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ANNO IX - NUOVA SERIE - N.5 - SETTEMBRE/OTTOBRE 20<strong>09</strong> - Euro 3,00 - SPED. ABBONAMENTO POSTALE 70% - FILIALE DI ROMA<br />

numero520<strong>09</strong><br />

Bimestrale d’informazione cinematografica edito dalla FICE - Federazione Italiana Cinema d’Essai<br />

Speciale Festival di Roma<br />

Tutti i film<br />

Angelini Diritti<br />

di Robilant Maiorca<br />

interviste<br />

John Lasseter<br />

Coppola, Cruz<br />

Filiberti, Haneke<br />

Lee, Maoz<br />

Melchionna, Moore<br />

Ozon, Paunescu<br />

Di me cosa ne sai<br />

di Valerio Jalongo<br />

Un’analisi critica<br />

del cinema italiano<br />

Gli abbracci<br />

spezzati<br />

di Pedro Almodovar<br />

speciale<br />

Incontri del Cinema<br />

d’Essai a Mantova<br />

Le anteprime<br />

Le riflessioni<br />

I Premi <strong>Fice</strong><br />

Vota il film d’essai:<br />

i vincitori


MEDUSA FILM<br />

presenta<br />

DAL 16 OTTOBRE AL CINEMA<br />

www.medusa.it<br />

Ph. Francesca Martino / photomovie


numero520<strong>09</strong><br />

Bimestrale d’informazione cinematografica edito dalla FICE - Federazione Italiana Cinema d’Essai<br />

ANNO IX - NUOVA SERIE - N.5 - SETTEMBRE/OTTOBRE 20<strong>09</strong> - Euro 3,00 - SPED. ABBONAMENTO POSTALE 70% - FILIALE DI ROMA<br />

Speciale Speciale Festival Festival di Roma Roma<br />

Tutti i film<br />

Angelini Diritti<br />

di Robilant Maiorca<br />

interviste<br />

John Lasseter<br />

Coppola, Cruz<br />

Filiberti, Haneke<br />

Lee, Maoz<br />

Melchionna, Moore<br />

Ozon, Paunescu<br />

Di me cosa ne sai<br />

di Valerio Jalongo<br />

Un’analisi critica<br />

del cinema italiano<br />

Gli abbracci<br />

spezzati<br />

di Pedro Almodovar<br />

speciale speciale<br />

Incontri del Cinema<br />

d’Essai a Mantova<br />

Le anteprime<br />

Le riflessioni<br />

I Premi <strong>Fice</strong><br />

Vota il film d’essai:<br />

i vincitori<br />

n.5/20<strong>09</strong><br />

Cover story<br />

33 Gli abbracci<br />

spezzati<br />

di Pedro Almodovar<br />

(Marco Spagnoli)<br />

In copertina: Penelope Cruz<br />

Speciale<br />

6 Incontri del Cinema d’essai di Mantova<br />

(Mario Mazzetti)<br />

8 I premi FICE - Vota il film d’essai: i vincitori<br />

Interviste<br />

10 Michael Haneke (Anna Maria Pasetti)<br />

12 Francis Ford Coppola (Federico Pontiggia)<br />

14 Michael Moore (Marco Spagnoli)<br />

16 Luciano Melchionna (Barbara Corsi)<br />

18 Marco Filiberti (Federico Pontiggia)<br />

32 Ang Lee (Marco Spagnoli)<br />

34 Samuel Maoz (Marco Spagnoli)<br />

35 Bobby Paunescu (Barbara Corsi)<br />

36 John Lasseter (Marco Spagnoli)<br />

37 François Ozon (Anna Maria Pasetti)<br />

Speciale Festival di Roma 20<strong>09</strong><br />

20 Il Festival: tutti i film (Mario Mazzetti)<br />

24 Donatella Maiorca (Franco Montini)<br />

26 Alessandro Angelini (Barbara Corsi)<br />

28 Giorgio Diritti (Davide Zanza)<br />

30 Alessandro di Robilant (Franco Montini)<br />

Rubriche<br />

4 Notizie<br />

50 Cult dvd (Gabriele Spila)<br />

51 Cinema di carta (Chiara Barbo)<br />

52 Mondo d’essai<br />

Lionello Cerri (Marta Proietti)<br />

53 Detour (Umberto Ferrari)<br />

54 Colonna sonora (Mario Mazzetti)<br />

Schede critiche<br />

33 GLI ABBRACCI SPEZZATI<br />

47 BERLIN CALLING<br />

48 BRÜNO<br />

43 CAPITALISM: A LOVE STORY<br />

47 CHE FINE HA FATTO OSAMA BIN LADEN?<br />

49 500 GIORNI INSIEME<br />

49 DIAMOND 13<br />

42 DI ME COSA NE SAI<br />

38 LA DOPPIA ORA<br />

35 FRANCESCA<br />

46 GENOVA<br />

42 GOOD MORNING AMAN<br />

34 LEBANON<br />

32 MOTEL WOODSTOCK<br />

40 IL NASTRO BIANCO<br />

45 NEMICO PUBBLICO<br />

46 NORD<br />

48 NORTH FACE<br />

43 PARNASSUS L’UOMO CHE VOLEVA INGANNARE IL DIAVOLO<br />

37 RICKY<br />

40 SEGRETI DI FAMIGLIA<br />

38 LO SPAZIO BIANCO<br />

45 L’UOMO CHE FISSA LE CAPRE<br />

36 UP<br />

VIVILCINEMA<br />

Bimestrale d’informazione<br />

cinematografica<br />

fondato da Claudio Zanchi<br />

n°5/20<strong>09</strong> nuova serie<br />

Settembre/Ottobre 20<strong>09</strong><br />

Direttore responsabile: Mario Mazzetti<br />

editoriale<br />

Cibo per l’anima<br />

Parafrasando uno dei film più apprezzati di Venezia,<br />

rilanciato dagli Incontri d’essai di Mantova, vorremmo<br />

infondere ottimismo in un momento assai confuso,<br />

anche guardando ai nostri colleghi d’Oltralpe<br />

Se la visione a Venezia di un piccolo gioiello come Soul kitchen di Fatih Akin<br />

– che bel titolo, la cucina dell’anima, rievoca il cibo per la mente che le nostre sale ambiscono<br />

a preparare per un pubblico esigente – fa sperare in nuovi titoli capaci di coniugare tematiche<br />

sociali e un sano divertimento (un po’ come i film del nostro Virzì), l’annuale appuntamento<br />

degli Incontri del cinema d’essai, quest’anno per la prima volta nella magnifica cornice di<br />

Mantova, segna il ritorno della voglia di confrontarsi, dibattere, riunire rappresentanti di<br />

tutte le categorie del cinema per rimboccarsi le maniche, allontanare lo spettro della crisi che<br />

è culturale oltre che economica, investendo delle istanze di vivibilità del territorio anche gli<br />

enti locali, le regioni e lo stato. E seppure non stiamo vivendo tempi rassicuranti e<br />

incoraggianti per le imprese che investono in cultura cinematografica, l’occasione conviviale ci<br />

spinge all’ottimismo della volontà, auspicando per le sale che la nostra associazione<br />

rappresenta il rilancio oltre la sopravvivenza, un ruolo utile alle comunità urbane, ad un<br />

pubblico che ha un’età media non proprio da teenager e che ha il diritto di vedere film<br />

stimolanti, diversificati, non soltanto roboanti di effetti speciali. Che la convivenza tra generi,<br />

stili, approcci produttivi sia possibile lo dimostra il fatto che una major americana, con Gran<br />

Torino e Si può fare, ha vinto entrambi i premi assegnati dai nostri lettori, parallelamente<br />

alla crisi di identità di alcuni dei distributori storici del nostro settore.<br />

Ottimismo, si diceva: e allora non soltanto salutiamo con gratitudine talenti come Francesca<br />

Archibugi, Giovanna Mezzogiorno, Antonio Albanese, l’attrice palestinese e cittadina del<br />

mondo Hiam Abbass, artigiani impagabili come Marco Onorato, Pivio & Aldo De Scalzi, un<br />

produttore di sostanza come Riccardo Tozzi, i registi esordienti Claudio Noce e Valerio Mieli –<br />

ovvero i premi <strong>Fice</strong> 20<strong>09</strong>; apprestiamoci a intensificare la collaborazione con il Nice per<br />

promuovere il cinema italiano all’estero (primo passo a Seattle, a metà novembre); ma<br />

guardiamo all’esempio dei cugini francesi, il cui modello di sostegno al cinema è da sempre<br />

considerato un punto di riferimento purtroppo inarrivabile. Nell’ultimo editoriale della rivista<br />

dell’omologa associazione francese, il collega Patrick Brouiller si rallegra per un’estate di qualità<br />

rivelatasi superiore alle aspettative (da noi neanche l’ombra di un film…) e, a fronte della<br />

diminuzione del periodo che intercorre tra l’uscita in sala di un film e il successivo sfruttamento<br />

in home video (la cd. “finestra”), si compiace della contropartita ottenuta dall’esercizio<br />

tradizionale: l’aumento del 30% del premio ministeriale per le sale d’essai di taglia mediopiccola:<br />

imprese sempre più fragili ricevono ossigeno per portare avanti la loro attività culturale,<br />

in quanto il loro ruolo viene riconosciuto dai poteri pubblici come necessario e utile. Tutto ciò<br />

palesa l’esistenza di un dialogo fuori e dentro la professione, del rispetto e del riconoscimento<br />

per il valore di un settore strategico anche per la diffusione della produzione nazionale.<br />

E da noi? Un ministro della repubblica parla di “culturame”, di “parassiti” e via insultando<br />

alla vigilia della chiusura della Mostra veneziana, incassando la solidarietà del nostro ministro<br />

di riferimento. A parte il sospetto che, mentre le risorse pubbliche per il settore continuano a<br />

diradarsi, tali esternazioni siano strumentali per sollevare il polverone, anche figure un tempo<br />

critiche nei confronti del sistema di aiuti alla produzione riconoscono che con le modifiche del<br />

2004 è cambiato (in meglio) il rapporto tra stato finanziatore e produttori assistiti. Lo ha<br />

dimostrato, con dovizia di dati, il bimestrale del Sindacato Giornalisti Cinemagazine, nel<br />

numero veneziano, analizzando costi e incassi delle opere sovvenzionate dal 2005 al 20<strong>09</strong>. Per<br />

cui, la trentina di milioni di euro (mai così pochi) destinati quest’anno al cinema italiano<br />

saranno ben spesi, anche se la nostra quota di mercato ha perso terreno rispetto al 2008 –<br />

anzi, proprio per questo. A noi, alle associazioni del settore, non resta che rimboccarci le<br />

maniche, a Mantova ma anche all’incontro nazionale promosso dall’Anec per l’11 novembre a<br />

Milano, per rilanciare dialogo e confronto a tutto campo. Nonostante gli insulti.<br />

MARIO LORINI<br />

presidente FICE<br />

Hanno collaborato a questo numero: Chiara Barbo, Domenico Barone, Barbara Corsi,<br />

Umberto Ferrari, Mario Lorini, Mario Mazzetti, Franco Montini, Anna Maria Pasetti, Cristiana<br />

Paternò, Federico Pontiggia, Marta Proietti, Marco Spagnoli, Gabriele Spila, Davide Zanza<br />

...Segreteria per l’editore: Stefania Trenca ...Progetto grafico: Geppy Sferra<br />

...Editore per conto della <strong>Fice</strong>: Spettacolo Service srl, via di Villa Patrizi 10, 00161<br />

Roma, tel. 06/884.731 - Rivista fondata dalla Coop. L’Atelier di Firenze, pubblicata<br />

dalla <strong>Fice</strong>: via di Villa Patrizi 10, 00161 Roma, tel. 06/884.731, fax<br />

06/440.42.55 ...e-mail: fice@agisweb.it ...web: www.fice.it ...Fotocomp.<br />

e stampa: Inprinting srl, Via Dalbono 35, Roma<br />

...Abbonamento annuo: euro 15,00 sul C.C. Postale n° 61358016 intestato a<br />

Spettacolo Service srl, Via di Villa Patrizi 10, 00161 Roma - Numeri arretrati euro<br />

2,50 ...Concess.ria esclusiva per la pubblicità: A.P.S. ADVERTISING srl - Via Tor de'<br />

Schiavi, 355 - 00177 Roma - Tel. 06.89015166 - 06.89015167<br />

www.apsadvertising.it, info@apsadvertising.it ...<br />

Reg. Trib. di Roma n. 382 dell’ 11/9/2000 (già Trib Firenze n. 3642 del<br />

17/12/1987) Sped. Abb. postale 70%<br />

Chiuso in redazione il 28/9/20<strong>09</strong> - stampato per conto della<br />

Inprinting srl presso lo stabilimento “Grafiche PFG” Spa<br />

VIVILCINEMA settembreottobre<strong>09</strong> 3


notizie fice<br />

NUOVE COMMISSIONI MINISTERIALI<br />

Rinnovate le commissioni ministeriali, da quella che attribuisce le<br />

qualifiche film d’essai – entrano il presidente del sindacato giornalisti<br />

Laura Delli Colli, affiancata da Emilia Costantini, Sara Cortellazzo e Carlo<br />

Montanaro – alla commissione per i film di interesse culturale (ne fanno<br />

parte Antonio Ferraro, Enrico Magrelli, Dario Viganò, Rosaria Marchese,<br />

Oscar Iarussi, Francesco Gesualdi), per le opere prime e i cortometraggi<br />

(Carlo Cozzi, Anselma Dell’Olio, Antonia Postorivo, Massimo Bergami) e<br />

per la promozione (Osvaldo De Santis, Ettore Albertoni, Gianluigi<br />

Paragone, Paride Leporace). Avvicendamento di cariche alla Direzione<br />

generale cinema: Mariella Troccoli cede a Marina D’Andrea la dirigenza<br />

del settore cinema e promozione (responsabile per le sale d’essai) e<br />

prende il posto del veterano Francesco Ventura alla guida della<br />

produzione italiana.<br />

BELLOCCHIO IN<br />

EMILIA ROMAGNA<br />

La <strong>Fice</strong> Emilia Romagna promuove la<br />

rassegna Immagini del potere. Il cinema di<br />

Marco Bellocchio assieme a Regione e<br />

Sindacato Critici: tra novembre e dicembre<br />

10 sale d’essai di Modena, Bologna, Reggio<br />

Emilia, Piacenza, Parma, Forlì, Cesena e Faenza programmeranno<br />

l’intera produzione del regista, che incontrerà il pubblico in diverse<br />

occasioni. Luisa Ceretto e Gianfranco Casadio hanno curato la<br />

pubblicazione monografica.<br />

GIORNATE PROFESSIONALI<br />

A SORRENTO<br />

Mentre il cinema d’essai si riunisce a Mantova, fervono i lavori per la<br />

XXXII edizione delle Giornate Professionali di Cinema, l’incontro<br />

annuale di tutta l’industria cinema per la presentazione dei listini del<br />

2010, anteprime, trailer, dibattiti e i “Biglietti d’Oro” Anec a campioni al<br />

botteghino e talenti emergenti. Confermata la sede di Sorrento, dal 30<br />

novembre al 3 dicembre con molti eventi per la cittadinanza.<br />

CINEMA DI CITTÀ ALLA RIBALTA<br />

Un campanello d’allarme a sostegno dei cinema di città, le sale<br />

tradizionalmente dedite alla programmazione di cinema di qualità, che<br />

risentono più dei grandi complessi extraurbani di crisi e concorrenza, è<br />

stato lanciato dall’Anec: proposte, dibattiti con Regioni, Stato ed Enti<br />

locali e una conferenza nazionale da tenersi a Milano l’11 novembre. La<br />

<strong>Fice</strong> aderisce ai lavori e contribuisce alla fase propositiva, consapevole<br />

del fatto che molte di queste sale sono anche sale d’essai.<br />

I giurati del Leoncino d’oro<br />

AGISCUOLA E GLI ALTRI<br />

Il Leoncino d’oro 20<strong>09</strong> di Agiscuola, assegnato a<br />

Venezia da 24 ragazzi, ha visto trionfare<br />

Capitalism: a love story di Michael Moore.<br />

Notevole l’albo d’oro delle 20 edizioni<br />

precedenti: Avati, Wes Anderson, Park Chan-<br />

4 VIVILCINEMA settembreottobre<strong>09</strong><br />

NOWHERE BOY<br />

APRE TORINO<br />

Gli anni di formazione del giovane<br />

John Lennon al centro del film che<br />

apre il 27° Torino Film Festival, il primo<br />

diretto da Gianni Amelio, il prossimo<br />

13 novembre: è Nowhere boy di Sam<br />

Taylor Wood, con Aaron Johnson nei<br />

panni del “working class hero”, Kristin<br />

Scott-Thomas in quelli della zia, Anne-<br />

Marie Duff (la madre ritrovata) e<br />

Thomas Sangster (Paul McCartney). Tra<br />

le novità dell’edizione 20<strong>09</strong>, il neonato<br />

premio 8½ a Francis Ford Coppola ed<br />

Emir Kusturica.<br />

wo<strong>ok</strong>, Kim Ki-duk, Bellocchio, Leconte, Giordana, Kusturica, Lelouch,<br />

Virzì, Tornatore, Kieslowski, Sautet, Gilliam, la Campion.<br />

Sempre a Venezia, tra i premi collaterali: il premio Cicae dei cinema<br />

d’essai a Io sono l’amore di Luca Guadagnino (tra i giurati il nostro<br />

Rocco Frontera); il Premio Pasinetti del Sindacato Giornalisti a Lo<br />

spazio bianco di Francesca Comencini (la Buy migliore attrice,<br />

Filippo Timi miglior attore per La doppia ora); il premio Europa<br />

Cinémas a The last days of Emma Blank di Alex van Warmerdam, il<br />

Premio Regione Veneto della Settimana della Critica al magnifico<br />

Tehroun di Takmil H. Nader.<br />

FICE E NICE A SEATTLE<br />

Le opere selezionate per la XIX<br />

settimana di cinema italiano (15-22<br />

novembre) del Nice (New italian<br />

cinema events) a San Francisco, New<br />

York e da quest’anno Seattle – con la<br />

collaborazione della <strong>Fice</strong> – sono: Pa-<br />

PA-RA-DA Ra-Da, Lezione 21, Ex, La siciliana<br />

ribelle, Diverso da chi?, La casa<br />

sulle nuvole, Viola di mare. Eventi speciali: omaggio a Marco Risi,<br />

Vincere e gli ultimi Piccioni e Archibugi.<br />

CORSO CICAE A SAN SERVOLO<br />

Si è concluso il 9 settembre scorso il sesto Corso di formazione<br />

internazionale per esercenti d’essai Art cinema = Action + Management,<br />

organizzato dalla Cicae con la <strong>Fice</strong> nell’ambito del programma Media<br />

della UE nell’isola veneziana di San Servolo, nei giorni della Mostra:<br />

dieci giorni di permanenza per 56 persone di 21 paesi (19 europei più<br />

Algeria e Marocco), 68 ore di corsi con conferenze, studio di casi e<br />

workshop proposti da 47 docenti.<br />

ITALIA AD ANNECY E IN GERMANIA<br />

Come ogni anno, il cinema italiano sbarca ad Annecy (fino al 6 ottobre)<br />

per il festival del cinema italiano: 60 opere tra lunghi e doc, anteprime e<br />

retrospettive (Jean-Louis Trintignant attore “italiano”, omaggio alla<br />

Puglia con premio Sergio Leone a Edoardo Winspeare, i 20 anni della<br />

Fandango). In concorso Sbirri di Burchielli, Diverso da chi? di Carteni,<br />

La pivellina di Covi/Frimmel, Aria di D’Annunzio, Pandemia di Lucio<br />

Fiorentino, La bella gente di Di Matteo, Good morning Aman di<br />

Noce, Dall’altra parte del mare di Sarto, Velma di Tomaselli.<br />

Partito anche Made in Italy, rassegna di cinema italiano in Germania a<br />

cura di Franco Montini, Piero Spila e Francesco Bono. Ad aprire Si può<br />

fare di Manfredonia, ospite ad<br />

Amburgo, seguito da Piccioni e<br />

Molaioli che il 2 ottobre ha presentato<br />

La ragazza del lago. In programma<br />

anche le opere di Avati, Brizzi,<br />

Winspeare, in tour fino al 12 dicembre<br />

quando il film più gradito dal pubblico<br />

si assicurerà la distribuzione in<br />

LA BELLA GENTE<br />

Germania.<br />

IL PROFETA<br />

GLI EFA DEL<br />

CINEMA EUROPEO<br />

48 film in rappresentanza di 25 paesi sono<br />

stati selezionati dalla European Film<br />

Academy per l’attribuzione degli annuali<br />

premi del cinema europeo. Gli italiani<br />

Pranzo di Ferragosto, Questione di cuore e Vincere se la vedranno<br />

con i francesi Il profeta, Coco avant Chanel, Séraphine e Welcome;<br />

gli inglesi The reader, Fish tank, The millionaire e Il mio amico Eric<br />

(a Ken Loach anche il premio alla carriera); gli spagnoli Camino e Gli<br />

abbracci spezzati e ancora La banda Baader Meinhof, Uomini che<br />

odiano le donne, Lasciami entrare, Antichrist, il greco Dogtooth, il<br />

romeno Police, adjectiv, l’ultimo Wajda e The time that remains del<br />

palestinese Suleiman. La XXII edizione dei premi EFA si svolgerà in<br />

Germania, a Bochum, il 12 dicembre.


