nuova pertinenza semantica sulle rovine della pertinenza<br />

semantica letterale, la referenza metaforica procede dal crollo della referenza letterale. Al<br />

fine <strong>di</strong> sottolineare bene la portata ontologica della tesi, proponevo <strong>di</strong> far corrispondere al<br />

‘vedere-come' dell'enunciato metaforico un ‘essere-come' <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne extralinguistico rivelato<br />

dal linguaggio poetico" (p. 61). L'atto che me<strong>di</strong>a questa qualità ontologica dell'incremento<br />

semantico nello spazio del testo è "l'atto <strong>di</strong> lettura" (p. 61). La riconfigurazione del mondo<br />

come possibile più proprio del soggetto, regolata dalla configurazione del testo, apre quin<strong>di</strong><br />

a un'ontologia che non sia più semplicemente irrelata e a latere della stessa configurazione<br />

del soggetto: "Il mondo del lettore offre il sito ontologico delle operazioni <strong>di</strong> senso e <strong>di</strong><br />

referenza che una concezione puramente immanentistica del linguaggio vorrebbe ignorare"<br />

(p. 62).<br />

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Paul Ricoeur, Riflession fatta. Autobiografia intellettuale<br />

Il me<strong>di</strong>o autonomo del testo istruisce la trasversalità non meramente formale tra l'etico e<br />

l'ontologico. Questo è il tema svolto da Ricoeur in Sé come un altro, termine <strong>di</strong><br />

quell'excursus del soggetto durato quasi l'opera <strong>di</strong> una vita: "Si potrebbe <strong>di</strong>re che, con<br />

l'ultima opera, la riflessione rientra presso <strong>di</strong> sé grazie al movimento stesso che l'ha in un<br />

primo tempo proiettata fuori <strong>di</strong> sé, e in secondo tempo l'ha in qualche modo ritardata, a forza<br />

<strong>di</strong> deviazioni, <strong>di</strong> giri e <strong>di</strong> me<strong>di</strong>azioni" (p. 77). A questo libro sono de<strong>di</strong>cate le pagine del<br />

secondo saggio "Dalla metafisica alla morale". Esso è posto "sotto l'egida della nozione <strong>di</strong><br />

essere in quanto atto [...] e poi sotto l'egida della <strong>di</strong>alettica del medesimo e dell'altro, più<br />

visibilmente implicata dalla transizione dalla metafisica alla morale" (p. 109). Sul lato del<br />

soggetto questa <strong>di</strong>alettica si polarizza nel riferimento all'idem e all'ipse come lo stesso del<br />

soggetto "precisamente in quanto altro da sé medesimo" (p. 121). Si apre così lo spazio <strong>di</strong><br />

una fondamentale (e originaria?) esperienza <strong>di</strong> passività/esteriorità del sé a se stesso che<br />

trova nella "carne", nell'"estraneo" e nel "foro interiore" i tre referenti propri <strong>di</strong><br />

quest'alterità/estraneità del soggetto. In tutti tre i casi Ricoeur vigila attentamente affinché<br />

non si produca un imme<strong>di</strong>ato slittamento della trattazione verso l'ambito etico. Di particolare<br />

interesse la sospensione momentanea nel pre-etico per quanto riguarda il terzo referente,<br />

che permette, "in quanto forum del colloquio fra sé e sé stessi", <strong>di</strong> non perdere quella<br />

"metafora della voce" che è necessaria per "serbare l'idea <strong>di</strong> una passività senza pari, che<br />

sia a un tempo a me interiore e superiore" (p. 123). Il passaggio all'etico, e l'apertura verso<br />

una possibile (ma problematica) ontologia, avviene me<strong>di</strong>ante il tema dell'attestazione: il "foro<br />

interiore non è altro che l'attestazione attraverso la quale il sé affetta se stesso [...] Certo, se<br />

si vuol rendere esattamente conto del fenomeno dell'attestazione, è <strong>di</strong>fficile non congiungere<br />

la meta-categoria dell'essere vero con quella dell'essere come atto e potenza. La coscienzaattestazione<br />

sembra proprio inscriversi nella problematica della verità, in quanto fiducia e<br />

fidanza" (p. 124). Qui però Ricoeur pone quell'interdetto dell'"aporia dell'Altro"<br />

dell'attestazione (p. 98), che interrompe la riflessione e sospende la ragione da qualsiasi<br />

possibile percezione (valutativa) dell'originarietà <strong>di</strong> quest'alterità. Si tratta del punto più<br />

promettente e più criticamente esposto dell'approdo ontologico dell'opera <strong>di</strong> P. Ricoeur. Non<br />

è questa la sede per uno scavo <strong>maggio</strong>re del problema, basti averne fatto cenno<br />

in<strong>di</strong>candone l'importanza.<br />

Nell'"Avvertenza" introduttiva a Riflession fatta, Ricoeur invita esplicitamente a non pensare<br />

questo testo come la conclusione del tragitto della ragione filosofica: "La riflessione, sia pur<br />

raddoppiata, non si esaurisce in un bilancio" (p. 18). Il percorso memoriale attraverso la sua<br />

opera ha infatti lasciato emergere una sorta <strong>di</strong> <strong>di</strong>menticanza che attraversa i volumi <strong>di</strong><br />

Tempo e racconto e Sé come un altro, che ha portato alla pubblicazione dell'ultimo testo <strong>di</strong><br />

P. Ricoeur: La mémoire, l'histoire, l'oubli (Seuil, Paris, 2000 - per ora <strong>di</strong>sponibile solo nella<br />

versione francese), cui è affidato il compito "<strong>di</strong> ritornare su alcune lacune nella problematica<br />

<strong>di</strong> Tempo e Racconto e in Sé come un altro, dove l'esperienza temporale e l'operazione<br />

narrativa sono messe in relazione <strong>di</strong>retta, al prezzo però <strong>di</strong> un'impasse sulla memoria e,<br />

peggio ancora, su quel livello me<strong>di</strong>ano tra tempo e racconto che è l'oblio" (p. I).<br />

La ricognizione critica lungo i percorsi complessi della propria opera ha spinto, in un<br />

movimento consustanziale a tutta la sua produzione, l'anziano filosofo francese a riprendere<br />

i fili della riflessione proprio là dove essa aveva patito la sua più marcata opacità; ripresa<br />

paradossalmente messa sotto il segno della persona che più <strong>di</strong> ogni altra ha illuminato la<br />

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Paul Ricoeur, Riflession fatta. Autobiografia intellettuale<br />

vita e la ricerca indomita <strong>di</strong> quest'uomo inquieto e profondo - appunto, dans la mémoire de<br />

Simone Ricoeur.<br />

In<strong>di</strong>ce<br />

Dopo la riflessione. Autobiografia e memoria in Paul Ricoeur (<strong>di</strong> Daniella Iannotta).<br />

Avvertenza.<br />

I. Autobiografia intellettuale.<br />

II. Dalla metafisica alla morale.<br />

L'autore<br />

Paul Ricoeur è nato nel 1913 a Valence. Ha insegnato filosofia in Francia a Strasburgo, alla<br />

Sorbona a Parigi, e alla nuova <strong>Università</strong> <strong>di</strong> Nanterre. Negli Stati Uniti ha insegnato presso<br />

la Divinity School dell'<strong>Università</strong> <strong>di</strong> Chicago. Ha tenuto seminari e corsi presso le <strong>maggio</strong>ri<br />

università europee e americane. Tra i suoi scritti più recenti <strong>di</strong>sponibili in lingua italiana: Sé<br />

come un altro (Jaca Book, 1993); L'attestazione. Tra fenomenologia e ontologia (E<strong>di</strong>zioni<br />

Biblioteca dell'Immagine, 1993); Il male. Una sfida alla filosofia e alla teologia (Morcelliana,<br />

1993); Amore e giustizia (Morcelliana, 2000<br />

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<strong>Università</strong> <strong>degli</strong> <strong>Stu<strong>di</strong></strong> <strong>di</strong> <strong>Bari</strong> - Laboratorio <strong>di</strong> Epistemologia Informatica e Dipartimento <strong>di</strong> Scienze<br />

Filosofiche<br />

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Amaducci, Lanzoni - Filosofia online<br />

<strong>Università</strong> <strong>degli</strong> <strong>Stu<strong>di</strong></strong> <strong>di</strong> <strong>Bari</strong> - Laboratorio <strong>di</strong> Epistemologia Informatica e Dipartimento <strong>di</strong> Scienze Filosofiche<br />

Amaducci, Gaia, Lanzoni, Fausto, Filosofia Online<br />

Milano, Alpha Test, 2000, pp. 190, Lit. 16.000, ISBN 88-483-0159-2.<br />

Recensione <strong>di</strong> Luciano Flori<strong>di</strong> - 12/3/<strong>2001</strong><br />

Gli autori - Links<br />

Se leggete questa recensione online, è probabile che siate un po’ scettici sul valore <strong>di</strong> una<br />

guida cartacea alle risorse filosofiche in rete. Lo ero anch’io prima <strong>di</strong> leggerla. Dopotutto,<br />

questo è proprio uno <strong>di</strong> quei casi in cui un libro in carta e inchiostro sembra del tutto inutile.<br />

Ma questa breve guida è ben fatta, e credo che possa essere raccomandata a tutti i<br />

principianti, nonostante il prezzo un po’ caro (ma c’è un 10% <strong>di</strong> sconto per chi lo acquista<br />

online).<br />

La struttura è semplice, la grafica gradevole, i contenuti ben documentati. Oltre alla breve<br />

prefazione e all’introduzione, cinque capitoli dai titoli espliciti guidano il lettore alla scoperta<br />

dei siti base essenziali, delle enciclope<strong>di</strong>e e dei glossary, delle <strong>di</strong>scussioni in rete, delle<br />

riviste online, e infine delle newsgroup. Un sesto capitolo riassume brevemente la storia <strong>di</strong><br />

Internet fornendo le necessarie istruzioni per l’uso <strong>degli</strong> strumenti online. La guida si chiude<br />

con un glossario informativo e affidabile, utile per chi sia ancora confuso dalla terminologia<br />

tecnica connessa al mondo delle reti.<br />

La scelta delle risorse documentate è buona. Nel primo capitolo c’è tutto quello che<br />

dovrebbe esserci per poter sviluppare le proprie ricerche, e qualche cosa in più, come ci si<br />

può aspettare da un volume che intende fornire una guida base a quanto il Web fornisce per<br />

lo stu<strong>di</strong>o della filosofia. Una conoscenza perlomeno passiva dell’inglese è data giustamente<br />

per scontata, e la <strong>maggio</strong>r parte dei siti elencati non parla italiano.<br />

Il testo ha uno scopo programmaticamente modesto: si limita a catalogare e descrivere ma<br />

raramente offre un’analisi critica delle risorse in<strong>di</strong>cate. È un peccato, perché ormai il tempo<br />

dei censimenti sembra essere passato, e come per ristoranti e alberghi, gli utenti sono<br />

sempre più interessati a leggere guide che valutano e raccomandano siti e servizi in base a<br />

criteri espliciti, che possono andare dalla chiarezza dell’esposizione alla semplicità della<br />

navigazione, dall’affidabilità dei contenuti al valore della grafica. Assegnando qualche stella<br />

o gambero rosso, la guida sarebbe forse riproponibile ogni anno. Nel suo stato attuale, sarà<br />

inevitabilmente superata molto presto. Se poi fosse ancora possibile cambiare il progetto<br />

e<strong>di</strong>toriale, suggerirei quattro cose, in or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> decrescente importanza<br />

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Amaducci, Lanzoni - Filosofia online<br />

La struttura concettuale del terzo capitolo, de<strong>di</strong>cato agli autori, alle scuole, ai problemi e alle<br />

teorie filosofiche è datata. Risente ancora <strong>di</strong> un’impostazione storicistica che ha danneggiato<br />

la filosofia italiana quanto possibile e che è ormai tempo <strong>di</strong> lasciarsi alle spalle. Come<br />

accade ancora in molti manuali per la scuola secondaria superiore, gli autori adottano<br />

un’impostazione rigidamente cronologica, non tematica, partendo dai Presocratici con gran<br />

lena, ma esaurendo lo slancio via via che ci si avvicina al nostro tempo e ai <strong>di</strong>battiti che ci<br />

toccano più da vicino. Nessuna notizia su Frege, su Quine, su Rorty, su Rawls, su<br />

Habermas, sulla Filosofia della Mente, sulla Bioetica. In realtà, la guida si ferma a qualche<br />

nome illustre della generazione passata. Il Web sembra una sorta <strong>di</strong> bacheca museale. Si<br />

ha l’impressione che la rete si occupi soprattutto <strong>di</strong> storia della filosofia, che vi si parli molto<br />

<strong>di</strong> idealismo e <strong>di</strong> Hegel, che Rosmini e Gioberti siano popolari quanto Kant o Cartesio, che il<br />

Neoidealismo e lo Spiritualismo siano da porre sullo stesso piano della Filosofia del<br />

Linguaggio <strong>di</strong> Russell e Wittgenstein. Non è affatto così, come il lettore potrà verificare<br />

facilmente usando uno dei siti in<strong>di</strong>cati nel primo capitolo o uno dei motori <strong>di</strong> ricerca elencati<br />

nel sesto. La troppo breve sezione de<strong>di</strong>cata all’epistemologia elenca solo Popper, Lakatos,<br />

Kuhn e Feyerabend, rafforzando l’impressione, del tutto infondata ma ra<strong>di</strong>cata in Italia, che<br />

la filosofia della scienza contemporanea si muova sul binario falsificazionismo/rivoluzione.<br />

Manca del tutto una rassegna, anche solo descrittiva, <strong>di</strong> temi e problemi filosofici del <strong>di</strong>battito<br />

contemporaneo.<br />

Secondo suggerimento. La guida in<strong>di</strong>ca che tutti gli in<strong>di</strong>rizzi elencati si trovano già online<br />

presso www.alphatest.it sotto la voce download. Ottima idea, ma la voce download non<br />

esiste, si deve invece cliccare su "aggiornamenti" e purtroppo, al momento <strong>di</strong> recensire il<br />

volume (12.03.01) la pagina de<strong>di</strong>cata al volume ancora non era stata creata. Il problema<br />

dovrebbe essere risolto al più presto.<br />

Terzo suggerimento: sarebbe stato molto utile inserire un <strong>in<strong>di</strong>ce</strong> analitico finale. La guida è<br />

breve, ma ci si perde ugualmente e se volete sapere qual è il sito de<strong>di</strong>cato a Kierkegaard<br />

dovete sfogliarla un po’ tutta.<br />

Ultimo suggerimento: visto il tema della guida, forse sarebbe stata interessante una breve<br />

nota bibliografica sui rapporti tra filosofia e informatica, un’area in costante evoluzione e <strong>di</strong><br />

notevole interesse per la ricerca.<br />

Non voglio chiudere questa recensione dando l’impressione che il libro non mi sia piaciuto.<br />

Al contrario, si tratta <strong>di</strong> una buona guida, utile per chi deve ancora iniziare ad usare il Web, e<br />

interessante anche per i lettori più esperti. Almeno nel mio caso, mi ha fatto scoprire <strong>di</strong>versi<br />

siti che non conoscevo e certamente tornerò ad usarla.<br />

Gli autori<br />

Gaia Amaducci lavora in ambito e<strong>di</strong>toriale come traduttrice <strong>di</strong> autori e filosofi francesi. Ha<br />

recentemente dato vita, sul portale superEva, alla sezione "Filosofia e tempi moderni".<br />

Fausto Lanzoni, responsabile della redazione <strong>di</strong> Alpha Test, coltiva i suoi interessi filosofici<br />

facendo ampio ricorso alle opportunità <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o e ricerca offerte da Internet.<br />

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Amaducci, Lanzoni - Filosofia online<br />

Links<br />

● Home page della casa e<strong>di</strong>trice<br />

● In<strong>di</strong>rizzo esatto della pagina de<strong>di</strong>cata alla guida nel sito della casa e<strong>di</strong>trice<br />

● Pagina contenente i links elencati nella guida<br />

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<strong>Università</strong> <strong>degli</strong> <strong>Stu<strong>di</strong></strong> <strong>di</strong> <strong>Bari</strong> - Laboratorio <strong>di</strong> Epistemologia Informatica e Dipartimento <strong>di</strong> Scienze<br />

Filosofiche<br />

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Pettit, Il repubblicanesimo<br />

<strong>Università</strong> <strong>degli</strong> <strong>Stu<strong>di</strong></strong> <strong>di</strong> <strong>Bari</strong> - Laboratorio <strong>di</strong> Epistemologia Informatica e Dipartimento <strong>di</strong> Scienze Filosofiche<br />

Pettit, Philip, Il Repubblicanesimo. Una teoria della libertà e del<br />

governo.<br />

Prefazione <strong>di</strong> Marco Geuna, traduzione <strong>di</strong> Paolo Costa, Milano, Feltrinelli,<br />

2000, pp. 385, Lit. 60.000, ISBN 88-07-10288-9.<br />

Recensione <strong>di</strong> Vincenzo Maimone - 28/02/<strong>2001</strong><br />

Premessa.<br />

In<strong>di</strong>ce - L'autore - Links<br />

Il <strong>di</strong>battito filosofico sul tema della libertà, per esigenza <strong>di</strong> chiarezza e rigore, ha portato ad<br />

una <strong>di</strong>stinzione concettuale tra due <strong>di</strong>verse versioni della libertà. Una <strong>di</strong>stinzione analizzata<br />

con acume da Isaiah Berlin nell'ormai celebre saggio Due concetti <strong>di</strong> libertà. Alla libertà<br />

positiva, la libertà <strong>di</strong>, intesa come l'insieme <strong>di</strong> possibilità e <strong>di</strong> pratiche attuabili sulla base<br />

della propria capacità <strong>di</strong> autodeterminazione, alla luce della cosiddetta padronanza dell'io,<br />

Berlin opponeva, la libertà negativa, la libertà da, intesa come l'insieme <strong>di</strong> spazi e <strong>di</strong> ambiti <strong>di</strong><br />

azione liberi da qualsivoglia interferenza esterna. Questa contrapposizione ha permeato <strong>di</strong><br />

sé le riflessioni dei teorici liberali e ha influito in modo significativo sulla costruzione dei<br />

modelli politici. Più precisamente, l'idea positiva della libertà, la cosiddetta libertà <strong>degli</strong><br />

antichi, ha rappresentato lo sfondo per tutte quelle teorie caratterizzate da una concezione<br />

forte <strong>di</strong> appartenenza nella quale la volontà in<strong>di</strong>viduale e la volontà collettiva confluiscono,<br />

se non ad<strong>di</strong>rittura si fondono, nel medesimo soggetto per effetto della con<strong>di</strong>visione <strong>di</strong> valori<br />

morali spessi - <strong>di</strong> quei valori, cioè, inscritti in una tra<strong>di</strong>zione consolidata che è parte<br />

integrante della storia, dei costumi, delle scelte <strong>di</strong> una comunità. Viceversa, l'accezione<br />

moderna, la prospettiva della libertà negativa ha promosso una visione pluralistica,<br />

universalistica e dunque <strong>maggio</strong>rmente inclusiva delle <strong>di</strong>namiche intersoggettive nel<br />

contesto della sfera pubblica. Secondo tale concezione, infatti, la salvaguar<strong>di</strong>a dell'in<strong>di</strong>viduo<br />

e la <strong>di</strong>fesa delle sue peculiari caratteristiche sono un presupposto essenziale della ricerca <strong>di</strong><br />

quelle forme <strong>di</strong> buon governo nelle quali l'interferenza è ridotta al minimo e le libertà<br />

soggettive sono pienamente garantite sulla base del rispetto dovuto a ciascuno in quanto<br />

in<strong>di</strong>viduo. Padronanza e interferenza sembrano essere i due parametri attraverso cui si<br />

rende possibile la valutazione circa la congruenza delle teorie e dei modelli politici.<br />

La questione, qui saliente, è se tale dualismo comprenda al suo interno l'intero spettro <strong>di</strong><br />

tra<strong>di</strong>zioni politiche o se invece esso non si limiti a descrivere solo una parte del variegato e<br />

mutevole orizzonte filosofico-politico. In altri termini si tratta <strong>di</strong> stabilire se vi sia spazio per<br />

soluzioni alternative, se sia consentito superare il mero dualismo tra libertà <strong>di</strong> o libertà da, e<br />

http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/<strong>2001</strong>-05/pettit.htm (1 of 12) [09/11/2005 21.25.45]


Pettit, Il repubblicanesimo<br />

se, in ultimo, sia possibile spingere lo sguardo al <strong>di</strong> là dell'orizzonte liberale.<br />

Repubblicanesimo.<br />

Ne Il repubblicanesimo. Una teoria della libertà e del governo, Philip Pettit sviluppa le sue<br />

riflessioni <strong>di</strong>stanziandosi dalle conclusioni berliniane e criticando la retorica della libertà<br />

costruita alla luce <strong>di</strong> questo dualismo. Così scrive Pettit: "È mia convinzione che la<br />

<strong>di</strong>stinzione tra libertà negativa e libertà positiva abbia reso un cattivo servizio alla riflessione<br />

politica. Ha alimentato l'illusione filosofica che, dettagli a parte, vi siano solo due mo<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

concepire la libertà: in un caso si ritiene che la libertà consista nell'assenza <strong>di</strong> ostacoli<br />

esterni alle scelte in<strong>di</strong>viduali; nell'altro che esiga la presenza, e spesso l'esercizio <strong>di</strong> quelle<br />

risorse che favoriscono la padronanza e la realizzazione <strong>di</strong> sé: in particolare la presenza e<br />

l'esercizio <strong>di</strong> quelle risorse <strong>di</strong> partecipazione e voto grazie a cui l'in<strong>di</strong>viduo può unirsi agli altri<br />

nella formazione <strong>di</strong> una volontà popolare con<strong>di</strong>visa" (p. 29).<br />

Sono due le ragioni che Pettit pone a sostegno della sua tesi. In primo luogo, vi è una<br />

necessità <strong>di</strong> natura prettamente teorica. Essa consiste nel bisogno <strong>di</strong> far emergere una terza<br />

via quale descrizione e risoluzione del problema libertà. Questa concezione intende<br />

<strong>di</strong>stanziarsi dalle definizioni classiche sopra abbozzate descrivendo la libertà come assenza<br />

<strong>di</strong> dominio. Tale alternativa avrebbe il pregio, perlomeno secondo Pettit, <strong>di</strong> me<strong>di</strong>are e<br />

risolvere il dualismo armonizzando tra loro le questioni fondamentali in merito alla libertà.<br />

L'idea è quella <strong>di</strong> sanare il conflitto tra la padronanza <strong>di</strong> sé, unitamente alla stabilità<br />

dell'or<strong>di</strong>ne politico, promosse dalla concezione positiva, e l'assenza <strong>di</strong> interferenza <strong>di</strong>fesa<br />

dalla versione negativa. Se infatti il punto nodale in ogni <strong>di</strong>battito sulla libertà consiste nella<br />

<strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> coniugare, sia teoricamente che nella scelta <strong>degli</strong> strumenti istituzionali, la<br />

partecipazione democratica, la promozione <strong>di</strong> una virtù pubblica, con la <strong>di</strong>fesa dei <strong>di</strong>ritti e<br />

<strong>degli</strong> spazi <strong>di</strong> azione in<strong>di</strong>viduali, ecco che allora, l'accoglienza <strong>di</strong> una concezione fondata<br />

sull'assenza <strong>di</strong> qualsivoglia forma <strong>di</strong> dominio sembrerebbe andare nella giusta <strong>di</strong>rezione,<br />

sembrerebbe fornire delle risposte efficaci, coerenti e pubblicamente con<strong>di</strong>vise.<br />