LUX D’EUROPA<br />

Ancora sostegno al cinema europeo con il Premio Lux 20<strong>09</strong> del<br />

Parlamento Europeo per valorizzare ricchezza e diversità del cinema del<br />

continente: al vincitore saranno finanziati i sottotitoli nelle 23 lingue<br />

della UE e la produzione di una copia per ciascuno stato membro. Tre<br />

opere finaliste annunciate a Venezia: il bulgaro Eastern plays di<br />

Kamen Kalev, il francese Welcome di Philippe Lioret ed il tedesco<br />

Sturm di Hans-Christian Schmid.<br />

Nel frattempo, il Consiglio europeo ha approvato il programma di<br />

cooperazione tra Europa e paesi terzi, Media Mundus, che dal 2011 al<br />

’13 destinerà 15 milioni di euro per la distribuzione extraeuropea di<br />

opere continentali e viceversa.<br />

OSCAR, AL VIA LE SEGNALAZIONI<br />

Tempo di segnalazioni per l’Oscar al miglior film<br />

straniero: la Francia ha scelto Il profeta di<br />

Jacques Audiard, Grand Prix a Cannes 20<strong>09</strong>, la<br />

Corea il campione d’incassi Mother di Bong<br />

Joon-ho, la Svezia la tragicommedia<br />

Involuntary, la Finlandia Letters to father<br />

Jacob, Israele Ajami (anteprima <strong>Fice</strong> a<br />

Mantova), l’Ungheria Chameleon, l’Olanda The<br />

silent army, Taiwan Prince of flowers (già a Venezia), il Canada J’ai<br />

tué ma mère, la Slovenia Landscape n. 2 (lo scorso anno alle Giornate<br />

degli Autori), il Belgio La merditude des choses, la Svizzera Home con<br />

la Huppert e il Giappone – vincitore lo scorso anno con Departures – il<br />

poliziesco Nobody to watch over me di Kimizuka. La commissione di<br />

produttori ed esperti italiani ha scelto quando questo numero era già in<br />

stampa il candidato tricolore tra Vincere, Baaria, Fortapasc, Il grande<br />

sogno e Si può fare. Nomination il 2 febbraio, statuette il 7 marzo.<br />

LA MERDITUDE DES CHOSES<br />

AVVICENDAMENTI SOCIETARI<br />

L’autunno porta con sé cambi della guardia in alcune compagini del<br />

settore. Valter Casini è il nuovo amministratore unico di Circuito<br />

Cinema, la più vasta rete di sale di qualità che ha tra i soci Bim, Lucky<br />

Red, Mikado, Medusa, Cinecittà Luce, a seguito delle dimissioni<br />

dell’intero CdA. Già amministratore delegato, Fabio Fefé rimane in<br />

carica come programmatore. Ha invece cambiato assetto proprietario la<br />

prestigiosa Mikado, la cui quota di maggioranza è stata ceduta da<br />

DeAgostini a Franco Tatò e Sonia Raule.<br />

LA CARRIERA DI PRECIOUS<br />

Già premiato e applaudito al Sundance e a Cannes, la stroria<br />

drammatica dell’adolescente obesa e incinta ha vinto il premio del<br />

pubblico al 34° Toronto Film Festival: è Precious: based on the novel<br />

“Push” by Sapphire, di Lee Daniels, con Gabourey Sidibe e, tra i<br />

comprimari, Lenny Kravitz e Mariah Carey. Al Marché di Cannes era<br />

venduto a peso d’oro ai distributori: approderà mai in Italia?<br />

FORTAPASC<br />

GALA DEL<br />

CINEMA E FICTION<br />

In scena il Gala del cinema e fiction<br />

made in Campania, il 10 ottobre al<br />

Castello Medievale di Castellamare<br />

di Stabia a cura della Film<br />

Commission Campania, direttore<br />

artistico Marco Spagnoli. In lizza per il miglior film Fortapasc, Lo<br />

spazio bianco e Tris di donne & abiti nuziali, come miglior fiction e<br />

serie tv Un posto al sole, La nuova squadra e 7 vite.<br />

RASSEGNE E FESTIVAL<br />

10 e 11 ottobre a Ostiglia: Come dio comanda di Ammaniti/Salvatores,<br />

Caos calmo di Veronesi/Grimaldi e Amore, bugie e calcetto di<br />

Bonifacci/Lucini si contendono il Premio Arnoldo Mondadori, Un libro al<br />

cinema (www.teamitalia.com) …Scenari Orizzontali a Novara dal 13 al<br />

17/10, festival per cortometraggi (novaracinefestival.com) …Mestre Film<br />

Fest dal 20 al 24/10 per corti da tutto il mondo<br />

(centroculturalecandiani.it) …Viennale International Film Festival nella<br />

capitale austriaca dal 22/10 al 4/11 per lunghi, doc e opere sperimentali,<br />

tributo a Tilda Swinton e Lino Brocka, retrospettiva The unquiet<br />

notizie<br />

American sulle commedie trasgressive Usa (viennale.at) …Dal 24/10<br />

all’1/11 Festival del cinema latino americano di Trieste<br />

(cinelatinotrieste.org) …Scade il 15/11 il bando per la IX edizione del<br />

Roma Independent Film Festival (concorso, New frontiers per opere<br />

prime, doc, corti e animazione), dall’11 al 19 marzo 2010 (riff.it)<br />

…Science+Fiction, festival della fantascienza a Trieste dal 22 al 28/11: in<br />

programma la trilogia manga 20th century boys, One di Peter<br />

Sparrow da un racconto di S. Lem, l’horror natalizio The children e<br />

l’opera seconda di Zampaglione Shadow (produce Dario Argento);<br />

Premio Urania d’Argento a Roger Corman (scienceplusfiction.org)<br />

…Tertio Millennio Film Fest “Forme di resistenza” alla sala Trevi di Roma<br />

dal 30/11 al 6/12, a cura dell’Ente dello Spettacolo<br />

(tertiomillenniofilmfest.org) …IX River to river. Florence Indian film<br />

festival a Firenze dal 4 al 10 dicembre: lunghi, corti, doc indiani,<br />

retrospettiva Guru Dutt (rivertoriver.it) …Dal 21 al 28 gennaio Trieste<br />

Film Festival per film, corti e doc dell’Europa centrale e orientale,<br />

omaggio alla Grecia (triestefilmfestival.it).<br />

SI GIRA NEL MONDO<br />

La vita all’Aquila dopo il terremoto ne La città invisibile di Giuseppe<br />

Tandoi, riprese in corso …20 sigarette di Aureliano Amadei parla<br />

dell’esperienza italiana a Nassiriya: il regista è l’unico supersite<br />

dell’attentato che fece 19 vittime sei anni fa (vi si recò come aiuto<br />

regista di Stefano Rolla). Nel cast Carolina Crescentini e Giorgio<br />

Colangeli …Esordio alla regia di Rocco Papaleo con Basilicata coast to<br />

coast, con Alessandro Gassman, Giovanna Mezzogiorno, Paolo<br />

Briguglia e lo stesso autore … Bilal, ispirato al romanzo di Fabrizio Gatti<br />

e sceneggiato da Rulli & Petraglia, parla di immigrazione clandestina<br />

…Dopo i Diari premiati a Cannes, Attilio Azzola prepara Canzoni per il<br />

viaggio ed il tempo presente, indagine sulle band giovanili<br />

…Giuliano Montaldo prepare con Andrea Purgatori L’industriale, sulla<br />

crisi economica …La ritirata in Russia al centro de La seconda via,<br />

finalista del Solinas, diretto da Alessandro Grilli …Tra i ghiacci del<br />

Monte Rosa Andrea Papini gira La misura del confine, riprese con<br />

camera digitale Red 4k …Matrioska di Marco Di Gioia analizza vecchie<br />

tensioni tra Italia e Svizzera …È ispirato a Schnitzler Gioco all’alba di<br />

Andrea Bolognini …Guillermo del Toro produce Los ojos de Julia di<br />

Guillem Morales, nuovo horror catalano …La processione al Calvario di<br />

Pieter Bruegel ha ispirato The mill and the cross di Lech Majeski, con<br />

Rutger Hauer e Charlotte Rampling …Colin Firth e Geoffrey Rush in The<br />

king’s speech di Tom Hooper su Giorgio VI, padre della regnante<br />

Elisabetta II …Sam Mendes, dopo l’ancora inedito Away we go, prepara<br />

Netherland su sceneggiatura di Christopher Hampton, storia di un<br />

agente di cambio trasferitosi nella New York del dopo 11/9 e del cricket<br />

come valvola di sfogo …Il centurione Marcus Aquila, il Vallo di Adriano<br />

e il mistero della Nona Legione in The eagle of the ninth di Kevin<br />

Macdonald con Channing Tatum e Donald Sutherland …Daniel Auteuil<br />

è Un homme très recherché per Isabelle Mergault, al fianco di Sabine<br />

Azéma …Zhang Yimou prepara Amazing tales of 3 guns, film in due<br />

parti (thriller e commedia) …Jean-Jacques Annaud girerà Wolf totem,<br />

kolossal cinese su uno studente che ammaestra un lupo nella Mongolia<br />

anni ’70 …Premiato a Cannes, Christoph<br />

Waltz sarà un ambizioso uomo di mafia in<br />

The green hornet di Michel Gondry, con<br />

Cameron Diaz e Seth Rogen …Suzanne Biel<br />

torna in Danimarca per girare The revenge,<br />

scritto col fido Anders Thomas Jensen<br />

…Gérard Depardieu pesa 110 kg e vive in<br />

roulotte con la madre: accade ne La tête en Christoph Waltz<br />

friche di Jean Becker …Shogun e missione<br />

suicida in 13 assassins, remake a firma Miike Takashi del film del ’63<br />

…L’invenzione del vibratore nell’Inghilterra puritana nella commedia<br />

Hysteria di Tanya Wexter, con Sally Hawkins e Rupert Everett …Léos<br />

Carax torna al cinema con The beast, una storia d’amore lunga 20 anni<br />

…Stephen Fry nel film tratto dal suo libro The liar, regia di Tony Hagger<br />

con Ian McKellen …Stagista in uno studio legale difende un noto<br />

contrabbandiere: è l’incipit de L’avocat di Cédric Anger con Benoît<br />

Magimel e Gilbert Melki …Freakonomics è un documentario a episodi<br />

diretti tra gli altri da Morgan Spurlock e Alex Gibney ...Christopher Lee<br />

in Invasion of privacy, nuovo thriller della rinata Hammer Films con<br />

Hillary Swank.<br />

VIVILCINEMA settembreottobre<strong>09</strong> 5


Metti, una sera a Mantova<br />

Tante buone ragioni per essere<br />

alla nona edizione degli Incontri del cinema<br />

d’essai (6-8 ottobre): la prima e più evidente<br />

è lo skyline mozzafiato della città dei<br />

Gonzaga, che colpisce a sorpresa percorrendo<br />

il ponte sul lago. Una città a misura d’uomo,<br />

Mantova, con un’offerta culturale da fare<br />

invidia a tante amministrazioni comunali, dal<br />

festival della letteratura alle numerose mostre<br />

che si avvicendano – in questo periodo, tra le<br />

altre, gli scatti del Tazio Nuvolari fotografo, al<br />

Palazzo Te fino al 18 dicembre, e le creazioni<br />

serpeggianti di Stefano Arienti, al Palazzo<br />

Ducale fino al 6 gennaio. E adesso il cinema,<br />

con l’annuale incontro delle sale d’essai che<br />

raduna circa 400 tra esercenti, produttori,<br />

distributori, autori e professionisti di un settore<br />

che ha tanta voglia di riflettere sul proprio<br />

presente e sul proprio futuro, su un’offerta di<br />

cinema che si evolve come le aziende che lo<br />

distribuiscono, non sempre a beneficio della<br />

diversità culturale e del pluralismo, mentre la<br />

crisi economica e una concorrenza sempre più<br />

accesa rischiano di pregiudicare l’attività di<br />

tante sale “tradizionali” dei centri cittadini,<br />

baluardo della programmazione in buona<br />

misura italiana che accontenta quella fascia di<br />

pubblico “over 30”, zoccolo duro del segmento<br />

di mercato. Una di queste sale “benemerite”, la<br />

multisala Ariston, costituisce la sede principale<br />

della manifestazione, affiancata dalla cornice<br />

incomparabile del Teatro del Bibiena (avete<br />

presente i piccoli teatri <strong>def</strong>initi “bomboniere”?<br />

Mai <strong>def</strong>inizione fu più azzeccata!) per la<br />

consegna dei premi <strong>Fice</strong> per un anno di cinema<br />

6 VIVILCINEMA settembreottobre<strong>09</strong><br />

speciale incontri <strong>Fice</strong><br />

d’autore; dal Palazzo della Ragione di Piazza<br />

delle Erbe per la festa in onore dei premiati e<br />

dal cinema Mignon per la selezione di Venezia<br />

Orizzonti, che fa seguito all’intesa stipulata da<br />

Agis e associazioni aderenti con la Biennale<br />

Cinema per una promozione congiunta delle<br />

rispettive attività.<br />

E allora, accanto alle consuete anteprime<br />

nazionali e alla riproposta del meglio dei<br />

principali festival, spazio al dibattito, al<br />

famigerato dibattito tanto temuto da molti<br />

cinefili, per analizzare, proporre e soprattutto<br />

dialogare tra i tanti settori che portano avanti<br />

con crescenti difficoltà l’industria cinema<br />

italiana. È affidato a Lionello Cerri, produttore<br />

ed esercente doc, il coordinamento della<br />

tavola rotonda Ruolo e identità del cinema<br />

d’essai oggi: un’impresa possibile, ricognizione<br />

a tutto campo dell’attività del settore, delle<br />

criticità e dei terreni di sviluppo e<br />

salvaguardia, che coinvolge assessori alla<br />

cultura di regioni ed enti locali, direzione<br />

generale cinema del ministero per i beni e le<br />

attività culturali, produttori “illuminati” come<br />

Riccardo Tozzi e Angelo Barbagallo,<br />

distributori leader come Valerio De Paolis (Bim<br />

distribuzione, che ha portato a casa i principali<br />

tre premi all’ultima Mostra di Venezia) e Luigi<br />

Lonigro (01 distribution), autori e<br />

sceneggiatori e poi giornalisti esperti come<br />

Laura Delli Colli, presidente del Sindacato<br />

giornalisti cinematografici. Sarà Franco<br />

Montini, giornalista e presidente del Comitato<br />

film d’arte e cultura (Fac) a illustrare la nuova<br />

pubblicazione dal titolo Autorialità e cinema<br />

Man<br />

SOUL KITCHEN<br />

Nuova sede per gli “Incontri <strong>Fice</strong> del cinema d’essai”, con una rinnovata vocazione<br />

all’approfondimento dei temi di attualità e molte anteprime beneauguranti per la<br />

programmazione di qualità. Angelini, Diritti e Soldini tra gli ospiti<br />

di genere, che analizza col contributo di critici<br />

ed esperti i rapporti molto stretti tra cinema<br />

d’autore e quei generi che hanno fatto la<br />

fortuna del nostro cinema. E poi, il lustro e la<br />

competenza della Bocconi di Milano ad<br />

illustrare un’indagine denominata Dal word of<br />

mouth al word of mouse: esercenti e<br />

distributori alle prese con i nuovi media per<br />

promuovere lo spettacolo cinematografico,<br />

svolta per il progetto Schermi di Qualità volto a<br />

promuovere la diffusione del cinema italiano ed<br />

europeo in tutto il territorio: uno studio sulla<br />

migliore promozione possibile per accrescere la<br />

redditività della produzione di qualità. Non<br />

ultima, la presenza del regista Valerio Jalongo<br />

che presenta Di me cosa ne sai, documentario<br />

sugli ultimi trent’anni (di difficoltà) della nostra<br />

industria cinema, lucida analisi delle cause del<br />

declino culturale prima che produttivo, a<br />

cominciare dal diffondersi della tv commerciale.<br />

Le anteprime<br />

Accanto alle anteprime per la città di Mantova<br />

(Lo spazio bianco di Francesca Comencini,<br />

Genova di Michael Winterbottom e North face<br />

di Philipp Stöltz, spettacolare ricostruzione della<br />

sfortunata scalata alla Parete Nord dell’Eiger), ai<br />

film di Venezia Orizzonti (Io sono l’amore di<br />

Luca Guadagnino, Il colore delle parole di<br />

Marco Simon Puccioni, il vietnamita Adrift di Bui<br />

Thac Chuyen ed il film russo a episodi sull’amore<br />

Crush) e all’omaggio al premio <strong>Fice</strong> Giovanna<br />

Mezzogiorno – il bel documentario Negli occhi<br />

di Anzellotti & Del Grosso dedicato al padre<br />

Vittorio, coprodotto dall’attrice che intervista i


tova 20<strong>09</strong><br />

numerosi autori, attori, intellettuali e familiari<br />

(da Montaldo a Placido, da Peter Bro<strong>ok</strong> alla<br />

madre Cecilia Sacchi) – saranno presentati<br />

alcuni corti di registi mantovani, supportati<br />

dalla Fondazione Bam. Mancano alcuni titoli<br />

destinati al Festival di Roma ma non<br />

mancheranno alcuni dei loro autori con trailer<br />

e sequenze: Giorgio Diritti presenta le prime<br />

immagini de L’uomo che verrà, la<br />

ricostruzione della strage di Marzabotto;<br />

Alessandro Angelini porta a Mantova i primi<br />

20’ di Alza la testa con Sergio Castellitto. Ad<br />

affiancarli, Silvio Soldini presenta le prime<br />

immagini di Cosa voglio di più, una<br />

produzione Lumière con Alba Rohrwacher e<br />

Pierfrancesco Favino.<br />

Questi i titoli delle anteprime per i numerosi<br />

accreditati:<br />

GLI ABBRACCI SPEZZATI<br />

di Pedro Almodovar (Spagna)<br />

Finalmente in Italia, in anteprima sull’uscita di<br />

novembre, l’ultima opera del maestro iberico,<br />

ingiustamente bistrattata in patria, in concorso<br />

a Cannes: una summa del suo cinema che<br />

incolla allo schermo per due ore con la sua<br />

trama finissima controllata al millimetro; una<br />

vicenda di passioni, rancori, delitti con un cast<br />

al solito magistralmente diretto e una cura<br />

formale prodigiosa. Da non perdere.<br />

AJAMI<br />

di Scandar Copti & Yaron Shami<br />

(Israele-Germania)<br />

Il film ha chiuso la Quinzaine des Réalisateurs a<br />

Cannes 20<strong>09</strong> ed è la cronaca asciutta e<br />

drammatica del conflitto tra ebrei, musulmani e<br />

cristiani in un quartiere di Jaffa, dove il 13enne<br />

Nasri e il fratello maggiore Omar vivono nel<br />

terrore per l’oltraggio che lo zio ha perpetuato<br />

a un influente boss della zona. Una storia di<br />

sopravvivenza, vendetta, oppressione.<br />

IL CANTO DELLE SPOSE<br />

di Karin Albou (Tunisia-Francia)<br />

Dopo il successo del libanese Caramel<br />

all’edizione 2007, la Archibald propone una<br />

nuova regista maghrebina con la storia, molto<br />

apprezzata a Torino, dell’amicizia femminile tra<br />

un’araba e un’ebrea nel Nord Africa sconvolto<br />

dalla Seconda Guerra Mondiale. Un film delicato<br />

che potrebbe rivelarsi una felice sorpresa.<br />

500 GIORNI INSIEME<br />

di Marc Webb (Usa)<br />

Prima mondiale al Sundance, ha aperto il<br />

Festival di Locarno e adesso chiude gli Incontri<br />

<strong>Fice</strong> questa esilarante commedia, opera prima di<br />

un video maker che descrive una storia d’amore<br />

a senso unico, un racconto in flashback lungo<br />

500 giorni. Cinefilia e musica a profusione, a<br />

cominciare dagli Smiths, con un gran lavoro al<br />

montaggio.<br />

DEPARTURES<br />

di Yojiro Takita (Giappone)<br />

Ha vinto l’Oscar per il film straniero e in Italia è<br />

stato “importato” dal Far East Festival.<br />

Raffinato, delicato, una insolita commedia<br />

agrodolce: un violinista senza fortuna è<br />

costretto a tornare al paese natio dove si<br />

impiega come “preparatore” di cadaveri<br />

all’insaputa della moglie. Gli incontri con i vecchi<br />

amici e un’umanità sconvolta dal lutto lo<br />

spingeranno a un bilancio della propria<br />

esistenza e a fare i conti col passato.<br />

DIECI INVERNI<br />

di Valerio Mieli (Italia)<br />

Un esordio targato Centro sperimentale di<br />

cinematografia, baciato da un lusinghiero<br />

successo di critica a Venezia e premiato dalla<br />

<strong>Fice</strong> a Mantova. Ne è artefice Valerio Mieli, che<br />

dirige due talenti emergenti come Michele<br />

Riondino e Isabella Ragonese, la cui storia<br />

d’amore è seguita in dieci capitoli che si<br />

dipanano nel tempo e nello spazio, tra Venezia<br />

e Mosca.<br />

IL MIO AMICO ERIC<br />

di Ken Loach (Gran Bretagna)<br />

Un Loach più “grande pubblico” che mai quello<br />

speciale incontri <strong>Fice</strong><br />

DEPARTURES<br />

GLI ABBRACCI SPEZZATI DIECI INVERNI<br />

che ha divertito e commosso la platea di<br />

Cannes, al centro le disavventure di un postino<br />

di mezza età con due figli adolescenti a carico,<br />

gli stenti della working class che l’autore sa<br />

raccontare con la consueta efficacia e…<br />

l’amicizia sui generis con l’idolo del calcio Eric<br />

Cantona, che si materializza davanti al<br />

protagonista ispirandolo nella riscossa sociale e<br />

personale. Finale da applausi, uscita natalizia.<br />

NON E’ ANCORA DOMANI – LA PIVELLINA<br />

di Tizza Covi e Rainer Frimmel<br />

(Italia-Austria)<br />

Già premiato a Cannes (Quinzaine) e al Nuovo<br />

Cinema di Pesaro, è una storia di impronta<br />

neorealista ambientata nella periferia romana,<br />

dove la tranquilla esistenza di artisti di strada<br />

viene sconvolta dal ritrovamento in un parco<br />

di una bambina di due anni, Asia. Un<br />

approccio documentaristico, zavattiniano,<br />

poetico, più vero del vero.<br />

SOUL KITCHEN<br />

di Fatih Akin (Germania)<br />

Gran Premio della Giuria a Venezia, è un film<br />

insolitamente comico e travolgente per<br />

l’autore de La sposa turca: le peripezie di un<br />

ristoratore greco ad Amburgo con fidanzata<br />

dall’altra parte del mondo, il fratello in libertà<br />

vigilata, l’ex compagno di scuola speculatore<br />

edilizio che vuole rilevare l’immobile, il fisco<br />

vorace, lo chef intransigente e un’umanità<br />

variopinta e articolata che fa del film un vero<br />

incanto, anche per le musiche rigorosamente<br />

soul.<br />

VENGEANCE<br />

di Johnny To (Francia-Hong Kong)<br />

Già in concorso a Cannes, è uno dei pochi film<br />

del cult Johnny To ad approdare nelle nostre<br />

sale, grazie alla faccia scolpita di Johnny<br />

Hallyday nel ruolo del killer a riposo,<br />

determinato a vendicare la barbara uccisione<br />

della figlia in Estremo Oriente. Stilizzato e<br />

coinvolgente, promette emozioni forti.<br />

MARIO MAZZETTI<br />

VIVILCINEMA settembreottobre<strong>09</strong> 7


speciale Mantova<br />

8<br />

Un primo dato: i voti della<br />

decima edizione del referendum promosso dalla<br />

nostra rivista e pubblicato anche sul sito<br />

www.fice.it sono stati molto frammentati.<br />

Eccezion fatta per il trionfatore della categoria<br />

“miglior film dell’anno”, il granitico e ispirato<br />

Clint Eastwood di Gran Torino (molto votato<br />

anche Changeling), le preferenze si sono<br />

spalmate su un numero di titoli più ampio del<br />

solito: un segnale della vitalità dell’offerta di<br />

qualità della passata stagione o, viceversa, il<br />

campanello d’allarme della mancanza di opere<br />

“a colpo sicuro”, capaci di attrarre un folto<br />

pubblico? A ben vedere, la passata stagione ha<br />

scontato la mancanza di titoli forti e soprattutto<br />

una pausa estiva molto più lunga del solito (e<br />

del necessario), che ha penalizzato la continuità<br />

dell’offerta. Il discorso si fa più evidente quando<br />

si analizzano i risultati del cinema italiano,<br />

nell’assenza drammatica di titoli come<br />

Gomorra e Il divo, trionfatori della stagione<br />

precedente. A sorpresa, il rigoroso e potente<br />

Vincere è stato battuto sul filo di lana dal più<br />

rassicurante Si può fare, che proprio nella<br />

scorsa edizione degli Incontri <strong>Fice</strong>, ad Asti, fu<br />

presentato dal regista agli entusiasti esercenti<br />

d’essai (una spinta alla sua programmazione?).<br />

Se Pupi Avati è un habitué delle nostre<br />

classifiche e Pranzo di Ferragosto ha già<br />

raccolto numerosi consensi, spiccano il buon<br />

esito del film della Archibugi e del ritorno di<br />

Marco Risi Fortapasc, opera ispirata e<br />

convincente che non ha riscontrato il successo<br />

meritato. E poi, un esordio felice come Mar<br />

Nero di Federico Bondi, settimo posto<br />

lusinghiero che precede Salvatores e l’altro<br />

esordio, ben più ammiccante, Diverso da chi?<br />

Ben piazzata anche l’opera prima di Marco<br />

Pontecorvo. Tutto sommato, gli esordienti<br />

hanno affiancato degnamente gli autori<br />

affermati contribuendo alla vivacità della nostra<br />

produzione nazionale. Sul versante globale, alle<br />

spalle di Clint spicca il buon risultato di Valzer<br />

con Bashir, L’ospite inatteso e Il giardino di<br />

limoni, a testimoniare l’attenzione del pubblico<br />

cinefilo per opere che affrontano temi di<br />

attualità. E infine, una menzione speciale a<br />

Revolutionary Road, bellissimo e<br />

sottovalutato film di Sam Mendes che continua<br />

a far parlare di sé grazie all’uscita in dvd.<br />

VIVILCINEMA settembreottobre<strong>09</strong><br />

PREMI FICE 20<strong>09</strong><br />

GRAN TORINO SI PUÒ FARE Hiam Abbass<br />

Fuori dall’ordinario<br />

“Gran Torino” e “Si può fare” vincono il referendum dei lettori, mentre Francesca Archibugi,<br />

Giovanna Mezzogiorno, Antonio Albanese e Hiam Abbass saranno gli ospiti d’onore della serata<br />

I PREMI FICE A MANTOVA<br />

Come ogni anno, la <strong>Fice</strong> attribuisce agli Incontri d’essai premi<br />

speciali ai talenti del cinema d’autore. Ad arricchire l’edizione<br />

20<strong>09</strong> a Mantova, due fuoriclasse come Antonio Albanese e<br />

Giovanna Mezzogiorno, che si appresta con Vincere a<br />

Antonio Albanese raccogliere consensi in giro per il mondo; due esordienti di razza<br />

come Claudio Noce e Valerio Mieli, applauditi a Venezia con<br />

Good morning Aman e Dieci inverni; professionisti del calibro di<br />

Pivio & Aldo De Scalzi, compositori tra i più apprezzati, e il<br />

direttore della fotografia Marco Onorato (Gomorra, Fortapasc).<br />

Il produttore Riccardo Tozzi, artefice delle fortune di Cattleya<br />

assieme ai soci Stabilini e Chimenz, e l’autrice di Questione di<br />

cuore, Francesca Archibugi, che ha confermato le coordinate<br />

Giovanna Mezzogiorno<br />

di una carriera a metà tra sentimenti e impegno civile, ottima<br />

direttrice di attori (tra cui, per l’appunto, Albanese). Il premio internazionale viene quest’anno<br />

attribuito a un’attrice speciale, la palestinese Hiam Abbass che ha nobilitato due delle opere<br />

più interessanti dell’anno, L’ospite inatteso e Il giardino dei limoni. Infine, i vincitori del<br />

referendum, entrambi targati Warner Bros, Si può fare e Gran Torino: la presenza di Giulio<br />

Manfredonia è probabile, un po’ meno quella di Clint… (M.M.)<br />

FILM D’ESSAI IN GENERALE<br />

1. Gran Torino di Clint Eastwood<br />

2. The millionaire<br />

3. L’ospite inatteso<br />

4. Valzer con Bashir<br />

Come Dio comanda<br />

6. The reader<br />

Il bambino con il pigiama a righe<br />

8. L’onda<br />

Il giardino di limoni<br />

Giu’ al nord<br />

11. Si può fare<br />

12. Revolutionary road<br />

Tra gli altri film votati: Il curioso caso di<br />

Benjamin Button, Milk, Vincere, Changeling,<br />

Stella<br />

QUESTI I FILM PIÙ VOTATI<br />

FILM D’ESSAI ITALIANI<br />

1. Si può fare di Giulio Manfredonia<br />

2 Vivere<br />

3 Il papà di Giovanna<br />

4 Pranzo di ferragosto<br />

5 Questione di cuore<br />

6 Fortapasc<br />

7 Mar Nero<br />

8 Come Dio comanda<br />

9 Diverso da chi?<br />

Tutta colpa di Giuda<br />

11 Giulia non esce la sera<br />

Pa-Ra-Da<br />

Tra gli altri film votati: I ragazzi del Bar Margherita,<br />

Galantuomini, Il passato è una terra straniera, Un<br />

altro pianeta<br />

I FORTUNATI VINCITORI TRA I NOSTRI LETTORI<br />

Tra le migliaia di schede pervenute per il referendum Vota il film d’essai dell’anno, la FICE<br />

ha messo in palio due tessere di libero ingresso nei cinema associati Anec-Agis per il 2010 e<br />

dieci abbonamenti annuali a Vivilcinema. Questi i fortunati sorteggiati.<br />

Le due tessere sono state assegnate a: Anna Gassi di San Severo (FG) e Angelo Codega di<br />

San Giuliano M. (MI); questi invece i destinatari dei dieci abbonamenti: Marina Brunelli di<br />

Bologna, Aldo Massironi di Milano, Nunzia Zacco di Napoli, Adriana Pizzo di Giugliano<br />

(NA), Nicola Panzini di Siziano (PV), Giambattista Polignano di Putignano (BA), Nunzio Santini<br />

di Comiso (RG), Stefania Bartalini di Poggibonsi (SI), Battista Bonetti di Endine Gaiano<br />

(BG), Bruno Zingari di Mantova.


intervista Michael Haneke<br />

FILMOGRAFIA - Der 7. Kontinent (1989), Benny's<br />

Video (1992), 71 frammenti di una cronologia<br />

del caso (1994), Funny games (1997),<br />

Storie (2000), La pianista (2001), Il tempo dei<br />

lupi (2003), Niente da nascondere (2005), Funny<br />

games (2007), Il nastro bianco (20<strong>09</strong>)<br />

Il futuro è noto<br />

Palma d’oro all’ultimo festival di Cannes, l’imperdibile “Il nastro bianco” mette<br />

in stretta relazione l’educazione rigidissima della comunità protestante tedesca<br />

con le future derive dittatoriali ad ampio consenso<br />

Ogni tanto Michael Haneke<br />

sorride. La Palma d’oro meritata, deliberata<br />

con forza dalla sua musa Isabelle Huppert,<br />

presidente di giuria all’ultimo festival di<br />

Cannes: un trionfo del cinema dei misteri<br />

intelligenti e delle passioni anticatartiche.<br />

Deviazioni, malattie, violenza e austerità<br />

senza mai cedere all’indugio. Detestabile per<br />

alcuni palati, geniale per altri: non si<br />

scompone il regista austriaco che sembra<br />

uscito dal pennello di Grant Wood, neo gotico<br />

su scala di grigi nel suo magnifico ultimo<br />

sforzo, Il nastro bianco. Due ore e mezza di<br />

denso precisionismo sulle cause del male.<br />

Qual è stata l’origine del film?<br />

Ho conosciuto la storia di alcuni bambini<br />

membri del coro di una chiesa, in un paesino<br />

della Germania settentrionale, protestante,<br />

alla vigilia della Prima Guerra Mondiale.<br />

Provenivano da famiglie profondamente<br />

severe nell’educazione. I principi di rigidità<br />

protestante si sono assolutizzati nel modo di<br />

crescere questi bambini, sottoponendoli anche<br />

a feroci punizioni fisiche. I ragazzi, alla fine,<br />

hanno interiorizzato questi metodi.<br />

Fotografia e montaggio: come ha<br />

lavorato per ricostruire un’epoca e un<br />

ritmo ben precisi?<br />

Prima di tutto abbiamo studiato sui documenti<br />

iconografici del periodo, di ogni tipo. Da<br />

questo la ricostruzione fedele di costumi,<br />

parrucche, ambienti e atmosfere. Abbiamo<br />

girato 35mm a colori e poi abbiamo<br />

desaturato le immagini, fino a una densa<br />

gamma di grigi. L’imitazione della fotografia<br />

dell’epoca si limita però solo al risultato, non<br />

al processo. Quanto al montaggio, potrei<br />

<strong>def</strong>inirlo “narrativamente lineare”, proprio<br />

come il processo di sfogliare un libro.<br />

Come si è relazionato con gli attori<br />

bambini? Ha loro dato un’idea del<br />

background del film?<br />

Come in ogni mio film, non chiedo agli attori<br />

un’interpretazione concettuale. Intendo dire<br />

che, se non è strettamente necessario, non<br />

10 VIVILCINEMA settembreottobre<strong>09</strong><br />

fornisco loro elementi di sfondo al contesto. A<br />

loro chiedo – inclusi i bambini in questo<br />

specifico caso – di posizionarsi in una<br />

determinata situazione narrativa e<br />

scenografica. Onestamente non so se e quanto<br />

i bambini abbiano compreso del senso<br />

profondo de Il nastro bianco. E se non<br />

hanno capito, forse è anche meglio perché<br />

non era necessario che interpretassero oltre gli<br />

stessi personaggi mentre vivevano la<br />

situazione. I ragazzini erano inseriti in questo<br />

contesto ma non potevano immaginare che<br />

tipo di territorio socio-politico l’educazione<br />

loro imposta avrebbe nutrito di lì a pochi anni.<br />

Ci sono drammi privati nel suo film, ma<br />

soprattutto c’è in sottofondo una<br />

fondamentale questione sociale. In quale<br />

parte del film questa emerge<br />

maggiormente secondo lei?<br />

Quando sono sul set, quindi nel momento in<br />

cui il film prende forma tangibile, gli aspetti<br />

privati della storia sono sempre i principali e<br />

più interessanti per me. È nella fase di scrittura<br />

della sceneggiatura che presto più attenzione<br />

al contesto socio-filosofico su cui l’azione si<br />

muove. Perché ogni dettaglio dei dialoghi<br />

risulta un rimando a un sottotesto, a un<br />

sottofondo di significato. Quindi vorrei che in<br />

ogni parte del film emergessero entrambi i<br />

sensi.<br />

Il nastro bianco è anche un film religioso.<br />

Ha scelto la cultura protestante di<br />

proposito rispetto a quella cattolica?<br />

La cultura protestante è<br />

determinante perché<br />

domina nella zona in<br />

cui è ambientato il<br />

film ed è quella che<br />

nello specifico ha<br />

dato vita<br />

all’ideologia<br />

nazista.<br />

Certamente si<br />

poteva<br />

ambientare un<br />

film nell’Italia pre-fascista, la cui cultura era<br />

totalmente condizionata dalla religione<br />

cattolica. Oppure nel contesto musulmano per<br />

capire le ragioni dei comportamenti del<br />

fondamentalismo islamico. Sarebbero stati tutti<br />

film diversi ma di certo accomunati da un simile<br />

meccanismo causa-effetto: ogni momento della<br />

storia estremo è stato preparato alla base da un<br />

certo tipo di educazione socio-familiare e, a<br />

monte, dall’applicazione perversa di una<br />

qualunque confessione religiosa.<br />

Secondo lei, da quanto emerge dal film,<br />

uno dei messaggi è che le due guerre<br />

erano inevitabili considerando il tessuto<br />

psico-sociale che si stava preparando?<br />

Spesso i film tentano di tornare indietro nel<br />

passato per fare una ricognizione delle possibili<br />

cause delle tante tragedie della storia. Io non<br />

voglio dare giudizi, ho solo voluto mostrare il<br />

contesto in quella particolare frazione di tempo<br />

e spazio e naturalmente mettere in evidenza i<br />

semi problematici di un futuro noto a tutti.<br />

Ipoteticamente, quindi, potrebbero<br />

succedere anche oggi le stesse tragedie di<br />

allora, dati i medesimi presupposti?<br />

In ogni momento della storia si possono<br />

ripetere gli stessi errori. Oggi il più evidente<br />

nucleo problematico risiede nelle modalità<br />

sbagliate in cui viene applicato l’islamismo:<br />

siamo ad una fase molto delicata e pericolosa e<br />

che non ha nulla a che vedere con la vera<br />

religione. Ogni grande crisi ha ragioni profonde<br />

non facili da analizzare, di certo ci sono<br />

elementi ricorrenti che stanno alla<br />

base dei fanatismi e delle<br />

intolleranze razziali.<br />

Lei crede all’innocenza dei<br />

bambini?<br />

I bambini sono o non sono<br />

innocenti quanto<br />

ciascuno di noi. Ci sono<br />

essere umani buoni ed<br />

esseri umani malvagi.<br />

ANNA MARIA PASETTI


intervista Francis Ford Coppola<br />

FILMOGRAFIA - Terrore alla tredicesima ora (1963), Buttati Bernardo! (1967), Il padrino (1972), La conversazione (1974), Il padrino – Parte II (1974), Apocalypse Now (1979), Un sogno lungo un giorno (1982), I<br />

ragazzi della 56ª strada (1983), Rusty il selvaggio (1983), Cotton Club (1984), Peggy Sue si è sposata (1986), I giardini di pietra (1987), Tucker, un uomo e il suo sogno (1988), Il padrino – Parte III (1990), Dra-<br />

12<br />

Tutto in famiglia<br />

Personale ma non autobiografico, “Segreti di famiglia” è l’ultima opera del leggendario<br />

regista, la terza da lui anche scritta. Sempre allergico a Hollywood, estinti i debiti della<br />

Zoetrope fa cinema per divertimento, tra vini e alberghi. Con un occhio all’Italia…<br />

“Niente è successo realmente, ma<br />

è tutto vero: tremendamente vero…”. Così<br />

Francis Ford Coppola, a chi gli chiede se Tetro<br />

(Segreti di famiglia in Italia) sia in qualche<br />

modo autobiografico.<br />

Presentato in anteprima alla Quinzaine des<br />

Réalisateurs di Cannes, da lui ideato, scritto e<br />

diretto, girato in un superbo bianco e nero (il<br />

colore compare solo per i flashback), Tetro<br />

scava nei conflittuali rapporti familiari del<br />

protagonista (Vincent Gallo), ossessionato<br />

dall’idea di “uccidere il padre”, celebre<br />

quanto egocentrico e soffocante direttore<br />

d’orchestra (Klaus Maria Brandauer), che non<br />

esita a rubargli la fidanzata e a stroncare le<br />

sue potenzialità letterarie perché “non può<br />

esserci più di un genio in famiglia”.<br />

È la terza volta che realizza un<br />

lungometraggio basato su una sua<br />

sceneggiatura originale.<br />

Proprio così. L’ho scritto durante il montaggio<br />

di Un’altra giovinezza. Nella mia carriera,<br />

ogni volta che ho fatto un film tratto da un<br />

romanzo, ho sempre voluto mettere il nome<br />

dell’autore sul titolo, per sottolinearne la<br />

paternità: Il Padrino di Mario Puzo, Dracula<br />

di Bram St<strong>ok</strong>er, L’uomo della pioggia di<br />

John Grisham. Qualche volta sento il bisogno<br />

di metterci anche il mio nome, e per far<br />

questo devo essere anche l’autore della<br />

sceneggiatura. D’altronde, più che talento ho<br />

una fervida immaginazione: mi trovo a<br />

cucinare delle idee. Il lavoro più difficile, ma<br />

anche quello più essenziale, è proprio quello<br />

della sceneggiatura. Infatti ammiro gente<br />

come Woody Allen, che ogni anno scrive uno<br />

script originale.<br />

Perché scrivere rende liberi?<br />

Infatti, Tetro è un inno alla mia libertà! Dopo<br />

il flop commerciale di Un sogno lungo un<br />

giorno, che travolse la mia Zoetrope, per un<br />

VIVILCINEMA settembreottobre<strong>09</strong><br />

decennio ho fatto quasi un film su<br />

commissione all’anno: per pagare i miei debiti<br />

con le banche. E, ovviamente, non avevo più il<br />

controllo pressoché totale che avevo ottenuto<br />

con Il Padrino. Solo dopo Dracula ho estinto<br />

i debiti, e sono finiti questi problemi.<br />

E oggi?<br />

Ora mi sento un uomo e un regista<br />

indipendente che è riuscito ad affrancarsi,<br />

come fa Vincent Gallo nel film. Oggi posso<br />

infischiarmene del movie business.<br />

Che decisamente non le piace…<br />

No, non mi piace il cinema che si vive tra le<br />

mura degli uffici marketing, che pensa alla<br />

televisione – quella italiana è la più stupida al<br />

mondo, e ci soffro – e pretende grandi incassi a<br />

discapito della qualità, la voglia e la gioia di<br />

creare. Sono stufo di questo cinema in cui il<br />

budget è direttamente proporzionale alla<br />

stupidità dell’opera. Sono sorpreso: quando<br />

pensi ai film contemporanei, ogni cosa deve<br />

essere semplice e sottodimensionata. Se cerchi<br />

di fare qualcosa di poco più ambizioso, sei<br />

immediatamente bollato come pretenzioso.<br />

Amo la grandezza, letteralmente, e sono triste<br />

di sapere che negli States i nostri film ormai<br />

raggiungono solo 4mila schermi. Anche per<br />

questo me ne sono andato in America Latina.<br />

Ma?<br />

Ma sono un uomo fortunato, molto<br />

fortunato: ho vinto tutti i premi che un uomo<br />

di cinema possa desiderare, dalla Palma d’Oro<br />

agli Oscar. E se sono un uomo ricco, lo devo al<br />

mio vino: il cinema lo faccio perché lo<br />

desidero, non perché ne ho bisogno. Lo faccio<br />

per scoprire nuovi attori come Alden<br />

Ehrenreich (il fratello di Tetro, NdR) o lavorare<br />

con attrici straordinarie come Maribel Verdù,<br />

nel film la fidanzata del protagonista.<br />

Come vede questa attuale rispetto alla<br />

sua generazione d’oro?<br />

Maribel Verdù e Vincent Gallo<br />

Il rimpianto del passato è uno stereotipo:<br />

bisogna guardare al presente con obiettività e<br />

ottimismo. Vedo tanti bravi registi: da Spike<br />

Jonze ad Alexander Payne passando per<br />

Catherine Hardwicke, Tamara Jenkins, Gus<br />

van Sant, Steven Soderbergh. Certo, non è il<br />

mainstream il loro terreno privilegiato, ma<br />

l’arte indipendente: sono tanti e straordinari,<br />

forse è il mondo a non meritarli, e non il<br />

contrario. E le stesse valutazioni dovremmo<br />

farle in tutti i campi, quando giudichiamo le<br />

giovani generazioni.<br />

Il cinema per lei rimane una grande<br />

famiglia: del resto, Tetro è l’ennesima<br />

saga familiare della sua filmografia.<br />

La famiglia è il nucleo più importante. Se amo<br />

questo lavoro, probabilmente è perché posso<br />

parlarne con mia figlia Sofia, caratterialmente<br />

e cinematograficamente molto diversa da me.<br />

E poi posso lavorare con mio figlio Roman,<br />

guardare i documentari che mia moglie fa sui<br />

miei set, un gioco nato dopo che le regalai la<br />

sua prima super16. In famiglia succede tutto:<br />

lì trovi quasi tutte le domande, e molte delle<br />

risposte.<br />

Le sue origini sono italiane: il suo<br />

presente?<br />

Quest’estate ho inaugurato un nuovo albergo<br />

in Lucania. In Italia torno appena posso,<br />

anche per la mia scuola di cinema. È un paese<br />

che per me significa molto, anche se spesso mi<br />

preoccupa! Del vostro cinema, mi sono<br />

rimaste nel cuore le commedie feroci di Pietro<br />

Germi, Vittorio De Sica, Mario Monicelli,<br />

Francesco Rosi. E quello straordinario attore<br />

di Alberto Sordi, che ebbi la fortuna di<br />

conoscere. Fu lui a parlarmi di un collega<br />

molto bravo: Carlo Verdone. Chissà, se avesse<br />

una bella sceneggiatura, sarebbe bello fare<br />

un film insieme.<br />

FEDERICO PONTIGGIA


crediti non contrattuali<br />

DAL 27 NOVEMBRE AL CINEMA


intervista Michael Moore<br />

FILMOGRAFIA - Roger & Me (1989),<br />

Canadian bacon (1995), The big one<br />

(1997), Bowling a Columbine (2002),<br />

Fahrenheit 9/11 (2004), Sicko (2007),<br />

Capitalism: a love story (20<strong>09</strong>)<br />

Quello che non siamo<br />

Si conclude con un discorso storico di Roosevelt “Capitalism: a love story”,<br />

applauditissimo (a Venezia) ultimo documentario del provocatorio regista, che<br />