In secondo luogo, l'affermarsi dell'idea <strong>di</strong> libertà come non dominio favorirebbe il recupero, la<br />

ripresa <strong>di</strong> una tra<strong>di</strong>zione filosofico-politica qual è quella repubblicana non soltanto in chiave<br />

storiografica, ma anche entro il contesto della teoria politica in senso stretto. Una tra<strong>di</strong>zione<br />

che abbraccia un arco temporale assai ampio, dalla Roma classica al Rinascimento, dalla<br />

guerra civile inglese alle rivoluzioni americana e francese, e che raccoglie al suo interno una<br />

grande varietà <strong>di</strong> concezioni e che, soprattutto, costituisce una delle basi fondamentali della<br />

cultura politica occidentale moderna e contemporanea.<br />

Sotto il profilo metodologico Pettit sviluppa le sue argomentazioni procedendo lungo tre<br />

<strong>di</strong>rettrici principali, e precisamente: 1) la descrizione dei caratteri salienti della libertà<br />

repubblicana; 2) la definizione delle procedure utili alla costruzione <strong>di</strong> un governo<br />

repubblicano; e in ultimo, 3) la valutazione della tesi repubblicana intesa come superamento<br />

e risoluzione del conflitto tra liberalismo e comunitarismo.<br />

La libertà come non dominio.<br />

Il primo aspetto è quello che pertiene alla definizione dei caratteri salienti del concetto <strong>di</strong><br />

http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/<strong>2001</strong>-05/pettit.htm (2 of 12) [09/11/2005 21.25.45]


Pettit, Il repubblicanesimo<br />

libertà repubblicana intesa come libertà dal dominio. Lo scopo precipuo <strong>di</strong> questa analisi è<br />

quello <strong>di</strong> connotare e rendere manifesti, in maniera chiara, gli elementi che <strong>di</strong>stinguono e<br />

<strong>di</strong>fferenziano l'approccio repubblicano rispetto a quello centrato sull'eliminazione <strong>di</strong> ogni<br />

forma <strong>di</strong> interferenza, tipico della tra<strong>di</strong>zione liberale. È un processo analitico che occupa<br />

l'intera prima parte del volume e che rappresenta un presupposto irrinunciabile nel contesto<br />

della tesi proposta da Pettit. La definizione delle coor<strong>di</strong>nate essenziali della libertà come non<br />

dominio consente una più precisa valutazione dell'efficacia istituzionale delle politiche<br />

repubblicane. Tali politiche devono essere intese quali opzioni pubblicamente con<strong>di</strong>visibili da<br />

ciascuno in con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> equilibrio riflessivo: opzioni che costituiscono una filosofia con cui<br />

sia possibile vivere e agire. Il perseguimento <strong>di</strong> tale scopo richiede, in via preliminare, la<br />

comprensione <strong>di</strong> quale sia la nozione <strong>di</strong> non dominio ed in che modo essa incida sulla<br />

descrizione della libertà repubblicana. "L'ideale del non dominio, per come è concepito nella<br />

tra<strong>di</strong>zione repubblicana, significa l'assenza <strong>di</strong> dominio in presenza <strong>di</strong> altri in<strong>di</strong>vidui, non<br />

l'assenza <strong>di</strong> dominio conseguita isolandosi. Quella del non dominio è la con<strong>di</strong>zione associata<br />

al ruolo civile del liber; come <strong>di</strong>cevano i romani: libertas è civitas; per usare l'i<strong>di</strong>oma corrente<br />

nel xviii secolo: la libertà è civile in quanto è <strong>di</strong>stinta dalla libertà naturale. Si tratta <strong>di</strong> un<br />

ideale sociale la cui realizzazione presuppone la presenza <strong>di</strong> un certo numero <strong>di</strong> agenti che<br />

interagiscono l'un l'altro" (p. 85).<br />

Chiarendo meglio la sua posizione, Pettit sottolinea incisivamente la <strong>di</strong>stanza che separa la<br />

prospettiva repubblicana da quella liberale. Secondo l'autore, infatti, l'idea liberale è<br />

strettamente connessa ad una concezione della libertà fondata sulla non interferenza,<br />

ovvero, sull'annullamento <strong>di</strong> tutti quei vincoli e quegli ostacoli che si frappongono al libero<br />

esercizio dell'azione in<strong>di</strong>viduale. Tale legame riporta l'in<strong>di</strong>viduo ad una <strong>di</strong>mensione naturale,<br />

sganciando il soggetto da ogni possibile legame sociale. Viceversa, la libertà repubblicana,<br />

la libertà come non dominio, si impone all'attenzione del soggetto come una virtù civica<br />

essenziale per la composizione dei conflitti intersoggettivi. La libertà repubblicana, dunque, è<br />

connessa alla <strong>di</strong>mensione politica delle relazioni in<strong>di</strong>viduali. Essa nasce dal mutuo<br />

riconoscimento dei legami istituzionali, dall'adesione a quei criteri che regolano le scelte e<br />

che vincolano le azioni <strong>di</strong> ciascuno al rispetto dei valori che sono alla base della democrazia<br />

e della civile convivenza.<br />

"Mentre la libertà intesa come non dominio rappresenta la libertà della città, la libertà come<br />

non interferenza rappresenta tendenzialmente la libertà della brughiera: il comune <strong>di</strong>ritto su<br />

una terra incolta, per usare una bella espressione <strong>di</strong> Paley" (p. 85).<br />

Dominio e interferenza.<br />

Ora, per meglio definire i termini della questione è necessario aggiungere alcune<br />

precisazioni in merito alla natura dei legami collettivi e al ruolo da essi svolto nel comporre i<br />

conflitti entro il contesto repubblicano. Si tratta, cioè <strong>di</strong> comprendere quale sia il rapporto che<br />

intercorre tra non dominio e interferenza e se tale relazione costituisca una garanzia<br />

accettabile per la libertà <strong>degli</strong> in<strong>di</strong>vidui e per la stabilità delle istituzioni. Detto altrimenti, sulla<br />

base <strong>di</strong> quali argomentazioni è possibile giustificare la compresenza, la pacifica convivenza,<br />

<strong>di</strong> vincoli e <strong>di</strong> libertà?<br />

Il ra<strong>di</strong>calismo liberale, infatti, ha più volte sottolineato come, <strong>di</strong> per sé, ogni forma <strong>di</strong> vincolo<br />

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Pettit, Il repubblicanesimo<br />

costituisca, sempre e comunque, una restrizione alla libertà, una limitazione <strong>degli</strong> spazi <strong>di</strong><br />

scelta. Sotto questo profilo, l'unica soluzione avallabile, in grado cioè <strong>di</strong> salvaguardare<br />

adeguatamente la libertà, è la riduzione <strong>degli</strong> ostacoli che si frappongono al libero esercizio<br />

della volontà in<strong>di</strong>viduale. Si tratta cioè <strong>di</strong> limitare l'interferenza ad un corredo minimo,<br />

essenziale <strong>di</strong> vincoli e regole. Al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> questa soluzione minimale, ogni altra forma <strong>di</strong><br />

me<strong>di</strong>azione comporterebbe una per<strong>di</strong>ta non tollerabile <strong>di</strong> libertà per ciascun in<strong>di</strong>viduo. Pettit<br />

mette in dubbio la vali<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> questa concezione e sottolinea come, in realtà, saremmo <strong>di</strong><br />

fronte ad un problema mal posto, ad una errata prospettiva. In altre parole, se osservassimo<br />

le relazioni intersoggettive e le valutassimo sulla base della presenza o meno <strong>di</strong><br />

comportamenti dominanti, ecco che allora ci renderemmo conto, con una certa evidenza, <strong>di</strong><br />

come la sussistenza <strong>di</strong> forme <strong>di</strong> interferenza non comporti per ciò stesso una privazione<br />

sostanziale della libertà. Non è dunque, la restrizione delle scelte, l'interferenza appunto, che<br />

rende meno liberi i soggetti, quanto piuttosto è il dominio che limita le azioni in<strong>di</strong>viduali e che<br />

riduce in modo coercitivo e arbitrario gli spazi deliberativi in<strong>di</strong>vidualmente <strong>di</strong>sponibili,<br />

in<strong>di</strong>pendentemente dall'esercizio o meno <strong>di</strong> una qualche forma <strong>di</strong>retta <strong>di</strong> interferenza. A tal<br />

proposito Pettit descrive due situazioni assai tipiche, allo scopo <strong>di</strong> rendere evidente la<br />

priorità del dominio rispetto all'interferenza, quale parametro <strong>di</strong> valutazione del contenuto <strong>di</strong><br />

libertà <strong>di</strong> un or<strong>di</strong>namento politico, o più semplicemente quale <strong>in<strong>di</strong>ce</strong> <strong>di</strong> democraticità <strong>di</strong> una<br />

comunità <strong>di</strong> agenti.<br />

La prima situazione è quella in cui l'esercizio del dominio non è correlato ad alcuna forma<br />

<strong>di</strong>retta, imme<strong>di</strong>ata, <strong>di</strong> interferenza; la seconda, viceversa, descrive la possibilità <strong>di</strong> forme <strong>di</strong><br />

interferenza non dominanti e dunque perfettamente compatibili con l'esercizio, la fruizione<br />

della libertà in<strong>di</strong>viduale e dei <strong>di</strong>ritti ad essa connessi.<br />

Nel primo caso la restrizione della libertà è collegata all'arbitrarietà e alla <strong>di</strong>screzionalità<br />

i<strong>di</strong>osincratica con la quale viene esercitato un potere costituito e non soltanto sulla mera<br />

interferenza sulle scelte e sulle azioni <strong>di</strong> ciascun soggetto. In altre parole, Pettit sposta il<br />

baricentro del ra<strong>di</strong>calismo liberale soffermandosi sulla sostanziale privazione <strong>di</strong> libertà che<br />

deriva dalla presenza, entro i confini <strong>di</strong> un or<strong>di</strong>namento giuri<strong>di</strong>co, o comunque, entro il<br />

contesto <strong>di</strong> un insieme <strong>di</strong> regole strutturato e pubblicamente riconosciuto, <strong>di</strong> forme <strong>di</strong> potere<br />

fondate sull'arbitrio e sulla <strong>di</strong>scriminazione. Se da un lato nessuna forma <strong>di</strong> dominio può<br />

essere tollerata o giustificata, viceversa, non tutte le interferenze determinano con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong><br />

dominio e quin<strong>di</strong> restrizioni effettive della libertà.<br />

Ciò che la libertà come non dominio intende impe<strong>di</strong>re è la formazione <strong>di</strong> tirannie<br />

<strong>maggio</strong>ritarie, o ancor più chiaramente, l'uso <strong>di</strong>screzionale delle istituzioni come <strong>di</strong> uno<br />

strumento utile al perseguimento <strong>di</strong> fini particolaristici. La libertà repubblicana, si è detto, è<br />

essenzialmente una virtù pubblica, un ideale civico. Essa costituisce un fine pubblicamente<br />

con<strong>di</strong>viso da agenti non dominanti che convivono all'interno del medesimo spazio politico. In<br />

altre parole, la libertà repubblicana, è connessa alla capacità <strong>di</strong>alogica dei singoli membri,<br />

alla possibilità <strong>di</strong> <strong>di</strong>scutere e sottoporre a critica i meccanismi regolativi del potere e le forme<br />

istituzionali.<br />

Entro tale prospettiva eminentemente <strong>di</strong>scorsiva, si ricompone il conflitto tra<br />

autodeterminazione e non interferenza. In sintesi, si è realmente padroni <strong>di</strong> se stessi nella<br />

misura in cui si è liberi dal dominio <strong>di</strong> altri agenti; e tale libertà è sostanzialmente fruibile,<br />

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Pettit, Il repubblicanesimo<br />

nella misura in cui si è in grado <strong>di</strong> esprimere e argomentare il proprio <strong>di</strong>ssenso, si è in grado<br />

<strong>di</strong> contestare, sulla base <strong>di</strong> buone ragioni, le istituzioni e le modalità attraverso cui il potere è<br />

in esse esercitato. La libertà repubblicana <strong>di</strong>viene così la base costituzionale <strong>di</strong> ogni<br />

possibile accordo sociale. Un accordo nel quale la legge non svolge unicamente un ruolo<br />

coercitivo, piuttosto <strong>di</strong>viene parte costitutiva dell'azione in<strong>di</strong>viduale ed elemento saliente<br />

nella valutazione della bontà delle scelte. Ciò contribuisce a rendere più sal<strong>di</strong> i vincoli sociali.<br />

La legge è il legame che accomuna i singoli in<strong>di</strong>vidui in quanto membri consapevoli <strong>di</strong> una<br />

comunità chiamata a con<strong>di</strong>videre non soltanto il medesimo territorio, ma anche le stesse<br />

virtù civiche.<br />

Un legame estremamente delicato che è necessario controllare e regolare sulla base <strong>di</strong><br />

procedure costituzionali ragionevoli e con l'ausilio <strong>di</strong> istituzioni non dominanti. Il rapporto tra<br />

virtù civica e potere politico si fonda sulla capacità <strong>di</strong> prevenire e sanzionare ogni possibile<br />

forma <strong>di</strong> arbitrio e <strong>di</strong> <strong>di</strong>screzionalità nell'amministrazione del potere pubblico. Questo aspetto<br />

regolativo, la necessità <strong>di</strong> introdurre strumenti <strong>di</strong> controllo, non depotenzia il valore morale<br />

della libertà intesa come virtù con<strong>di</strong>visa dai citta<strong>di</strong>ni, bensì ne amplifica il ruolo pubblico<br />

consentendo alla virtù <strong>di</strong> <strong>di</strong>venire un valore realmente vissuto nel contesto della <strong>di</strong>mensione<br />

politica.<br />

Tale aspetto costituisce una costante tematica fondamentale nel lessico filosofico-politico<br />

repubblicano. È a partire da questo ruolo particolare della virtù che, ad esempio, nello Spirito<br />

delle leggi, Montesquieu <strong>di</strong>mostrava la necessità <strong>di</strong> una separazione dei poteri.<br />

La politica repubblicana.<br />

Fin qui ci si è mossi sul terreno ideale, delineando gli aspetti generali della tesi repubblicana<br />

e focalizzando l'attenzione sul significato e sulla natura della libertà come non dominio. Il<br />

passo successivo consiste nel verificare fino a che punto questa impostazione risponda a<br />

criteri <strong>di</strong> efficacia e <strong>di</strong> efficienza nella costruzione <strong>di</strong> un or<strong>di</strong>ne politico repubblicano.<br />

Sono due le questioni da esaminare. La prima inerisce alla capacità della tesi repubblicana<br />

<strong>di</strong> controllare effettivamente il corretto svolgimento delle procedure politiche. In altre parole,<br />

si tratta <strong>di</strong> comprendere in che modo il governo repubblicano costruisce il consenso e motiva<br />

il rispetto delle regole pubbliche. La seconda questione, più generale, consente <strong>di</strong> stabilire,<br />

per così <strong>di</strong>re, il peso specifico dello Stato repubblicano. Essa inerisce alle modalità <strong>di</strong><br />

intervento in materia <strong>di</strong> giustizia sociale e <strong>di</strong> equa ripartizione dei <strong>di</strong>ritti e <strong>degli</strong> oneri pubblici.<br />

Nel primo caso siamo chiamati a <strong>di</strong>scutere in merito alla natura dei meccanismi <strong>di</strong> sanzione<br />

e dei filtri istituzionali che regolano l'esercizio del potere all'interno dello Stato repubblicano.<br />

Nel secondo caso, si tratta <strong>di</strong> valutare il rapporto tra economia e politica.<br />

Si è detto che nel contesto della filosofia politica repubblicana il ruolo delle leggi occupa una<br />

posizione cruciale sia per ciò che concerne la stabilità dell'or<strong>di</strong>namento politico, sia per quel<br />

che riguarda gli spazi <strong>di</strong> libertà garantiti e <strong>di</strong>sponibili per ciascun in<strong>di</strong>viduo. Se si riflette<br />

attentamente ci si accorge come sia la stabilità delle istituzioni, sia la libertà nel senso<br />

repubblicano, <strong>di</strong>pendano dalla previa soluzione del <strong>di</strong>lemma inerente alla natura delle<br />

motivazioni in<strong>di</strong>viduali. In altre parole, è possibile definire scopi e obiettivi delle istituzioni,<br />

come pure l'estensione e i confini dei vincoli giuri<strong>di</strong>ci all'azione soggettiva, solo dopo aver<br />

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Pettit, Il repubblicanesimo<br />

stabilito a quale in<strong>di</strong>viduo inten<strong>di</strong>amo rivolgerci. Siamo al cospetto <strong>di</strong> una delle questioni più<br />

antiche nel contesto della filosofia politica. Cosa spinge un soggetto ad accettare determinati<br />

vincoli? Cosa ne garantisce l'obbe<strong>di</strong>enza? Qual è l'atteggiamento nei confronti delle<br />

istituzioni? Sono queste le domande che si pongono all'attenzione del legislatore<br />

ogniqualvolta è chiamato a stabilire delle regole d'or<strong>di</strong>ne, ogniqualvolta si è in procinto <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>scutere collegialmente un possibile accordo sociale. In altri termini, il rapporto tra in<strong>di</strong>vidui<br />

e potere è influenzato dalle motivazioni psicologiche che fanno da cornice alle scelte<br />

soggettive. La natura delle istituzioni, la rigi<strong>di</strong>tà e la finalità dei vincoli <strong>di</strong>pende dal tipo <strong>di</strong><br />

atteggiamento che immaginiamo caratterizzi la <strong>maggio</strong>ranza <strong>degli</strong> in<strong>di</strong>vidui ogniqualvolta<br />

viene data loro l'opportunità <strong>di</strong> gestire un potere. A riguardo esistono due teorie. La prima<br />

teoria attribuisce agli in<strong>di</strong>vidui una naturale inclinazione alla corruzione, in<strong>di</strong>pendentemente<br />

dalla soli<strong>di</strong>tà e dalla trasparenza delle procedure <strong>di</strong> gestione e controllo delle decisioni.<br />

Secondo quest'interpretazione cinica della natura umana, gli in<strong>di</strong>vidui sono tendenzialmente<br />

e inevitabilmente portati a perseguire i propri interessi ogniqualvolta sono chiamati ad<br />

occupare posizioni <strong>di</strong> potere. La seconda teoria, pone l'accento non sugli in<strong>di</strong>vidui bensì<br />

sugli spazi <strong>di</strong> corruttibilità che, in assenza <strong>di</strong> ostacoli e controlli adeguati, si rendono, <strong>di</strong> volta<br />

in volta <strong>di</strong>sponibili, nell'esercizio del potere.<br />

È evidente come nel primo caso, la cinica consapevolezza circa la natura corrotta <strong>degli</strong><br />

in<strong>di</strong>vidui contribuisca ad alimentare il senso <strong>di</strong> sfiducia, <strong>di</strong> insicurezza e <strong>di</strong> instabilità <strong>degli</strong><br />

or<strong>di</strong>namenti istituzionali. Entro tale contesto, nessuna procedura, nessun meccanismo<br />

istituzionale deputato a regolare i conflitti intersoggettivi ed a risolvere le controversie<br />

pubbliche, sarà in grado <strong>di</strong> raccogliere un sufficiente e consapevole consenso. Entro tale<br />

prospettiva, infatti, l'idea <strong>di</strong> virtù pubblica sarebbe <strong>di</strong>fficilmente attuabile, costituirebbe una<br />

sorta <strong>di</strong> prospettiva utopistica. Nel secondo caso, siamo <strong>di</strong> fronte ad una concezione<br />

realistica della natura umana. Una concezione dettata dalla consapevolezza della<br />

corruttibilità (e l'elemento possibilista rappresenta il confine, il <strong>di</strong>scrimine tra le due versioni)<br />

del soggetto. È questa una visione che consente <strong>di</strong> sviluppare delle <strong>di</strong>namiche politiche<br />

capaci <strong>di</strong> introdurre sia dei meccanismi <strong>di</strong> sanzione, in grado <strong>di</strong> intervenire contro ogni forma<br />

<strong>di</strong> illecito o <strong>di</strong> abuso, che delle procedure <strong>di</strong> filtro in grado <strong>di</strong> regolare la gestione del potere e<br />

<strong>di</strong> in<strong>di</strong>rizzare gli scambi all'interno dell'arena pubblica, nel rispetto della libertà come non<br />

dominio. Sotto questo profilo, la tesi della corruttibilità realizza un duplice obiettivo: da un<br />

lato, essa si fa promotrice dell'efficacia procedurale, alla luce della consapevolezza dei<br />

delicati equilibri che sottendono alla gestione del potere. In altre parole, essa è in grado <strong>di</strong><br />

introdurre strumenti utili a frenare la corruzione e il vizio nella gestione della cosa pubblica.<br />

Dall'altro lato, tale concezione, consente <strong>di</strong> promuovere la virtù pubblica quale ideale<br />

politicamente perseguibile e quale base costituzionale della società. In ultima analisi. Ciò<br />

che la tesi realista della corruttibilità in ultima analisi richiede è che le <strong>di</strong>namiche che<br />

regolano la prassi politica e che sono alla base della costruzione delle leggi e dei vincoli<br />

pubblici (sanzioni e filtri) vengano tarate in funzione delle aspettative e delle motivazioni che<br />

caratterizzano gli in<strong>di</strong>vidui rispettosi delle regole.<br />

Vi è poi un secondo aspetto che merita <strong>di</strong> essere affrontato nell'ambito della valutazione<br />

dell'efficacia delle politiche repubblicane: esso riguarda il ruolo che, nel contesto della<br />

democrazia repubblicana, deve essere riservato alla possibilità del <strong>di</strong>ssenso. In altri termini,<br />

quali sono le modalità che intervengono ogniqualvolta ci si confronta con decisioni<br />

controverse, si è al cospetto <strong>di</strong> quelli che, in linguaggio giuri<strong>di</strong>co, si è soliti definire come casi<br />

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Pettit, Il repubblicanesimo<br />

<strong>di</strong>fficili? Secondo la tesi repubblicana, la democraticità <strong>di</strong> un or<strong>di</strong>ne politico è <strong>di</strong>rettamente<br />

collegata alla contestabilità delle sue istituzioni. Lo scopo - anche se a questo punto della<br />

<strong>di</strong>scussione la conclusione appare del tutto ovvia - è quello <strong>di</strong> impe<strong>di</strong>re l'esercizio arbitrario<br />

del potere da parte <strong>di</strong> <strong>maggio</strong>ranze dominanti.<br />

"Per essere non arbitrarie le decisioni pubbliche non devono avere origine o emergere da un<br />

processo consensuale, quanto sod<strong>di</strong>sfare quella con<strong>di</strong>zione che prevede che, nel caso in cui<br />

contrastino con gli interessi e le idee dei citta<strong>di</strong>ni, questi possano contestarle con successo.<br />

Ciò che conta non è l'origine storica delle decisioni in qualche forma <strong>di</strong> consenso, ma la loro<br />

apertura, modale o controfattuale, alla possibilità della contestazione" (p. 222).<br />

Il ricorso alla contestabilità consente <strong>di</strong> liberare le decisioni dallo sterile, e in alcuni casi<br />

antidemocratico, automatismo dei processi deliberativi. Detto altrimenti, la possibilità stessa<br />

della contestazione permette <strong>di</strong> tenere alto il livello <strong>di</strong> attenzione della società civile in merito<br />

alle scelte politiche prese da coloro i quali detengono il potere. Affinché ciò sia reso possibile<br />