riesce a far riflettere senza stemperare l’ironia<br />

“Nel mio lavoro non sono<br />

mosso dall’idea di dover superare me stesso e<br />

fare in modo che il mio ultimo film sia<br />

necessariamente migliore del precedente. La<br />

mia grande passione è il cinema. È da quando<br />

sono piccolo che vado al cinema tre o quattro<br />

volte a settimana. Il venerdì sera, in una sala<br />

d’essai che oggi non c’è più, per anni ho visto<br />

ogni singolo film di Bergman, Fellini, Truffaut<br />

e Fassbinder. Quella è stata la mia ispirazione<br />

e la mia scuola per diventare regista. Così, una<br />

volta, quando vivevo con il sussidio di<br />

disoccupazione, ho deciso di prendere una<br />

macchina da presa e raccontare quello che<br />

succedeva a Flint, la città del Michigan dove<br />

sono nato e cresciuto. Da allora non ho più<br />

smesso”. Michael Moore racconta così la sua<br />

filosofia cinematografica, che lo ha spinto ad<br />

intraprendere una straordinaria carriera di<br />

documentarista che nel suo ultimo lavoro,<br />

Capitalism: a love story, sembra riuscire a<br />

raggiungere un climax sia sotto il profilo<br />

cinematografico che sociale e politico. Il<br />

miglior documentario diretto da Michael<br />

Moore è un viaggio in un’America devastata<br />

dallo scandalo dei cosiddetti mutui subprime e<br />

lacerata da una crisi economica in cui Wall<br />

Street è la protagonista di un vero e proprio<br />

colpo di Stato ai danni del resto degli Stati<br />

Uniti.<br />

Qual è la funzione del cinema?<br />

Quella di parlare a miliardi di persone e di<br />

creare un dibattito e una discussione. Io credo<br />

soltanto nell’azione collettiva e nella<br />

mobilitazione. L’azione personale del singolo<br />

è solo un’illusione in cui non credo affatto. O<br />

meglio: se non amo una particolare azienda<br />

per quello che fa, non compro i suoi prodotti,<br />

perché mi fa stare meglio. So bene che la mia<br />

scelta personale non serve a nulla ed è per<br />

questo che, invece, ho scelto di esprimermi<br />

attraverso un mezzo come il cinema, che mi<br />

mette in contatto con milioni di persone per<br />

raccontare loro le storie di cui sono testimone.<br />

14 VIVILCINEMA settembreottobre<strong>09</strong><br />

Il cinema può cambiare il mondo?<br />

Credo proprio di sì: Fahrenheit 9/11 non ha<br />

avuto un grande impatto nel breve periodo.<br />

C’è voluto un po’ di tempo perché si radicasse<br />

nella nostra cultura. Sono stato il primo a<br />

sparare contro George W. Bush e a prendermi<br />

il rischio di fare un film per il quale sono stato<br />

criticato e maltrattato dalla maggioranza<br />

delle persone. Facendolo, però, ho fatto in<br />

modo che anche altri iniziassero a scrivere e a<br />

fare film sull’amministrazione Bush. Sicko sta<br />

dando oggi un contributo significativo al<br />

dibattito sulla sanità che si sta sviluppando<br />

negli Usa. Il cinema serve a formare la<br />

coscienza delle persone e a raccontare le loro<br />

storie.<br />

Nel corso della sua carriera, lei è<br />

diventato un’icona: avverte una certa<br />

pressione sul suo lavoro?<br />

Sinceramente no. Non avverto alcuna<br />

particolare pressione se non quella di<br />

rispettare il pubblico che guarda i miei film e<br />

le persone che si rivolgono a me per<br />

raccontare i loro drammi. In Capitalism: a<br />

love story la prima sequenza è quella di uno<br />

sfratto di una famiglia rovinata dai mutui.<br />

Non l’ho girata io: me la sono trovata una<br />

mattina nella mia cassetta della posta. Ricevo<br />

cose del genere ogni giorno: dvd,<br />

videocassette insieme a semplici lettere di<br />

persone che mi scelgono come testimone<br />

delle loro sofferenze. C’è tanta gente che mi<br />

chiede aiuto in America e questo è il mio<br />

fardello personale: dover conoscere in prima<br />

persone le pene e la disperazione di persone<br />

che, come me, vivono nella nazione più ricca<br />

del mondo. Per me è molto difficile non<br />

sentirmi profondamente coinvolto da quello<br />

che mi viene raccontato e da ciò che io stesso<br />

decido di mostrare agli spettatori. Il mio<br />

obiettivo è quello di mostrare storie<br />

complesse e difficili riuscendo ad intrattenere<br />

il pubblico, mantenendo saldo il mio senso<br />

dell’umorismo. Ridere è l’unica maniera per<br />

non esplodere, allentando un po’ la tensione<br />

e scaricando l’inquietudine. Lo humour è<br />

fondamentale per me e per il mio cinema.<br />

Come riesce a mantenere la sua<br />

indipendenza?<br />

Faccio film che costano tra i due e i sei milioni<br />

di dollari, dei quali riesco a mantenere un<br />

controllo pressoché totale e che si rivelano<br />

molto profittevoli. L’incasso totale di<br />

Fahrenheit 9/11, contando tutti i biglietti<br />

staccati nel mondo e le vendite televisive e in<br />

dvd, è stato di mezzo miliardo di dollari. Così,<br />

qualsiasi studio è interessato a produrre<br />

quello che faccio, perché il mio cinema<br />

produce soldi senza perderne. La mia<br />

indipendenza è tutelata dalla formula che ho<br />

scelto per esprimermi e nella quale mi sento<br />

più a mio agio. Finché avrò successo dal punto<br />

di vista economico, potrò restare seduto al<br />

tavolo delle grandi distribuzioni e produzioni<br />

ed essere libero di scegliere.<br />

Capitalism si conclude con una sequenza<br />

commovente di Franklyn Delano<br />

Roosevelt che parla alla nazione. Come<br />

l’ha trovata?<br />

Tutti gli americani che la vedono piangono:<br />

Barack Obama potrebbe diventare il<br />

Roosevelt del ventunesimo secolo se avrà la<br />

forza e il coraggio sufficienti. Io intendo<br />

sostenerlo in questo cammino così come il<br />

resto degli americani. Per questo motivo ho<br />

mandato la mia squadra di ricercatori presso<br />

la famiglia Roosevelt e il suo archivio per<br />

trovare le immagini di quello straordinario<br />

discorso. Ci hanno detto che non esistevano,<br />

ed è in questi momenti che so di dovermi dare<br />

una mossa per ritrovarlo, cosa che, invece, è<br />

accaduta nella Carolina del Sud. Oggi questo<br />

materiale d’archivio appartiene al mondo e ci<br />

fa rimpiangere al pensiero di come avrebbe<br />

potuto essere diversa la nostra storia se solo<br />

avessimo seguito le idee esposte in quel<br />

discorso.<br />

MARCO SPAGNOLI


Luciano Melchionna<br />

intervista<br />

Era dal 1967, da quando<br />

Pasolini vi girò La terra vista dalla luna, che<br />

una troupe cinematografica non entrava al<br />

Colosseo. Nonostante le difficoltà da<br />

affrontare per ottenere i permessi, il regista<br />

teatrale e cinematografico Luciano<br />

Melchionna ha voluto fortemente il<br />

monumento romano come scenario del suo<br />

film Ce n’è per tutti, il cui protagonista,<br />

Gianluca, si arrampica sul Colosseo per<br />

estraniarsi da tutto. Immediatamente<br />

accorrono amici e parenti, mossi dalla<br />

preoccupazione che il ragazzo voglia<br />

suicidarsi, ma anche da sentimenti meno<br />

nobili, come la voglia di partecipare<br />

all’evento. Il film è tratto da una commedia di<br />

Luca De Bei e dello stesso Melchionna, autore<br />

teatrale pluripremiato (fra gli ultimi successi:<br />

Dignità autonome di prostituzione) qui alla<br />

sua seconda prova cinematografica dopo Gas<br />

(2005), anch’esso tratto da un suo testo<br />

teatrale.<br />

Come è stato sviluppato il testo teatrale<br />

nel passaggio al cinema?<br />

Quando l’ho scelta per metterla in scena, la<br />

commedia di De Bei non era finita. L’ho<br />

sviluppata io per il teatro, aggiungendo<br />

alcune parti come quella del protagonista e<br />

della nonna, e solo allora ci siamo resi conto<br />

delle enormi potenzialità che aveva. Per il<br />

cinema, comunque, è stata completamente<br />

riscritta.<br />

Qualche anno fa lavoravi alla<br />

trasposizione cinematografica del<br />

romanzo L’odore di Rocco Familiari. Cosa<br />

ti ha fatto cambiare progetto?<br />

Il progetto de L’odore ce l’ho ancora nel<br />

cuore, la sceneggiatura secondo me<br />

è molto potente ed efficace, ma il<br />

budget per realizzarlo sarebbe<br />

stato troppo alto per gli standard<br />

di un secondo film. Inoltre<br />

avevo voglia di raccontare<br />

con uno sguardo<br />

bonario e sorridente<br />

quelle stesse energie<br />

giovanili e<br />

inconsapevoli che in<br />

Il regista del film<br />

16 VIVILCINEMA settembreottobre<strong>09</strong><br />

Anna Falchi Lorenzo Balducci e Stefania Sandrelli<br />

Micaela Ramazzotti e Ambra Angiolini<br />

Trentenni inconsapevoli<br />

Con “Ce n’è per tutti” lo sguardo generazionale dell’autore vira in commedia<br />

dopo le pulsioni violente di “Gas”. Lorenzo Balducci di nuovo protagonista<br />

Gas venivano dirottate verso il male e la<br />

violenza, diventando bombe a orologeria.<br />

Forse mi sentivo anche un po’ colpevole di<br />

aver descritto solo l’aspetto violento di quelle<br />

vite allo sbando, che per contrasto possono<br />

essere anche molto divertenti.<br />

Il tema di fondo, pur in una chiave di<br />

commedia, è ancora il vuoto che domina<br />

la vita dei giovani. Come mai hai scelto<br />

di tornare a parlare della generazione dei<br />

trentenni?<br />

I protagonisti sono gli stessi giovani<br />

mammoni, trentenni e oltre – perché questo<br />

vuol dire giovani oggi: ragazzi non cresciuti –<br />

che in Gas erano fotografati in una realtà di<br />

provincia. Le loro forze sono assorbite dalla<br />

disperata ricerca del lavoro o dai tantissimi<br />

lavori che sono costretti a fare<br />

contemporaneamente per arrotondare lo<br />

stipendio, volantinaggio, vendite porta a<br />

porta, ragazzo speedy: è una fotografia del<br />

precariato a tutto tondo. Non hanno grandi<br />

aspirazioni e forse nemmeno speranze. Non<br />

sono uniti da passioni comuni, come in<br />

passato, ma dal caso, e non si capisce che<br />

affinità abbiano fra loro. Si ritrovano insieme<br />

solo grazie al gesto estremo di Gianluca, che li<br />

attira tutti al Colosseo, chi per farsi vedere, chi<br />

per esserci, chi per diventare un eroe. E in<br />

quell’occasione si capirà che non tutti sono<br />

amici come vogliono apparire.<br />

Hanno scritto di te che hai un “talento<br />

visionario espressionista”. In questo caso<br />

la <strong>def</strong>inizione ti corrisponde?<br />

Spero che il graffio sia riconoscibile anche in<br />

questo diverso contesto, perché il mio<br />

intento sarebbe quello di<br />

rivitalizzare la commedia<br />

all’italiana alta, mantenendo<br />

uno sguardo<br />

visionario.<br />

Che background<br />

ha il<br />

protagonista<br />

Gianluca, per<br />

interpretare<br />

il quale hai<br />

riconfermato<br />

il “tuo” attore Lorenzo Balducci?<br />

Gianluca è un poeta in un mondo dove la<br />

poesia non vale più niente. Non abbiamo<br />

neanche bisogno di sapere cosa scriva, per<br />

sapere che è un emarginato. Lui non sale sul<br />

Colosseo per buttarsi, come tutti credono, ma<br />

per staccarsi da tutto, per “sollevarsi” in una<br />

specie di paradiso. Ho riconfermato Lorenzo<br />

Balducci nel ruolo di protagonista e lo<br />

riconfermerò fino a quando sarà lui a dirmi di<br />

lasciarlo in pace. É un attore strepitoso, ha la<br />

capacità di mantenere un’imperturbabilità<br />

apparente pur rivelando attraverso la mimica,<br />

il volto, quei suoi occhi liquidi, un mondo<br />

interiore vulcanico.<br />

Il cast è veramente ricco di bravi attori<br />

fra cui, nella parte importante della<br />

nonna, Stefania Sandrelli…<br />

La nonna è l’unico personaggio che riesce a<br />

parlare al cuore del ragazzo, a rompere<br />

quella sua dissociazione dalla realtà. Lei, che<br />

l’ha cresciuto, è il suo unico punto di<br />

riferimento. Sono veramente onorato che<br />

Stefania Sandrelli abbia accettato questo<br />

ruolo. Dal momento che ha deciso di fare il<br />

film si è consegnata nelle mie mani, seguendo<br />

il suo grande istinto di attrice che la porta ad<br />

essere così spontanea e allo stesso tempo così<br />

consapevole. Nella scelta degli attori mi sono<br />

divertito a invertire i ruoli, a esasperare i<br />

contrasti, perché trovo che mettendo l’attore<br />

di fronte al proprio opposto, il personaggio<br />

diventi più complesso e tridimensionale.<br />

Ambra Angiolini, che appare sempre così<br />

calma e compassata, fa la parte di una<br />

ragazza volgare e coatta. “Dopo tanti anni di<br />

dizione – mi ha detto – guarda cosa mi tocca<br />

fare!”. Micaela Ramazzotti, invece, che sullo<br />

schermo spesso impersona la ragazza sexy ma<br />

un po’ svampita, una Marilyn italiana, diventa<br />

un personaggio duro e rompiscatole. Arnoldo<br />

Foà, the voice, nel film fa il nonno che non<br />

parla. Ho chiamato poi gli attori con cui<br />

lavoro di solito in teatro, nomi poco noti ma<br />

tutti bravissimi, e Giorgio Colangeli, che<br />

ha lavorato molto con me, e che io amo<br />

molto.<br />

BARBARA CORSI


intervista Marco Filiberti<br />

Piera degli Esposti<br />

Il crepuscolo degli uomini<br />

Appena presentato a Venezia, “Il compleanno” è un melodramma alla Douglas Sirk:<br />

due coppie, una villa e una presenza che turba gli equilibri…<br />

Dopo Poco più di un anno fa<br />

nel 2002, Marco Filiberti torna alla regia con Il<br />

compleanno, melò all star – da Alessandro<br />

Gassman a Piera degli Esposti passando per<br />

Michela Cescon, Maria de Medeiros, Massimo<br />

Poggio e Christo Jivkov – già passato al<br />

Controcampo Italiano della 66^Mostra di<br />

Venezia. È la storia di due coppie di amici,<br />

Matteo e Francesca e Diego e Shary, che<br />

passano l’estate in una casa sulla spiaggia, tra<br />

crisi e momenti di tensione, finché arriva<br />

David, il figlio di Diego e Shary, che travolgerà<br />

tutti...<br />

Produttivamente, che Compleanno è?<br />

Ho due produttrici francesi per una società<br />

italiana, la ZenZero. Non posso disattendere<br />

le mie radici, combatto nel mio terreno, ma la<br />

mia estraneità al sistema è fortissima e<br />

continuerà ad esserlo: Il compleanno è stato<br />

realizzato senza Rai né Medusa.<br />

Rai e Medusa: fanno bene al nostro<br />

cinema?<br />

Quella tra cinema e televisione è una<br />

connection perniciosa: un peccato mortale,<br />

che mina autenticità e libertà degli autori. È<br />

la tendenza all’omologazione, strategica,<br />

calcolata, che fa parte della volontà di<br />

assopimento del senso critico generale: non<br />

un individuo dalle scelte deliberate e<br />

soggettive, ma un compratore come vuole il<br />

capitalismo iperselvaggio.<br />

Che vorresti passasse con questo film?<br />

Ho un desiderio tormentato e ineludibile,<br />

spero collettivo: il superamento della<br />

contemporanea descrittività, mediata<br />

dall’implosione del linguaggio televisivo. Nel<br />

mio libro che accompagna il film, Il melò<br />

ritrovato, sostengo che c’è stato un tempo<br />

degli dei, uno del dio unico, e uno degli<br />

uomini, che oggi sta tramontando, sostituito<br />

dalla tecnologia. Cerco di registrare il<br />

crepuscolo degli uomini, sperando di dare<br />

18 VIVILCINEMA settembreottobre<strong>09</strong><br />

Massimo Poggio, Maria de Medeiros, Alessandro Gassman e Michela Cescon<br />

luce e senso nella riorganizzazione delle<br />

forme, perché non finisca tutto in un centro<br />

commerciale il sabato pomeriggio.<br />

E la forma scelta è il melò.<br />

Parto da due percorsi che confluiscono.<br />

Innanzitutto, identifico il legame del gesto<br />

artistico cinematografico con l’eziologia<br />

melodrammatica; poi, c’è il mio percorso<br />

personale: non potrei fare altro, affino il<br />

linguaggio in termini contemporanei,<br />

lavorando in sottrazione rispetto<br />

all’ineludibile modello di Douglas Sirk.<br />

Veniamo al film…<br />

Si apre su una scena d’opera in teatro con<br />

Tristano e Isotta: una mediazione per far<br />

accedere il pubblico. Ma, per dirla con<br />

Thomas Mann, la nobiltà dello spirito non<br />

appartiene a nessuno dei personaggi, sta nel<br />

metatesto, in quell’altrove a cui i caratteri<br />

non arrivano. Tanto è vero che il film finisce<br />

malissimo, non solo per la tragedia ma perché<br />

questa non serve: David scatena una reazione,<br />

stigmatizzando lo strato di non autenticità<br />

che riveste queste persone, in una società<br />

improntata al capitalismo e svuotata di<br />

identità.<br />

E gli attori?<br />

Massimo Poggio ha il ruolo principale: il suo<br />

personaggio ha la consapevolezza più alta, è<br />

l’unico intellettuale, gli altri appartengono al<br />

milieu borghese, ma senza cultura. Il suo<br />

Matteo, orfano come Tristano, si è fatto<br />

da solo ed è molto attaccato alla<br />

sua professione di<br />

psicanalista, ma si<br />

sfascia: è disarmante.<br />

La moglie,<br />

Francesca, ha il<br />

volto di Maria de<br />

Medeiros.<br />

Potrebbe essere<br />

una Desdemona<br />

dei giorni nostri, una bambina senza età, con<br />

gli occhioni spalancati sull’abisso. Accanto a<br />

lei, Michela Cescon, utilizzata sempre in modo<br />

mortificante: qui è bellissima, bionda,<br />

irriconoscibile, una novella Lana Turner.<br />

La sua Shari è accoppiata ad Alessandro<br />

Gassman…<br />

Un eterno ragazzo, Diego, che gioca<br />

sull’appeal e l’inconsistenza, in un tira e molla<br />

con la compagna. Diego voleva fare l’attore<br />

ed è finito nello studio del padre: è simpatico,<br />

figo e senza posizione nel mondo. Ma in un<br />

gruppo corroso dall’ansia ha un ruolo di<br />

bilanciamento: non si accorgerà di nulla, solo<br />

che la vacanza sta andando in malora.<br />

Poi c’è il fratello minore di Shari,<br />

Leonard.<br />

Christo Jivkov, ovvero la nobiltà offesa dalla<br />

violenza del mondo: un solitario, con la croce<br />

sulle spalle. È l’unico a presentire la tragedia,<br />

ma i suoi mezzi non possono fare breccia<br />

nella società attuale.<br />

Un Compleanno nichilista?<br />

No, perché la ricerca dell’altrove permea<br />

ogni singolo fotogramma. La risoluzione c’è,<br />

ma non è qui: i personaggi non ci possono<br />

arrivare, forse gli spettatori. È un film sulle<br />

verità nascoste, e nella verità una risposta<br />

c’è sempre.<br />

FEDERICO PONTIGGIA


CREDITI NON CONTRATTUALI<br />

INCONTRA IL CINEMA D’ESSAI<br />

LOURDES<br />

di Jessica Hausner<br />

con<br />

Sylvie Testud Léa Seydoux<br />

Bruno Todeschini<br />

Elina Löwensohn<br />

PREMIO FIPRESCI<br />

Assegnato da una giuria internazionale di critici<br />

PREMIO SIGNIS<br />

Organizzazione Cattolica Internazionale per il Cinema<br />

PREMIO BRIAN<br />

Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti<br />

PREMIO LA NAVICELLA<br />

Fondazione Ente dello Spettacolo<br />

e dalla Rivista del Cinematografo<br />

GOOD MORNING<br />

AMAN<br />

di Claudio Noce<br />

con<br />

Valerio Mastandrea<br />

Said Sabrie Anita Caprioli<br />

MANTOVA 6 / 8 OTTOBRE 20<strong>09</strong><br />

WWW.CINECITTALUCE.IT<br />

DI ME<br />

COSA NE SAI<br />

di Valerio Jalongo<br />

collaborazione alla regia<br />

Giulio Manfredonia<br />

e Francesco Apolloni<br />

Selezione Ufficiale<br />

PREMIO FEDIC<br />

Federazione Italiana dei Cineclub


Festival di<br />

Speciale<br />

CHAQUE JOUR EST UNE FÊTE<br />

Donne che contano<br />

Tre film italiani che potrebbero fare la differenza e poi i Coen, Tanovic, Reitman e,<br />

tra i documentari de “L’Altro Cinema”, Olmi e Scorsese. A far brillare l’edizione<br />

20<strong>09</strong> è però un’attrice del calibro di Meryl Streep, premio alla carriera<br />

A metà strada tra la Mostra<br />

di Venezia e il Torino Film Festival, la IV<br />

edizione del Festival di Roma (15-23<br />

ottobre), per la seconda volta presieduto<br />

da Gian Luigi Rondi, conferma la propria<br />

natura di vetrina del cinema internazionale<br />

d’autore a vocazione popolare, tra<br />

glamour e temi di attualità. Rientrate le<br />

polemiche su tappeto rosso e budget,<br />

sollevate dalla giunta capitolina dopo<br />

l’elezione a sindaco di Alemanno (anche<br />

grazie alla collaudata abilità mediatrice di<br />

Rondi, “uomo per tutte le stagioni”),<br />

quest’anno titolare unica della direzione è<br />

Piera Detassis, già responsabile nelle scorse<br />

edizioni delle anteprime, mentre Mario<br />

Sesti resta al timone de L’altro cinema/Extra<br />

e Gianluca Giannelli di Alice nella città.<br />

Potenziato il Mercato, dal 15 al 19 ottobre<br />

a via Veneto e dintorni, neo direttore<br />

Roberto Cicutto che si è compiaciuto del<br />

15% di presenze in più. Ad esso è collegata<br />

La fabbrica dei progetti, quest’anno 26<br />

20 VIVILCINEMA settembreottobre<strong>09</strong><br />

sceneggiature in cerca di coproduzioni.<br />

Smussate le specificità dell’impronta<br />

veltroniana, confermato il filo diretto dei<br />

film-evento con il Festival di Toronto,<br />

quest’anno la selezione ufficiale propone<br />

14 opere in concorso più 8 fuori concorso,<br />

giudicate da una giuria di professionisti e<br />

intellettuali guidata da Milos Forman, che<br />

avrà anche l’onore di consegnare il<br />

Marc’Aurelio d’oro alla carriera a Meryl<br />

Streep, protagonista di un atteso incontro<br />

con pubblico e stampa, di una retrospettiva<br />

e del film di chiusura Julie & Julia. L’altra<br />

retrospettiva è dedicata a Luigi Zampa,<br />

mentre gli omaggi sono rivolti a Luciano<br />

Emmer e Tullio Kezich, da poco scomparsi,<br />

e Luciano Salce; gli spazi dell’Auditorium<br />

Parco della Musica ospitano mostre<br />

dedicate a Sergio Leone, Antonio Ligabue<br />

(a margine del documentario di Salvatore<br />

Nocita), a Cesare Zavattini (al museo<br />

Macro) e ai mutamenti climatici globali,<br />

tema quest’ultimo al centro del focus<br />

Occhio sul mondo con eventi, dibattiti e<br />

naturalmente film, tra cui La questione<br />

nucleare di Ugo Fabrizio Giordani (Italia e<br />

Francia, scettici ed entusiasti) e Strade<br />

d’acqua di Augusto Contento,<br />

sull’Amazzonia. Proseguono gli Stati<br />

generali del cinema italiano, titolo<br />

altisonante per tre convegni quest’anno<br />

sulla promozione, sulla rivoluzione del<br />

digitale in sala e sul rapporto tra cinema e<br />

territorio.<br />

Nel presentare<br />

l’edizione 20<strong>09</strong>, si<br />

è parlato di una<br />

forte<br />

connotazione<br />

femminile<br />

tra autrici<br />

(von<br />

Trotta,<br />

VISION


Roma 20<strong>09</strong> Speciale<br />

UP IN THE AIR<br />

TRIAGE<br />

l’esordiente Stefania Sandrelli) e attrici di rilievo (Streep, Helen<br />

Mirren, la madrina Margherita Buy), di temi ricorrenti come<br />

razzismo, totalitarismi, povertà ma anche spiritualità e sport –<br />

in generale c’è poco da ridere e le poche commedie sono<br />

intrise di disgrazie. Ad ogni modo, ciò che conta è la qualità e<br />

per formulare giudizi occorrerà attendere la fine dei giochi.<br />

Molte le opere sulla carta interessanti, a cominciare dagli<br />

italiani cui dedichiamo ampio spazio in questo numero,<br />

L’uomo che verrà di Diritti, Alza la testa di Angelini e Viola<br />

di mare della Maiorca: una strage nazista attraverso gli occhi<br />

di una famiglia dell’appennino tosco-emiliano e in particolare<br />

di una bambina; un rapporto padre-figlio tra pregiudizi e<br />

dolore e la sfida alle convenzioni di una coppia lesbica nella<br />

Sicilia dell’800. Di omosessualità parla anche Brotherhood del<br />

danese di origini italiane Nicolo Donato, al debutto con la<br />

storia di due neonazisti, un apprendista e il suo mentore, tra i<br />

quali scocca una clamorosa scintilla tra un raid punitivo e<br />

l’altro. L’isola di Dawson, nello stretto di Magellano, ha visto<br />

imprigionare e torturare dopo il golpe anti-Allende tutti i<br />

collaboratori e ministri del presidente: il regista cileno a lungo<br />

in esilio Miguel Littin ne parla in Dawson Isla 10, tra il 1973<br />

ed oggi. Regimi e martiri anche in Popieluszko di Rafal<br />

Wieczynski, sul sequestro e omicidio del<br />

cappellano di Solidarnosc nella Varsavia<br />

del 1984, evento che ha accelerato la<br />

fine del regime di Jaruzelski (già<br />

narrato in Un prete da uccidere della<br />

Holland nell’88); a 25 anni dalla<br />

morte, ad accompagnare il film<br />

sarà Lech Walesa. Le concert di<br />

Radu Mihaileanu (primo regista<br />

romeno ad affacciarsi alla<br />

notorietà col travolgente Train<br />

de vie) concede una rivincita<br />

Tutti i film del festival<br />

CONCORSO<br />

After, Alberto Rodriguez …Alza la testa, Alessandro Angelini<br />

…Brotherhood, Nicolo Donato …Chaque jour est une fête, Dima El-<br />

Horr …Dawson Isla 10, Miguel Littin …The last station, Michael<br />

Hoffman …Plan B, Marco Berger …Qingnian, Geng Jun …Les regrets,<br />

Cédric Kahn …Triage, Danis Tanovic …L’uomo che verrà, Giorgio<br />

Diritti …Up in the air, Jason Reitman …Viola di mare, Donatella<br />

Maiorca …Vision, Margarethe von Trotta<br />

Giuria: Milos Forman (presidente), Assia Djebar, Gabriele Muccino, Gae<br />

Aulenti, Jean-Loup Dabadie, Pavel Lungin, Senta Berger<br />

FUORI CONCORSO<br />

Christine Cristina, Stefania Sandrelli …The city of your final<br />

destination, James Ivory …Le concert, Radu Mihaileanu …Io, Don<br />

Giovanni, Carlos Saura …Julie & Julia, Nora Ephron …Lang zai ji/The<br />

warrior and the wolf, Zhuangzhuang Tian …Oggi sposi, Luca Lucini<br />

…A serious man, Joel e Ethan Coen …Hachiko: a dog’s story, Lasse<br />

Hallström …Astro Boy, David Bowers<br />

EVENTI SPECIALI<br />

Red riding trilogy, Autori Vari …Parnassus l’uomo che voleva<br />

ingannare il diavolo, Terry Gilliam …Omaggio a Roma, Franco<br />

Zeffirelli …La maglietta rossa, Mimmo Calopresti …L’uomo dalla<br />

bocca storta, Emanuele Salce, Andrea Pergolari …Dive allo specchio,<br />

Gilles Jacob …Le ragazze di piazza di Spagna, Luciano Emmer<br />

L’ALTRO CINEMA<br />

American boy: a profile of Steven Prince, Martin Scorsese, Tommy<br />

Pallotta …Con artist, Michael Sladeck …Fratelli d’Italia, Claudio<br />

Giovannesi …Garbo, the man who saved the world, Edmon Roch<br />

…I knew it was you, Richard Shepard …L’Italia del nostro<br />

scontento, Elisa Fuksas, Francesca Muci, Lucrezia Le Moli …Latta e<br />

café, Antonello Matarazzo …Mamachas del ring, Betty M. Park …Pin<br />

2011, Torsten König …The one man Beatles, Cosimo Messeri<br />

…Severe clear, Kristian Fraga …Sons of Cuba, Andrew Lang<br />

Giuria: Folco Quilici (presidente), Francesco Conversano, Salvo Cuccia,<br />

Giovanna Gagliardo, Gianfranco Pannone, Franco Diavoli, Sherin Salvetti<br />

Fuori concorso: The afterlight, Alexei Kaleina …Bancs publics,<br />

Bruno Podalydès …Bunny and the bull, Paul King …Corked!, Paul<br />

Hawley …Het Leven uit een dag, Mark De Cloe …Jury<strong>ok</strong>u Pierrot,<br />

Jun-ichi Mori …Moja krew, Marcin Wrona …Rewizyta, Krzysztof<br />

Zanussi …Simon Konianski, Micha Wald …T<strong>ok</strong>yo Ningen Kigeki,<br />

Koji Fukada …Paulo Coelho’s The experimental witch, Aa. Vv.<br />

Eventi speciali: Antonio Ligabue: fiction e realtà, Salvatore Nocita<br />

…Immota manet, Gianfranco Pannone …L’Aquila bella mè, Pietro<br />

Pelliccione, Mauro Rubeo …Rupi del vino, Ermanno Olmi …Maria Lai.<br />

Ansia d’infinito, Clarita Di Giovanni …Sotto il Celio azzurro,<br />

Edoardo Winspeare …University of Southern California – Giovani<br />

autori dell’animazione, Aa. Vv. …H.O.T. – Human Organ Traffic,<br />

Roberto Orazi<br />

ALICE NELLA CITTA’<br />

To be all and end all, Bruce Webb …A boy called dad, Brian Percival<br />

…Dear Lemon Lima, Suzi Yoonessi …Last ride, Glendyn Ivin<br />

…Marpiccolo, Alessandro di Robilant …1981, Ricardo Trogi …Nat e il<br />

segreto di Eleonora, Dominique Monféry …Prinsessa – Starring<br />

Maja, Teresa Fabik …La regate, Bernard Bellefroid …Skellig, Annabel<br />

Jankel …Vegas, Gunnar Vikene …Winter in wartime, Martin<br />

Koolhoven …Turtle the incredibile journey, Nick Stringer<br />

OCCHIO SUL MONDO<br />

The cove, Louise Psihoyos …Ghost bird, Scott Crocker …Strade<br />

d’acqua, Augusto Contento …The end of the line, Rupert Murray<br />

…La questione nucleare, Ugo Fabrizio Giordani …1000 year song of<br />

Baobab, Seiichi Motohashi …H2Oil, Shannon Walsh<br />

VIVILCINEMA settembreottobre<strong>09</strong> 21


speciale Roma ‘<strong>09</strong><br />

Da Roma alle sale<br />

Escono a ridosso del festival romano diversi<br />

titoli interessanti: oltre ai film in concorso di<br />

Alessandro Angelini e Donatella Maiorca<br />

(per il film di Diritti dovremo aspettare i<br />

primi del 2010) e a Marpiccolo di<br />

Alessandro di Robilant, ecco cosa troverete<br />

in sala dalla metà alla fine di ottobre.<br />

IO, DON GIOVANNI<br />

di Carlos Saura<br />

con Lorenzo Balducci,<br />

Lino Guanciale, Ennio<br />

Fantastichini (Lucky Red)<br />

Coproduzione italospagnola<br />

sul librettista<br />

Lorenzo Da Ponte, la cui vita dissoluta lo costringe<br />

all’esilio da Venezia a Vienna, dove conosce Mozart<br />

che da lui trarrà ispirazione per il Don Giovanni.<br />

JULIE & JULIA<br />

di Nora Ephron<br />

con Meryl Streep, Amy<br />

Adams, Stanley Tucci<br />

(Sony)<br />

Ispiratrice della cucina<br />

“alla francese” per molte<br />

donne americane: Julia Child, nella recente<br />

commedia dell’autrice di Insonnia d’amore in cui la<br />

fama e le ambizioni dell’autrice e cuoca che nel ’48<br />

pubblicò il suo libro più famoso vengono rievocate<br />

da una trentenne di oggi, Julie Powell, che in<br />

difficoltà sul lavoro e nella vita si mette sulle orme<br />

della donna e apre un blog dove racconta le sue<br />

esperienze in cucina.<br />

OGGI SPOSI<br />

di Luca Lucini<br />

con Luca Argentero,<br />

Michele Placido, Isabella<br />

Ragonese, Carolina<br />

Crescentini, Filippo Nigro,<br />

Renato Pozzetto<br />

(Universal)<br />

Cast corale per quattro matrimoni molto<br />

movimentati, dal poliziotto pugliese che vuole<br />

sposare la figlia dell’ambasciatore indiano ai due<br />

precari che cercano di imbucare tutti gli invitati a<br />

una festa di nozze vip al pubblico ministero che<br />

cerca di dissuadere l’anziano padre dallo sposare<br />

una giovane massaggiatrice. Lucini è un nome<br />

ormai affermato nella commedia contemporanea,<br />

anche grazie al lavoro dello sceneggiatore Fabio<br />

Bonifacci.<br />

L'INCREDIBILE<br />

VIAGGIO<br />

DELLA TARTARUGA<br />

di Nick Stringer<br />

Regista militante<br />

ecologista, Stringer ci<br />

immerge nell'habitat<br />

delle tartarughe marine, grazie a 5 anni di riprese<br />

in alta <strong>def</strong>inizione. Voce italiana di Paola Cortellesi<br />

22 VIVILCINEMA settembreottobre<strong>09</strong><br />

THE LAST STATION<br />

tardiva al direttore d’orchestra del Bolshoj licenziato dal regime sovietico e diventato<br />

custode del teatro moscovita. Ma c’è anche l’attualità con Triage di Danis Tanovic<br />

(No man’s land): Colin Farrell fotoreporter di ritorno dal Kurdistan, ossessionato dai<br />

ricordi e dalla scomparsa del collega (al montaggio la nostra Francesca Calvelli, dopo il<br />

magnifico lavoro per Vincere di Bellocchio); con Qingnian (Gioventù) di Geng Jun,<br />

ambientato in una provincia cinese ai confini con la steppa siberiana dove il miracolo<br />

economico non è arrivato; con Up in the air del sulfureo Jason Reitman (vinse a<br />

Roma due anni fa con Juno), George Clooney tagliatore di teste che sfugge alla realtà<br />

accumulando e spendendo punti mille miglia aereo dopo aereo. Anche sul fronte<br />

biografie non mancano figure affascinanti, come Cristina da Pizzano, letterata e<br />

donna emancipata ante litteram nel Medioevo, rievocata da Stefania Sandrelli alla<br />

prima regia con la figlia Amanda nel ruolo di Christine Cristina, Alessio Boni e<br />

Alessandro Haber. Come l’anziano Leo Tolstoj attratto dalla dottrina utopica,<br />

spogliatosi di tutti i beni nello sconcerto della moglie Sofia (protagonisti Helen Mirren<br />

e Christopher Plummer) in The last station di Michael Hoffman. Come Hildegard von<br />

Bingen, badessa di convento in preda a visioni mistiche e sospettata di eresia in<br />

Vision di Margarethe von Trotta, che ritrova la Barbara Sukowa di Anni di piombo.<br />

Desta curiosità il ritorno di James Ivory, dopo la scomparsa del sodale Ismail<br />

Merchant, che in The city of your final destination, con Anthony Hopkins, Laura<br />

Linney e Charlotte Gainsbourg affronta il romanzo di Peter Cameron su un biografo<br />

alle prese con la strampalata famiglia di<br />

uno scrittore scomparso. I Coen sono gli<br />

autori più attesi a Roma, fuori concorso<br />

per loro scelta: il loro A serious man è la<br />

vicenda grottesca di un insegnante<br />

universitario ebreo, che nel Minnesota del<br />

1967 cade sempre più in basso tra lavoro,<br />

famiglia e fede. Dilemmi morali e teologici<br />

in un film dall’umorismo corrosivo con<br />

attori sconosciuti. Sul versante amour fou,<br />

l’argentino Plan B di Marco Berger ed il<br />

francese Les regrets di Cédric Kahn, con<br />

Valeria Bruni Tedeschi e Yvan Attal. Sul<br />

fronte sociale-surreale, Chaque jour est<br />

une fête della libanese Dima El-Horr<br />

descrive tre donne, in viaggio verso il<br />

carcere che ospita i loro mariti, smarrite<br />

nel deserto (una di loro è la grande Hiam<br />

Abbass). Sul fronte fantastico,<br />

Zhuangzhuang Tian in The warrior and<br />

the wolf mette in scena tribù ribelli,<br />

spargimenti di sangue e licantropia nel<br />

deserto del Gobi di 2000 anni fa, mentre<br />

HACHIKO: A DOG’S STORY<br />

il supereroe suo malgrado Astro Boy


(produzione Usa di David Bowers) è tratto<br />

dal manga di Osamu Tezuka e, sempre<br />

dalla creatività giapponese, Hachiko: a<br />

dog’s story di Lasse Hallström parla del<br />

legame indissolubile tra un cane e il suo<br />

padrone (Richard Gere). In concorso anche<br />

lo spagnolo After di Alberto Rodriguez, su<br />

trentenni insoddisfatti, fuori concorso la<br />

trilogia nata per la britannica Channel 4<br />

Red riding, crimini efferati nella<br />

campagna dello Yorkshire dai romanzi di<br />

David Peace, regia di Julian Jarrold, James<br />

Marsch (lo scorso anno a Roma col premio<br />

Oscar Man on wire) e Anand Tucker. Il<br />

documentario di Mimmo Calopresti La<br />

maglietta rossa, su Adriano Panatta che<br />

vinse la Coppa Davis con un indumento che<br />

sfidava il regime cileno nel 1976. Giovani<br />

fan in visibilio con l’omaggio a Heath<br />

Ledger (le prime prove registiche con la<br />

scuola di cinema The masses e il film in<br />

uscita Parnassus) e l’anticipazione di New<br />

moon, secondo capitolo di Twilight.<br />

Da sempre fiore all’occhiello della<br />

manifestazione, L’Altro Cinema è<br />

incentrato quest’anno su una sezione<br />

competitiva con 12 documentari, 11<br />

lungometraggi fuori concorso e qualche<br />

evento speciale. Tra i maestri, Ermanno<br />

Olmi con Rupi del vino prosegue il suo<br />

viaggio tra i ritmi e i prodotti della terra,<br />

ripetendo il viaggio in Valtellina di Mario<br />

A SERIOUS MAN<br />

CHRISTINE CRISTINA LE CONCERT<br />

Soldati; Martin Scorsese riprende con<br />

Tommy Pallotta, in American boy, il<br />

ritratto dell’amico molto scapestrato<br />

Steven Prince, iniziato nel 1978 con un film<br />

che si credeva perduto. Tra i temi<br />

affrontati, gli adolescenti italiani di<br />

seconda generazione in Fratelli d’Italia di<br />

Claudio Giovannesi; l’ambiente, i giovani<br />

d’oggi e la politica ne L’Italia del nostro<br />

scontento a firma Fuksas, Muci e Le Moli;<br />

il dopo terremoto ne L’Aquila bella mè di<br />

Pelliccione e Rubeo e nel corto collettivo<br />

Immota manet a cura di Gianfranco<br />

Pannone; i ritratti degli artisti Maria Lai,<br />

Riccardo Dalisi, Mark Kostabi e Antonio<br />

Ligabue; le donne wrestler in Bolivia e i<br />

giovani pugilatori a Cuba, la spia Garbo<br />

tra nazisti e alleati avvolta nella cinefilia, il<br />

diario del graffitista tedesco Pin 2011, il<br />

traffico di organi e i corti animati<br />

dell’università della Southern California; gli<br />

sforzi degli insegnanti di una materna<br />

multietnica a Roma diretti da Edoardo<br />

Winspeare, la pop star<br />

Emitt Rhodes<br />

caduta nell’oblio<br />

(dirige Cosimo<br />

Messeri,<br />

producono<br />

Barbagallo e<br />

Mazzacurati).<br />

Ma su tutti,<br />

due ritratti si<br />

impongono: il<br />

marine Mike<br />

Scotti che ha<br />

filmato gli<br />

orrori<br />

dell’invasione<br />

dell’Iraq<br />

affidandoli a<br />

Kristian Fraga<br />

(Severe clear) e<br />

l’attore John Cazale,<br />

THE CITY OF YOUR FINAL DESTINATION<br />

cinque film con Coppola, Lumet e Cimino e<br />

una morte prematura: all’epoca era<br />

fidanzato con Meryl Streep, intervistata<br />

assieme a Pacino, De Niro, Coppola in I<br />

knew it was you. Tra i film fuori<br />

concorso, il road movie mentale, “da<br />

appartamento” Bunny and the bull<br />

dell’inglese Paul King; la bizzarra<br />

commedia corale Bancs publics di Bruno<br />

Podalydès con un cast all star (Darroussin,<br />

Deneuve, Amalric, Mastroianni, Arditi); il<br />

mystery familiare Jury<strong>ok</strong>u Pierrot di Junichi<br />

Mori, la Experimental witch che<br />

Paulo Coelho ha realizzato affidando il suo<br />

libro La strega di Portobello ai lettori via<br />

web; il polacco Moja krew sull’intesa tra<br />

un pugile menomato e una immigrata<br />

vietnamita; il viaggio nella memoria<br />

dell’Olocausto Simon Konianski di Micha<br />

Wald, con toni da commedia; il tocco<br />

rohmeriano del giapponese Koji Fukada e<br />

Krzysztof Zanussi che rivisita i personaggi<br />

di alcune sue opere del passato con gli<br />

attori di allora, invecchiati. Nel folto<br />

programma anche l’incontro duetto tra<br />

Gabriele Muccino e Giuseppe Tornatore e<br />

quello con Asia Argento.<br />

Si parlerà per lo più inglese e francese in<br />

Alice nella città, vicende agrodolci su<br />

infanzia e adolescenza non prive di<br />

drammi, con attori come Tim Roth<br />

(angelo-gufo in Skellig), Hugo<br />

Weaving e Ian Hart. Da segnalare<br />

l’italiano Marpiccolo di<br />

Alessandro di Robilant e<br />

l’animazione italo-francese Nat<br />

e il segreto di Eleonora di<br />

Dominique Monféry, ritorno<br />

dopo liti e vicissitudini<br />

della torinese Lanterna<br />

Magica.<br />

MARIO MAZZETTI<br />

LES REGRETS<br />

VIVILCINEMA settembreottobre08 23


intervista<br />

FILMOGRAFIA - Viol@ (1998), La squadra<br />

– serie TV (2006), La stagione dei delitti –<br />

serie TV (2007), Viola di mare (20<strong>09</strong>)<br />

Donatella Maiorca<br />

Uomo per forza<br />

Dieci anni dopo l’esordio di<br />

Viol@, Donatella Maiorca, che nel frattempo<br />

si è dedicata alla televisione – “per<br />

sopravvivere”, tiene subito a precisare – torna<br />

al cinema con Viola di mare per raccontare<br />

un’altra inconsueta storia d‘amore. Se nel<br />

primo film la protagonista era una ragazza<br />

coinvolta in una relazione virtuale attraverso<br />

la rete, questa volta al centro dell’intreccio c’è<br />

la passione fra due giovani donne nella Sicilia<br />

di fine Ottocento. Facile intuire che quello fra<br />

Angela e Sara è un amore scandaloso,<br />

contrastato, quasi impossibile; proprio per<br />

questo Angela è costretta a trasformarsi in<br />

Angelo, ovvero fingere di essere un uomo,<br />

nascondere il seno, indossare la coppola,<br />

fumare il sigaro. “Il mio film – precisa<br />

Donatella Maiorca – racconta la storia di due<br />

donne in lotta per l’affermazione dell’amore<br />

e insieme un lungo percorso finalizzato alla<br />

riacquisizione di un’identità femminile.<br />

Tuttavia vorrei chiarire che Viola di mare<br />

non vuol essere un film manifesto in chiave<br />

femminista. Non sono omosessuale e non<br />

volevo realizzare un film bandiera.<br />

La storia – prosegue la regista – è ambientata<br />

nel passato ma credo che la vicenda narrata<br />

sia ancora molto attuale, basti pensare alla<br />

condizione della donna in molte società del<br />

Sud del mondo. Per questo motivo, pur<br />

cercando di essere storicamente rigorosa, ho<br />

cercato di ridurre all’osso costumi e<br />

24 VIVILCINEMA settembreottobre<strong>09</strong><br />

Ennio Fantastichini Isabella Ragonese e Valeria Solarino<br />

Opera seconda a 10 anni di distanza dal debutto, “Viola di mare” è una storia<br />