è necessario che all'interno delle istituzioni repubblicane siano garantite tre precon<strong>di</strong>zioni<br />

essenziali all'esercizio del <strong>di</strong>ssenso e della contestabilità. La prima concerne la natura<br />

deliberativa delle istituzioni repubblicane: essa definisce le caratteristiche e la forma del<br />

processo decisionale ed impone che tali procedure possano essere contestate. La seconda<br />

pertiene all'inclusività delle istituzioni o, più precisamente, alla necessità che, nel contesto<br />

repubblicano siano garantiti dei canali adeguati per la contestazione. In ultimo, la terza<br />

precon<strong>di</strong>zione, inerisce alla ricettività della comunità politica. Detto altrimenti, ciò che<br />

un'istituzione repubblicana ha l'obbligo <strong>di</strong> garantire è la fruibilità <strong>di</strong> spazi all'interno dei quali<br />

le contestazioni <strong>di</strong> ogni singolo membro possano essere ascoltate con la dovuta attenzione<br />

e con il dovuto rispetto.<br />

Ora, per determinare l'efficacia, in termini <strong>di</strong> democrazia, della contestabilità, è importante<br />

comprendere quale sia la natura del processo decisionale. La scelta, in questo caso, è tra<br />

due opzioni. La prima corrisponde al modello contrattualistico della negoziazione; la<br />

seconda si affida al modello <strong>di</strong>scorsivo, argomentativo, del <strong>di</strong>battito. La tesi repubblicana<br />

sostiene la preferibilità <strong>di</strong> questa seconda procedura. La negoziazione, infatti, rischia <strong>di</strong><br />

escludere dalla <strong>di</strong>scussione tutti coloro i quali, pur avendo buone ragioni per contestare una<br />

decisione, tuttavia non posseggono i mezzi necessari ad esercitare una pressione sufficiente<br />

a mo<strong>di</strong>ficare i processi deliberativi. In sintesi, la contrattazione rappresenta un metodo<br />

deliberativo aperto solo a coloro i quali sono in grado <strong>di</strong> far valere la propria forza, <strong>di</strong><br />

sfruttare il vantaggio derivante dalla propria capacità <strong>di</strong> minaccia. È evidente che tale<br />

opzione contrad<strong>di</strong>rebbe l'ideale della libertà intesa come non dominio. Viceversa, l'adozione<br />

della formula <strong>di</strong>scorsiva, il ricorso al <strong>di</strong>battito, consente <strong>di</strong> attivare tutti quei processi<br />

caratterizzati da azioni e interventi orientati all'intesa, per <strong>di</strong>rla con le parole <strong>di</strong> Jürgen<br />

Habermas. In altri termini, ciò che il <strong>di</strong>battito permette è il confronto tra le singole ragioni, un<br />

confronto libero e aperto a tutti.<br />

È chiaro che la definizione della procedura decisionale non è <strong>di</strong> per sé sufficiente a garantire<br />

la democraticità delle istituzioni repubblicane. Le regole del gioco democratico devono<br />

essere supportate dalla possibilità <strong>di</strong> ampliare la sfera dei soggetti chiamati a <strong>di</strong>scutere e ad<br />

esprimere le proprie ragioni, e dalla capacità <strong>di</strong> accogliere e trasformare in <strong>di</strong>ritto operante<br />

tutte quelle riven<strong>di</strong>cazioni considerate legittime. Tali aspetti pertengono a due caratteristiche<br />

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Pettit, Il repubblicanesimo<br />

fondamentali delle istituzioni <strong>di</strong> un or<strong>di</strong>ne politico repubblicano, vale a <strong>di</strong>re: l'inclusività e la<br />

ricettività. In altre parole, l'effettiva titolarità dei <strong>di</strong>ritti <strong>di</strong> appartenenza e citta<strong>di</strong>nanza <strong>di</strong>pende,<br />

se così si può <strong>di</strong>re, dalla visibilità istituzionale riservata alle singole voci <strong>di</strong> una comunità,<br />

ovvero, dal fatto che all'interno <strong>di</strong> una democrazia repubblicana ogni citta<strong>di</strong>no (e più<br />

generalmente, ogni gruppo) possa accedere alle cariche politiche, ovvero possa essere<br />

politicamente rappresentato.<br />

Più articolata è invece la questione inerente alla ricettività delle istituzioni repubblicane. Essa<br />

definisce, come si è detto, la capacità <strong>di</strong> rispondere e trasformare in <strong>di</strong>ritto le riven<strong>di</strong>cazioni<br />

espresse durante la procedura <strong>di</strong>battimentale. In questo caso, infatti, si tratta <strong>di</strong> determinare<br />

la giustezza delle istanze presentate e conseguentemente <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare gli strumenti<br />

legislativi idonei a <strong>di</strong>rimere il conflitto. L'obiettivo è chiaramente quello <strong>di</strong> salvaguardare<br />

l'equilibrio sociale nel rispetto della libertà in<strong>di</strong>viduale intesa come non dominio. Se infatti, è<br />

evidente, che non tutte le riven<strong>di</strong>cazioni rispondano a criteri adeguati <strong>di</strong> legittimità, è però<br />

altrettanto vero che i meccanismi istituzionali non possano dare a<strong>di</strong>to a dubbi in merito alla<br />

trasparenza delle procedure applicate nei casi <strong>di</strong>fficili. In altre parole, le istituzioni<br />

repubblicane dovrebbero contemplare la possibilità <strong>di</strong> adottare delle legislazioni <strong>di</strong>fferenziate<br />

che intervengano qualora la legislazione or<strong>di</strong>naria non sia in grado <strong>di</strong> fornire risposte<br />

sod<strong>di</strong>sfacenti a istanze legittime. Si pensi, ad esempio, a tutte quelle questioni inerenti<br />

l'obiezione <strong>di</strong> coscienza. La <strong>di</strong>sponibilità ad intervenire con provve<strong>di</strong>menti ad hoc<br />

rappresenta un'ulteriore protezione dall'ingerenza e dall'arbitrio <strong>di</strong> <strong>maggio</strong>ranze dominanti. È<br />

questa un'esigenza fondamentale nel contesto <strong>di</strong> una repubblica deliberativa fondata sulla<br />

contestabilità delle istituzioni e sulla centralità del <strong>di</strong>alogo.<br />

Lo stesso <strong>di</strong>scorso vale anche per ciò che riguarda le riven<strong>di</strong>cazioni inerenti alla giusta ed<br />

equa <strong>di</strong>stribuzione delle risorse economiche e all'attribuzione <strong>di</strong> oneri e <strong>di</strong>ritti entro il contesto<br />

pubblico.<br />

Quale tipo <strong>di</strong> Stato risponde alle esigenze della visione repubblicana? Che tipo <strong>di</strong> economia<br />

intende promuovere una simile concezione? E ancora, che posto occupa la giustizia sociale<br />

nel contesto della filosofia politica repubblicana?<br />

La risposta <strong>di</strong> Pettit al riguardo insiste su due argomentazioni ben precise. La prima è quella<br />

che nasce dalla protezione dovuta dallo Stato contro ogni possibile forma <strong>di</strong> dominio. La<br />

seconda è quella che pertiene al ruolo e alla funzione della società civile nella<br />

determinazione delle procedure <strong>di</strong> giustizia e nella promozione <strong>di</strong> una comune e attiva lealtà<br />

civile. Entrambi questi fattori influiscono in maniera decisiva sull'elaborazione delle politiche<br />

economiche, sui meccanismi <strong>di</strong> re<strong>di</strong>stribuzione dei red<strong>di</strong>ti e sui <strong>di</strong>ritti e sui doveri pubblici. In<br />

relazione al primo aspetto, Pettit illustra chiaramente quale sia la funzione dello Stato<br />

delineando sia le modalità che l'estensione <strong>di</strong> tale intervento. Lo stato repubblicano è<br />

chiamato ad occuparsi delle questioni economiche se, e solo se, il suo intervento ha come<br />

finalità l'allontanamento <strong>di</strong> qualsivoglia prospettiva dominante o l'ampliamento delle opzioni<br />

delle scelte non dominate fruibili da ciascun in<strong>di</strong>viduo.<br />

Il secondo argomento, introdotto da Pettit a sostegno del ruolo delle politiche e delle<br />

istituzioni repubblicane, è correlato alla capacità dello Stato <strong>di</strong> stimolare la partecipazione<br />

politica e la formazione <strong>di</strong> una attiva società civile. Abbiamo sottolineato come vi sia una<br />

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Pettit, Il repubblicanesimo<br />

stretta <strong>di</strong>pendenza, una relazione forte tra in<strong>di</strong>vidui e istituzioni, che non può in alcun modo<br />

essere trascurata e che incide profondamente nei processi <strong>di</strong> costruzione dei vincoli e delle<br />

virtù civiche. E tutto questo influisce sul peso specifico dello Stato e sulla sua capacità <strong>di</strong><br />

promuovere la libertà in tutte le sue forme.<br />

È evidente che tale prospettiva solleva alcuni interrogativi in merito alla compatibilità tra<br />

l'or<strong>di</strong>namento repubblicano e le leggi che regolano il libero mercato. Va innanzitutto<br />

sottolineato come le istituzioni repubblicane mal si conciliano con qualsivoglia forma <strong>di</strong><br />

pluralismo dei gruppi <strong>di</strong> interesse. In altre parole, entro la <strong>di</strong>mensione politica tracciata dalla<br />

teoria repubblicana l'atteggiamento della cosiddetta mano invisibile non può trovare alcuna<br />

applicazione. Ciò è del tutto comprensibile alla luce sia dell'ideale <strong>di</strong> libertà che fa da cornice<br />

alla tesi repubblicana che del ruolo prioritario svolto dalla concezione <strong>di</strong> bene comune<br />

con<strong>di</strong>visa da ciascun membro della comunità. In altre parole, e contrariamente a quanto<br />

sostenuto dai <strong>di</strong>fensori del modello pluralista (Hayek, Mandeville), il fine comune non<br />

costituisce il risultato inintenzionale <strong>di</strong> scelte egoistiche, o comunque soggettivamente<br />

accettabili, piuttosto, rappresenta la premessa fondamentale <strong>di</strong> ogni deliberazione. Sino a<br />

che punto, però, tale atteggiamento è compatibile con le esigenze <strong>di</strong> un mercato aperto e<br />

libero? Sino a che punto lo Stato repubblicano è in grado <strong>di</strong> incentivare l'iniziativa<br />

economica? Pettit a tal proposito <strong>di</strong>fende in modo deciso la bontà della proposta<br />

repubblicana. È sicuramente vero che nel contesto delle istituzioni repubblicane, la priorità<br />

attribuita alle virtù civiche, tende a subor<strong>di</strong>nare gli interessi economici e ad influenzare la<br />

<strong>di</strong>stribuzione <strong>di</strong> oneri e <strong>di</strong> risorse; ed è altrettanto vero che lo stato repubblicano si oppone<br />

fermamente ad un modello politico organizzato e <strong>di</strong>retto sulla base delle <strong>di</strong>namiche e delle<br />

esigenze del mercato. Tuttavia, la tesi repubblicana, pur essendo caratterizzata da una<br />

visione critica e ra<strong>di</strong>cale della democrazia, e delle istituzioni poste a sua <strong>di</strong>fesa, lascia un<br />

margine più che sod<strong>di</strong>sfacente al libero scambio e al confronto tra le nude preferenze dei<br />

soggetti. Infatti, il vincolo istituzionale posto dall'idea <strong>di</strong> libertà come non dominio, secondo<br />

Pettit, è del tutto compatibile con forme <strong>di</strong> contrattazione e <strong>di</strong> scambio tendenti a far<br />

emergere ed a sod<strong>di</strong>sfare gli interessi particolari e legittimi <strong>degli</strong> in<strong>di</strong>vidui. Il fatto che nel<br />

contesto della contrattazione economica, ciascun partecipante abbia un <strong>di</strong>verso potere <strong>di</strong><br />

negoziazione, una <strong>di</strong>versa capacità <strong>di</strong> acquisto, non implica, necessariamente, che vi siano<br />

forme <strong>di</strong> interferenza arbitraria, forme <strong>di</strong> dominio tendenti a falsare l'esito dello scambio. Ciò<br />

che un'istituzione democratica, aperta alla contestazione, inclusiva e ricettiva, ha però<br />

l'obbligo <strong>di</strong> garantire ed assicurare a ciascun membro della comunità politica è<br />

l'in<strong>di</strong>pendenza delle procedure istituzionali dagli interessi e dagli eventuali atti d'interferenza<br />

arbitraria e dominante posti in essere da soggetti o da gran<strong>di</strong> gruppi <strong>di</strong> pressione. In altre<br />

parole, la trasparenza delle decisioni politiche, garanzia della natura democratica dello<br />

Stato, non può essere offuscata da alcuna forma <strong>di</strong> conflitto d'interessi.<br />

Liberalismo e Comunitarismo.<br />

Vi è infine un ultimo aspetto della tesi repubblicana sostenuta da Pettit che deve essere<br />

preso in considerazione. Esso concerne il ruolo che tale prospettiva si propone <strong>di</strong><br />

interpretare nel contesto dell'attuale <strong>di</strong>battito filosofico-politico. Un <strong>di</strong>battito che negli ultimi<br />

anni è stato caratterizzato dalla contrapposizione tra due particolari visioni della società, e<br />

precisamente, tra quella liberale e quella comunitarista. Alla base <strong>di</strong> tale confronto, come è<br />

noto, vi è una <strong>di</strong>fferente interpretazione della funzione delle istituzioni, ma soprattutto, una<br />

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Pettit, Il repubblicanesimo<br />

<strong>di</strong>fferente valutazione della pervasività del concetto <strong>di</strong> Bene.<br />

Per i liberali, infatti, la definizione delle procedure istituzionali prescinde dalla con<strong>di</strong>visione<br />

dei fini, o più precisamente, dalla omogeneità delle prospettive teleologiche. Esiste cioè una<br />

<strong>di</strong>stinzione netta tra l'idea <strong>di</strong> Giusto che fa da cornice alla <strong>di</strong>mensione politica e la<br />

concezione del Bene che caratterizza gli atteggiamenti e le i<strong>di</strong>osincrasie in<strong>di</strong>viduali. In altre<br />

parole, i membri <strong>di</strong> una società acquisiscono la titolarità dei <strong>di</strong>ritti fondamentali <strong>di</strong><br />

appartenenza unicamente sulla base della loro in<strong>di</strong>vidualità, in quanto persone morali, libere<br />

ed eguali. Ciò che rende una vita degna <strong>di</strong> essere vissuta, ciò che il singolo in<strong>di</strong>viduo<br />

considera un bene appartiene unicamente alla sfera privata e non influisce sulle scelte<br />

pubbliche, non è argomento <strong>di</strong> <strong>di</strong>scussione o <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio. La giustizia e il mutuo rispetto delle<br />

leggi e dei vincoli sociali <strong>di</strong>pendono dalla razionalità delle procedure <strong>di</strong> deliberazione. I<br />

termini dell'accordo sociale sono definiti sulla base della ragionevolezza delle scelte,<br />

politicamente salienti, formulate dalle parti in con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> equa eguaglianza <strong>di</strong> opportunità e<br />

in<strong>di</strong>pendentemente dalla varietà delle dottrine e delle visioni del mondo professate dai<br />

singoli in<strong>di</strong>vidui. Per <strong>di</strong>rla con le parole <strong>di</strong> John Rawls, la giustizia costituisce una questione<br />

politica e non metafisica.<br />

La tesi comunitarista, al contrario, sostiene che la soli<strong>di</strong>tà dei legami sociali, che fanno da<br />

cornice alle relazioni tra i soggetti <strong>di</strong> una comunità, sia data dalla con<strong>di</strong>visione <strong>di</strong> valori<br />

spessi. Sia la stabilità dei legami collettivi che la costruzione dell'identità in<strong>di</strong>viduale sono<br />

strettamente connesse alla capacità <strong>di</strong> attribuire un senso, un fine, alle proprie scelte. Tale<br />

fine è l'oggetto della <strong>di</strong>scussione pubblica: esso permea <strong>di</strong> sé l'intero orizzonte politico.<br />

L'inter<strong>di</strong>pendenza tra l'io in<strong>di</strong>viduale e il noi della comunità incide sulla natura della<br />

partecipazione alla vita e alle decisioni dell'intera collettività; da essa <strong>di</strong>scende il dovere del<br />

rispetto e dell'autoimposizione delle regole collettive. Detto altrimenti, secondo la prospettiva<br />

comunitarista il Sé in<strong>di</strong>viduale è un Sé situato, collegato a valori, prospettive, ideali comuni.<br />

La comunità è il soggetto che forgia e determina le decisioni, le preferenze in merito a ciò<br />

che rende una vita degna <strong>di</strong> essere vissuta. La virtù costituisce l'ideale regolativo dell'azione<br />

in<strong>di</strong>viduale e collettiva, posto che i due ambiti, siano realmente separati. I significati sociali<br />

che sottendono alle istituzioni, che danno senso al lessico politico e morale della società si<br />

incarnano, dunque, nella tra<strong>di</strong>zione comune, nell'insieme omogeneo <strong>di</strong> valori e fini con<strong>di</strong>visi.<br />

Sotto questo profilo, l'unencumbered self liberale contrasta decisamente con lo spirito <strong>di</strong><br />

solidarietà che lega i membri della comunità e che ne definisce gli spazi <strong>di</strong> libertà e pertanto<br />

una me<strong>di</strong>azione non sembrerebbe possibile.<br />

La teoria <strong>di</strong> Pettit, secondo chi scrive, è un tentativo, in parte riuscito, <strong>di</strong> me<strong>di</strong>are tra<br />

liberalismo e comunitarismo, <strong>di</strong> stabilire una prima forma <strong>di</strong> comunicazione nel contesto <strong>di</strong><br />

una <strong>di</strong>sputa, da molti definita un mero <strong>di</strong>battito tra sor<strong>di</strong>. L'idea <strong>di</strong> fondo è che la tesi<br />

proposta da Pettit presenti un modello <strong>di</strong> repubblica deliberativa che si <strong>di</strong>stanzia, per molti<br />

versi, dal ra<strong>di</strong>calismo comunitarista <strong>di</strong> matrice aristotelica, mostrando <strong>di</strong> avere numerose<br />

assonanze con il liberalismo contemporaneo. Sotto molti aspetti, è possibile definirlo un<br />

repubblicanesimo liberale. O ancor più chiaramente, l'impressione che se ne trae è che le<br />

<strong>di</strong>namiche procedurali, che fanno da cornice alle deliberazioni, ai <strong>di</strong>battiti e alla contestabilità<br />

delle istituzioni repubblicane, pur richiamandosi ad una concezione <strong>di</strong> virtù civica e pur<br />

rilevando la centralità del bene comune, tuttavia siano armonizzabili con gli assunti, coi<br />

principi che caratterizzano l'azione politica nelle democrazie liberali contemporanee. A<br />

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Pettit, Il repubblicanesimo<br />

riguardo, è utile soffermare l'attenzione su alcune similitu<strong>di</strong>ni salienti. Innanzitutto, vale la<br />

pena ricordare come molte delle prospettive liberali oggi <strong>di</strong>scusse (si pensi ai modelli<br />

tracciati da Dworkin, Sen e dallo stesso Rawls) muovono da premesse ben <strong>di</strong>verse da quelle<br />

dettate dall'idea classica <strong>di</strong> libertà come non interferenza, mostrano cioè <strong>di</strong> aver superato lo<br />

sbarramento posto dal dualismo berliniano, e dunque sembrano compatibili con l'ideale del<br />

non dominio <strong>di</strong>feso dal repubblicanesimo. Sotto questo profilo, va segnalato che la tesi <strong>di</strong><br />

Pettit appare eccessivamente ra<strong>di</strong>cale nel tracciare la <strong>di</strong>stinzione tra le ragioni della libertà<br />

repubblicana e quelle dei liberali. L'impressione che sembra emergere dall'analisi <strong>di</strong> tale<br />

confronto è che Pettit riduca il para<strong>di</strong>gma liberale alla sola versione classica, trascurando <strong>di</strong><br />

considerare la ricchezza del <strong>di</strong>battito e le revisioni a cui tale modello è stato sottoposto negli<br />

ultimi anni.<br />

Un'ulteriore accostamento è possibile alla luce delle considerazioni concernenti la questione<br />

dell'architettura costituzionale che fa, o che dovrebbe fare, da sfondo ad un or<strong>di</strong>namento<br />

politico sinceramente democratico. Va detto, infatti, che l'introduzione <strong>di</strong> procedure <strong>di</strong><br />

controllo e <strong>di</strong> regolazione dei meccanismi istituzionali costituisce un elemento centrale nella<br />

costruzione <strong>degli</strong> or<strong>di</strong>namenti liberali. Il liberalismo, parafrasando Stephen Holmes, è la<br />

risultante del rapporto tra passioni e vincoli, tra istanze soggettive e legami pubblici, e tali<br />

aspetti costituiscono una base irrinunciabile <strong>di</strong> ogni <strong>di</strong>scussione politica che abbia realmente<br />

a cuore la libertà dei propri citta<strong>di</strong>ni e la stabilità delle istituzioni. Il rilievo dato alla priorità del<br />

<strong>di</strong>ssenso, il bisogno <strong>di</strong> una società civile attenta e critica, il perseguimento <strong>di</strong> una libertà<br />

politicamente non arbitraria, l'attenzione verso le questioni <strong>di</strong> giustizia, infatti, sono tutti<br />

elementi compatibili con la ricerca, condotta sia dal liberalismo contemporaneo che dal<br />

repubblicanesimo <strong>di</strong> Pettit, delle fonti primarie della giustizia e dell'equità <strong>degli</strong> scambi entro<br />

la <strong>di</strong>mensione politica. Elementi che costituiscono un bagaglio comune, un modello <strong>di</strong><br />

riferimento costante nella promozione e nella <strong>di</strong>fesa della libertà in quanto valore primario ed<br />

essenzialmente umano.<br />

In<strong>di</strong>ce<br />

Alla ricerca della libertà repubblicana <strong>di</strong> Marco Geuna; Prefazione; Introduzione;<br />

Parte prima: La libertà repubblicana<br />

1. Prima della libertà negativa e della libertà positiva; 2. Libertà come non dominio; 3.<br />

L'assenza <strong>di</strong> dominio come ideale politico; 4. Libertà, uguaglianza, comunità.<br />

Parte seconda: Il governo repubblicano<br />

5. Obiettivi repubblicani; 6. Forme repubblicane: costituzionalismo e democrazia; 7.<br />

Controllare la repubblica; 8. Civilizzare la repubblica.<br />

Il repubblicanesimo: un sommario per punti.<br />

Poscritto 1999: uno sguardo retrospettivo.<br />

Bibliografia; In<strong>di</strong>ce analitico.<br />

L'autore<br />

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Pettit, Il repubblicanesimo<br />

Philip Pettit è nato in Irlanda nel 1945, attualmente è professore <strong>di</strong> Teoria politica e sociale<br />

presso la Scuola <strong>di</strong> ricerca in Scienze sociali dell'Australian National University <strong>di</strong> Canberra.<br />

Tra le sue opere vanno ricordate: Not Just Deserts: A Republican Theory of Criminal Justice<br />

(con John Braithwaite), Rawls: A Theory of Justice and its Critics (con Chandran Kukathas),<br />

The Common Mind: An Essay on Psychology, Society and Politics. Il repubblicanesimo è il<br />

libro che gli ha dato fama internazionale.<br />

Links<br />

http://www.la.utexas.edu/conf2000/videos_pres_ord.html<br />

http://philrsss.anu.edu.aw/people-defaults/pnp/index.php3<br />

http://lgxserver.uniba.it/rassegna/pettit.htm<br />

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<strong>Università</strong> <strong>degli</strong> <strong>Stu<strong>di</strong></strong> <strong>di</strong> <strong>Bari</strong> - Laboratorio <strong>di</strong> Epistemologia Informatica e Dipartimento <strong>di</strong> Scienze<br />

Filosofiche<br />

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<strong>Università</strong> <strong>degli</strong> <strong>Stu<strong>di</strong></strong> <strong>di</strong> <strong>Bari</strong> - Laboratorio <strong>di</strong> Epistemologia Informatica e Dipartimento <strong>di</strong> Scienze Filosofiche<br />