d’amore che affronta pregiudizi e convenzioni nella Sicilia di fine ‘800,<br />

con Valeria Solarino e Isabella Ragonese. Le musiche sono di Gianna Nannini<br />

scenografie, evitando dal punto di vista<br />

iconografico lo stereotipo della Sicilia. Il mio<br />

film è un po’ come sospeso nel tempo,<br />

proprio per avvicinarlo ai nostri giorni”.<br />

Come è nata l’ispirazione per il film?<br />

Alla base del film c’è il romanzo Minchia di re<br />

di Giacomo Pilati. Un’amica giornalista, Pina<br />

Mandolfo, me lo ha segnalato e, dopo averlo<br />

divorato, ho subito pensato di farne un film.<br />

Ho lavorato alla sceneggiatura con la<br />

Mondolfo, Donatella Diamanti e Mario<br />

Cristiani e, pur non partecipando<br />

direttamente al lavoro di scrittura, Pilati ci è<br />

stato molto vicino, con consulenze ed<br />

incoraggiamenti. Il libro è molto barocco e<br />

poetico, il film volutamente più scarno.<br />

Peraltro la vicenda raccontata nel libro nasce<br />

da una storia vera, protagonista una donna<br />

nata nel 1868 e vissuta per cento anni, quindi<br />

testimone e protagonista di un’infinità di<br />

rivoluzioni sociali e culturali.<br />

Qual è il senso del titolo del nuovo film?<br />

Il nome Viola intende metaforicamente<br />

suggerire una connessione con la sua<br />

opera prima?<br />

Niente affatto. La doppia presenza del nome<br />

Viola nel titolo dei due film è del tutto<br />

casuale. Viola di mare è il nome di un pesce<br />

ermafrodito del Mediterraneo che nasce<br />

femmina, depone le uova e successivamente<br />

si trasforma in maschio. Questo pesce ha<br />

anche vari nomignoli dialettali e in siciliano è<br />

chiamato Minchia di re, appunto il titolo del<br />

romanzo. Diciamo che abbiamo<br />

semplicemente tradotto in italiano il titolo<br />

originale...<br />

È stato difficile trovare e ricostruire la<br />

Sicilia di fine Ottocento?<br />

Sono siciliana e pertanto possiedo<br />

un’approfondita conoscenza della mia<br />

regione. Questo mi ha aiutato ad individuare<br />

abbastanza celermente le location. Le riprese<br />

si sono svolte tutte dal vero, fra l’isola di<br />

Favignana e Custunaci, un paesino<br />

dell’entroterra fra Palermo e Trapani, senza<br />

alcuna ricostruzione scenografica, anche<br />

perché non avevamo alle spalle una<br />

produzione così ricca.<br />

Gran parte della squadra tecnica del film<br />

(direttore della fotografia, scenografia,<br />

costumi, musica, produzione) è composta<br />

da donne: una scelta voluta per<br />

sottolinearne il carattere femminile?<br />

Non si tratta di una scelta decisa<br />

prioritariamente a tavolino, ma di un processo<br />

naturale, del tutto involontario per certi versi.<br />

Le direttrici della fotografia, ad esempio, sono<br />

ancora delle eccezioni, ma con Roberta<br />

Allegrini, che ritengo bravissima, avevo già<br />

collaborato ed è stato logico rivolgermi a lei.<br />

Quanto alle musiche sono molto fiera della<br />

presenza di Gianna Nannini, che offre al film<br />

un valore aggiunto.<br />

La scelta degli interpreti è stata<br />

altrettanto semplice?<br />

Assolutamente sì: per il ruolo di Angela/Angelo<br />

avevo bisogno di un’attrice che potesse<br />

interpretare il doppio ruolo senza cadere nel<br />

grottesco o nel ridicolo. Valeria Solarino<br />

possiede una fisicità che si presta facilmente<br />

alle trasformazioni; può essere molto sexy ma<br />

apparire anche un po’ un ragazzino, insomma<br />

era proprio l’attrice ideale per il ruolo. Per Sara<br />

ho pensato subito a Isabella Ragonese perché,<br />

oltre ad essere un’ottima attrice, come del<br />

resto Valeria, è anche siciliana e, pertanto, in<br />

grado di arricchire il personaggio di certe<br />

sfumature caratteriali e psicologiche. Mi piace,<br />

infine, ricordare la presenza di Ennio<br />

Fantastichini e Giselda Volodi nel ruolo dei<br />

genitori di Angela, che non volevo apparissero<br />

dei mostri, bensì il retaggio di una società<br />

ipocrita e bigotta, quindi dei personaggi<br />

negativi, ma per certi versi comunque<br />

comprensibili. Sono molto soddisfatta della<br />

prestazione dei miei attori.<br />

FRANCO MONTINI


IL NASTRO BIANCO<br />

DAL 30 OTTOBRE AL CINEMA


Intervista Alessandro Angelini<br />

FILMOGRAFIA - El barrilete (2005, doc.),<br />

L’aria salata (2006), Alza la testa (20<strong>09</strong>)<br />

26<br />

L’autore del film<br />

La ruggine addosso<br />

Per la seconda volta<br />

Alessandro Angelini è in concorso al Festival<br />

di Roma, dove nel 2006 il suo bel film<br />

d’esordio, L’aria salata, vinse il premio per<br />

l’interpretazione di Giorgio Colangeli. Con<br />

l’opera seconda, Alza la testa, il giovane<br />

regista romano torna a raccontare un<br />

complesso personaggio maschile,<br />

interpretato da Sergio Castellitto, e il suo<br />

percorso di caduta e redenzione, scritto<br />

insieme ad Angelo Carbone e Francesca<br />

Marciano. Lo spunto iniziale è ancora un<br />

rapporto padre-figlio, in questo caso un<br />

padre single, che cerca di crescere il figlio<br />

adolescente nel modo migliore,<br />

proteggendolo dalle cose che hanno ferito<br />

lui nella vita. Lorenzo (Gabriele Campanelli)<br />

rappresenta per Antonio Mero una promessa<br />

di risarcimento alle proprie delusioni<br />

sentimentali e sportive, ed è per questo che<br />

lo allena con tanto accanimento alla boxe,<br />

sport nel quale lui non è riuscito ad andare<br />

oltre la carriera di dilettante. Quando<br />

Lorenzo comincia ad avere i primi autonomi<br />

successi sportivi e si innamora di una ragazza<br />

straniera, Mero cerca di fermarlo per timore<br />

VIVILCINEMA settembreottobre<strong>09</strong><br />

Gabriele Campanelli e Sergio Castellitto<br />

A tre anni dal notevole “L’aria salata”, l’autore romano si avvale di un gigantesco Sergio<br />

Castellitto per raccontare di un nuovo difficile rapporto padre-figlio in “Alza la testa”<br />

di perderlo, ma i contrasti che ne nascono<br />

scatenano tragiche conseguenze. Dopo il<br />

grande dolore della perdita, Mero dovrà<br />

cambiare atteggiamento per rimettere mano<br />

ai propri errori e cercare di rialzarsi in piedi.<br />

Inizierà un viaggio alla ricerca di una persona<br />

nella quale intravede l’unica possibilità di<br />

salvezza, ma il viaggio sarà anche dentro di<br />

sé. Sonia, la figura intorno alla quale ruota la<br />

seconda parte del film, è interpretata da<br />

Anita Kravos, già protagonista di Come<br />

l’ombra; Denisa, la madre di Lorenzo, da Pia<br />

Lanciotti; Ana, la ragazza romena di cui si<br />

innamora il ragazzo, da Laura Ilie.<br />

Mero ama il figlio ma lo vuole<br />

indirizzare secondo i propri desideri, è<br />

ostile agli stranieri ma si trova<br />

continuamente ad aver a che fare con<br />

loro, vive in un mondo maschile ma le<br />

sue certezze sono “minacciate” dalle<br />

donne. Che persona è Mero?<br />

Mero non è un personaggio accattivante.<br />

Quando vuole essere simpatico è di una<br />

simpatia per così dire grezza, quando è<br />

antipatico capisci che lo è perché ci sono<br />

state circostanze che lo hanno segnato. Fa<br />

l’operaio nautico in un cantiere di Fiumicino<br />

ma, pur costruendo barche, è ancorato al suo<br />

ambiente e alle sue convinzioni. Non ha mai<br />

viaggiato e ha una chiusura totale verso gli<br />

extracomunitari, nonostante lavori con molti<br />

di loro. Con i colleghi del cantiere – fra i quali<br />

Giorgio Colangeli – tutti cinquantenni e soli,<br />

ha formato una specie di famiglia virile, in cui<br />

è costretto a muoversi anche il figlio,<br />

cresciuto senza una figura femminile di<br />

riferimento. Questo fragile<br />

equilibrio è rotto dall’arrivo di<br />

una ragazzina che viene da un<br />

paese straniero, nella quale<br />

Lorenzo ritrova qualcosa<br />

della madre e Mero lo<br />

spettro del suo<br />

matrimonio<br />

fallito con una<br />

donna albanese.<br />

Da quel momento<br />

il suo obiettivo<br />

diventa quello di<br />

impedirgli di<br />

compiere i suoi stessi<br />

errori.


Come ha contribuito Sergio Castellitto<br />

alla caratterizzazione di Mero?<br />

Il film è costruito su un unico personaggio,<br />

sul suo modo di vivere i rapporti e i<br />

sentimenti, e avere Sergio è stata la mia<br />

fortuna. Ho pensato a lui fin dall’inizio e lui<br />

ha accettato la parte ancora prima che fosse<br />

scritta la sceneggiatura. Ha colto subito<br />

l’essenza del personaggio ed è stato disposto<br />

ad arricchirlo di dettagli e suggestioni con un<br />

entusiasmo e una partecipazione<br />

meravigliosi. Ha praticamente scritto il film<br />

con la sua interpretazione: nell’arco di un’ora<br />

e mezzo riesce a far ridere, piangere,<br />

suscitare rabbia, cambiando continuamente<br />

registro di recitazione.<br />

Hai dichiarato di amare i “personaggi<br />

con la ruggine addosso”, come Mero e<br />

Luigi Sparti de L’aria salata.<br />

Cosa trovi in loro di<br />

interessante da<br />

raccontare?<br />

Mi piacciono perché sono<br />

persone indomite, che<br />

agiscono e non si<br />

fermano mai, pur<br />

commettendo<br />

molti errori.<br />

Sentono che<br />

l’ago della<br />

bilancia pende<br />

a loro sfavore,<br />

pensano di<br />

meritarsi di<br />

più dalla vita<br />

e di non avere più tempo. Allora provano a<br />

forzare la situazione e spesso passano il<br />

segno, facendo peggiorare le cose. Io ne ho<br />

conosciute tante di persone così, e la cosa che<br />

mi affascina di loro è che ci provano sempre,<br />

fino in fondo. Questo è il tratto<br />

fondamentale di Mero, che non capisce mai<br />

quando è ora di smettere, ma proprio per<br />

questo riesce sempre a ottenere qualcosa, a<br />

rimettersi in piedi. Nel pugilato, l’importante<br />

è rimanere in piedi anche se si prendono i<br />

pugni, e sapersi rialzare quando si cade. Allo<br />

stesso modo ciò che anima queste persone è<br />

la volontà di farcela, l‘idea che un giorno<br />

riusciranno ad ottenere quello che si<br />

meritano.<br />

Nel film precedente adottavi una<br />

costruzione molto rigorosa, quasi<br />

documentaristica. Qui la storia è più<br />

articolata e ricca di sorprese. In che<br />

modo sei intervenuto sul modo di<br />

raccontarla?<br />

Può sembrare che Alza la testa parta dalle<br />

stesse premesse de L’aria salata, ma non è<br />

così. Questo film mescola i generi<br />

continuamente con una grande libertà<br />

narrativa. Volevamo che la struttura fosse<br />

spiazzante, come le aspettative e le sorprese<br />

della vita, che ti butta all’aria un progetto,<br />

per il quale magari ti sei allenato a lungo, e ti<br />

costringe a ricominciare da capo o a<br />

cambiare strada. Inizia come una commedia<br />

anche un po’ sgangherata, poi diventa un<br />

romanzo di formazione, una storia d’amore,<br />

un dramma, per concludersi con un finale<br />

Castellitto con Laura Ilie<br />

surreale e quasi favolistico. C’è dentro tutto:<br />

l’idea di ridere, piangere e dare il classico<br />

colpo allo stomaco. Spero che arrivi allo<br />

spettatore così come è stato pensato.<br />

Ne L’aria salata c’era un attento studio<br />

di ambienti e di luci, un dialogo intenso<br />

fra il concetto di “apertura” e<br />

“chiusura”. Anche in questo caso le<br />

ambientazioni aggiungono significati<br />

ulteriori al percorso umano di Mero?<br />

Dovendo trattare la parabola di un uomo,<br />

siamo partiti da luoghi fermi e chiusi – il<br />

cantiere, la palestra, il quartiere popolare e<br />

duro, che sta asserragliato in difesa dei suoi<br />

abitanti – per concludere con il movimento e<br />

l’apertura del viaggio, che non è solo un<br />

viaggio geografico. Mero si ritrova ai confini<br />

dell’Italia, a Gorizia, in un luogo in cui è lui lo<br />

straniero. Va a conoscere qualcuno di cui non<br />

sa nulla, non sa cosa aspettarsi e non ha più<br />

alcun punto fermo. Mi piace pensare che<br />

anche in casi estremi come questo, quando si<br />

è perso tutto, c’è sempre la possibilità di<br />

compiere un gesto inatteso e – forse –<br />

pacificatorio per “rialzare la testa”. E qui<br />

vengo al titolo, Alza la testa, il consiglio che<br />

Mero dà sempre al figlio durante gli<br />

allenamenti di pugilato, esortandolo in<br />

questo modo anche a comportarsi con<br />

fierezza e a non aver paura di nessuno. Poi,<br />

nel cammino doloroso di Mero, questa frase<br />

diventa un monito a se stesso: “alza la testa”<br />

e guarda chi hai davanti. Riconosci l’altro,<br />

anche se è diverso da te.<br />

BARBARA CORSI<br />

VIVILCINEMA settembreottobre<strong>09</strong><br />

27


intervista<br />

28<br />

Giorgio Diritti<br />

La vita in tempo di guerra<br />

29 settembre – 5 ottobre<br />

1944. Circa ottocento civili furono assassinati<br />

dalle truppe naziste nel territorio emiliano di<br />

Marzabotto e nelle colline limitrofe di<br />

Montesole. Fra le vittime molti bambini. È<br />

questo lo scenario che accompagna il nuovo<br />

lavoro di Giorgio Diritti, L’uomo che verrà:<br />

il racconto di quei tragici giorni attraverso la<br />

storia di una famiglia e lo sguardo lucido ed<br />

innocente di Martina.<br />

Qual è stata la genesi del progetto?<br />

L’idea è nata molti anni fa. Avevo<br />

intervistato un monsignore responsabile<br />

della Caritas di Bologna. Era stato compagno<br />

di seminario di alcuni sacerdoti che sono<br />

morti a Montesole. Aveva scritto un libro, Le<br />

querce di Montesole che racconta i tragici<br />

fatti della strage di Marzabotto. Quella<br />

lettura mi ha aperto gli occhi su una vicenda<br />

che i libri di storia o l’immaginario collettivo<br />

raccontano in maniera diversa rispetto alla<br />

realtà dei fatti. In quel periodo però ero<br />

molto giovane e inesperto. Ho tentato di<br />

proporre il progetto di un film su quella<br />

vicenda senza ricevere alcuna risposta<br />

positiva. Poi nel ‘93 ho ripreso in mano<br />

l’idea. Ho fatto parecchie interviste a<br />

sopravvissuti e partigiani, iniziando il<br />

percorso che mi ha portato poi alla<br />

realizzazione della sceneggiatura.<br />

Nella scrittura che punto di vista hai<br />

utilizzato?<br />

Non volevo fare un film storico, anche se è<br />

importante parlare di questo pezzo di storia,<br />

mantenendo viva la memoria. Tanto meno<br />

VIVILCINEMA settembreottobre<strong>09</strong><br />

Claudio Casadio e Maya Sansa<br />

La strage di Marzabotto, il conflitto bellico visto dal basso ne “L’uomo che verrà”,<br />

attesa opera seconda per l’autore della rivelazione “Il vento fa il suo giro”, con Alba<br />

Rohrwacher e Maya Sansa accanto ad attori non professionisti<br />

un film bellico dove ci sono i vincitori buoni<br />

da una parte e i cattivi perdenti dall’altra.<br />

Volevo raccontare la vicenda di Marzabotto<br />

affrontando un tema purtroppo d’attualità,<br />

vale a dire la condizione dei civili nella<br />

guerra. I civili con la loro quotidianità, i<br />

sogni, le aspirazioni, i figli da crescere, il<br />

desiderio di migliorare la propria condizione<br />

sociale, il desiderio di affermarsi nel lavoro,<br />

l’innamorarsi. Sono stadi che facevano parte<br />

del loro vissuto e che logiche di dominio e di<br />

possesso, di ideologie come quella nazista,<br />

oppure d’interessi commerciali velati da altre<br />

cose, hanno in un attimo annientato insieme<br />

alle persone. Il film racconta la guerra vista<br />

in un certo senso dal basso, con il punto di<br />

vista di chi la subisce.<br />

Per farlo hai utilizzato gli occhi e il<br />

cuore di Martina.<br />

Ho utilizzato il punto di vista di una bambina<br />

per due motivi. Nella fase della fanciullezza<br />

c’è una dimensione bellissima, che è quella<br />

che ti porta a scoprire il mondo per<br />

conoscere gli elementi che lo compongono,<br />

pur non sapendo bene cosa essi siano. In<br />

questo sguardo innocente tante volte si<br />

nasconde una grande forza, quella che<br />

mette in luce le incoerenze e le stranezze<br />

del mondo degli adulti. L’altro aspetto è<br />

legato al fatto che nella strage di<br />

Marzabotto hanno perso la vita un alto<br />

numero di bambini, più di duecento di<br />

età inferiore agli otto/dieci anni.<br />

Oltre a Martina troviamo altre due<br />

donne: la madre interpretata da<br />

Maya Sansa e la zia interpretata da Alba<br />

Rohrwacher. Che caratteristiche hanno?<br />

Il mio è il racconto corale che ha per<br />

protagonista una tipica famiglia<br />

dell’Appennino di allora, immersa in una<br />

dimensione in cui la civiltà contadina era<br />

molto forte. Le famiglie erano dei nuclei<br />

multiformi dove convivevano tante persone.<br />

Il personaggio interpretato da Maya Sansa<br />

viveva la condizione di vita in campagna<br />

come una cosa normale. Maya è nella logica<br />

di una madre, spesso inglobata nelle<br />

dinamiche che relegavano il ruolo femminile<br />

in ambiti poco decisionali. Questo non<br />

accadeva ovunque: nelle altre regioni d’Italia,<br />

come in Piemonte, il matriarcato era molto<br />

forte. Qui nell’Appennino bolognese era la<br />

figura maschile che predominava. L’uomo<br />

andava a fare la spesa al paese, gestiva i<br />

soldi e prendeva le<br />

decisioni.<br />

Il regista del film


Al contrario, il personaggio interpretato da<br />

Alba cerca di affrancarsi, realizzarsi.<br />

All’epoca ad esempio si andava in città a<br />

servizio per conquistare il mondo, per<br />

elevarsi socialmente, per poter comprare un<br />

vestito in più, avere un ruolo diverso.<br />

Anche ne L’uomo che verrà, come era<br />

accaduto ne Il vento fa il suo giro, hai<br />

utilizzato il dialetto.<br />

Era importante conservare il più possibile la<br />

sensazione di salto nel tempo. Era<br />

fondamentale entrare nel 1944. L’ipotesi di<br />

parlare un italiano bolognesizzato non<br />

convinceva me e gli attori. Così ho optato<br />

per l’utilizzo di un dialetto che fosse più<br />

stretto ma reale. Certo, esiste la fatica dei<br />

sottotitoli ma si ha così la sensazione di<br />

tuffarsi in quell’epoca. Gli attori hanno fatto<br />

un grande lavoro di training. Maya e Alba<br />

sono state bravissime. Hanno avuto un bravo<br />

dialect coach che le ha istruite in ogni<br />

battuta, ha fatto loro un corso. La difficoltà<br />

nell’uso del dialetto non ha riguardato solo<br />

loro: altri attori anche del territorio<br />

regionale hanno faticato non<br />

poco.<br />

In quali territori hai<br />

girato?<br />

Gran parte del film è<br />

stata girata in<br />

Emilia, una parte<br />

in Toscana. Il<br />

progetto è nato<br />

con l’idea di<br />

essere<br />

Alba Rohrwacher e, sullo sfondo, Greta Zuccheri Montanari<br />

realizzato qui. È stato difficile trovare ancora<br />

un angolo di territorio che non avesse case<br />

ristrutturate o crollate. Abbiamo girato in<br />

gran parte nelle zone di Calderino Monte<br />

San Pietro, Castel San Pietro, poi ci siamo<br />

trasferiti in Toscana vicino a Radicondoli,<br />

dove abbiamo trovato una situazione<br />

bellissima. Questa scelta è legata anche alla<br />

disponibilità della Film Commission Toscana,<br />

che ha aderito al progetto entrando in<br />

coproduzione con una quota sul film.<br />

Quali sono gli altri partner produttivi?<br />

Il film è prodotto da Arancia Film e Rai<br />

Cinema con il sostegno dalla Fondazione<br />

Cassa di Risparmio di Bologna assieme alla<br />

Cineteca Comunale di Bologna. C’è anche un<br />

apporto finanziario da parte di un editore<br />

musicale che si chiama Borgatti. Molto<br />

importante anche il contributo del<br />

Ministero, mentre il film sarà distribuito<br />

dalla Mikado.<br />

Il film ha avuto a disposizione un<br />

budget di circa tre milioni e mezzo di<br />

euro, molto di più rispetto al tuo<br />

precedente lavoro. Come ti sei trovato a<br />

gestire più risorse finanziarie?<br />

Per molti aspetti il denaro semplifica e<br />

complica le cose. Con un budget così alto le<br />

responsabilità economiche sono pesanti,<br />

anche perché i meccanismi ministeriali sono<br />

lentissimi e quindi sei costretto a lavorare<br />

con le banche. Poi, nella gestione del film ho<br />

cercato di conservare e mantenere lo spirito<br />

che c’era stato nel lavoro precedente, con<br />

qualche professionista in più nei ruoli chiave<br />

e una troupe che ha visto Roberto Cimatti<br />

come direttore della fotografia, Giancarlo<br />

Basili come scenografo, Lia Morandini ai<br />

costumi, Paolo Barzoni ed io al montaggio.<br />

Sul set c’è stato un clima collaborativo e<br />

costruttivo da parte di tutti, c’era la voglia di<br />

fare cinema con passione, la piena<br />

condivisione sia dal punto di vista artistico<br />

che morale.<br />

Quanto è stato importante il lavoro di<br />

ricerca di luoghi e persone?<br />

Moltissimo. Il lavoro di preparazione è<br />

iniziato un anno prima delle riprese. In quel<br />

periodo abbiamo cercato i luoghi e le<br />

persone. Il lavoro di casting mi ha portato ad<br />

incontrare migliaia di persone, centinaia di<br />

bambini. Avevamo l’esigenza di trovare<br />

persone con i lineamenti che<br />

corrispondessero ai tratti di quel periodo: nel<br />

1944 la gente abitava in campagna, aveva<br />

fame e non mangiava, mentre oggi<br />

soprattutto i bambini hanno i tratti del<br />

benessere e dell’abbondanza. Altrettanto<br />

importante è stato il lavoro sulle location.<br />

Abbiamo lavorato a lungo per trovare due<br />

luoghi in particolare: una chiesa e un<br />

oratorio scuola. Ne abbiamo visti più di<br />

ottanta. Abbiamo censito tutto il territorio<br />

delle province di Bologna, Modena, Faenza.<br />

Importante è stato anche il lavoro<br />

preparatorio con la Cineteca di Bologna su<br />

tutto l’archivio fotografico e<br />

cinematografico di quegli anni, per il lavoro<br />

sui costumi.<br />

DAVIDE ZANZA<br />

VIVILCINEMA settembreottobre<strong>09</strong> 29


Alessandro di Robilant<br />

intervista<br />

FILMOGRAFIA - Il nodo alla cravatta (1981), Anche lei fumava il sigaro (1985), Il giudice ragazzino<br />

(1993), I fetentoni (1999), Per sempre (2003), L’uomo della carità (2006), Marpiccolo (20<strong>09</strong>)<br />

Percorso obbligato<br />

Tra criminalità e angeli custodi si dipana la storia del giovane Tiziano, inchiodato<br />

nel quartiere ghetto che si affaccia sul “Marpiccolo” di Taranto<br />

La struttura narrativa è quella<br />

del romanzo di formazione, ma il nuovo film<br />

di Alessandro di Robilant, Marpiccolo, è<br />

anche il ritratto di una città, Taranto, umiliata<br />

ed offesa. Al centro del racconto Tiziano, 17<br />

anni, abitante del quartiere Paolo VI, un<br />

labirinto di cemento sorto negli anni ’70 per<br />

svuotare la città vecchia e “deportare” in<br />

periferia gli abitanti più poveri e le fasce<br />

sociali a rischio. “Se nasci nel quartiere Paolo<br />

VI – commenta di Robilant – davanti a te si<br />

aprono solo tre prospettive: saltuari contratti<br />

trimestrali nella Nettezza Urbana; un posto<br />

fisso all’Ilva, con conseguente condanna ad<br />

una vita breve; oppure una rapida carriera<br />

nella criminalità. In questa situazione, è<br />

logico che i ragazzi più svegli e più capaci<br />

scelgano la terza strada. Ed è appunto ciò che<br />

nel film accade al protagonista che, anche<br />

per saldare i debiti contratti dal padre, si<br />

mette al servizio del boss del quartiere. Il film<br />

racconta la lenta ma inarrestabile caduta di<br />

Tiziano nel gorgo della criminalità, fino ad un<br />

tentato omicidio che non riesce e che<br />

conduce Tiziano dietro le sbarre. A salvare<br />

Tiziano da un destino che sembra segnato,<br />

comune alla maggior parte dei suoi amici e<br />

conoscenti, intervengono – prosegue il<br />

regista – tre angeli custodi che gli<br />

prospettano la possibilità di un’esistenza<br />

diversa: dapprima un’insegnante che lo<br />

spinge alla lettura e che cerca di dimostrargli<br />

come affrancarsi dall’ignoranza sia l’unica<br />

possibilità per uscire da un’esistenza priva di<br />

futuro; poi un educatore incontrato in<br />

carcere, infine la fidanzata, una giovane<br />

cameriera che combatte per ottenere ciò che<br />

dovrebbe essere offerto a tutti: una vita<br />

normale”.<br />

Dove hai tratto l’ispirazione per questo<br />

film?<br />

30 VIVILCINEMA settembreottobre<strong>09</strong><br />

Giulio Bernanek e Selenia Orzella<br />

È nata da un libro di Andrea Cotti, privo di<br />

una precisa collocazione geografica,<br />

intitolato Stupido. Dopo che avevo già<br />

avviato il lavoro di sceneggiatura, mi è<br />

capitato di passare per Taranto e mi sono<br />

reso conto che era la città perfetta per<br />

ambientare la storia sullo schermo. Così il<br />

copione è stato in buona parte riscritto, per<br />

armonizzarlo con la location scelta. Taranto è<br />

una città controversa, dove bellezza e<br />

mostruosità convivono una accanto all’altra.<br />

La parte vecchia, che ha origini greche, è<br />

molto suggestiva, ma sulla città incombe<br />

come un mostro lo stabilimento dell’Ilva, una<br />

fabbrica che produce lavoro e morte per gli<br />

scarichi di diossina che provocano malattie,<br />

anche genetiche. Il quartiere Paolo VI è<br />

abitato esclusivamente da donne e bambini:<br />

non ci sono uomini, non ci sono vecchi. L’Ilva<br />

divide in due la città, che si affaccia, come<br />

un’isola, su due mari. Il mare piccolo, che dà<br />

il titolo al mio film, è appunto quella distesa<br />

d’acqua su cui si affaccia il quartiere Paolo VI.<br />

Il film è stato interamente girato dal<br />

vero: non dev’essere stato facile entrare<br />

con una troupe in un quartiere, diciamo<br />

così, a rischio.<br />

La preparazione del film è durata molti mesi<br />

e le riprese si sono svolte successivamente alla<br />

nascita del rapporto di conoscenza e di<br />

reciproca fiducia che si è instaurato con gli<br />

abitanti del Paolo VI, favorito dall’intervento<br />

di un educatore di Taranto, molto noto in<br />

città: Giovanni Guarino. Poi, come accade<br />

sempre, superata la diffidenza gli abitanti si<br />

sono rivelati persone affidabilissime. Tutti ci<br />

hanno aperto le porte delle loro case e<br />

durante le riprese abbiamo potuto contare su<br />

una assoluta disponibilità. La cosa che<br />

personalmente più mi ha colpito è stato<br />

constatare come queste persone, che pure<br />

soffrono di molti problemi, siano legate fra<br />

loro da forti vincoli di solidarietà e<br />

possiedano una vitalità, una combattività,<br />

un’allegria incredibili. Le donne in particolare<br />

sono molto forti, molto determinate. Tutta<br />

questa energia ho cercato di trasferirla nel<br />

mio film, il cui tono è tutt’altro che dolente.<br />

Il cast di Marpiccolo accosta nomi noti e<br />

attori del tutto sconosciuti. Come sono<br />

stati scelti gli interpreti?<br />

Il problema più complicato è stato quello di<br />

trovare gli attori per i ruoli di Tiziano e della<br />

fidanzata. Volevamo degli interpreti che<br />

fossero pugliesi, meglio ancora se tarantini;<br />

per questo abbiamo fatto migliaia di provini,<br />

partendo dalle scuole. I presidi di solito ci<br />

spedivano gli alunni più meritevoli, i “bravi<br />

ragazzi”; noi invece avevamo bisogno di<br />

qualcuno che fosse anche un po’<br />

“mascalzone”. Un preside ha capito e ci ha<br />

proposto Giulio Bernanek, figlio di giostrai,<br />

papà serbo e mamma di origini spagnole, un<br />

ragazzo nato e cresciuto proprio nel<br />

quartiere Paolo VI, dall’intelligenza spiccata,<br />

dotato di grande gestualità; insomma<br />

perfetto per il ruolo di Tiziano. La fidanzata è<br />

invece Selenia Orzella, una ballerina che, per<br />

studiare danza, a 12 anni da Taranto si era<br />

trasferita a Roma; una ragazza molto<br />

concreta e determinata, proprio come il<br />

personaggio. Anche Michele Riondino, scelto<br />

per il ruolo del boss, è curiosamente di<br />

Taranto e sono comunque pugliesi anche<br />

Anna Ferruzzo e Nicola Rignanese, scelti per<br />

la parte dei genitori di Tiziano. Infine, a<br />

completare il cast, ci sono due attori che non<br />

sono pugliesi ma che apprezzo moltissimo:<br />

Valentina Carnelutti e Giorgio Colangeli, i<br />

due adulti angeli custodi di Tiziano.<br />

FRANCO MONTINI


NICOLA GIULIANO, FRANCESCA CIMA, MEDUSA FILM PRESENTANO<br />

KSENIA RAPPOPORT<br />

FILIPPO TIMI<br />

UN FILM DI<br />

GIUSEPPE CAPOTONDI<br />

DAL 9 OTTOBRE AL CINEMA<br />

www.indigofilm.it<br />

www.medusa.it


schede critiche<br />

MOTEL WOODSTOCK<br />

di Ang Lee<br />

Titolo originale: Taking Woodstock …Sceneggiatura:<br />

James Schamus dal libro di Elliot Tiber …Fotografia:<br />

Eric Gautier …Montaggio: Tim Squyres …Musiche:<br />

Danny Elfman …Interpreti: Demetri Martin, Dan<br />

Fogler, Liev Schreiber, Henry Goodman, Jonathan<br />

Groff, Imelda Staunton, Paul Dano, Mamie Gummer<br />

…Produzione: Focus Features …Distribuzione: Bim<br />

…Usa 20<strong>09</strong> …colore 120’<br />

WOODSTOCK come antidoto alla<br />

cupezza e come simbolo di<br />

liberazione sessuale nelle sue<br />

varianti, anche omosessuali. Così<br />

Ang Lee passa dai toni<br />

melodrammatici e disperati di film<br />

come Br<strong>ok</strong>eback Mountain e<br />

Lust, caution alla commedia<br />

generazionale e scanzonata con<br />

Motel Woodstock, dal libro<br />

autobiografico di Elliot Tiber che ha<br />

per sottotitolo A True Story of a<br />

Riot, a Concert, and a Life.<br />

Occasione perfetta il quarantennale<br />

di quella mitica “tre giorni di pace,<br />

amore e musica” che per l’eclettico<br />

regista taiwanese è lo spunto per<br />

raccontare “una notte fantastica,<br />

l’ultima notte prima della perdita<br />

dell’innocenza”.<br />

Lasciando sullo sfondo la musica,<br />

grande protagonista di quel mitico<br />

evento dell’agosto 1969 con nomi<br />

intervista Ang Lee<br />

Cosa l’affascinava del periodo in cui è<br />

ambientato Motel Woodstock?<br />

Per me il 1969 e Woodstock rappresentano il momento culmine di un<br />

periodo come gli anni Sessanta, che io considero l’ultima età<br />

dell’innocenza vissuta dalla nostra società. Dal punto di vista personale,<br />

poi, volevo cambiare qualcosa: negli ultimi tredici anni ho diretto sei<br />

film legati ad argomenti drammatici. Sentivo il bisogno di dedicarmi<br />

alla commedia e quando ho letto il libro scritto da Elliot Tiber ho<br />

sentito che era il film che volevo fare.<br />

Cosa rappresenta per lei il concerto di Woodstock?<br />

Ho saputo del concerto di Woodstock a Taiwan dalla televisione: ero<br />

molto giovane, seguivo la musica e avevo capito che erano successe<br />

molte cose divertenti in quei giorni. Nel corso del tempo, però, quel<br />

momento ha acquistato ai miei occhi un valore sempre più simbolico.<br />

Durante quel concerto è nata una nuova generazione che si è separata<br />

dal vecchio establishment, alla ricerca di una maniera migliore e più<br />

giusta di vivere con gli altri. A Woodstock si è<br />

celebrata una nuova era in cui le differenze di<br />

pelle, di credo e sociali hanno smesso di<br />

costituire delle barriere tra le persone. È stato un<br />

modo per iniziare a vivere in maniera pacifica<br />

con la Natura e con tutti gli esseri che ci<br />

circondano. Un evento vissuto dalle persone<br />

normali.<br />

suo produttore James Schamus, ha<br />

scelto di non usare né i filmati di<br />

repertorio né molti dei brani cult e<br />

persino il mitico palco si vede solo di<br />

sfuggita e in una distorsione<br />

lisergica. Così la colonna sonora del<br />

film, che comunque contiene 32<br />

brani d’epoca, ne esclude molti altri,<br />

anche per una questione di budget, e<br />

questo deluderà molti degli<br />

spettatori cinquantenni o più. Ma il<br />

consiglio è di concentrarsi sul resto, a<br />

partire dal cast variegato e azzeccato<br />

con tanti siparietti gustosi. Oltre ai<br />

già citati, segnaliamo Emile Hirsch<br />

(Into the wild) nel ruolo di un<br />

reduce dalla guerra del Vietnam che<br />

soffre di sindrome post-traumatica e<br />

soprattutto il simpatico Liev<br />

Schreiber, un ex militare en travesti,<br />

dalla muscolatura d’acciaio ma<br />

dalle movenze femminili, che<br />

vivacizza l’atmosfera del motel<br />

offrendo brownies alla marijuana ai<br />

genitori del protagonista (la scena è<br />

una delle più esilaranti). Altra scena<br />

notevole è quella in cui Elliot viene<br />

invitato a un festino a base di Lsd<br />

da una coppia di figli dei fiori<br />

all’interno di un pullmino arredato in<br />

perfetto stile freak.<br />

CRISTIANA PATERNÒ<br />

L’ultima età dell’innocenza<br />

Il concerto, l’emancipazione, la ricerca della felicità e i ricordi di un giovane<br />

taiwanese nella commedia “Motel Woodstock”, cambio di registro per l’autore<br />

32 VIVILCINEMA settembreottobre<strong>09</strong><br />

come Joan Baez, Janis Joplin, i<br />

Grateful Dead, gli Who, Joe Cocker,<br />

Crosby, Stills, Nash & Young, il<br />

racconto si concentra<br />

sull’autobiografia di Elliot Tiber (è<br />

il comico televisivo Demetri<br />

Martin), rampollo di una buffa e<br />

scombinata famiglia di origine<br />

ebraica con un padre depresso e<br />

una madre arpia che, dopo essere<br />

scampata allo sterminio, intrattiene<br />

un rapporto maniacale col denaro<br />

(è una fantastica Imelda Staunton).<br />

Sommerso dalle ipoteche, il<br />

giovane Elliot ha un’idea<br />

estemporanea quanto brillante:<br />

fare dello scalcinato motel di<br />

famiglia il quartier generale per un<br />

happening che si rivelerà epocale<br />

(lui non può saperlo, ma noi<br />

spettatori sì) con mezzo milione di<br />

persone che arrivano da ogni<br />

angolo degli States, intasando la<br />

statale e consacrando la cultura<br />

hippie al rango di enorme e<br />

lucroso business.<br />

Immagini (in bianco e nero) e suoni<br />

fanno ormai parte<br />

dell’immaginario collettivo, anche<br />

grazie al documentario di Michael<br />

Wadleigh che vinse l’Oscar nel<br />

1971. Ma Ang Lee, d’accordo col<br />

E cosa ne è del sesso, droga e rock and roll…<br />

Ovviamente c’erano pure quelli: ma quello che mi interessava di più era<br />

comprendere quali semi fossero stati piantati per un pensiero e delle azioni<br />

da prendere più seriamente. Per me Woodstock è soprattutto un simbolo:<br />

un’icona imperfetta della nostra modernità cui, però, dobbiamo comunque<br />

molto.<br />

Anche in questo film affronta il tema dell’omosessualità.<br />

Sono interessato alle grandi storie e spesso coinvolgono questo tema che<br />

mi affascina molto. In Motel Woodstock si affronta l’argomento come<br />

inserito nel contesto di un orizzonte più grande. Da quando ho lasciato<br />

Taiwan, ormai molti anni fa, sono considerato uno straniero ovunque<br />

vada. Anche quando torno a quella che una volta era casa mia. Tale<br />

situazione mi ha portato ad una sorta di rifiuto delle <strong>def</strong>inizioni e delle<br />

categorie; se dovessi scegliere un tema principale, per me Motel<br />

Woodstock parla soprattutto di felicità e di un’epoca in cui si potevano<br />

fare e cambiare le cose.<br />

Woodstock era stata già raccontata da un<br />

famoso documentario. In che rapporto sta il suo<br />

film con quel lavoro?<br />

È stato una grande influenza: mi sarebbe piaciuto<br />

usare parti di quel film, ma alla fine abbiamo preferito<br />

sentirci più liberi. In compenso ho utilizzato una<br />

ventina delle canzoni registrate in quei giorni.<br />

MARCO SPAGNOLI


GLI ABBRACCI SPEZZATI<br />

di Pedro Almodovar<br />

Titolo originale: Los abrazos rotos …Sceneggiatura:<br />

Pedro Almodovar …Fotografia: Rodrigo Prieto<br />

…Montaggio: José Salcedo …Musiche: Alberto Iglesias<br />

…Interpreti: Penelope Cruz, Lluis Homar, Blanca<br />

Portillo, José Luis Gomez, Ruben Ochandiano,<br />

Tamar Novas …Produzione: El Deseo …Distribuzione:<br />

Warner Bros …Spagna 20<strong>09</strong> …colore 129’<br />

VARIAZIONE sul tema?<br />

Compendio? Lezione di stile?<br />

Davanti al nuovo film di Almodovar,<br />

finalmente sui nostri schermi dal 13<br />

novembre, il pubblico spagnolo non<br />

si è lasciato sedurre come una volta,<br />

quello festivaliero ha storto il naso<br />

tra sospetti di “maniera” e continui<br />

cambi di registro; eppure Los<br />

abrazos rotos, opera 17 nella sua<br />

filmografia, è una sorta di 8½ per il<br />

maestro spagnolo, manifesto di stile<br />

e incastro narrativo, commistione di<br />

melodramma e commedia con<br />

inserti (seppur deboli) di noir,<br />

ennesima dimostrazione della<br />

capacità rarissima di dirigere gli<br />

attori – davvero in stato di grazia –<br />

per di più con un rigore e una<br />

sobrietà che forse ai fan storici non<br />

sono andati giù. La cecità del<br />

personaggio principale, il regista<br />

Mateo poi diventato sceneggiatore<br />

con lo pseudonimo di Harry Caine,<br />

più che rinviare a Hollywood<br />

ending di Woody Allen rappresenta<br />

l’attacco di emicrania invalidante<br />

che ha costretto per mesi<br />

Almodovar al<br />

riposo forzato in una stanza buia. Il<br />

“film nel film” che spesso fa<br />

capolino nelle sue opere (ricordate<br />

El amante minguante in Parla con<br />

lei?) come i riferimenti alla<br />

professione di cineasta qui<br />

assurgono a una vera e propria<br />

autocelebrazione al fianco di una<br />

quantità di citazioni e omaggi, da<br />

Europa ’51 di Rossellini a Peeping<br />

Tom di Powell fino all’intensità<br />

emotiva di Persona di Bergman,<br />

con una fluidità narrativa e una<br />

raffinatezza visiva che richiama qua<br />

e là Magritte, Hopper e quant’altro<br />

e che ormai costituisce il marchio di<br />

fabbrica dell’autore.<br />

A raccontare la trama che ondeggia<br />

tra il ’92, il ’94 e il 2008 a Madrid,<br />

più una fuga d’amore<br />

sull’Atlantico, si rischia di non<br />

rendere un favore al film: quel che<br />

incanta è l’atmosfera che il regista<br />

manchego instaura a pochi minuti<br />

dall’inizio, dopo una presentazione<br />

con voce fuori campo molto<br />

“vecchia Hollywood”; atmosfera<br />

che resiste nonostante le virate dal<br />

drammatico al comico, alla quasiparodia<br />

del film nel film (Ragazze e<br />

valige) che non fa che rielaborare il<br />

plot di Donne sull’orlo di una<br />

crisi di nervi e che costituisce<br />

parte integrante della vicenda:<br />

Mateo (Lluis Homar) ne è il regista,<br />

Magdalena (Penelope Cruz) è la<br />

protagonista debuttante e molto<br />

presto la sua amante, Ernesto (José<br />

Luis Gomez) l’anziano magnate<br />

della finanza nonché colui che<br />

mantiene Magdalena, ne produce il<br />

film ed è divorato dalla gelosia. In<br />

intervista Penelope Cruz<br />

Nell’anno dell’Oscar per Vicky Cristina Barcelona,<br />

Penelope Cruz ha affrontato altre due sfide molto importanti per la sua<br />

carriera: tornare a lavorare col suo regista preferito e amico Pedro<br />

Almodovar in Los abrazos rotos e partecipare al musical Nine di Rob<br />

Marshall al fianco di Daniel Day Lewis, Nicole Kidman, Sofia Loren, Judi<br />

Dench, nel ruolo di Carla Albanese che già fu di Sandra Milo in 8½, al<br />

quale il film si ispira. Parlando del film spagnolo, la Cruz ammette che<br />

“è stata una grande sfida recitare di nuovo per Pedro in un film che<br />

mette commedia e dramma sullo stesso piano; il ruolo che mi ha offerto<br />

Almodovar era, praticamente, tre donne in una”. Quanto alla<br />

preferenza tra generi: “non prediligo né la commedia, né il dramma. Mi<br />

sento fortunata a poter portare sullo schermo entrambi gli aspetti della<br />

recitazione, com’è avvenuto nel film di Woody Allen”. L’Oscar? “Un<br />

momento incredibile, credo ci voglia davvero qualche mese per rendersi<br />

conto di quello che è accaduto: quando sei sul palco del Kodak Theatre<br />

ti passa la vita davanti e ripensi a tutti quelli che nel corso del tempo<br />

hanno creduto in te e ti hanno aiutato, a cominciare dalla famiglia”. Il<br />

lavoro con Almodovar? “Mi sento davvero fortunata per la fiducia che<br />

ripone in me: le donne che ho interpretato per lui sono, infatti,<br />

estremamente diverse tra loro. Io e lui ci conosciamo molto bene,<br />

conosciamo i sentimenti che proviamo reciprocamente l’uno per l’altra.<br />

Ciò nonostante, lavoriamo sempre alla stessa maniera ed effettuiamo le<br />

schede critiche<br />

più il figlio di Ernesto, l’adolescente<br />

omosessuale represso Ray X (Ruben<br />

Ochandiano) che filma il backstage<br />

delle riprese, altrettanto decisivo per<br />

la progressione drammaturgica e<br />

raccordo narrativo tra i due piani<br />

temporali. Da menzionare infine<br />

l’agente del regista/sceneggiatore, la<br />

fedele e accigliata Julieta (una<br />

immensa Blanca Portillo), suo figlio<br />

Diego (Tamar Novas) a più livelli<br />

assistente/seguace di Mateo e, qua e<br />

là, vecchie conoscenze come Angela<br />

Molina e in un cameo le fedelissime<br />

dell’ex cantore della movida: Rossy<br />

De Palma e Chus Lampreave (la<br />

portinaia, naturalmente), oltre alla<br />

dolce Lola Dueñas nel bellissimo<br />

ruolo di interprete labiale dei<br />

dialoghi tra amanti. Passioni, rancori,<br />

segreti, vendetta e morte si affollano<br />

attorno alla realizzazione di un film e<br />

si riversano sullo schermo che, dal<br />

nostro schermo, ne amplifica la<br />

potenza fungendo da catalizzatore<br />

dei sentimenti dei personaggi. Un<br />

impianto drammaturgico che elabora<br />

influenze e amori dichiarati<br />

dell’autore (Douglas Sirk in testa),<br />

integrando senza essere prevalente<br />

un linguaggio di grande potenza<br />

espressiva che potrà apparire ad<br />

alcuni freddo o déjà vu ma non<br />

mancherà di incantare cinéphile di<br />

ogni latitudine, anche grazie ad<br />

apporti tecnici (fotografia, musiche,<br />

scenografia) di prim’ordine.<br />

MARIO MAZZETTI<br />

La buena sorte<br />

Dopo la consacrazione dell’Oscar, l’attrice ritrova il connazionale Almodovar nell’intenso<br />