Bettelli, Oscar, Processi cognitivi<br />

Bologna, CLUEB, 2000, pp. 159, Lit. 23.000, ISBN 88-491-1637-3<br />

Recensione <strong>di</strong> Mario Valentino Bramè - 13/02/<strong>2001</strong><br />

In<strong>di</strong>ce - L'autore - Links<br />

Ancora una volta, il problema della coscienza. L'autore riprende, a tratti, un punto <strong>di</strong> vista<br />

leibniziano nell'affermare che "ogni uomo è una finestra sul mondo" (p. 29), e da questo<br />

punto <strong>di</strong> partenza svolge l'intera argomentazione del testo. Si tratta <strong>di</strong> un'ampia panoramica<br />

sulle problematiche della conciliazione mente/corpo che stanno tanto a cuore alla filosofia<br />

della mente. I più tipici aspetti del problema vengono passati in rassegna in maniera non<br />

tanto sistematica quanto, in modo organico e spontaneo.I punti car<strong>di</strong>ne della trattazione<br />

sono essenzialmente tre: 1. Il ruolo dell'uomo come osservatore 2. Il problema<br />

dell'intelligenza artificiale 3. L'aspetto biologico del problema-coscienza.<br />

Per quanto riguarda il primo punto, viene sostanzialmente esposta una versione della tesi<br />

secondo la quale ogni osservazione è carica <strong>di</strong> teoria (si pensi, per esempio, alle teorie <strong>di</strong><br />

N.R. Hanson). La trattazione <strong>degli</strong> altri due punti, invece, viene svolta attraverso un<br />

reciproco compenetrarsi delle problematiche: la descrizione dei processi cognitivi dal punto<br />

<strong>di</strong> vista della neurobiologia, infatti, viene sovente integrata con gli spunti derivati dai tentativi<br />

<strong>di</strong> simulazione al calcolatore dei processi cerebrali.<br />

Molto interessanti risultano le considerazioni riguardanti l'approccio al problema<br />

dell'intelligenza artificiale, dove alcune precisazioni contribuiscono a convogliare il <strong>di</strong>scorso<br />

su binari ben determinati. Ecco alcuni brevi passi significativi in proposito:<br />

"I neuroni non sono elementi che funzionano in maniera binaria ma me<strong>di</strong>ante<br />

modulazione della loro frequenza <strong>di</strong> scarica" (p. 45)<br />

"Nel cervello la <strong>di</strong>stinzione tra hardware e software <strong>di</strong>venta estremamente<br />

problematica; un cambiamento nelle modalità <strong>di</strong> connessione sinaptica, come<br />

nei numerosi casi che si producono nel corso dello sviluppo, non possono<br />

essere catalogati in maniera chiara come variazioni del solo software o<br />

hardware." (p. 46)<br />

Emerge, dunque, un sostanziale quanto giustificato scetticismo nei confronti della posizione<br />

nota come "Intelligenza Artificiale Forte" (posizione che sostiene la pressoché completa<br />

coincidenza tra mente e software, da una parte, e cervello e hardware dall'altra), sebbene<br />

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l'autore non manchi <strong>di</strong> attribuire alle posizioni funzionaliste una loro <strong>di</strong>gnità filosofica e<br />

scientifica.<br />

A margine delle considerazioni sull'intelligenza artificiale emerge anche un'importante<br />

considerazione all'interno del problema mente/corpo, ovvero ciò che viene chiamato<br />

"dualismo semantico"<br />

"Esiste un dualismo al problema mente/corpo che potremmo definire dualismo<br />

semantico. Questo dualismo, iniziato sul piano strettamente corporeo, si<br />

propaga su tutta la linea <strong>di</strong>visoria tra il vissuto e le varie modalità <strong>di</strong><br />

oggettivazione dell'esperienza umana integrale." (p. 113).<br />

L'ampia panoramica fornita in questo testo, dunque, si presta a <strong>di</strong>ventare un agevole<br />

strumento <strong>di</strong> introduzione al problema proprio per la sua capacità <strong>di</strong> offrire un insieme <strong>di</strong><br />

spunti che possono, senz'altro, invitare il neofita a porsi le domande più imme<strong>di</strong>ate nei<br />

riguar<strong>di</strong> della contrapposizione mente/corpo. Particolarmente stuzzicanti risultano gli spunti<br />

sul problema gnoseologico relativo alla meccanica quantistica (principio <strong>di</strong><br />

indeterminazione), e i tentativi <strong>di</strong> concettualizzazione dei problemi riguardanti la collocazione<br />

fisica della memoria e, in ultima istanza, della coscienza ("La memoria è localizzata oppure<br />

no?", p. 59); tentativi che si spingono a richiamare i concetti <strong>di</strong> coscienza primaria e riflessiva<br />

presenti nel lavoro del premio Nobel per la Me<strong>di</strong>cina Gerald Edelman, oltre che porre la<br />

questione sull'importanza filosofica e sulla consistenza biologica dell'inconscio.<br />

Il punto <strong>di</strong> vista che ne emerge è, essenzialmente, un'ottimistica panoramica sui tentativi<br />

della neuro-fisiologia e della filosofia <strong>di</strong> "rendere conto" del problema della coscienza. Infatti,<br />

sebbene l'approccio materialistico (teoria dell'identità) venga scartato a priori e la<br />

conciliazione tra gli aspetti filosofici e biologici del problema appaia ancora lontana, l'autore<br />

sembra credere che il progre<strong>di</strong>re dell'impresa scientifica, i tentativi <strong>di</strong> simulazione dell'attività<br />

cerebrale al calcolatore, la coerente integrazione <strong>di</strong> connessionismo e funzionalismo,<br />

unitamente alla riscoperta del ruolo herbartiano della filosofia come integrazione dei concetti<br />

della scienza, potranno, nel loro insieme, portare a un nuovo punto <strong>di</strong> vista dell'uomo sulla<br />

natura. Un punto <strong>di</strong> vista, questa volta, più coerente e completo nei riguar<strong>di</strong> del problema<br />

capitale della conciliazione mente/corpo.<br />

In<strong>di</strong>ce<br />

Il punto <strong>di</strong> vista - Proiezioni sulla realtà - Il soggetto cosciente - Il ruolo dell'inconscio - L'atto<br />

volitivo – Intuizioni e ragionamento - Le analogie - Mente e coscienza - La<br />

concettualizzazione - Conclusioni – Bibliografia<br />

L'autore<br />

Oscar Bettelli (San GiovanniPersiceto, BO, 1956), laureato in fisica teorica nel 1980 con la<br />

tesi "Sul meccanismo <strong>di</strong> memoria in cibernetica". Ha collaborato con l'Istituto <strong>di</strong> Fisiologia<br />

Umana per quanto riguarda la simulazione dei processi cognitivi al calcolatore. Si è<br />

occupato, in seguito, <strong>di</strong> informatica in ambito industriale. Ha pubblicato: Un nuovo modello<br />

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teorico <strong>di</strong> banca dati: un data base associativo (1985), Dati, Relazioni e Associazioni (1991)<br />

e Macchine Intelligenti (1997). Ha scritto: Sincronicità: un para<strong>di</strong>gma per la mente (1997) e Il<br />

pensiero Meccanico (1998).<br />

Attualmente lavora presso l'<strong>Università</strong> <strong>di</strong> Bologna.<br />

Links<br />

● Dictionary of Philosophy of Mind<br />

● Intelligenza Artificiale<br />

● Istituto <strong>di</strong> Neurofisiologia<br />

● SWIF/Filosofia della mente<br />

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<strong>Università</strong> <strong>degli</strong> <strong>Stu<strong>di</strong></strong> <strong>di</strong> <strong>Bari</strong> - Laboratorio <strong>di</strong> Epistemologia Informatica e Dipartimento <strong>di</strong> Scienze<br />

Filosofiche<br />

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Francesco Tampoia, Il filosofo <strong>di</strong>mezzato<br />

<strong>Università</strong> <strong>degli</strong> <strong>Stu<strong>di</strong></strong> <strong>di</strong> <strong>Bari</strong> - Laboratorio <strong>di</strong> Epistemologia Informatica e Dipartimento <strong>di</strong> Scienze Filosofiche<br />

Tampoia, Francesco, Il filosofo <strong>di</strong>mezzato,<br />

Roma, Armando, 2000, pp. 208, Lit. 30.000, ISBN 88-8358-064-8<br />

Recensione <strong>di</strong> Gian Paolo Terravecchia - 06/05/<strong>2001</strong><br />

In<strong>di</strong>ce - L'autore<br />

[ parole chiave: storia della filosofia, gnoseologia, scetticismo ]<br />

Il libro si presenta come una ricognizione della Storia della filosofia, riletta secondo una<br />

prospettiva scettica. La stessa espressione del titolo "filosofo <strong>di</strong>mezzato" designa, del resto,<br />

tale approccio. Come si spiega nel Prologo, riprendendo le parole <strong>di</strong> Sesto Empirico: "oggi<br />

un ritornato Enesidemo <strong>di</strong>rebbe <strong>di</strong> non essere un filosofo vero e proprio, al più un filosofo<br />

<strong>di</strong>mezzato, <strong>di</strong> sicuro non adatto, né <strong>di</strong>sposto ad elaborare sistemi, <strong>di</strong> sentirsi, invece, un<br />

intellettuale nomade cui piace spaziare da una <strong>di</strong>sciplina all'altra, e mobile, cioè restio a<br />

situarsi su una stabile <strong>di</strong>mora ideologica, un intellettuale che preferisce assumere un<br />

atteggiamento cosiddetto scettico <strong>di</strong> fronte al sapere, alla realtà, alla vita" (p. 17).<br />

Lo scetticismo viene presentato da Tampoia nelle sue <strong>di</strong>verse forme e nelle tracce che <strong>di</strong> sé<br />

ha lasciato nella storia del pensiero occidentale. Fin dalle prime pagine si va dalla lucida<br />

trattazione dei <strong>di</strong>eci tropi <strong>di</strong> Enesidemo <strong>di</strong> Cnosso, pensatore scettico dell'antichità,<br />

all'interpretazione della filosofia <strong>di</strong> Platone come <strong>di</strong> una filosofia della ricerca, fondata su<br />

un'antropologia che pensa all'uomo come mosso da quella <strong>di</strong>vina follia che è l'eros platonico<br />

e che porta l'anima a procreare nel bello, generando cose immortali. Si tratta però <strong>di</strong> un<br />

uomo che rimane segnato da una duplice natura che lo vede sia sapiente che ignorante.<br />

Quanto alla filosofia cristiana, nella ricostruzione <strong>di</strong> Tampoia, da un lato la posizione <strong>di</strong><br />

Agostino, sulla lettura del Contra Academicos, pare fondare sulla fede la possibilità del<br />

conseguimento del vero. È questo un esito debole, ove l'intelligo ut credam si appoggia al<br />

credo ut intelligam (p. 60). Dall'altro lato, il famoso argomento anselmiano dell'esistenza <strong>di</strong><br />

Dio per quanto affascinante, non pare consentire alcun superamento dello scetticismo alla<br />

luce delle obiezioni <strong>di</strong> Gaunilone, san Tommaso e Kant.<br />

Nemmeno il cogito cartesiano riesce a resistere alla rilettura scettica <strong>di</strong> Tampoia. In un<br />

passo che sembra riassorbire il cogito nell'itinerario preliminare del dubbio, Tampoia<br />

afferma: "con il cogito [Cartesio] vuole sollevare l'uomo, fermare le infondate ed effimere<br />

procedure, situarlo, provvisoriamente e per un buon tratto, su una posizione/non posizione <strong>di</strong><br />

stabile e ra<strong>di</strong>cale dubbio" (p. 69). Uno dei momenti più felici del pensiero cartesiano<br />

consisterebbe quin<strong>di</strong> proprio nella sua intima comprensione dello scetticismo (cf. p. 80).<br />

Un ampio capitolo viene, a questo punto, de<strong>di</strong>cato al pensiero <strong>di</strong> Kant. Se ci si limita alla<br />

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Francesco Tampoia, Il filosofo <strong>di</strong>mezzato<br />

Critica della ragion pura, un'interpretazione che evidenzi una linea scettica nella riflessione<br />

<strong>di</strong> Kant non pare poi tanto inverosimile, soprattutto se si tiene conto della lettera dello stesso<br />

Kant a Garve del 21 settembre 1798. In essa si legge: "Il punto dal quale sono partito non è<br />

stata l'indagine sull'esistenza <strong>di</strong> Dio, sull'immortalità dell'anima ecc. ma l'antinomia della<br />

ragion pura [...]. Fu essa a destarmi dal sonno dogmatico ed a spingermi alla critica della<br />

ragione stessa" (cit. a p. 82). Il libro non giunge alla pretesa <strong>di</strong> fare <strong>di</strong> Kant uno scettico.<br />

Come <strong>di</strong>ce infatti il filosofo <strong>di</strong> Koenigsberg: "lo scetticismo è un posto <strong>di</strong> riposo per la ragione<br />

umana, nel quale essa può riflettere sulle sue peregrinazioni dogmatiche e farsi uno schizzo<br />

del paese in cui si trova, per poter scegliere ormai la sua via con <strong>maggio</strong>r sicurezza, non già<br />

un luogo abitabile e stabile <strong>di</strong>mora" (cit. a p. 106). In altre parole, lo scetticismo è un metodo<br />

che consente un esame dei problemi, ma poi va superato.<br />

Dopo Kant ritorna, nella narrazione <strong>di</strong> Tampoia, il nome <strong>di</strong> Enesidemo, o meglio<br />

Aenesidemus. Il filosofo scettico tedesco Gottlob Ernst Schulze inserì infatti il nome nel<br />

lungo titolo della propria opera <strong>maggio</strong>re (Enesidemo o dei Fondamenti della Filosofia<br />

elementare presentata dal sig. prof. Reinhold <strong>di</strong> Jena con una <strong>di</strong>fesa dello Scetticismo<br />

contro le pretese della Critica della ragione). Lo scetticismo viene presentato, proprio in<br />

queste pagine del libro, in una forma che da un lato è accattivante: "è il sale del sapere, è il<br />

fermento del rigore scientifico e speculativo, è lo strumento della purificazione della mente<br />

umana" (p. 111). Dall'altro lato, gli argomenti a favore dello scetticismo sembrano piuttosto<br />

soli<strong>di</strong>. Ad esempio, la critica <strong>di</strong> incoerenza che pare potersi muovere contro lo scetticismo, in<br />

quanto questi pare ammettere delle verità nel momento in cui afferma l'assenza <strong>di</strong> verità<br />

ultime, viene messa in crisi da Schulze. Egli afferma la natura puramente convenzionale e<br />

provvisoria dei vocaboli, dei concetti, <strong>di</strong> cui si serve lo scetticismo, mostrando così<br />

l'infondatezza dell'obiezione (cfr. p. 116). Inoltre, la stessa <strong>di</strong>stinzione tra fenomeno e<br />

noumeno ammessa da Kant è erronea perché un oggetto o si conosce, o non si conosce:<br />

per in<strong>di</strong>viduare corrispondenze è necessario avere accesso al noumeno. Che esistano<br />

conoscenze non è poi oggetto <strong>di</strong> dubbio scettico, piuttosto lo è la possibilità <strong>di</strong> instaurare un<br />

nesso necessario e stabile tra soggetto e pre<strong>di</strong>cato; non vi è insomma alcun accesso al<br />

noumeno che consenta una fondazione ultima del conoscere. Anzi, la stessa nozione <strong>di</strong><br />

noumeno è inammissibile come anche quella <strong>di</strong> rappresentazione (ammessa invece da<br />

Reinhold) che richiama implicitamente alla <strong>di</strong>stinzione fenomeno/noumeno.<br />

Il capitolo su Hegel sembra un onore delle armi reso all'ultima grande sintesi filosofica del<br />

pensiero occidentale. La stessa concezione della filosofia hegeliana è però già la<br />

rappresentazione <strong>di</strong> un tramonto decadente nel quale la filosofia è raffigurata dalla celebre<br />

immagine della nottola <strong>di</strong> Minerva (p. 131).<br />

Seguono due capitoli rispettivamente su Nietzsche, "lo scriba del caos", e su Heidegger. Le<br />

loro filosofie <strong>di</strong> rottura e <strong>di</strong> crisi, tanto ra<strong>di</strong>cali da coinvolgere sia la metafisica sia la scienza,<br />

aprono lo scenario dell'ultima parte del volume che, negli ultimi due capitoli, si sofferma<br />

soprattutto su Popper, Wittgenstein e Rorty. Il pensiero <strong>di</strong> Popper nasce dalla severa critica<br />

humiana dell'induttivismo. Ne segue che l'e<strong>di</strong>ficio della scienza non si appoggia su una<br />

solida roccia, ma è precariamente fondato come su palafitte. Il criterio <strong>di</strong> demarcazione tra<br />

scienza e non-scienza è il principio <strong>di</strong> falsificabilità (il testo riporta erroneamente<br />

"falsificazione", p. 168). Esso è una forma <strong>di</strong> razionalità non fondativa, dato che la possibilità<br />

<strong>di</strong> una falsificazione non consente alcun giu<strong>di</strong>zio ultimo <strong>di</strong> certezza. La crisi della razionalità<br />

scientifica positivista aperta da Popper viene ulteriormente a complicarsi col <strong>di</strong>battito postpopperiano<br />

e in particolare coi contributi <strong>di</strong> Lakatos, Feyerabend e Kuhn. Con Wittgenstein<br />

lo scetticismo pare essere giunto all'estrema conclusione: "la filosofia non può darci quanto<br />

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Francesco Tampoia, Il filosofo <strong>di</strong>mezzato<br />

si credeva, si limita a metterci tutto davanti, non spiega nulla e non deduce nulla perché non<br />

c'è nulla da spiegare o dedurre. All'intellettuale del XX secolo non resta che lasciare ogni<br />

metodo, smettere <strong>di</strong> filosofare" (p. 190). L'ultimo capitolo è infine de<strong>di</strong>cato ai tropi <strong>di</strong> Rorty. Il<br />

filosofo deve essere ironico, ossia deve nutrire dubbi sul proprio vocabolario decisivo, nella<br />

consapevolezza che esso è solo uno dei molti; deve sapere che i suoi dubbi non possono<br />

essere confermati né sciolti a partire dal suo attuale vocabolario. Infine, il filosofo non può<br />

credere che il proprio vocabolario sia più vicino alla realtà <strong>di</strong> quello <strong>degli</strong> altri. Quella <strong>di</strong> Rorty<br />

non è l'ironia socratico-platonica che ha una funzione metodologica e che porta ad esiti che<br />

hanno il carattere della certezza. L'ironia <strong>di</strong> Rorty è piuttosto un atteggiamento scettico che<br />

si presenta come genere letterario e rinuncia ad ogni possibile epistemologia. Il filosofare<br />

dunque "mette tra parentesi il problema della verità, <strong>di</strong>ffida delle sue conoscenze e nello<br />

stesso tempo <strong>di</strong>ffida dei suoi stessi dubbi" (p. 205).<br />

Un notevole pregio dell'opera consiste nella sua capacità <strong>di</strong> porre il lettore davanti ai<br />

problemi stessi, mostrandone l'intrinseca problematicità, anche attraverso una scelta<br />

sapiente dei testi dei classici <strong>di</strong> volta in volta citati. Forse il limite più evidente del libro, da un<br />

punto <strong>di</strong> vista formale, consiste nell'annunciata impostazione <strong>di</strong>alogica cui non corrisponde<br />

l'effettiva organizzazione del materiale. Il Prologo comincia come una narrazione nella quale<br />

l'io narrante riferisce <strong>di</strong> un incontro con un immaginario Enesidemo da Crotone (p. 10),<br />

filosofo contemporaneo, che espone la filosofia <strong>di</strong> Enesidemo <strong>di</strong> Cnosso e si suppone<br />

esponga anche il contenuto dei capitoli seguenti. Per le successive 196 pagine viene <strong>di</strong> fatto<br />

meno l'impostazione <strong>di</strong>alogica fino a che, nell'Epilogo, ricompare l'io narrante e si legge:<br />

"quando Enesidemo pone fine al suo racconto riprendo il fiato e la parola". Non rimane che<br />

lo stupore per l'improbabile apnea e l'ammirazione per Enesidemo certo altrettanto<br />

bisognoso <strong>di</strong> riprendere fiato, dopo una narrazione tanto lunga.<br />

In<strong>di</strong>ce<br />

Nota dell'autore. Prologo: Enesidemo uno e due. Capitolo primo: Platone o dell'inizio.<br />

Capitolo secondo: Tra fede e intelletto. Capitolo terzo: Me<strong>di</strong>tazioni cartesiane. Capitolo<br />

quarto: La sintesi dell'io penso <strong>di</strong> Kant. Capitolo quinto: Aenesidemus. Capitolo sesto: Il<br />

filosofare <strong>di</strong> Hegel. Capitolo settimo: Lo scriba del caos. Capitolo ottavo: I sentieri<br />

interrotti <strong>di</strong> Heidegger. Capitolo nono: Un villaggio <strong>di</strong> palaffitte. Capitolo decimo: I tropi <strong>di</strong><br />

Rorty. Epilogo<br />

L'autore<br />

Docente <strong>di</strong> Storia e Filosofia nei licei, ha insegnato per <strong>di</strong>versi anni al Liceo Scientifico<br />

"Galilei" <strong>di</strong> Bitonto, ha pubblicato numerosi saggi e articoli <strong>di</strong> vario argomento su riviste e<br />

giornali.<br />

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Francesco Tampoia, Il filosofo <strong>di</strong>mezzato<br />

<strong>Università</strong> <strong>degli</strong> <strong>Stu<strong>di</strong></strong> <strong>di</strong> <strong>Bari</strong> - Laboratorio <strong>di</strong> Epistemologia Informatica e Dipartimento <strong>di</strong> Scienze<br />

Filosofiche<br />

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Jaegwon Kim, La mente e il mondo fisico<br />

<strong>Università</strong> <strong>degli</strong> <strong>Stu<strong>di</strong></strong> <strong>di</strong> <strong>Bari</strong> - Laboratorio <strong>di</strong> Epistemologia Informatica e Dipartimento <strong>di</strong> Scienze Filosofiche<br />

Kim, Jaegwon, La mente e il mondo fisico<br />

Milano, Mc Graw-Hill (Dynamie), 2000, pp. vii-170, Lit. 28.000, ISBN 88-386-<br />

3725-3<br />

(titolo originale: Mind in a Physical World, The Mit Press, 1998).<br />

Recensione <strong>di</strong> Francesco Armezzani - 15/02/<strong>2001</strong><br />

(filosofia della mente: riduzionismo)<br />

In<strong>di</strong>ce - L'autore - Links<br />

Non è esagerato salutare la traduzione <strong>di</strong> questo lavoro <strong>di</strong> Kim come un piccolo evento nel<br />

panorama della letteratura filosofica italiana: non si tratta solo del primo testo <strong>di</strong> Kim tradotto<br />

in italiano, ma anche <strong>di</strong> un lavoro de<strong>di</strong>cato ad uno dei temi centrali della filosofia<br />

contemporanea, da uno dei protagonisti più aggiornati e coinvolti. Il testo raccoglie quattro<br />

conferenze tenute nell'ambito delle "Townsend Lectures" all'<strong>Università</strong> <strong>di</strong> Berkeley nel marzo<br />

del 1996. A loro volta i testi delle conferenze attingono materiali da una serie <strong>di</strong> interventi<br />

pubblicati da Kim in <strong>di</strong>versi luoghi tra il 1995 e il 1997. Delle conferenze il testo mantiene il<br />

tono <strong>di</strong>scorsivo, pur non tralasciando nulla del confronto sistematico con posizioni <strong>di</strong>verse da<br />

quelle dell'autore e affrontando in maniera riccamente analitica i temi affrontati. Molti<br />

argomenti vengono affrontati più volte, sempre sotto <strong>di</strong>verse angolature, quin<strong>di</strong> l'andamento<br />

è quasi sempre circolare, con un conseguente affaticamento della lettura.<br />

Nonostante la tesi del riduzionismo fisicalista venga sostenuta in maniera programmatica,<br />

l'andamento altamente problematico delle argomentazioni e delle contro proposte lascia<br />

aperti, dopo averne descritti in profon<strong>di</strong>tà gli aspetti salienti, una tale varietà <strong>di</strong> problemi e<br />

questioni, da rendere <strong>di</strong>fficoltosa l'impressione <strong>di</strong> essere giunti ad una soluzione non tanto<br />

definitiva quanto sufficientemente consolidata.<br />

Iniziando dalla fine, cioè dall'intervista posta in Appen<strong>di</strong>ce, Kim definisce il problema del<br />

rapporto mente-corpo nell'ambito più generale del rapporto che sussiste tra gli atti mentali,<br />

quali credenze, desideri, sensazioni e coscienza da una parte e, dall'altra, un mondo, il<br />

nostro, che è fondamentalmente materiale e regolato da leggi fisiche. Il fatto che rende<br />

problematico il rapporto tra mente e corpo è che tutti noi cre<strong>di</strong>amo che i nostri atti mentali<br />

siano causalmente efficaci, siano cioè in grado, mo<strong>di</strong>ficando gli stati fisici del nostro cervello,<br />

<strong>di</strong> farci compiere determinate azioni. Se però i nostri stati mentali restano (perché devono<br />

restare) <strong>di</strong>stinti dai nostri stati fisici, bisogna cercare <strong>di</strong> capire come tale causazione possa<br />

realmente avvenire. Dal punto <strong>di</strong> vista fisicalista il problema può essere risolto, solo<br />

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Jaegwon Kim, La mente e il mondo fisico<br />

assumendo che i nostri stati mentali, inclusa la coscienza, siano effettivamente riducibili ai<br />

processi neurobiologici, che si svolgono nel nostro cervello. Ma con ciò non si conclude<br />

asserendo che la cosa stia effettivamente così: per Kim infatti non si può concludere dal<br />

fatto che solo il riduzionismo sia in grado <strong>di</strong> risolvere il problema mente-corpo, con<br />

l'affermazione per cui, per ciò stesso, il riduzionismo sia vero. A tutt'oggi, infatti, la mente<br />

non è stata ridotta ad eventi fisici. D'altro canto Kim rifiuta, come si vedrà meglio in seguito,<br />

la posizione <strong>di</strong> Descartes, per cui il mondo fisico ammette causalità esterne ad esso: stando<br />

all'ipotesi fisicalista, <strong>di</strong> contro, il mondo fisico è causalmente chiuso e non ammette<br />

interferenze esterne.<br />

Il primo dei quattro capitoli del libro è sostanzialmente <strong>di</strong>viso a metà tra una ricostruzione<br />

storica della genesi e dello sviluppo nella filosofia contemporanea della filosofia della mente<br />

e un'analisi del concetto <strong>di</strong> sopravvenienza. Originariamente si può derivare l'intera<br />

questione dal testo <strong>di</strong> Ryle del 1948 "The Concept of Mind", che però, per <strong>di</strong>versi motivi,<br />

rimane estraneo alla tra<strong>di</strong>zione fisicalista e materialistica, che invece nasce ufficialmente<br />

negli anni '50 con gli ormai classici articoli <strong>degli</strong> australiani Place e Smart e del neopositivista<br />

Herbert Feigl<br />

Per chi come Kim completò la propria formazione universitaria nell'ambiente dominato dalla<br />

cultura scientifica tra gli anni '50 e gli anni '60, il materialismo rappresentava una teoria<br />

molto plausibile ed efficace. La riduzione <strong>di</strong> ogni aspetto del mentale a nient'altro che ad<br />

elementi materiali del mondo fisico sembrava la giusta soluzione alla vexata quaestio del<br />

rapporto tra fisico e mentale e, soprattutto in linea con le scoperte <strong>di</strong> Watson e Crick del Dna<br />

e della rivoluzione scientifica ed epistemologica che ne derivò. Ben presto però la fortuna <strong>di</strong><br />

quel primo materialismo declinò sottoposto alle sostanziali revisioni <strong>di</strong> Putnam da una parte<br />

e <strong>di</strong> Davidson dall'altra. Putnam propose un argomento molto affascinante, detto della<br />

realizzazione multipla, per cui le proprietà mentali sono tipi funzionali a un livello superiore <strong>di</strong><br />

astrazione rispetto ai tipi psicochimici o biologici: questa posizione (il funzionalismo)<br />

permetteva larga autonomia alle scienze psicologiche e soprattutto al nascente cognitivismo.<br />

La posizione <strong>di</strong> Davidson è più complessa e si può <strong>di</strong>videre in due momenti <strong>di</strong>stinti anche se<br />

non separati. La prima è quella del monismo anomalo, teoria per cui il mentale è posto su un<br />

piano del tutto <strong>di</strong>verso da quello fisico. In particolare i tipi mentali sono, secondo questa<br />

teoria, irriducibili ai tipi fisici. Allo stesso tempo però tutti gli eventi in<strong>di</strong>viduali ("occorrenze <strong>di</strong><br />

eventi") sono eventi fisici. Quest'ultima osservazione stabilisce da un punto <strong>di</strong> vista<br />

ontologico il primato della materia e quin<strong>di</strong> gratifica, e gratificò subito, allorquando venne<br />

proposta, la componente fisicalistica <strong>di</strong> quella parte del mondo filosofico cresciuto<br />

nell'ambiente positivistico <strong>degli</strong> ultimi anni '50.<br />

A ben vedere però la tesi del monismo anomalo non <strong>di</strong>ce molto sulla consistenza del<br />

rapporto mente-corpo: infatti nonostante ogni evento mentale sia <strong>di</strong> fatto un evento fisico, ciò<br />

non consente <strong>di</strong> trarre connessioni nomologiche tra tipi mentali e tipi fisici. Secondo Kim il<br />

monismo anomalo è <strong>di</strong> fatto reticente e lascia intatta la necessità <strong>di</strong> una teoria che ci <strong>di</strong>ca <strong>di</strong><br />

più sul rapporto tra fisico e mentale: "credo che le nostre teorie mente-corpo debbano <strong>di</strong>rci <strong>di</strong><br />

più, una storia positiva su come le proprietà mentali e le proprietà fisiche sono in relazione e<br />

che augurabilmente ci spieghino anche perché sono correlate in tal modo" (p. 6). Forse,<br />

commenta Kim, è questo il motivo per cui Davidson ha introdotto negli anni '70 il concetto <strong>di</strong><br />

sopravvenienza. Secondo questa seconda parte della teoria <strong>di</strong> Davidson, non possono<br />

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Jaegwon Kim, La mente e il mondo fisico<br />

esserci due eventi simili in tutti gli aspetti fisici, ma <strong>di</strong>versi per qualche aspetto mentale. La<br />

novità rispetto al monismo anomalo sta nel fatto che la sopravvenienza ci <strong>di</strong>ce qualcosa<br />

riguardo alle connessioni tra i tipi <strong>di</strong> stati mentali e tipi <strong>di</strong> stati fisici e non tra i particolari<br />

eventi fisici e mentali. Nonostante secondo Davidson questa <strong>di</strong>pendenza asimmetrica del<br />

mentale dal fisico resti coerente con l'irriducibilità del mentale al fisico, secondo Kim, invece,<br />

la sopravvenienza apparve subito a molti come un nuovo centro <strong>di</strong> interesse per il rinnovato<br />

movimento fisicalista, che peraltro da parte sua non fece mai propria l'anomalia del mentale<br />

<strong>di</strong> Davidson. Comunque stiano le cose, la <strong>di</strong>versa ricezione della novità <strong>di</strong> Davidson<br />

comportò nei fatti che la sopravvenienza si <strong>di</strong>staccò progressivamente dal suo contesto<br />

originario, per assumere una propria vita autonoma nel <strong>di</strong>battito mente-corpo alla fine <strong>degli</strong><br />

anni '70.<br />

Per quanto riguarda i funzionalisti invece, questi secondo Kim non erano affatto interessati ai<br />

problemi metafisici e pochi si interrogavano sulle conseguenze della loro teoria sulla<br />

relazione mente-corpo. Per la <strong>maggio</strong>r parte <strong>di</strong> essi le proprietà mentali erano implementate<br />

o realizzate dalle proprietà fisiche, pur restando irriducibili a quelle. Per costoro la<br />

sopravvenienza <strong>di</strong>venne pertanto la "copertura" teorica che li toglieva dall'imbarazzo<br />

metafisico <strong>di</strong> giustificare la loro posizione. Da una parte infatti la sopravvenienza giustificava<br />

il primato del dominio fisico, <strong>di</strong>feso da gran parte dei funzionalisti, dall'altra garantiva una<br />

certa autonomia al mentale ed escludeva a sua volta il riduzionismo. Questa posizione,<br />

riassumibile con Block nell'espressione "consenso anti-riduzionista" finì col <strong>di</strong>ventare<br />

<strong>maggio</strong>ritaria, per restarlo, secondo Kim, ancora oggi e non solo nell'ambito della filosofia<br />

della mente. Ciò è dovuto probabilmente anche dai gran<strong>di</strong> vantaggi che questa soluzione<br />

offre: qualsiasi scienziato non fisico può infatti mettersi a stu<strong>di</strong>are la propria scienza<br />

particolare, senza sentirsi obbligato a verificare la natura fisica delle leggi che regolano gli<br />

eventi da lui presi in considerazione. E anche se probabilmente nessuno scienziato si pone<br />

<strong>di</strong> fatto questo problema, il fisicalismo non-riduzionista offre la giustificazione metafisica <strong>di</strong><br />

questa posizione.<br />

A fianco del funzionalismo e della sopravvenienza c'è infine una terza teoria tornata <strong>di</strong><br />

recente in auge, l'emergentismo, che dopo un periodo <strong>di</strong> fasti, collocabile tra gli anni '20 e<br />

'30, era caduta in <strong>di</strong>sgrazia con l'avvento della cultura scientifica e positivista negli anni '50.<br />

Se l'emergentismo ritrova oggi un rinnovato vigore, accomunato, per Kim, a certi elementi<br />

del neovitalismo e teorie dell'élan vital, ciò è dovuto se non tutto almeno in parte proprio<br />

all'attuale crisi del riduzionismo fisicalistico.<br />

A questo punto l'autore inizia un'analisi delle <strong>di</strong>verse posizioni che in mo<strong>di</strong> <strong>di</strong>versi occupano<br />

gli altri tre capitoli e la parte conclusiva del primo.<br />

Per quanto riguarda la sopravvenienza, Kim ritiene che essa non sia una teoria mentecorpo.<br />

Limitandosi quasi esclusivamente alla descrizione del modello <strong>di</strong> "sopravvenienza<br />

forte" si stabilisce che una proprietà fisica <strong>di</strong> base P, che è la base per la proprietà mentale<br />

M, garantisce in modo necessario l'occorrenza <strong>di</strong> M; ossia necessariamente se qualcosa<br />

esemplifica P, allora esemplifica M (p. 11).<br />

Anche assumendo che il mentale sopravvenga sul fisico e nonostante le sue precedenti<br />

posizioni sulla questione, Kim nega oggi che la sopravvenienza possa essere considerata<br />

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Jaegwon Kim, La mente e il mondo fisico<br />

una spiegazione della relazione mente-corpo. Per essere una spiegazione sarebbe infatti<br />

necessario, che la sopravvenienza ci fornisse elementi sostanziali, mentre, per Kim, la<br />

sopravvenienza è semplicemente una teoria "fenomenologica", descrittiva del rapporto<br />

mente-corpo. In questo senso la sopravvenienza pone il problema del rapporto tra fisico e<br />

mentale senza poterlo risolvere. Nonostante ciò, la sopravvenienza fornisce un modello<br />

descrittivo particolarmente raffinato, in particolar modo suscettibile <strong>di</strong> essere considerato<br />

secondo un modello "mereologico" o "a strati" sul qual vale la pena soffermarsi. Questa<br />

relazione presenta un modello "a strati' o "livelli" in cui da un livello <strong>di</strong> base si passa<br />

progressivamente, verso l'alto, a livelli più complessi. Il modello stratificato, che ha sostituito<br />

quello cartesiano <strong>di</strong> due sostanze in<strong>di</strong>pendenti, che pur ammettendo interazioni causali,<br />

offrivano un modello sostanzialmente <strong>di</strong>cotomico, è a sua volta <strong>di</strong>ventato un modello<br />

fondamentale per <strong>di</strong>versi ambiti filosofici, dalla metafisica, alla filosofia della scienza, con<br />

<strong>di</strong>verse finalità descrittive, dal problema mente-corpo allo statuto delle scienze speciali e altri<br />

ancora. Il pregio <strong>di</strong> questo modello è quello <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguere , all'interno <strong>di</strong> un progetto<br />

essenzialmente unitario, una serie <strong>di</strong> livelli autonomi e relativamente in<strong>di</strong>pendenti. La<br />

domanda cruciale che Kim si pone è a questo punto la seguente: "come sono relazionate le<br />

proprietà caratteristiche <strong>di</strong> un dato livello alle proprietà ai livelli a<strong>di</strong>acenti, in particolare, a<br />

quelli dei livelli inferiori?" (p. 17). A seconda delle risposte che noi <strong>di</strong>amo a questa domanda<br />

si pongono, nel caso del rapporto mente-corpo, i <strong>di</strong>versi modelli esplicativi esistenti: il<br />

riduzionismo, l'anti-riduzionismo, l'in<strong>di</strong>vidualismo metodologico, l'emergentismo, il neovitalismo<br />

ecc. Si possono inoltre dare o risposte singole o <strong>di</strong>verse risposte, una per livello o<br />

<strong>di</strong>verse per stessi livelli: nel caso delle proprietà mentali alcune, i qualia (cioè le proprietà<br />

fenomeniche), sono considerabili irriducibili a livelli più bassi, altre, come invece le proprietà<br />

intenzionali, riducibili.<br />

Se applichiamo la sopravvenienza al modello stratificato ve<strong>di</strong>amo che per qualsiasi x e y<br />

appartenenti ad un livello L (<strong>di</strong>verso dal livello più basso) se questi due elementi sono tra<br />

loro in<strong>di</strong>scernibili per le proprietà dei livelli più bassi (se cioè sono microin<strong>di</strong>scernibili), allora<br />

sono tra loro in<strong>di</strong>scernibili anche per tutte le proprietà a livello L. La microin<strong>di</strong>scernibilità dei<br />

due elementi x e y viene definita in termini <strong>di</strong> una funzione biunivoca tra le parti, che<br />

appartengono ai livelli inferiori, ottenute dalla scomposizione <strong>di</strong> x e y. La sopravvenienza<br />

applicata al modello stratificato dà luogo alla sopravvenienza mereologica, per cui le<br />

proprietà <strong>degli</strong> interi <strong>di</strong>pendono dalle proprietà delle loro parti. Nel caso del rapporto mentecorpo<br />

possiamo <strong>di</strong>re che le proprietà mentali sono macroproprietà sopravvenienti su<br />

microproprietà. Ma ancora non abbiamo risolto la questione fondamentale <strong>di</strong> come queste<br />

proprietà siano effettivamente in relazione tra loro. Se vadano accettate come fatti bruti o se<br />

possono essere ulteriormente analizzate. La sopravvenienza mereologica ci fornisce<br />

comunque un importante schema ontologico in cui inquadrare e auspicabilmente risolvere la<br />

natura del rapporto mente-corpo.<br />

A questo punto Kim passa alla presentazione della teoria della realizzazione fisica, detta<br />

anche "funzionalismo fisicalista", in quanto le proprietà vengono considerate come "proprietà<br />

funzionali", che svolgono ruoli, funzioni <strong>di</strong> passaggio dagli input sensoriali agli output<br />

comportamentali. Nel caso del dolore, una particolare mo<strong>di</strong>ficazione dei tessuti comporta<br />

una serie <strong>di</strong> comportamenti tipici. Parliamo a questo proposito <strong>di</strong> proprietà <strong>di</strong> second'or<strong>di</strong>ne<br />

generate dalla quantificazione <strong>di</strong> proprietà <strong>di</strong> base.<br />

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Jaegwon Kim, La mente e il mondo fisico<br />

Lo schema è il seguente: una proprietà F (essere colorato) è <strong>di</strong> second'or<strong>di</strong>ne sulla serie B<br />

<strong>di</strong> proprietà <strong>di</strong> base (essere rosso, essere verde, ecc.) se e solo se F è la proprietà <strong>di</strong> avere<br />

qualche proprietà P in B, tale che D(P), dove D è la descrizione ("è la proprietà <strong>di</strong> avere un<br />

certo colore"), che specifica una con<strong>di</strong>zione sui membri <strong>di</strong> B. Pertanto nel caso delle<br />

definizioni funzionali <strong>di</strong> una proprietà mentale M, la descrizione D specifica il ruolo causale<br />

che le proprietà P (realizzatori fisici o <strong>di</strong> altro tipo) devono possedere.<br />

Nel caso della proprietà funzionale della "dormitività", questa è posseduta da quelle<br />

sostanze che hanno la proprietà chimica <strong>di</strong> far dormire: il Valium e il Seconal possiedono<br />

entrambi questa proprietà funzionale (<strong>di</strong> second'or<strong>di</strong>ne) che però viene svolta da due <strong>di</strong>versi<br />

realizzatori (<strong>di</strong> prim'or<strong>di</strong>ne): il "<strong>di</strong>azepam" e il "secobarbital". La conseguenza <strong>di</strong> questo fatto,<br />

corrispondente allo spirito del funzionalismo, è che "essere in uno stato mentale significa<br />

essere in uno stato con queste e altre proprietà come cause tipiche e con queste e altre<br />

proprietà come tipici effetti" (p. 23).<br />

In questo senso essere una proprietà funzionale o un realizzatore <strong>di</strong>pende dalle relazioni<br />

causali/nomologiche con altre proprietà, e non da un loro carattere intrinseco. In altre parole,<br />

che una determinata proprietà funga da realizzatore per una proprietà <strong>di</strong> livello superiore,<br />

<strong>di</strong>pende esclusivamente dalle relazioni causali/nomologiche che essa intesse con altre<br />

proprietà. Si delinea pertanto la concreta possibilità <strong>di</strong> una psicologia <strong>di</strong> atti con funzioni<br />

cognitive realizzate da proprietà fisiche <strong>di</strong> base del tutto <strong>di</strong>verse tra loro nelle varie specie o<br />

casi analizzati, ma del tutto universali quanto alle loro proprietà funzionali. La relazione tra<br />

proprietà mentali M e proprietà fisiche P <strong>di</strong>pende quin<strong>di</strong> dal sistema <strong>di</strong> connessioni in cui P è<br />

inserita. In tutti i mon<strong>di</strong> nomologicamente simili a quello in cui P realizza M, P realizza M,<br />

cioè a <strong>di</strong>re la relazione <strong>di</strong> realizzazione resta invariata per tutti i sistemi con microstrutture<br />

simili.<br />

A questo punto per Kim è abbastanza semplice sostituire i realizzatori o le proprietà <strong>di</strong> base<br />

con i dati fisici e vedere come sistemi <strong>di</strong> proprietà con<br />

microstrutture fisiche simili realizzino le stesse proprietà <strong>di</strong> second'or<strong>di</strong>ne. La riduzione<br />

fisicalistica del mentale alle proprietà fisiche <strong>di</strong> base trova in questo modo un modello<br />

alternativo al "vecchio" schema riduzionistico <strong>di</strong> Nagel, sostanzialmente ripreso da quello <strong>di</strong><br />

Hempel, basato sul presupposto che la legge sia derivata dalla teoria <strong>di</strong> base con l'aggiunta<br />

<strong>di</strong> leggi ponte universali che servono a determinare i passaggi <strong>di</strong> livello<br />

E' stata proprio la presenza <strong>di</strong> queste leggi-ponte universali a determinare da parte <strong>degli</strong> antiriduzionisti<br />

la più efficace critica al modello riduzionista. Nel caso del rapporto mente-corpo<br />

infatti, era sufficiente considerare la realizzabilità multipla delle proprietà mentali per rendere<br />

problematico, sia dal punto <strong>di</strong> vista logico che ontologico, lo statuto <strong>di</strong> queste leggi. Dal<br />

punto <strong>di</strong> vista del nuovo modello riduzionistico appena presentato da Kim, la riducibilità <strong>di</strong><br />

una proprietà <strong>di</strong>pende invece dal grado <strong>di</strong> funzionalizzabilità, cioè dal suo essere interpretata<br />

come proprietà funzionale sopravveniente le proprietà del dominio fisico. (p.e. il gene è il<br />

realizzatore della trasmissione dei caratteri ere<strong>di</strong>tari; o, anche, il Dna è il realizzatore del<br />

gene, laddove in mon<strong>di</strong> con microlivelli <strong>di</strong>fferenti possono esserci altri realizzatori del gene o<br />

non esservi affatto).<br />

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Jaegwon Kim, La mente e il mondo fisico<br />

Una volta reinquadrato il tema del riduzionismo fisicalista all'interno <strong>di</strong> una cornice che ne<br />

rende almeno ragionevole l'assunzione, Kim nella seconda lezione si ripropone e ci<br />

ripropone la domanda su come sia possibile per la mente esercitare i propri poteri in un<br />

mondo fondamentalmente fisico. Innanzitutto ancor prima <strong>di</strong> formulare ipotesi <strong>di</strong> risposta Kim<br />

afferma a chiare lettere che una causazione mentale purchessia esiste. Eliminare la<br />

causazione mentale non significherebbe infatti solo eliminare la possibilità <strong>di</strong> agire nel<br />

mondo, <strong>di</strong> credere cioè <strong>di</strong> poter agire nel mondo e realmente <strong>di</strong> farlo, ma eliminerebbe altresì<br />

la possibilità <strong>di</strong> conoscere il mondo. Infatti non solo la memoria, ma il pensiero, il desiderio<br />

ecc. sono tutte cose rese possibili dall'assunzione dell'esistenza della causazione mentale.<br />

A questo punto Kim prima elenca e poi analizza tre tipici elementi <strong>di</strong> <strong>di</strong>fficoltà che rendono<br />

particolarmente problematica l'assunzione della causazione mentale: 1) il monismo<br />

anomalo, 2) la teoria computazionale e la teoria dell'esternalità del contenuto; 3)<br />

l'"esclusione causale".<br />

Il monismo anomalo <strong>di</strong> Davidson, come già detto nel primo capitolo, impe<strong>di</strong>sce <strong>di</strong> prendere<br />

in considerazione nessi causali tra eventi mentali. Non solo non esistono per Davidson nessi<br />

causali tra eventi mentali e eventi fisici, ma non ne esistono nemmeno tra eventi mentali<br />

presi in se stessi. Sempre per Davidson le uniche strutture causali presenti nel mondo sono<br />

quelle fisiche e se gli eventi mentali danno l'impressione <strong>di</strong> avere effetti causali questo<br />

avviene perché sono identici a eventi fisici causalmente efficaci. Il mentale in quanto tale è<br />

causalmente inefficace e l'intera struttura causale del mondo non verrebbe mo<strong>di</strong>ficata da<br />

una universale soppressione <strong>di</strong> quello. Il mentale in questa maniera assume uno statuto<br />

epifenomenico e la domanda iniziale va riformulata in maniera tale da vedere se le proprietà<br />

anomale possono essere (e se si, come) proprietà causali. (Davidson ha proposto <strong>di</strong><br />

utilizzare la sopravvenienza come modello per risolvere la <strong>di</strong>fficoltà, anche se Kim, più<br />

avanti, argomenterà il suo scetticismo in proposito).<br />

Dopo il monismo anomalo si passa ad affrontare il tema del sintatticismo, per cui le proprietà<br />

mentali sono causali solo in virtù delle proprietà formali-sintattiche e non <strong>di</strong> quelle<br />

semantiche. Il modello dominante in questo caso è quello computazionale, preso a prestito<br />

dai processi <strong>di</strong> informazione presenti nei computer <strong>di</strong>gitali. La causazione in questo secondo<br />

modello avviene in modo relazionale ed estrinseco: due organismi aventi le stesse proprietà<br />

fisiche <strong>di</strong> base possono avere comportamenti esterni <strong>di</strong>versi: pren<strong>di</strong>amo due rane con<br />

proprietà fisiche identiche, una sulla Terra, l'altra su Terra-Gemella, che <strong>di</strong>fferiscono solo<br />

perché sulla prima esistono mosche, mentre sulla seconda no. La prima rana,<br />

opportunamente stimolata, crede <strong>di</strong> vedere una mosca, l'altra crede <strong>di</strong> vedere un'altra cosa<br />

("schmy", piccoli pipistrelli <strong>di</strong> cui si cibano le rane su Terra - Gemella). Il comportamento in<br />

entrambi i casi scatta a prescindere da ciò che è creduto internamente dall'agente, bensì<br />

motivato solo dalla "forma", dalla relazione intercorrente tra agente e mondo circostante. In<br />

questo caso la relazione causale è esterna e non interna all'agente, dove invece credevamo<br />

fosse situata e pertanto si pone il problema <strong>di</strong> vedere come è possibile che relazioni esterne<br />

vengano considerate relazioni causali. Il terzo problema infine è posto dall'esclusione<br />

causale. La questione si pone nel modo seguente: un evento mentale m, nel tempo t, causa<br />

l'evento fisico p. m e p appartengono ai generi M e P e in virtù <strong>di</strong> ciò è mantenuta la<br />

relazione causale. La domanda è: p, nello stesso tempo t, ha anche una causa fisica <strong>di</strong><br />

genere fisico N? Se esclu<strong>di</strong>amo che p abbia una causa fisica, rica<strong>di</strong>amo nel dualismo<br />

interazionista cartesiano, ma se p ha anche una causa fisica in t, allora bisogna domandarsi<br />

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Jaegwon Kim, La mente e il mondo fisico<br />

sulla rilevanza per p della causa mentale m. Sembra cioè che la causa fisica escluda la<br />

causa mentale.<br />

Per risolvere il problema della causazione mentale all'interno <strong>di</strong> un coerente fisicalismo non<br />

basta, secondo Kim, la sopravvenienza, anzi questa può <strong>di</strong>ventare parte del problema.<br />

Assumiamo infatti <strong>di</strong> voler mo<strong>di</strong>ficare un nostro <strong>di</strong>segno per renderlo esteticamente più bello.<br />

Non possiamo non agire sul livello fisico, aggiungendo o togliendo qualcosa al nostro<br />

<strong>di</strong>segno. In questo senso una proprietà estetica M' (<strong>di</strong> second'or<strong>di</strong>ne) viene causata da una<br />

proprietà mentale M ma sopravviene su una proprietà fisica P' (<strong>di</strong> prim'or<strong>di</strong>ne). Allo stesso<br />

tempo M' ha due cause e si determina quin<strong>di</strong> una sovradeterminazione causale. La<br />

conclusione cui arriva Kim è abbastanza netta: la sopravvenienza non sembra essere<br />

necessaria a spiegare la causazione: questa situazione paradossale per cui la<br />

sopravvenienza non riesce a dare <strong>di</strong>mostrazione della causazione mentale: questa<br />

situazione viene definita da Kim come "la vendetta <strong>di</strong> Cartesio". Il problema, secondo il<br />

nostro autore si può risolvere solo se "alleggeriamo" il peso dell'argomento della<br />

sopravvenienza. Gli stessi Fodor e Searle infatti pur sostenendo la genuina attività causale<br />

delle proprietà sopravvenienti non sembrano fornire delle argomentazioni circa il fatto che le<br />

cose stiano effettivamente così. Searle per esempio in The Re<strong>di</strong>scovery of Mind sostiene<br />

che come il mal <strong>di</strong> testa ci fa prendere un'aspirina, alla stessa maniera ma ad un livello<br />

<strong>di</strong>fferente, dei processi neuronali <strong>di</strong> un certo tipo ne causano altri <strong>di</strong> un altro tipo. Ci<br />

troveremmo <strong>di</strong> fronte a due descrizioni concordanti dello stesso sistema, ma non <strong>di</strong> fronte a<br />

due descrizioni dello stesso fenomeno, obietta Kim.<br />

A questo punto Kim (capitolo 3) passa in rassegna le ipotesi da lui definite "a buon mercato",<br />

quelle cioè che mirano ad una sostanziale liquidazione del problema della causazione<br />

mentale col minimo impegno metafisico.<br />

Se esaminiamo il caso <strong>di</strong> un desiderio cosciente <strong>di</strong> bere, posso ragionevolmente affermare<br />

che questo desiderio causa il mio andare in cucina a prendere un bicchiere d'acqua. Questa<br />

è una tipica esemplificazione <strong>di</strong> causazione del mentale sul fisico. A sua volta questo<br />

desiderio è scomponibile in parti più semplici. Se abbiamo a <strong>di</strong>sposizione una<br />

sufficientemente buona descrizione neurofisiologica possiamo altresì affermare che il fatto <strong>di</strong><br />

spostare il mio piede sinistro (fatto semplice del fatto complesso "andare in cucina") sia<br />

causato da un evento neurofisiologico N. Secondo Kim questo è sufficiente per stabilire una<br />

tensione tra le due cause: quella mentale (il desiderio) e quella fisica (l'evento N). In questa<br />

tensione consiste il problema della causazione mentale. Secondo Burge il problema non<br />

sussiste in quanto i due ambiti restano sufficientemente remoti l'uno dall'altro perché questa<br />

tensione svanisca. Invece per Kim proprio come un incedente stradale può essere imputato<br />

sia all'errore dell'automobilista sia all'errore del progettista dell'autostrada, che ha <strong>di</strong>segnato<br />

una curva in maniera errata, anche nel caso della causazione mentale bisogna cercare <strong>di</strong><br />

capire che relazione c'è tra le due cause (quella mentale e quella fisica) e non limitarsi<br />

semplicemente a considerare che sono <strong>di</strong>verse l'una dall'altra. "La metafisica è il dominio<br />

dove linguaggi, teorie, spiegazioni e sistemi concettuali <strong>di</strong>fferenti vengono a unirsi e ad<br />

avere proprie reciproche relazioni ontologiche separate e chiarificate. Che ci sia un tale<br />

dominio comune è l'assunzione <strong>di</strong> un realismo generale e non tendenzioso sulle nostre<br />

attività cognitive. Se credete che non ci sia un simile dominio comune, bene, questa<br />

tendenza è altrettanto metafisica" (p. 73).<br />

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Jaegwon Kim, La mente e il mondo fisico<br />

Prima <strong>di</strong> tentare una soluzione non definitiva del problema Kim pone attenzione ad una serie<br />

<strong>di</strong> osservazioni riguardanti la generalizzazione del problema della causazione, ivi compresa<br />

quella mentale. Se ammettiamo solo la causazione fisica non scompare solo la causazione<br />

mentale, ma a livello macroscopico scompaiono tutte le causazioni descritte dalle altre<br />

scienze particolari. Nonostante nessuno abbia bisogno <strong>di</strong> una tale spiegazione, ciò<br />

non<strong>di</strong>meno dal punto <strong>di</strong> vista filosofico il problema non è irrilevante.<br />

Sempre in quest'or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> problemi sempre Burge e altri autori ritengono che l'assunzione <strong>di</strong><br />

un orizzonte fisico causale chiuso dovrebbe <strong>di</strong> per sé escludere ogni possibile causazione<br />

esterna, e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> nuovo delle scienze particolari. Questo genere <strong>di</strong> minacce svaniscono se<br />

si considera più da presso il sistema gerarchico micro-macro che tacitamente è stato<br />

supposto essere alla base del sistema delle scienze. Se infatti ogni livello superiore va<br />

ricondotto al livello inferiore è chiaro che i livelli superiori non possono presentare alcuna<br />

genuina causalità propria. Pren<strong>di</strong>amo per esempio il caso del sonnifero: una pillola contiene<br />

in sé la proprietà della dormitività, e anche la componente chimica specifica; entrambe sono<br />

proprietà allo steso livello, senza nessuna <strong>di</strong>rezione verso l'alto o verso il basso. Kim<br />

suggerisce a questo proposito <strong>di</strong> assumere lo schema <strong>di</strong> Armstrong per cui P è una<br />

proprietà basata a livello microfisico se e solo se P è scomponibile in elementi basilari non<br />

coincidenti. Alla luce <strong>di</strong> questa osservazione l'argomento della generalità perde la sua forza.<br />

Il mio tavolo - ci <strong>di</strong>ce Kim - ha una massa <strong>di</strong> 10 kg e un potere causale <strong>di</strong>rettamente<br />

<strong>di</strong>pendente da ciò, ma nessuno dei suoi microcostituenti <strong>di</strong>mostra la stessa proprietà o lo<br />

stesso potere causale. "Un insieme neurale che consista <strong>di</strong> molte migliaia <strong>di</strong> neuroni avrà<br />

proprietà i cui poteri causali vanno oltre i poteri causali delle proprietà dei suoi neuroni<br />

costituenti o dei subinsiemi e gli esseri umani possiedono poteri causali che nessuno dei<br />

nostri singoli organi possiede" (p. 93-94). La sopravvenienza micro-macro non va dunque<br />

pensata come uno svuotamento <strong>di</strong> potenzialità causali dei livelli superiori a favore esclusivo<br />

dei livelli inferiori.<br />

Kim sostanzialmente si proporne <strong>di</strong> <strong>di</strong>fendere un autentico riduzionismo nei rapporti mentecorpo<br />

senza avvalersi del metodo riduzionistico <strong>di</strong> Nagel e proponendo al suo posto, come<br />

abbiamo visto, il modello funzionale.<br />

Il punto debole del modello riduzionista <strong>di</strong> Nagel sono le "leggi ponte". Le leggi ponte<br />

costituiscono una sorta <strong>di</strong> "passaggio" tra la legge "basilare" e quella sovraor<strong>di</strong>nata. In linea<br />

<strong>di</strong> principio comunque qualsiasi riduzionismo deve fare i conti con leggi che stabiliscono<br />

proprietà coestensive tra le leggi da ridurre e quelle <strong>di</strong> base. Le leggi ponte <strong>di</strong> Nagel non<br />

sono dotate <strong>di</strong> sufficiente generalità, visto che queste <strong>di</strong>pendono ogni volta dalle coppie <strong>di</strong><br />

teorie in considerazione, a meno che, ma questo non è il caso della psicologia e della<br />

neurobiologia per il rapporto mente-corpo, non <strong>di</strong>sponiamo <strong>di</strong> due leggi rigide e complete.<br />

A questo punto è particolarmente utile considerare le leggi ponte come bicon<strong>di</strong>zionali e<br />

stabilire pertanto una coestensione P tra le proprietà M della teoria da ridurre e il dominio <strong>di</strong><br />

base. Ora se l'insieme <strong>di</strong> leggi da ridurre L non è derivabile dal dominio <strong>di</strong> base è sufficiente<br />

riscrivere queste leggi nel dominio <strong>di</strong> base servendosi delle leggi ponte come definizioni. In<br />

questa maniera si aumenta la teoria <strong>di</strong> base senza mo<strong>di</strong>ficarne l'ontologia e senza<br />

compromettere la sensatezza della riduzione. Ora abbiamo leggi ponte della forma MP<br />

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Jaegwon Kim, La mente e il mondo fisico<br />

con le quali possiamo affrontare le critiche del fisicalismo non-riduzionista.<br />

Stando al monismo anomalo <strong>di</strong> Davidson non esistono leggi che correlano le proprietà<br />

mentali con quelle fisiche, quin<strong>di</strong> nessuna legge ponte, tanto meno bicon<strong>di</strong>zionale. Secondo<br />

Kim l'argomento della realizzazione multipla, che comunque non impe<strong>di</strong>sce l'assunzione <strong>di</strong><br />

una legge, che almeno nomologicamente, connetta un realizzatore con il "suo" evento<br />

mentale, è considerevolmente <strong>di</strong>verso dal anomalismo <strong>di</strong> Davidson. Questo infatti, pensato<br />

solo per il mentale, nega connessioni <strong>di</strong> tipo tra proprietà fisiche e proprietà mentali, per<br />

riconoscere alle seconde funzioni nomologiche e alle prime funzioni descrittive.<br />

Il noto fenomeno detto della "realizzabilità multipla", che sembra fatto apposta proprio per<br />

demolire il riduzionsimo nageliano ( e ogni riduzionismo a venire), non va considerato,<br />

secondo Kim, come l'attacco più pericoloso per le sorti del fisicalismo.<br />

Lo stesso Davidson ha negato che esistano leggi rigide tra il mentale e il fisico, mentre allo<br />

stesso tempo pretende che le leggi ponte del riduzionismo siano per l'appunto leggi rigide<br />

(limitandone l'esistenza alla sola fisica <strong>di</strong> base). Questa sembra più una posizione <strong>di</strong><br />

principio più che un vero argomento "contro" il riduzionismo. Il punto <strong>di</strong> vista che Kim<br />

riba<strong>di</strong>sce quin<strong>di</strong> con forza è che la realizzazione molteplice non impe<strong>di</strong>sce la riducibilità del<br />

mentale al fisico.<br />

Innanzitutto è possibile descrivere una riduzione "locale": in determinati mon<strong>di</strong> con leggi <strong>di</strong><br />

base simili i realizzatori delle proprietà mentali saranno identici in in<strong>di</strong>vidui della stessa<br />

specie. La <strong>di</strong>versità dei realizzatori <strong>di</strong>pende quin<strong>di</strong> dalla varietà delle leggi <strong>di</strong> base per i<br />

singoli casi. Anche nel caso in cui all'interno dello stesso mondo e dello stesso in<strong>di</strong>viduo i<br />

realizzatori <strong>di</strong> base cambino <strong>di</strong> continuo, il riduzionismo, pur <strong>di</strong>ventando in questa maniera<br />

probabilmente inutile, resta comunque metafisicamente perfettamente plausibile.<br />

Piuttosto grave nei confronti del riduzionismo <strong>di</strong> Nagel risulta essere la questione della<br />

semplificazione ontologica. Allargare, come si è visto sopra, le leggi <strong>di</strong> base e introdurre<br />

leggi ponte come definizioni oltre a non produrre alcuna semplificazione ontologica, cosa<br />

che dal riduzionismo comunque ci si aspetterebbe, non consente nessuna vera<br />

semplificazione nemmeno dal punto <strong>di</strong> vista epistemologico, essendo le leggi ponte in ogni<br />

caso contingenti e lasciando <strong>di</strong> conseguenza <strong>di</strong>stinte le leggi da ridurre e quelle <strong>di</strong> base.<br />

L'unica possibilità consiste allora nel passare da MP a M=P, cioè dalla correlazione<br />

costante delle proprietà mentali con quelle fisiche alla loro identità. Perché questo accada la<br />

riduzione va reinterpretata funzionalmente o "estrinsecamente" (secondo quanto detto alla<br />

fine della prima lezione).<br />

Ancora una volta: per una reale semplificazione ontologica del rapporto <strong>di</strong> riduzione è<br />

preferibile rivolgersi alla "funzionalizzazione, cioè elevare le "leggi ponte" a identità.<br />

Funzionalizzare M significa rendere M non rigido, definendolo in termini <strong>di</strong> relazioni<br />

contingenti causali/nomiche con altre proprietà: qui per contingenti vuol <strong>di</strong>re non identiche in<br />

tutti i mon<strong>di</strong> possibili, ma ciononostante necessarie in tutti i mon<strong>di</strong> governati da leggi <strong>di</strong> base<br />

simili. La tesi <strong>di</strong> Kim in buona sostanza è che nonostante la funzionalizzazione sia stata<br />

usata e venga usata tutt'ora come modello per la negazione del modello riduzionista, essa<br />

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Jaegwon Kim, La mente e il mondo fisico<br />

stessa sia il migliore strumento del riduzionista per supportare la propria ipotesi.<br />

Anzi, in maniera del tutto perentoria Kim sostiene che il funzionalismo e il riduzionismo o<br />

reggono insieme o cadono insieme: essi con<strong>di</strong>vidono lo stesso destino metafisico. Perché il<br />

progetto riduzionista della mente al corpo abbia quin<strong>di</strong> successo tute le proprietà mentali<br />

debbono essere funzionlizzabili. Qui Kim ammette delle <strong>di</strong>fficoltà solo per i qualia mentre<br />

contro Searle non riconosce la non funzionalizzabilità dell'intenzionalità. Per quanto riguarda<br />

i qualia, se mai esistono, questi vanno considerati, un po' controvoglia, proprietà intrinseche.<br />

Comunque proprio per questa loro natura i qualia non hanno natura relazionale e quin<strong>di</strong><br />

sono puramente soggettivi.<br />

Infine ve<strong>di</strong>amo come la funzionalizzazione delle proprietà mentali risolva il problema della<br />

causazione mentale posto dalla sopravvenienza. In linea con un rigoroso fisicalismo<br />

riduzionista le proprietà <strong>di</strong> second'or<strong>di</strong>ne non aggiungono nessuna novità causale a quelle <strong>di</strong><br />

prim'or<strong>di</strong>ne, ma il fatto che siano determinate da queste non comporta che siano identiche<br />

con queste.<br />

A questo proposito Kim è persino <strong>di</strong>sposto ad accettare le posizioni <strong>degli</strong> emergentisti, per<br />

cui delle macroproprietà determinate da microproprietà hanno un potere causale che quelle<br />

non hanno. Posizioni <strong>di</strong> questo genere non contrad<strong>di</strong>cono il fisicalismo: è sufficiente che per<br />

fisicalismo non s'intenda il microfisicalismo, per cui farebbe parte del mondo fisico solo la<br />

struttura <strong>di</strong> base e non ciò che da essa viene determinato. Le ultime due pagine del libro<br />

meriterebbero <strong>di</strong> essere riportate per intero: qui Kim, come già detto in apertura, traendo un<br />

primo risultato riassuntivo delle analisi svolte non propone conclusioni definitive. Elenca i<br />

gravi costi del fisicalismo, una filosofia dura ed esigente, ma accenna anche all'ignoto che<br />

bisogna affrontare per addentrarsi nel dualismo. "Pensare <strong>di</strong> poter essere un fisicalista serio<br />

e allo stesso tempo godere della compagnia <strong>di</strong> cose e fenomeni che sono non-fisici, credo<br />

sia un sogno inutile. Il fisicalismo riduttivo salva il mentale ma solo come una parte del fisico<br />

(…) questo è ciò che avremmo dovuto aspettarci da sempre. Il fisicalismo non può essere<br />

ottenuto a buon mercato. Sarà prematuro, comunque, concludere che un dualismo ra<strong>di</strong>cale<br />

offre un'alternativa più realistica per salvare il mentale. Per la <strong>maggio</strong>r parte <strong>di</strong> noi il<br />

dualismo è un territorio inesplorato e abbiamo poca conoscenza delle possibilità e dei<br />

pericoli si nascondano in questa oscura caverna" (p. 131).<br />

In<strong>di</strong>ce<br />

In<strong>di</strong>ce; Prefazione; 1. Il problema mente-corpo: a che punto siamo; 2. I numerosi problemi<br />

della causazione mentale; 3. La causazione mentale: il colpo <strong>di</strong> coda e le soluzioni a buon<br />

mercato; 4. Riduzione e riduzionismo: un nuovo look. Note; Appen<strong>di</strong>ce: intervista a Jaegwon<br />

Kim <strong>di</strong> Nicola Simonetti; Bibliografia; In<strong>di</strong>ce analitico.<br />

L'autore<br />

Jaegwon Kim insegna filosofia alla Brown University. Tra i suoi numerosi lavori de<strong>di</strong>cati alla<br />

filosofia della mente ricor<strong>di</strong>amo i recenti Supervenience and Mind (1993) e Philosophy of<br />

Mind (1996).<br />

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Jaegwon Kim, La mente e il mondo fisico<br />

Links<br />

Il sito <strong>di</strong> Kim alla Brown University<br />

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<strong>Università</strong> <strong>degli</strong> <strong>Stu<strong>di</strong></strong> <strong>di</strong> <strong>Bari</strong> - Laboratorio <strong>di</strong> Epistemologia Informatica e Dipartimento <strong>di</strong> Scienze<br />

Filosofiche<br />

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Sini, Carlo, Idoli della conoscenza<br />

<strong>Università</strong> <strong>degli</strong> <strong>Stu<strong>di</strong></strong> <strong>di</strong> <strong>Bari</strong> - Laboratorio <strong>di</strong> Epistemologia Informatica e Dipartimento <strong>di</strong> Scienze Filosofiche<br />

Sini, Carlo, Idoli della conoscenza<br />

Milano, Cortina, 2000, pp. 263, Lit. 35.000<br />

Recensione <strong>di</strong> Filippo Trasatti - 18/02/<strong>2001</strong><br />

In<strong>di</strong>ce - L'autore - Links<br />

[Parole chiave: conoscenza, scienza, significato, relativismo]<br />

E' bello vedere che la filosofia come esercizio dell'interrogazione dopo 2500 anni gode <strong>di</strong><br />

buona salute e riesce ad affrontare ancora questioni decisive quando è praticata da filosofi<br />

come Carlo Sini , or<strong>di</strong>nario <strong>di</strong> filosofia teoretica e da qualche decennio maestro artigiano<br />

della pratica filosofica all'<strong>Università</strong> Statale <strong>di</strong> Milano, che nel suo ultimo saggio, Idoli della<br />

conoscenza, affronta da par suo in modo magistrale la questione della conoscenza<br />

attraverso un lungo e affascinante percorso che ci porta da Platone a Putnam.<br />

"Idoli" della conoscenza rimanda a <strong>di</strong>versi significati: a Bruno e a Bacon per la critica <strong>degli</strong><br />

idola, fantasmi, simulacri, pregiu<strong>di</strong>zi della conoscenza, in altre parole per denominare ciò<br />

che induce in errore; dall'altra a eidolon come immagine, modello, forma della conoscenza,<br />

con un significato più neutro, ma non meno impegnativo se si pensa alla densità semantica<br />

che ha l'eidos nella filosofia occidentale.<br />

In questo libro si possono scorgere in filigrana le tappe che hanno segnato l'itinerario<br />

filosofico dell'autore: la formazione fenomenologica alla scuola <strong>di</strong> Enzo Paci <strong>di</strong> Milano e<br />

soprattutto decisiva la me<strong>di</strong>tazione sulla Crisi delle scienze europee che, a mio parere, fa da<br />

sfondo all'intero percorso; Heidegger e la questione dell'essere e dell'evento; gli stu<strong>di</strong> sul<br />

pragmatismo americano e in particolare l'incontro con la "semiotica" <strong>di</strong> Charles S. Peirce; la<br />

cosmologia e negli ultimi anni l'interesse per la scrittura e l'alfabeto, alle origini della nostra<br />

pratica filosofica. Seguiamo ora il percorso <strong>di</strong> Sini.<br />

La domanda che muove l'intera ricerca sulla conoscenza ci viene proposta attraverso le<br />

parole dell'incipit : "La cosa più incomprensibile dell'universo è la conoscenza" , firmato<br />

Albert Einstein, l'idolo della scienza del Novecento, colui che molto più facilmente <strong>di</strong> altri può<br />

incarnare l'immagine dello scienziato geniale che elabora una nuova immagine rivoluzionaria<br />

del mondo. Dunque chi meglio <strong>di</strong> lui può essere l'interlocutore <strong>di</strong> questa interrogazione che<br />

prima <strong>di</strong> ogni altra cosa riguarda la conoscenza scientifica? Il padre della relatività è<br />

particolarmente adatto allo scopo <strong>di</strong> questa <strong>di</strong>scussione perché nell'ambito della scienza del<br />

XX secolo ha assunto posizioni al tempo stesso problematiche sull'enigma della conoscenza<br />

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Sini, Carlo, Idoli della conoscenza<br />

umana e dall'altra , in contrapposizione a <strong>di</strong>verse interpretazioni dei nuovi risultati scientifici,<br />

ha sostenuto la tesi del realismo: la scienza si approssima a ciò che è reale, che esiste<br />

veramente nel mondo. Detto altrimenti, l'enigma della conoscenza è proprio questo che le<br />

teorie, che sono costrutti concettuali, fatti <strong>di</strong> parole , numeri e metafore descrivano com'è la<br />

realtà in sé, realtà che non è fatta <strong>di</strong> parole, numeri e metafore. Com'è possibile che questo<br />

iato venga colmato progressivamente dall'impresa scientifica?<br />

La scienza , in questo ( e in poco d'altro ) solidale con il senso comune non pensa questo<br />

problema, anzi non lo vede affatto come un problema: ci vive dentro come in una casa<br />

abitata da tempo immemorabile, l'unica casa conosciuta. Ma qui sorge il conflitto (e il<br />

<strong>di</strong>alogo) con la filosofia che è anche , si potrebbe <strong>di</strong>re, una sorta <strong>di</strong> irrequietezza dell'abitare,<br />

per la quale ciò che è dato dev'essere interrogato, ciò che ovvio deve <strong>di</strong>ventare problema. E<br />

fin dall'inizio comincia a chiedere: che è scienza? Com'è che l'uomo conosce? Fin dove può<br />

spingersi la conoscenza? Esistono gra<strong>di</strong> <strong>di</strong>versi della conoscenza? E così via interrogando,<br />

il filosofo si guadagna la fama dell'eterno e inconcludente rompiscatole e per<strong>di</strong>giorno che<br />

invece <strong>di</strong> occuparsi della "realtà", gira e rigira i suoi problemi filosofici senza arrivare mai a<br />

capo <strong>di</strong> nulla.<br />

Questa ricerca sulla conoscenza è anche un ritorno continuo dell'interrogazione filosofica su<br />

se stessa , perché "la domanda filosofica, a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> quella scientifica, è sempre<br />

autoreferenziale". Ponendosi la domanda sulla conoscenza, si va alla ricerca anche della<br />

provenienza <strong>di</strong> un certo modo <strong>di</strong> impostare il problema della conoscenza, all'interno della<br />

tra<strong>di</strong>zione della filosofia occidentale. La domanda sulla conoscenza, infatti, non è una<br />

domanda tra le altre. Non è come si <strong>di</strong>ce nell'ambito <strong>di</strong> altri stili filosofici, un problema<br />

poniamo accanto a quello etico, estetico e così via. E non è nemmeno che la domanda sia<br />

motivata dal fatto che la conoscenza scientifica è <strong>di</strong>ventata, per così <strong>di</strong>re, l'immagine della<br />

conoscenza dominante, almeno nel mondo occidentale. E' che nel cuore della domanda<br />

stessa possiamo cogliere ciò che è proprio del gesto filosofico fin dalla sua nascita. E la<br />

prospettiva da cui si può cogliere questo gesto è quello della genealogia. "Ogni filosofia è<br />

un'auto-bio-grafia, non in un senso meramente psicologico, ma nel senso per cui si può <strong>di</strong>re<br />

che in ogni sapere (saper fare, <strong>di</strong>re, scrivere) è compresa una genealogia, che è<br />

l'autobiografia <strong>di</strong> quel sapere"(p.127).<br />

Ciò a cui ci invita Sini è la ricostruzione genealogica delle operazioni costruttive che ci<br />

portano a pensare come pensiamo, a porre i problemi che poniamo, a costruire i concetti<br />

che poi adoperiamo come se fossero ovvietà o peggio ancora specchi riflettenti, a vedere il<br />

mondo come un'ovvietà in<strong>di</strong>scutibile. In queste tematiche è possibile sentire l'eco delle<br />

ultime ricerche husserliane della Crisi delle scienze europee delle scienze europee: la<br />

scienza ha smarrito il senso delle proprie origini e della propria destinazione. Essa <strong>di</strong>mentica<br />

<strong>di</strong> costruire sulle ovvietà del "mondo della vita" (Lebenswelt) che ci sono a portata <strong>di</strong> mano;<br />

ignora o non vuol sapere che il mondo obiettivo e vero della scienza è una costruzione<br />

teorica che presuppone e rinvia al "mondo della vita" che con<strong>di</strong>vi<strong>di</strong>amo. "Husserl parlava<br />

della necessità, per lo scienziato, <strong>di</strong> tenere conto del "mondo alla mano" che sempre<br />

circonda e sorregge le nostre più svariate prassi, comprese le prassi teoriche" (p.243).<br />

Ma a quale scienza si rivolge Sini con il suo <strong>di</strong>scorso genealogico se, come sosteneva<br />

provocatoriamente Feyerabend, non c'è qualcosa come la scienza? A quel nucleo duro della<br />

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Sini, Carlo, Idoli della conoscenza<br />

pratica e della mentalità scientifica che pretende che le verità della scienza siano più vere e<br />

universali <strong>di</strong> tutte le altre in virtù del metodo, della loro capacità pre<strong>di</strong>ttiva e dell'efficacia<br />

reale della loro applicazione al mondo.<br />

Molti scienziati (<strong>di</strong> buone letture epistemologiche) saranno <strong>di</strong>sposti a concedere che<br />

nell'impresa scientifica entrano <strong>di</strong>versi aspetti sociologici, economici, filosofici, ossia molto<br />

più <strong>di</strong> quei presunti "dati <strong>di</strong> realtà" che confermerebbero la teoria. Ma nonostante, non <strong>di</strong>co<br />

Feyerabend, ma anche Popper o Quine, la <strong>maggio</strong>r parte <strong>di</strong> loro (per non <strong>di</strong>re la quasi<br />

totalità) non arriverà mai a porre in <strong>di</strong>scussione quei fatti che la scienza dovrebbe accertare<br />

oggettivamente. "Le verità della scienza, anche se criticamente perfettibili, non sono affatto<br />

relative, almeno tendenzialmente: sono universali, universalmente riproducibili e verificabili,<br />

me<strong>di</strong>ante logica ed esperimento". (p.203) Questa universalità è così evidente che in tutto il<br />

mondo, in<strong>di</strong>pendentemente dalle culture, il modello scientifico trionfa come più vero ed<br />

efficace.<br />

Il presupposto, comune alla scienza e al senso comune, è che le cose accadano come<br />

accadono, in<strong>di</strong>pendentemente dal fatto che e dal come le si osserva, in<strong>di</strong>pendentemente<br />

dalla pratica teorica che le investe. Il filosofo vuole però indagare i presupposti <strong>di</strong> questa<br />

universalità, ossia mostrare i contorni, la costituzione <strong>di</strong> quest'"immagine" della scienza<br />

trionfante in tutto pianeta. La ricerca genealogica sul fatto della conoscenza e su come<br />

accade la conoscenza scientifica ha proprio il compito <strong>di</strong> portarci verso quella soglia a partire<br />

dalla quale la pratica conoscitiva si costituisce attraverso una serie <strong>di</strong> operazioni che<br />

appunto si tratta <strong>di</strong> esplicitare.<br />

Coerentemente con la pratica filosofica che Sini abita consapevolmente, egli si rivolge a quel<br />

"primo, grande e unico filosofo che egli fu", (p.80) ossia al <strong>di</strong>vino Platone. Ecco, si potrebbe<br />

osservare commentando quest'affermazione, una glossa al motto <strong>di</strong> Whitehead, secondo cui<br />

tutta la filosofia non sarebbe che una glossa a Platone: quella particolare pratica <strong>di</strong>scorsiva,<br />

quell'insieme <strong>di</strong> gesti e atteggiamenti intellettuali che chiamiamo filosofia occidentale sta<br />

tutta dentro l'orizzonte platonico. Ecco perché per comprendere ogni questione filosofica<br />

bisogna ritornare a Platone o riformularla in termini platonici. Una strategia, questa,<br />

ampiamente consolidata e praticata che non è certo l'unica , ma è coerente con un certo<br />

modo <strong>di</strong> intendere e <strong>di</strong> fare filosofia.<br />

Ritornando a Platone, Sini sceglie <strong>di</strong> mettere a fuoco il Cratilo, laddove si mostra bene il<br />

problema della separazione tra i nomi e le cose, tra il linguaggio e la realtà. Partendo dalla<br />

questione sofistica sulla naturalità o convenzionalità dei nomi, Platone giunge al problema<br />

del significato. Così Sini in<strong>di</strong>ca il cuore <strong>di</strong> questo <strong>di</strong>alogo: che cos'hanno in comune il nome e<br />

la cosa, cioè l'immagine che è il nome e la cosa che viene così significata? O come lo<br />

riproporrà nel Novecento il Wittgenstein del Tractatus: come fa la parola "nave" a significare<br />

la nave? Non c'è alcun rapporto <strong>di</strong> somiglianza come , poniamo, tra un <strong>di</strong>segno e il soggetto<br />

ritratto. La parola non imita come la musica e la pittura riferendosi all'aspetto sensibile delle<br />

cose, suoni, tratti colori; essa imita "l'essenza" della cosa. Si potrebbe far riferimento con<br />

Wittgenstein alla "raffigurazione": attraverso un rapporto stabilisco una similitu<strong>di</strong>ne. "Ecco<br />

due fiammiferi sul tavolo. Li pongo in modo da mostrare al giu<strong>di</strong>ce come è avvenuto<br />

l'incidente stradale. Nessuna proprietà del tavolo e dei fiammiferi ha una materia uguale alla<br />

strada e alle automobili, ma la <strong>di</strong>rezione dei fiammiferi corrisponde alla <strong>di</strong>rezione delle<br />

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Sini, Carlo, Idoli della conoscenza<br />

automobili, il punto <strong>di</strong> contatto corrisponde all'incidente, la capocchia al cofano e così via.<br />

Platone fa l'esempio dei colori <strong>di</strong> un quadro: s'intende che il verde delle foglie <strong>di</strong>pinte non ha<br />

alcuna materia comune con il verde <strong>di</strong> quelle reali; è solo attraverso un rapporto che<br />

stabilisco appunto una similitu<strong>di</strong>ne. La stessa cosa , <strong>di</strong>ce Socrate , accade o la facciamo con<br />

le lettere. Le lettere sono <strong>di</strong>versissime dalle cose che significano, però vi si rapportano: la "r"<br />

che in<strong>di</strong>ca uno scorrimento, la "t" che in<strong>di</strong>ca invece un impe<strong>di</strong>mento o un intoppo; ecco che<br />

l'ostacolo della lingua che batte contro i denti si rapporta alle proprietà <strong>di</strong> un ostacolo<br />

naturale e così via." (p.94)<br />

Si arriva così al problema dell'alfabeto e della scrittura cui Sini ha de<strong>di</strong>cato <strong>di</strong>versi stu<strong>di</strong> negli<br />

ultimi anni. L'alfabeto non è uno strumento come un altro per esprimere concetti. L'alfabeto<br />

ha nello stesso tempo una funzione mimetica e <strong>di</strong> astrazione che creano uno spazio logico<br />

in cui il pensiero si <strong>di</strong>spiega. Le lettere sono gesti vocali che hanno una funzione mimetica<br />

simile ai gesti del corpo. C'è un modo per <strong>di</strong>mostrare la fondatezza <strong>di</strong> tesi problematica,<br />

lontanissima dal senso comune che assume il linguaggio e i nomi come convenzionali ? Sini<br />

è convinto <strong>di</strong> sì e de<strong>di</strong>ca un capitolo piuttosto denso del libro all'esposizione della semantica<br />

bisferica <strong>di</strong> Alfred Kallir. Decifratore presso il controspionaggio inglese nel corso del secondo<br />

conflitto mon<strong>di</strong>ale, Kallir si de<strong>di</strong>cò in seguito per anni a stu<strong>di</strong>are gli alfabeti e la loro funzione<br />

mimetica.<br />

In estrema sintesi si può <strong>di</strong>re che noi abbiamo perduto quel rapporto significante e abbiamo<br />

conservato solo il suono. Bisogna guardare le lettere dell'alfabeto come se fossero immagini.<br />

"L'alfabeto allude ancora, nella sua figuratività implicita a una fase dell'esperienza della<br />

parola in cui il suono e la visione non erano <strong>di</strong>sgiunti. Originariamente i segni espressivi e<br />

comunicativi erano "simballici", cioè contenevano un suono e un'immagine <strong>di</strong> senso<br />

"psichicamente" percepiti come unità in<strong>di</strong>visa: il suono aveva figura e la figura aveva suono".<br />

(p.136) C'era insomma all'origine una profonda affinità <strong>di</strong> pronuncia, suono e visione. Le<br />

parole e i segni per scriverle sono nati da precise pratiche <strong>di</strong> vita che ancora sono visibili, se<br />

si analizzano gli alfabeti. La conclusione <strong>di</strong> Sini, sulla scorta <strong>di</strong> Kallir, è che " tutte le parole<br />

che ora abbiamo si sono costituite in base ad assimilazione ed estensione (e poi ancora<br />

altro come per esempio astrazione) <strong>di</strong> "engrammi" antichi <strong>di</strong> natura bisferica" (p.165)<br />

Engrammi che rispondono a precise forme <strong>di</strong> vita ed erano espressi attraverso suoni scritti<br />

con lettere simboliche che li richiamavano.<br />

Non seguiremo Sini in questa lunga <strong>di</strong>samina della teoria <strong>di</strong> Kallir che egli stesso sembra<br />

relativizzare in<strong>di</strong>candone l'ingenuità "archeologica". Va notato però che sullo sfondo <strong>di</strong><br />

questa <strong>di</strong>scutibile teoria sta un'immagine <strong>di</strong> rispecchiamento del mondo che l'analisi<br />

filosofica dovrebbe <strong>di</strong>ssolvere. E' come se ci fosse una solidarietà iniziale, mitica tra uomo e<br />

mondo, tra sentire e esprimere, che in seguito a determinati eventi viene per sempre<br />

spezzata. Ma tutti gli uomini erano presi nelle medesime pratiche <strong>di</strong> vita per postulare una<br />

sorta <strong>di</strong> vocabolario prebabelico universale <strong>di</strong> engrammi? E poi nel corso <strong>di</strong> quest'analisi è<br />

abbastanza facile scorgerne aspetti ideologici legati al modo occidentale e anche verrebbe<br />

da <strong>di</strong>re maschilista <strong>di</strong> vedere il mondo. Dice Kallir, ad esempio, che l'attività e la passività<br />

sono da sempre considerate come caratteristiche del maschile e del femminile. Che questa<br />

proposizione sia tutt'altro che ovvia stanno a <strong>di</strong>mostrarlo quasi un secolo <strong>di</strong> riflessione delle<br />

donne. In effetti Sini ha ragione a <strong>di</strong>re ironicamente che il suo libro non è abbastanza<br />

politicamente corretto per sbarcare oltre Atlantico. Ma torniamo alla questione della<br />

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Sini, Carlo, Idoli della conoscenza<br />

conoscenza.<br />

Nel Cratilo come in un laboratorio privilegiato, possiamo vedere all'opera quella scissione<br />

che apre il <strong>di</strong>vario, lo iato tra il nome e la cosa e in seguito al quale la conoscenza acquista<br />

appunto quel carattere enigmatico da cui la ricerca ha preso le mosse. Ma se fin dall'origine<br />

nomi e cose sono stati unite, " il dualismo su cui si incentra il problema della conoscenza<br />

sarebbe allora un falso problema, un modo astrattamente intellettualistico <strong>di</strong> pensare, perché<br />

l'esperienza dell'uomo affonda le sue ra<strong>di</strong>ci in una solidarietà dell'uomo con il mondo, della<br />

parola con la cosa che è più antico delle domande che ci poniamo sul conoscere" (p.182)<br />

Non bisogna però pensare che il lavoro genealogico, con l'analisi <strong>di</strong> questo <strong>di</strong>alogo<br />

platonico, abbia esaurito il suo compito. La genealogia, come Sini l'intende, " relativizza<br />

anche se stessa e perciò non si attribuisce in alcun modo un sapere più vero. Invece c'è un<br />

tipo <strong>di</strong> conoscenza (la conoscenza scientifica) che si attribuisce e riven<strong>di</strong>ca per sé il sapere<br />

vero, cioè universale e oggettivo." (p.202). Da dove le viene questa sicurezza? Come<br />

costruisce la propria "oggettività"? I concetti che incontriamo dentro determinate pratiche<br />

scientifiche intellettuali sono oggetti costruiti entro queste pratiche e non esistono come tali<br />

all'esterno. L'esempio della matematica come costruzione è al riguardo illuminante. "Non ci<br />

sono mai nella realtà tre mele, tre pere o tre donne come le pensa il sig. Rossi, perché un<br />

conto sono le mele e un conto è il "tre". Le mele <strong>di</strong>ventano tre quando le ho contate" (p.198)<br />

, applicando loro una pratica astrattiva e idealizzante, complessa che si tratta <strong>di</strong> determinare,<br />

riprendendo con ciò anche il progetto husserliano della Krisis . C'è un contare<br />

precategoriale, con le <strong>di</strong>ta sulla punta del naso, fatto <strong>di</strong> gesti e <strong>di</strong> intrecci <strong>di</strong> pratiche , che è<br />

la base su cui il contare aritmetico può costituirsi. In questo modo è possibile mostrare, e a<br />

questo Sini de<strong>di</strong>ca la parte conclusiva della sua opera che prelude a successive ricerche,<br />

come l'oggettività scientifica si costruisca attraverso le pratiche universalizzanti della<br />

decontestualizzazione, della retrocessione del testimone (usando un'espressione <strong>di</strong> Peirce),<br />

del <strong>di</strong>stanziamento e della ricollocazione del soggetto in posizione <strong>di</strong> osservatore universale.<br />

Quando gli scienziati copernicani contrappongono il modello eliocentrico a quello<br />

geocentrico <strong>di</strong>cono che in<strong>di</strong>pendentemente da ogni tempo, luogo, contesto , pratica,<br />

concetto, il sole è realmente al centro del nostro sistema solare e attorno a lui orbitano tutti i<br />

pianeti, Terra compresa. Già ai tempi <strong>di</strong> Giosuè le cose stavano così, anche se lui e i suoi<br />

contemporanei non lo sapevano. Ma per costruire questa immagine del mondo bisogna , per<br />

<strong>di</strong>re un'ovvietà, andare contro il senso comune secondo cui è il Sole e non la Terra a<br />

muoversi. Bisogna accettare che le prove strumentali siano più vere delle prove visuali.<br />

Bisogna operare un <strong>di</strong>stacco dal proprio concreto punto <strong>di</strong> vista. La scienza costruisce non<br />

solo "oggetti" su cui compiere le proprie operazioni, ma il soggetto umano in generale , il<br />

testimone universale, fuori del tempo, dello spazio e delle pratiche. "Lo scienziato che <strong>di</strong>ce<br />

che la Terra gira intorno al Sole non nomina, come lui crede, <strong>degli</strong> oggetti reali esistenti in<br />

sé; nomina invece un luogo del soggetto. Dice che il soggetto , ogni esser soggetti così<br />

atteggiati, si può collocare là dove questa proposizione ha un senso e <strong>degli</strong> effetti universali,<br />

inerenti e <strong>di</strong>pendenti dal tipo particolare della sua decontestualizzazione" (p.238)<br />

Chi guarda, chi interpreta il mondo in modo scientifico? Risposta: tutti devono fare così,<br />

perché quello è il mondo vero. Il filosofo non è d'accordo. Pensa che vada problematizzta<br />

questa ovvietà, che se ne debba mostrare l'origine e anche il telos. La pratica scientifica è<br />

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Sini, Carlo, Idoli della conoscenza<br />

una pratica che cancella le proprie tracce per mostrarsi come specchio ingenuo della verità.<br />

Ma a che si vuole arrivare <strong>di</strong>cendo questo? Si vuol tornare in questo modo forse<br />

all'idealismo e alla sua interpretazione volgare secondo cui le cose in sé sarebbero prodotti<br />

del soggetto? Niente <strong>di</strong> tutto questo, spiega Sini. Quando la filosofia <strong>di</strong>ce che le cose in sé<br />

non ci sono, non vuol <strong>di</strong>re che non c'è l'essere, ma che l'essere si dà sempre in una<br />

prospettiva, mai assolutamente. E per chiarire ancora. "Non abbiamo detto che le cose ci<br />

sono in quanto interpretate, in quanto poste in opera da una pratica. Stiamo <strong>di</strong>cendo che le<br />

cose ci sono , ma sempre nel loro modo d'essere una pratica; ovvero che non ci sono cose il<br />

cui modo d'essere non sia relativo a una pratica. Ma non è che ci siano in quanto sono<br />

relative a una pratica; <strong>di</strong>ciamo che sono così: relative a una pratica, non che la pratica sia la<br />

causa del loro esserci; piuttosto, è la loro modalità."(p.241) Nel punto più denso<br />

teoreticamente del percorso, Sini ci propone un modo <strong>di</strong>verso <strong>di</strong> guardare all'evento.<br />

L'evento accade sempre in una prospettiva, ossia astraendosi dalle sue infinite possibilità.<br />

Che una una cosa sia, ossia l'evento, è la determinazione astrattiva che nello stesso tempo<br />

pone il suo che cosa. Si potrebbe <strong>di</strong>re: non il dass-sein <strong>di</strong>pende dal was-sein, ma il contrario.<br />

Ogni pratica è la modalità in cui l'evento accade, in prospettiva, finita, non trasferibile<br />

universalmente. "Quando contestiamo che si possa pensare e parlare <strong>di</strong> un'esistenza<br />

assoluta , stiamo semplicemente <strong>di</strong>cendo che le cose stanno nelle pratiche che sono loro<br />

congrue e quin<strong>di</strong> non sono assolute, absolute, sciolte dalle pratiche in cui sono messe in<br />

opera" (p.241). Come si può rispondere alla questione delle cose in sé? "Che le cose sono<br />

in sé lo <strong>di</strong>co io "in me", esercitando una particolare pratica obiettivante ed è questa pratica<br />

che esse sono, ricevendone la qualifica dell'in sé". (p.246)<br />

Questo, molto sinteticamente, il percorso ricco e affascinante che Sini ci propone intorno al<br />

tema della conoscenza. Intrecciate alla domanda fondamentale sulla conoscenza, altre<br />

questioni importanti riemergono nel corso del lavoro: la sfida del relativismo ra<strong>di</strong>cale, il<br />

senso comune e la filosofia oggi, la polemica non tanto contro lo scientismo, ma quanto<br />

contro quei filosofi che si sono acquietati all'uso delle scienze per risolvere problemi<br />

filosofici. A proposito della scienza, a me pare un limite che essa venga considerata in<br />

blocco nel suo aspetto più dogmatico. Soprattutto la scienza del Novecento ha espresso una<br />

tale varietà <strong>di</strong> posizioni epistemologiche che debbono essere <strong>di</strong>scusse dalla filosofia. Penso<br />

proprio a quelli che sono stati gli antagonisti <strong>di</strong> quell'idolo della scienza citato all'inizio<br />

Einstein, Bohr e Heisenberg, per la cosiddetta interpretazione della "scuola <strong>di</strong> Copenhagen"<br />

sulle nuove teorie fisiche . Oppure a filosofi sacrificati nella definizione <strong>di</strong> "analitici", come<br />

Nelson Goodman, che hanno espresso posizioni assai interessanti e forse non così lontane<br />

dalle considerazioni che Sini svolge.<br />

Sini ricorda che nello stu<strong>di</strong>o Husserl teneva la riproduzione de Il cavaliere, la morte e il<br />

<strong>di</strong>avolo <strong>di</strong> Dürer e lo intepretava così: il cavaliere (la filosofia) procede senza lasciarsi<br />

travolgere dalle due tentazioni nichilistiche, la morte (il relativismo) e il <strong>di</strong>avolo (la volontà <strong>di</strong><br />

potenza). Deve navigare tra la Scilla del relativismo e la Carid<strong>di</strong> della megalomania, tra<br />

depressione e euforia. Oggi la contrapposizione si esprime in termini <strong>di</strong>versi, da una parte<br />

una certa visione celebrativa e onnipotente della scienza e dall'altra il relativismo culturale<br />

ra<strong>di</strong>cale, ma la questione <strong>di</strong> fondo è rimasta la stessa. Sono gli stessi scogli che minacciano<br />

la pratica filosofica al suo sorgere nello spazio greco con Platone: da una parte il relativismo<br />

sofistico e dall'altra la hybris della sapienza <strong>di</strong>vina.<br />

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Sini, Carlo, Idoli della conoscenza<br />

In<strong>di</strong>ce<br />

Premessa. Conoscenza e senso comune<br />

PARTE PRIMA: ENIGMI DEL CONOSCERE<br />

1. I due volti <strong>di</strong> Kant<br />

2. Quattro frasi<br />

3. La mente e il mondo uniti<br />

4. Il lumen naturale<br />

5. Cratilo e il problema dei nomi<br />

6. Sulla genealogia<br />

PARTE SECONDA: ICONE DELLA SCRITTURA<br />

7. La semantica bisferica <strong>di</strong> Alfred Kallir<br />

8. La comprensione genealogica della conoscenza<br />

9. L'evento dell'astrazione e la solidarietà del vero<br />

PRINCIPALI RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI<br />

L'autore<br />

Carlo Sini è or<strong>di</strong>nario <strong>di</strong> filosofia teoretica presso l'<strong>Università</strong> <strong>degli</strong> <strong>Stu<strong>di</strong></strong> <strong>di</strong> Milano. Autore <strong>di</strong><br />

numerosi <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> su Peirce, Whitehead, Husserl e la fenomenologia, si è de<strong>di</strong>cato negli<br />

ultimi anni in particolare all’analisi del rapporto tra scrittura e filosofia. I suoi ultimi testi<br />

pubblicati sono: Etica della scrittura, (Milano 1996); Gli abiti, le pratiche, i saperi (Milano<br />

1996); Teoria e pratica del foglio mondo (Roma-<strong>Bari</strong> 1997).<br />

Links<br />

http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/rassegna/sini.htm<br />

http://www.emsf.rai.it/dati/aforismi/<br />

http://sweb.uky.edu/~rsand1/Husserl/<br />

http://lgxserver.uniba.it/lei/filosofi/goodman.html<br />

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<strong>Università</strong> <strong>degli</strong> <strong>Stu<strong>di</strong></strong> <strong>di</strong> <strong>Bari</strong> - Laboratorio <strong>di</strong> Epistemologia Informatica e Dipartimento <strong>di</strong> Scienze<br />

Filosofiche<br />

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Semprini, Il multiculturalismo<br />

<strong>Università</strong> <strong>degli</strong> <strong>Stu<strong>di</strong></strong> <strong>di</strong> <strong>Bari</strong> - Laboratorio <strong>di</strong> Epistemologia Informatica e Dipartimento <strong>di</strong> Scienze Filosofiche<br />

Semprini, Andrea, Il multiculturalismo. La sfida della <strong>di</strong>versità nelle<br />

società contemporanee<br />

Milano, Franco Angeli, Lit. 30.000 (Euro 15,49).<br />

Recensione <strong>di</strong> Andrea Gilardoni - 17/2/<strong>2001</strong><br />

In<strong>di</strong>ce - L'autore<br />

La complessa problematica del "multiculturalismo" tende normalmente a polarizzare le<br />

reazioni, come se fosse inevitabile essere "pro" o "contro". L'assenza <strong>di</strong> una precisa idea del<br />

significato del termine e dei contenuti della pratica multiculturale pregiu<strong>di</strong>ca la possibilità <strong>di</strong><br />

un <strong>di</strong>battito chiaro nel quale i <strong>di</strong>versi partiti siano almeno d'accordo sull'oggetto in questione.<br />

L'indeterminatezza dell'oggetto e l'ignoranza sulla posta in gioco sono i motivi per cui le<br />

questioni multiculturali vengono concettualizzate come riven<strong>di</strong>cazioni o pericoli per la per<strong>di</strong>ta<br />

della propria identità.<br />

Per la <strong>maggio</strong>r parte le polemiche sul multiculturalismo e le reazioni alle riven<strong>di</strong>cazioni<br />

multiculturali non sono mai circoscritte alla teoria: investono invece territori concreti della vita<br />

sociale con ripercussioni in ambito economico, urbanistico, dell'istruzione, della politica.<br />

Conviene allora guardare al multiculturalismo come a un ambito socioculturale, che, in<br />

quanto tale, ha bisogno <strong>di</strong> strumenti adatti a un'indagine seria e precisa, cosciente delle<br />

implicazioni e attenta alle conseguenze.<br />

Il libro <strong>di</strong> Andrea Semprini può contribuire a fare chiarezza, pre<strong>di</strong>sponendo le basi per un<br />

<strong>di</strong>battito aperto sulle modalità sociali <strong>di</strong> attuazione del multiculturalismo.<br />

Senza <strong>di</strong>stinguere, come invece sarebbe stato opportuno, i termini "multiculturale" si<br />

<strong>di</strong>fferenzia dal termine "interculturale" e dal termine "educazione anti-razzista" o "educazione<br />

bilingue", questo saggio tenta <strong>di</strong> chiarire le ra<strong>di</strong>ci storiche contemporanee (americane) del<br />

multiculturalismo al fine <strong>di</strong> elaborare un modello semiotico della società multiculturale.<br />

Partiamo dal termine in questione, origine delle <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> comprensione, che viene<br />

spiegato da Semprini in <strong>di</strong>versi mo<strong>di</strong>.<br />

A un primo livello il termine in<strong>di</strong>ca la crescente <strong>di</strong>versità dei gruppi umani, la loro coesistenza<br />

all'interno <strong>di</strong> un unico spazio socio-politico, e il fatto che essi perseguono valori, credenze,<br />

progetti politici, stili <strong>di</strong> vita <strong>di</strong>fferenti.<br />

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Semprini, Il multiculturalismo<br />

Si tratta quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> un livello descrittivo, quasi tassonomico che <strong>di</strong>stingue: paesi costituitisi<br />

grazie all'immigrazione (Stati Uniti, Australia, Canada, Brasile); paesi europei <strong>di</strong> più antico<br />

inse<strong>di</strong>amento (Francia, Gran Bretagna, Paesi Bassi) che sono <strong>di</strong>ventati multiculturali in<br />

seguito allo sviluppo economico che ha attirato gran<strong>di</strong> masse <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidui provenienti<br />

soprattutto da zone <strong>di</strong> influenza coloniale (ma il caso non vale per la Germania); e infine<br />

nazioni che solo recentemente si sono trovate confrontate all'immigrazione, essendo state<br />

dapprima soggette all'e-migrazione.<br />

A un secondo livello il multiculturalismo si riferisce a conflitti e riven<strong>di</strong>cazioni che nascono in<br />

un contesto multiculturale e si contrappongono all'identità nazionale. In questo caso assume<br />

una connotazione negativa e il suo uso è negativo e squalificante, come una sorta <strong>di</strong><br />

han<strong>di</strong>cap che rende invisi alla <strong>maggio</strong>ranza.<br />

Infine, il termine può <strong>di</strong>ventare sinonimo della posizione ideologica e dell'attività militante <strong>di</strong><br />

chi si batte per una società multiculturale. Multiculturalista <strong>di</strong>venta così, paradossalmente, un<br />

termine analogo a "femminista" o "militante": un sinonimo <strong>di</strong> intolleranza. Sullo sfondo si<br />

trovano i termini etnico e multi-etnico, che Semprini sapientemente evita, per de<strong>di</strong>carsi alla<br />

prospettiva culturale.<br />

Quali sono i contenuti del multiculturalismo? Sicuramente l'educazione, i figli <strong>di</strong> molti<br />

immigrati frequentano infatti scuole elementari e me<strong>di</strong>e, poi i licei, infine le università. Quali<br />

problemi si trova ad affrontare un docente? Come rispettare le identità senza creare ghetti?<br />

Come mantenere una base comune senza appiattire le <strong>di</strong>fferenze?<br />

Ma il problema pedagogico si fa imme<strong>di</strong>atamente politico: come adattare le strutture sociali,<br />

le pratiche amministrative, le abitu<strong>di</strong>ni alimentari e gli orari a gruppi sociali <strong>di</strong>versi sul lavoro,<br />

a scuola, nel tempo libero, nell'ambito del culto o della lingua?<br />

Il fatto che le società democratiche occidentali funzionino in modo simile e abbiano<br />

costituzioni simili deriva da precise vicende storiche. Ma come conciliarle con altre<br />

esperienze e altre abitu<strong>di</strong>ni? Semprini suppone che si debba pensare a nuovi modelli sociali<br />

e a nuove forme <strong>di</strong> coesistenza: un vero e proprio cambio <strong>di</strong> civilizzazione.<br />

Si tratta <strong>di</strong> problematiche che concernono la costruzione del soggetto, la teoria dell'identità,<br />

la concezione della realtà e della conoscenza, e che non si limitano all'ambito descrittivo del<br />

fenomeno.<br />

I primi tre capitoli illustrano la genesi e i contenuti della questione multiculturale.<br />

Il primo descrive gli aspetti principali del multiculturalismo negli Stati uniti, le sue ra<strong>di</strong>ci<br />

storiche e culturali, la sua specificità, il contesto socioeconomico e politico del suo attuale<br />

sviluppo. Negli Stati Uniti il fenomeno ha assunto una virulenza particolare. La storia della<br />

colonizzazione illustra la formazione della questione: la presenza sul territorio statunitense <strong>di</strong><br />

popolazioni autoctone, la tratta <strong>degli</strong> schiavi, le migrazioni religiose, il potere a lungo in<strong>di</strong>viso<br />

esercitato dalla <strong>maggio</strong>ranza bianca, anglosassone protestante, oltre alla varietà e<br />

frammentazione dei flussi migratori, ne fanno il laboratorio più complesso e interessante per<br />

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Semprini, Il multiculturalismo<br />

la multiculturalità.<br />

Il secondo capitolo descrive lo stato attuale della questione, sempre a partire dall'esempio<br />

statunitense. I fattori principali identificati sono l'allargamento senza precedenti che la<br />

società americana ha conosciuto negli ultimi vent'anni, le trasformazioni economiche che la<br />

spingono in una <strong>di</strong>rezione postindustriale e le relazioni sempre più strette tra identità e<br />

politica. In una società eterogenea ma ancora mono-culturale i conflitti multiculturali sono<br />

<strong>di</strong>venuti praticamente inevitabili.<br />

Il terzo capitolo fornisce alcuni esempi <strong>di</strong> controversie: il campo dell'istruzione è un'area<br />

particolarmente sensibile. L'elaborazione dei contenuti dei libri <strong>di</strong> testo, la scelta dei curricula<br />

nelle università, la creazione <strong>di</strong> <strong>di</strong>partimenti <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> etnici sono oggetto <strong>di</strong> battaglie<br />

ideologiche e politiche. Anche le relazioni interpersonali sono particolarmente rischiose, ma<br />

ancora <strong>di</strong> più l'ambito delle identità collettive, quando gruppi sempre più numerosi<br />

riven<strong>di</strong>cano il <strong>di</strong>ritto a un trattamento <strong>di</strong>fferenziato che a volte è incompatibile con le<br />

riven<strong>di</strong>cazioni <strong>di</strong> altri gruppi.<br />

Il quarto capitolo è de<strong>di</strong>cato interamente alla questione del politically correct. Semprini<br />

illustra qui i conflitti che sorgono dall'utilizzo (o dal non-utilizzo) <strong>di</strong> termini. Per la loro<br />

chiarificazione si rivela proficua l'analisi <strong>di</strong> teorie linguistiche antagoniste. Il politically correct<br />

cerca <strong>di</strong> co<strong>di</strong>ficare, nella lingua, il riconoscimento delle <strong>di</strong>fferenze e il mutuo rispetto. Può<br />

essere analizzato come una nuova forma <strong>di</strong> "lingua perfetta" dotata <strong>di</strong> una "carica utopica" <strong>di</strong><br />

cui occorre tenere conto.<br />

Semprini scrive (p. 64): "Accanto a questo programma per così <strong>di</strong>re negativo, mirante<br />

all'eliminazione dei termini devalorizzanti e stigmatizzanti, il PC [politically correct] ha<br />

sviluppato anche un programma "positivo", che punta a un "miglioramento" della lingua Tale<br />

programma si propone <strong>di</strong> introdurre nel linguaggio delle espressioni e dei termini nuovi, per<br />

valorizzare gli in<strong>di</strong>vidui e i gruppi la cui importanza è misconosciuta non solo<br />

dall'atteggiamento monoculturale dei gruppi dominanti, ma anche dalla lingua stessa, che<br />

non prevede parole per designarli in modo specifico o degno."<br />

Il quinto capitolo in<strong>di</strong>vidua un conflitto tra due sistemi <strong>di</strong> pensiero (mono- e multiculturale), tra<br />

due epistemologie, alla base delle controversie. Semprini illustra l'irriducibilità <strong>di</strong><br />

oggettivismo (positivismo razionalizzante) e relativismo (soggettivismo o postmoderno).<br />

Questo capitolo è indubbiamente molto debole, e legato a una <strong>di</strong>scussione piuttosto sterile e<br />

datata quale è quella sul postmoderno. Indubbiamente, però, esso ha il merito <strong>di</strong> permettere<br />

lo sviluppo e l'approfon<strong>di</strong>mento <strong>degli</strong> ultimi tre capitoli, i quali mettono in relazione il<br />

multiculturalismo con lo sviluppo delle istanze in<strong>di</strong>viduali nelle società postindustriali.<br />

L'interazione con gli altri è un momento fondamentale nella costruzione della soggettività e<br />

permette <strong>di</strong> comprendere il bisogno <strong>di</strong> rispetto e riconoscimento da parte dei mebri delle<br />

minoranze etniche e culturali. È la <strong>di</strong>mensione socioculturale a giocare un ruolo <strong>di</strong><br />

importanza crescente nella definizione dello spazio <strong>di</strong> vita comune delle società<br />

contemporanee e a rimettere in <strong>di</strong>scussione le definizioni classiche <strong>di</strong> spazio pubblico,<br />

basate principalmente su un para<strong>di</strong>gma politico.<br />

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Semprini, Il multiculturalismo<br />

A questo punto si sviluppa il lavoro più personale <strong>di</strong> Semprini. Sono i significati, la loro<br />

circolazione, la loro interpretazione a definire la coesione e le regole <strong>di</strong> funzionamento dello<br />

spazio pubblico, che viene allora concettualizzato in termini <strong>di</strong> semiosfera (sfera dei segni).<br />

"L'ascesa della <strong>di</strong>mensione socioculturale e lo sviluppo delle istanze in<strong>di</strong>vidualistiche<br />

provocano un altro tipo <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>fica dello spazio sociale, <strong>di</strong> tipo semiotico questa volta. La<br />

problematica del senso attraversa infatti tutta la questione multiculturale. Più il potere <strong>di</strong><br />

configurazione della <strong>di</strong>namica sociale abbandona l'universo economico-politico tra<strong>di</strong>zionale<br />

e si sposta verso la <strong>di</strong>mensione culturale, e più i significati, i simboli e i valori ne <strong>di</strong>ventano i<br />

principali vettori. Le ‘guerre culturali' possono allora essere interpretate come un conflitto per<br />

conservare o conquistare il controllo delle rappresentazioni e dei significati, come una lotta<br />

per mo<strong>di</strong>ficare i rapporti <strong>di</strong> forza semiotici, come una guerra per determinare le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>stribuzione, circolazione e <strong>di</strong> ricezione dei <strong>di</strong>scorsi sociali." (Semprini, p. 117)<br />

La possibilità concreta dell'esistenza <strong>di</strong> uno spazio pubblico multiculturale sostitutivo dello<br />

spazio pubblico tra<strong>di</strong>zionale viene presentata attraverso <strong>di</strong>versi modelli, che rimandano tutti<br />

alla determinazione del multiculturalismo come <strong>di</strong>mensione utopica.<br />

L'ascesa dei fattori socioculturali produce la ridefinizione dello spazio sociale che si<br />

trasforma in spazio socioculturale, le cui frontiere esterne, il tessuto interno e le linee <strong>di</strong><br />

frattura sono <strong>di</strong> tipo culturale piuttosto che sociale, economico o demografico.<br />

Semprini interpreta questa trasformazione alla luce della crisi <strong>di</strong> un modello politico, la quale<br />

mo<strong>di</strong>fica <strong>di</strong> ritorno la percezione dello spazio collettivo e delle entità che lo compongono: da<br />

una visione verticale a una orizzontale. Se nel modello politico si parla <strong>di</strong> ascensione,<br />

occorre qui invece parlare <strong>di</strong> spostamento verso la periferia o <strong>di</strong> avvicinamento al centro: lo<br />

spazio socioculturale ha un accesso per inclusione, poiché occorre oltrepassare i confini<br />

esterni del sistema.<br />

Ma i limiti vengono continuamente ridefiniti, ristrutturati: se nel modello politico tra<strong>di</strong>zionale<br />

l'estensione dello spazio sociale è data per acquisita, poiché si identifica con lo spazio dello<br />

Stato-nazione, qui il riferimento al territorio e allo Stato-nazione è infimo, prevalendo<br />

piuttosto fattori socioculturali per la determinazione delle frontiere esterne del sistema. E qui<br />

è <strong>di</strong>fficile trovare confini netti, poiché le variabili, etniche, religiose, razziali, culturali, che<br />

presiedono alla formazione <strong>di</strong> gruppi, riven<strong>di</strong>cazioni e in<strong>di</strong>vidui, sono sempre più<br />

impreve<strong>di</strong>bili, mutevoli, <strong>di</strong>fficilmente e decisamente inoggettivabili.<br />

Per questo motivo Semprini de<strong>di</strong>ca infine una certa attenzione allo spazio pubblico francese,<br />

in<strong>di</strong>cando le molte crisi alle quali esso è sottoposto e insieme l'incapacità del modello<br />

repubblicano per quanto concerne la soluzione del conflitto tra identità e <strong>di</strong>fferenza,<br />

nonostante la Dichiarazione dei <strong>di</strong>ritti dell'uomo e del citta<strong>di</strong>no sia la base sulla quale si è<br />

costituito.<br />

Se il multiculturalismo è sintomo o in<strong>di</strong>catore della crisi <strong>di</strong> questo progetto, è proprio una<br />

riflessione semiotica su <strong>di</strong> esso, quale Semprini ci offre nel suo libro, a poter sviluppare una<br />

<strong>di</strong>mensione <strong>di</strong> azione per la politica, che non realizzi un'utopia ma, per restare nell'ambito e<br />

usando un termine <strong>di</strong> Michel Foucault, renda possibile una etero-topia.<br />

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Semprini, Il multiculturalismo<br />

Un passo in questa <strong>di</strong>rezione può essere compiuto da una pratica, in senso letterale, della<br />

traduzione. Portare oltre significa trasformare le <strong>di</strong>fferenze lasciandole interagire. I rapporti <strong>di</strong><br />

forza si fanno rapporti tra rappresentazioni, simbologie, immaginari collettivi: segni. Utilizzare<br />

il termine "traduzione" per descrivere la potenzialità della pratica multiculturale, e della logica<br />

meticcia che deve esserne alla base, è possibile attraverso un'interpretazione dello spazio<br />

pubblico, sociale e politico, come semiosfera.<br />

In<strong>di</strong>ce<br />

Introduzione: 1. Che cos'è il multiculturalismo? - 2. Multiculturalismo: i contenuti - 3. Gli<br />

obiettivi <strong>di</strong> questo testo - 4. La struttura del testo<br />

1. Le ra<strong>di</strong>ci storiche del multiculturalismo americano: 1. La questione in<strong>di</strong>ana - 2.<br />

Schiavitù e apartheid - 3. Le migrazioni religiose - 4. La matrice anglosassone - 5. Flussi<br />

migratori e mutamento demografico<br />

2. Il contesto attuale: 1. L'allargamento della società americana - 2. La trasformazione<br />

economica - 3. Identità e politica - 4. Un conflitto "inevitabile"<br />

3. Le controversie multiculturali: 1. Lettura politica e lettura culturalista della <strong>di</strong>fferenza -<br />

2. L'istruzione - 3. La "guerra dei sessi" - 4. Le riven<strong>di</strong>cazioni identitarie<br />

4. Il politically correct: 1. Le avverse fortune <strong>di</strong> una locuzione - 2. PC e teoria del<br />

linguaggio - 3. Una nuova lingua perfetta? - 4. Alla ricerca della buona <strong>di</strong>stanza<br />

5. Un nodo gor<strong>di</strong>ano epistemologico: 1. L'epistemologia multiculturale - 2. L'epistemologia<br />

monoculturale - 3. Aporie intellettuali<br />

6. Etnicità, in<strong>di</strong>vidualismo, spazio pubblico: 1. Verso una società <strong>di</strong> persone? - 2. L'io<br />

<strong>di</strong>alogico e il riconoscimento - 3. Dall'in<strong>di</strong>viduo alla soggettività - 4. Il peso dei fattori<br />

socioculturali<br />

7. Lo spazio pubblico come semiosfera: 1. Dallo spazio pubblico allo spazio<br />

socioculturale - 2. Lo spazio socioculturale come semiosfera<br />

8. Le sfide politiche del multiculturalismo: 1. Lo spazio pubblico multiculturale - 2.<br />

Quattro modelli <strong>di</strong> spazio multiculturale - 3. È possibile uno spazio pubblico multiculturale? -<br />

4. L'esempio francese<br />

9. Multiculturalismo e crisi della modernità: 1. Differenza e identità - 2. Dal para<strong>di</strong>gma<br />

politico al para<strong>di</strong>gma etico - 3. Razionalismo e relativismo<br />

Conclusione: 1. Il multiculturalismo: un problema americano? - 2. Il multiculturalismo è una<br />

minaccia? - 3. Multiculturalismo e società dell'informazione<br />

Bibliografia<br />

L'autore<br />

Andrea Semprini, sociologo e semiologo, insegna sociologia della cultura all'<strong>Università</strong> <strong>di</strong><br />

Lille, all'American University <strong>di</strong> parigi e allo IULM <strong>di</strong> Milano. Ha pubblicato recentemente<br />

presso Franco Angeli Analizzare la comunicazione (1997) e Il senso delle cose (1999). Le<br />

sue ricerche attuali riguardano la trasformazione dello spazio pubblico nei contesti<br />

multiculturali.<br />

È possibile comunicare via email con l'autore: semprini@club-internet.fr<br />

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Semprini, Il multiculturalismo<br />

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<strong>Università</strong> <strong>degli</strong> <strong>Stu<strong>di</strong></strong> <strong>di</strong> <strong>Bari</strong> - Laboratorio <strong>di</strong> Epistemologia Informatica e Dipartimento <strong>di</strong> Scienze<br />

Filosofiche<br />

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