“Los abrazos rotos”, applaudito a Cannes. Manco a dirlo, un ruolo di donna che resta impresso<br />

prove con la solita intensità e dedizione. Siamo amici e ci vediamo spesso<br />

nella nostra vita privata. Al tempo stesso, però, il nostro rapporto sul set è<br />

improntato ad una grandissima professionalità: abbiamo fatto le prove per<br />

quattro mesi!”. Un regista unico, insomma? “Se i grandi registi sono tutti<br />

dei personaggi unici, Pedro lo è più degli altri: mi ha rivelato che, mentre si<br />

trovava a Parigi, ha visto in un negozio l’abito per il mio personaggio in una<br />

determinata scena del film, è entrato e lo ha comprato. È qualcosa di molto<br />

singolare, che caratterizza lui e il suo modo di concepire il cinema”.<br />

Parliamo di Nine… “Un’altra esperienza fantastica”, confessa l’attrice,<br />

“sebbene alla fine fossi distrutta dal dover ballare per dodici ore al giorno!<br />

Ballo da quando avevo quattro anni, una disciplina fantastica che purtroppo<br />

non riesco a praticare quanto vorrei. La cosa più straordinaria del film è che<br />

è popolato di donne: sei attrici sempre in contatto tra loro, è stato<br />

meraviglioso starci a guardare cantare e ballare. Un gran lavoro di squadra,<br />

con un interprete incredibile come Daniel Day Lewis e il grande talento del<br />

regista Rob Marshall”. Felice della dimensione internazionale del successo?<br />

“Sì, il problema semmai è essere sempre in viaggio e vivere in uno stato di<br />

perenne jet lag: ti svegli e non sai in quale città ti trovi. Ma non è il caso di<br />

lamentarmi, so di essere stata favorita dalla sorte. La più grande gioia è<br />

quella di non dovere essere stabile negli Stati Uniti ma di poter fare avanti e<br />

indietro con la Spagna”.<br />

MARCO SPAGNOLI<br />

VIVILCINEMA settembreottobre<strong>09</strong><br />

33


schede critiche<br />

LEBANON<br />

di Samoel Maoz<br />

Sceneggiatura: Samoel Maoz …Montaggio: Arik<br />

Lahav-Leibovich …Fotografia: Giora Bejach …Musiche:<br />

Michael Giacchino …Interpreti: Yoav Donat, Italy<br />

Tiran, Oshri Cohen, Michael Moshonov, Zohar<br />

Strauss …Produzione: …Distribuzione: Bim …Israele<br />

20<strong>09</strong> …colore 93’<br />

DOPO VALZER con Bashir, un<br />

altro reduce israeliano dalla guerra<br />

del Libano racconta la sua<br />

esperienza di quei giorni.<br />

Lebanon, però, è un film molto<br />

diverso e non solo per la sua forma<br />

cinematografica che non è quella<br />

dell’animazione, bensì per<br />

l’impianto stesso della narrazione.<br />

intervista Samuel Maoz<br />

Vittime di guerra<br />

Leone d’oro a Venezia, l’esordio del regista israeliano descrive gli orrori della guerra<br />

nel Libano del 1982 dal punto di vista claustrofobico dei soldati di un carro armato<br />

Perché ha scelto di esordire con un<br />

film come Lebanon?<br />

Sentivo il bisogno di liberarmi, di fare pace con il mio passato mettendo<br />

da parte il presunto eroismo e tutti i cliché che mi hanno fatto<br />

compagnia negli ultimi venti anni. Lo scopo di tutto questo era riuscire<br />

a perdonarmi. Ho delle responsabilità che fanno parte del mio destino.<br />

Anche se non avevo altra scelta, non posso fare a meno di sentirmi<br />

responsabile. In questo senso ho sempre pensato che Lebanon dovesse<br />

essere un film non politico, per riuscire così a parlare alla testa, al cuore<br />

e allo stomaco degli spettatori.<br />

Perché ha scelto di ambientarlo all’interno di un carro armato?<br />

La genesi del film dipende interamente dall’idea alla base della sua<br />

realizzazione. L’uomo nel carro armato sono io e volevo raccontare la<br />

mia esperienza, nei limiti della struttura narrativa del cinema classico.<br />

Non volevo solo che il pubblico conoscesse questa storia, ma desideravo<br />

anche che la percepisse a livello sensoriale. In questo senso percezione e<br />

comprensione coincidono. Volevo prendere lo spettatore e metterlo al<br />

mio posto nel carro per farlo identificare con i personaggi. L’idea di<br />

Lebanon era quella di comunicare al pubblico un’esperienza in cui<br />

vedesse e conoscesse le stesse cose che vivono e conoscono i<br />

protagonisti. Questa era l’unica maniera per far capire che cosa<br />

abbiamo vissuto in quei giorni.<br />

Ha provato una sorta di catarsi nel realizzare questo film?<br />

Ho provato un grande senso di liberazione durante la lavorazione, ma<br />

quando mi sono accorto a film finito quali emozioni Lebanon è in<br />

34 VIVILCINEMA settembreottobre<strong>09</strong><br />

Se, infatti, il film di Ari Folman era<br />

un viaggio psicologico nella<br />

memoria di un passato<br />

dimenticato e addirittura rimosso,<br />

la pellicola vincitrice del Leone<br />

d’Oro alla Mostra di Venezia è,<br />

invece, la messinscena di<br />

un’esperienza in cui lo spettatore<br />

segue il punto di vista del regista<br />

con poche informazioni a<br />

disposizione, molti ordini cui<br />

eventualmente dovere obbedire e<br />

una dimensione spaziale<br />

fortemente limitata e limitante.<br />

A dispetto dello spazio risicato<br />

quanto il budget a disposizione,<br />

Lebanon è tutt’altro che privo di<br />

colpi di scena e trovate in grado di<br />

rendere in forma dinamica e<br />

appassionante la storia, raccontata<br />

anche attraverso qualche<br />

momento di “apertura” verso<br />

l’esterno, verso un’umanità ostile<br />

impietrita dalla paura e distrutta<br />

dal dolore.<br />

Ambientato nel giugno del 1982,<br />

Lebanon sfrutta al massimo la<br />

claustrofobia dell’ambientazione<br />

all’interno di un carro armato per<br />

mettere in discussione i quattro<br />

improbabili soldati che si trovano<br />

catapultati in una situazione per<br />

loro nuova, come il<br />

pattugliamento di un<br />

apparentemente inerme villaggio<br />

libanese già bombardato<br />

dall’aviazione israeliana. Quella<br />

che potrebbe essere<br />

un’operazione di routine si<br />

trasforma progressivamente in un<br />

incubo antimilitarista in cui risulta<br />

più facile colpire dei civili inermi<br />

che i nemici armati, e in cui ogni<br />

situazione viene enfatizzata<br />

tramite l’adrenalina dei quattro<br />

militari israeliani.<br />

La guerra raccontata da Maoz non<br />

ha orizzonte ed è quasi<br />

“sbirciata”, a piccole porzioni,<br />

attraverso un mirino da quattro<br />

uomini che non vogliono<br />

combattere, né tantomeno<br />

ammazzare qualcuno, ma che si<br />

trovano costretti dagli eventi a<br />

reagire seguendo il proprio istinto<br />

di sopravvivenza e la legge ferina<br />

secondo cui o si uccide o si viene<br />

uccisi.<br />

Interessante e originale sia sotto il<br />

profilo registico che narrativo,<br />

Lebanon prescinde<br />

dall’autobiografismo per<br />

raccontare qualcosa di universale<br />

che fa riferimento ad un dramma<br />

primario, come una gioventù<br />

sofferente le scelte<br />

apparentemente incomprensibili<br />

della propria nazione. Un film<br />

complesso e coinvolgente, in cui il<br />

punto di vista del regista,<br />

vagamente assolutorio, e la sua<br />

memoria degli eventi di oltre un<br />

quarto di secolo fa impongono allo<br />

spettatore un’ulteriore, ma non<br />

per questo meno efficace o<br />

superflua, riflessione sugli orrori<br />

della guerra e sulle dinamiche<br />

apparentemente incontrollabili che<br />

si sviluppano durante un<br />

combattimento.<br />

MARCO SPAGNOLI<br />

grado di comunicare al pubblico, ho provato anche una grandissima<br />

soddisfazione, oggi amplificata dalla vittoria del Leone d’Oro. Al tempo<br />

stesso, però, avverto un senso di profondo dolore per tutti i morti della<br />

guerra in Libano. Quando sei in guerra ti rendi conto di cose terribili<br />

che ti accompagneranno negli anni a venire. Mi dispiace<br />

profondamente per loro e per i caduti di tutte le guerre che ancora<br />

oggi si combattono nel mondo.<br />

La stampa libanese ha reagito abbastanza duramente al suo<br />

film accusandolo di non essere realistico e di non aver<br />

raccontato in maniera adeguata il popolo del Libano, nonché<br />

(più banalmente) di fare della “propaganda israeliana”.<br />

Lo so e me ne dispiace, ma per rispondere non posso dire altro che<br />

questa è la mia storia e la mia verità. Questa è la mia versione dei fatti,<br />

che deriva dalla mia esperienza e dai miei ricordi. Io ero lì. Certo,<br />

possiamo tentare di cercare dei colpevoli e provare a distinguerli dagli<br />

innocenti e dalle vittime, ma la realtà è che in guerra il vero nemico e il<br />

vero carnefice è la guerra stessa. Nessuno ha il controllo di una situazione<br />

del genere e, talora, sono le azioni delle vittime a determinare ciò che<br />

accade in determinati momenti. Il trucco di ogni guerra è quello di<br />

mettere in situazioni pericolose delle persone che reagiranno, uccidendo<br />

pur di riuscire a sopravvivere. Non è normale uccidere e la gente normale<br />

non uccide. In combattimento, invece, la stessa persona si sente costretta<br />

ad uccidere. In guerra si è guidati da istinti primari legati alla<br />

sopravvivenza contro i quali non riesci a ribellarti.<br />

MARCO SPAGNOLI


FRANCESCA<br />

di Bobby Paunescu<br />

Sceneggiatura: Bobby Paunescu …Fotografia:<br />

Andrej Butica …Montaggio: Ioachim Stroe …Interpreti:<br />

Monica Bîrladeanu, Dorian Boguta, Luminita<br />

Gheorghiu, Mihai Dorobantu …Produzione: Mandragora<br />

Movies …Distribuzione: Fandango …Romania<br />

20<strong>09</strong> …colore 96’<br />

ALL’ULTIMA Mostra di Venezia si<br />

è parlato di Francesca del romeno<br />

Bobby Paunescu più che altro per<br />

la polemica innescata da una<br />

battuta del film rivolta all’indirizzo<br />

di Alessandra Mussolini e al<br />

pregiudizio anti-romeno che si è<br />

diffuso in Italia dopo il terribile<br />

omicidio Reggiani. In realtà, lungi<br />

dall’essere un atto di accusa contro<br />

l’Italia, Francesca scava a fondo<br />

nelle diverse anime della società<br />

romena attuale, sottoposta a<br />

contrastanti pulsioni: la<br />

voglia di<br />

emancipazione delle<br />

donne, l’avidità di<br />

soldi facili, la<br />

vischiosità di un<br />

apparato<br />

burocratico<br />

intimamente<br />

corrotto.<br />

Francesca,<br />

che deve<br />

il suo<br />

nome a suor Francesca Cabrini,<br />

proclamata santa patrona degli<br />

emigranti per aver dato supporto<br />

agli italiani in America nella<br />

seconda metà dell’800, ha un<br />

obiettivo alto e molto<br />

concreto. Sogna di trasferirsi<br />

in Italia non semplicemente<br />

per guadagnare dei soldi,<br />

ma per realizzare il suo<br />

progetto di aprire un asilo. È<br />

determinata e concreta e<br />

rappresenta l’energia più bella<br />

e positiva della nuova<br />

Romania, alla quale<br />

l’attrice Monica Bîrladeanu<br />

conferisce una potente<br />

fisicità. La sua spinta propulsiva è<br />

però ostacolata dai retaggi di una<br />

tradizione maschilista e<br />

soprattutto dagli azzardi di chi,<br />

come il suo fidanzato Mitia, crede<br />

di poter prendere impunemente<br />

una scorciatoia per la ricchezza. Le<br />

tragiche conseguenze delle sue<br />

azioni fermeranno il progetto di<br />

Francesca, ma – ci si può<br />

scommettere – non per sempre. Il<br />

viaggio si interrompe ma la<br />

voglia di farcela non è sconfitta e,<br />

alla fine, il fatto che Francesca sia<br />

costretta a tornare indietro è<br />

tanto più significativo per un<br />

film che solo apparentemente<br />

intervista Bobby Paunescu<br />

La rinascita che verrà<br />

Opera prima di un brillante produttore, “Francesca” parla delle energie<br />

inespresse e del fermento che alimenta i giovani romeni<br />

Francesca è il suo primo film da regista, ma il romeno<br />

Bobby Paunescu ha alle spalle una fortunata carriera di produttore. Con<br />

la sua Mandragora Movies ha prodotto nel 2004 La morte del signor<br />

Lazarescu di Cristi Puiu, uno dei film romeni di maggior successo degli<br />

ultimi anni, e adesso il suo film d’esordio, presentato nella sezione<br />

Orizzonti della Mostra di Venezia. Protagonista è una giovane maestra<br />

d’asilo di Bucarest che sogna di venire in Italia – paese che Paunescu<br />

conosce bene per averci vissuto molti anni – per aprire un asilo destinato<br />

a bambini figli di immigrati romeni. Pur di raggiungere il suo scopo<br />

Francesca si prepara a fare la badante per un certo periodo, ma i<br />

problemi finanziari del fidanzato Mitia, che ha chiesto soldi in prestito a<br />

una banda di criminali, intervengono a turbare il suo progetto.<br />

A Venezia si è creato un equivoco, per cui è sembrato che<br />

Francesca fosse un film su come i romeni vedono l’Italia.<br />

Certamente è presente anche questo aspetto, ma in realtà tutta<br />

la vicenda è interna alla Romania…<br />

Il nucleo del film è la crisi di identità che sta attraversando la società<br />

romena e la critica è tutta interna ad essa. L’Italia, che ho scelto come<br />

meta del viaggio di Francesca, rappresenta la terra promessa, dove<br />

realizzare i propri sogni. Lasciare un posto conosciuto per uno<br />

sconosciuto ha qualcosa a che fare con l’idealismo, col desiderio di<br />

migliorare la propria vita. L’emigrazione nasce da un’energia che nella<br />

società romena esiste e si sente, anche se non è ancora indirizzata nel<br />

modo giusto. La Romania è un paese di grande tradizione, che oggi sta<br />

alzando la testa con fatica, ma sta andando avanti. Penso sia utile<br />

criticare i nostri sbagli e cambiare strada, se occorre.<br />

schede critiche<br />

parla di emigrazione.<br />

Il tema dell’emigrazione è uno dei<br />

tanti che partecipano a un ritratto<br />

della società romena tutto<br />

ambientato a Bucarest e quasi<br />

completamente in interni. Il regista<br />

Paunescu dice di aver scelto prima<br />

di tutto l’appartamento dove<br />

Francesca vive con sua madre,<br />

perché era sicuro che l’energia delle<br />

pareti avrebbe aiutato gli attori a<br />

entrare nei personaggi. In effetti, la<br />

casa rispecchia la personalità e il<br />

sentimento della donna – la dignità<br />

e la modestia dell’arredo, il<br />

souvenir di Venezia, simbolo del<br />

paese sognato – anche se la scena<br />

migliore del film è girata in un’altra<br />

casa, quella del padre. Mentre<br />

Francesca tenta di spiegare il suo<br />

progetto di asilo, entrano ed<br />

escono di scena, in piano-sequenza<br />

e con tempi perfetti, i “padri”,<br />

rappresentanti della vecchia<br />

generazione che si scambiano<br />

fulminanti battute sull’illusione<br />

della terra promessa, l’alternanza<br />

dei cicli storici e la realtà italiana di<br />

oggi. Una scena che fa sorgere il<br />

sospetto che Paunescu abbia più<br />

talento per la commedia che per il<br />

dramma.<br />

BARBARA CORSI<br />

Come produttore, che valutazione dà della rinascita del cinema<br />

romeno?<br />

É un momento molto bello, c’è competizione, voglia di fare e successo<br />

internazionale. La fortuna è che ci sono registi in grado di raccogliere il<br />

fermento della società, senza il quale non ci potrebbe essere questa<br />

ondata di buon cinema. Facendo le dovute proporzioni, è la stessa cosa<br />

che è accaduta col neorealismo. Durerà ancora a lungo e nasceranno cose<br />

nuove perché ci sono molti talenti importanti.<br />

Monica Bîrladeanu, l’attrice protagonista, vive negli Stati Uniti e<br />

lavora in serie di successo come Lost e Nip/Tuck. È tornata in<br />

Romania apposta per girare il film?<br />

Ho scritto il ruolo di Francesca pensando a Monica, con la quale avevo<br />

fatto dei corti e che ha una storia personale che la avvicina al<br />

personaggio. Sua madre insegna all’asilo e tutte le sue colleghe sono<br />

emigrate in Italia per fare le badanti. Per girare questo film è tornata in<br />

Romania e ha fatto bene, perché come attrice mi sembra più adatta al<br />

cinema europeo che al cinema americano.<br />

Il personaggio del fidanzato Mitia chi o che cosa rappresenta?<br />

Rappresenta i miei compagni di liceo o i miei vicini che negli anni del<br />

boom economico hanno cercato di fare delle cose per cui non erano<br />

preparati. Inseguendo il miraggio del business, la maggior parte di loro è<br />

finita male. Mitia è il giovane romeno come lo vedo io, che ha perso i<br />

punti di riferimento e non ha ancora trovato la strada per indirizzare nel<br />

modo migliore le proprie forze. Sono convinto che prima o poi ce la farà.<br />

BARBARA CORSI<br />

VIVILCINEMA settembreottobre<strong>09</strong><br />

35


schede critiche<br />

UP<br />

di Pete Docter & Bob Peterson<br />

Sceneggiatura: Pete Docter & Bob Peterson …Montaggio:<br />

Kevin Nolting …Musiche: Michael Giacchino<br />

…Voci italiane: Giancarlo Giannini, Neri Marcoré,<br />

Arnoldo Foà …Produzione: Pixar …Distribuzione:<br />

Walt Disney …Usa 20<strong>09</strong> …colore 96’<br />

DOPO WALL-E, la Pixar torna a<br />

proporre al pubblico un film<br />

esilarante e, al tempo stesso, molto<br />

commovente. Una pellicola<br />

ambiziosa e originale che sfrutta le<br />

potenzialità tecniche offerte dalla<br />

nuova tecnologia<br />

36 VIVILCINEMA settembreottobre<strong>09</strong><br />

tridimensionale per rendere<br />

ancora più spettacolari una serie di<br />

sequenze aeree incentrate sullo<br />

sgangherato e coraggioso viaggio<br />

di una villetta monofamiliare<br />

trasformata in un insolito<br />

aerostato, sollevato in aria da<br />

diverse centinaia di palloncini.<br />

Scritto e diretto dal regista di<br />

Monsters & Co. Pete Docter e da<br />

Bob Peterson, Up ci accompagna<br />

alla scoperta della lunga vita di<br />

Carl: un bambino che sogna di<br />

diventare un esploratore e che, un<br />

Anche Up, come i precedenti, è un film in cui la Pixar –<br />

insignita del Leone d’oro alla carriera all’ultima Mostra di Venezia –<br />

inserisce temi importanti e situazioni commoventi nel contesto di una<br />

storia brillante e molto divertente. Il suo fondatore, John Lasseter,<br />

descrive la filosofia dell’azienda.<br />

Quanto conta fare un cinema che abbia contenuti profondi?<br />

Facciamo i film che desideriamo realizzare e che ci piacerebbe vedere<br />

come spettatori. In questo ambito, la cosa più importante è raggiungere<br />

un equilibrio tra la storia e i personaggi. Quello che cerchiamo non è<br />

tanto il messaggio da mandare, quanto piuttosto riuscire a comunicare al<br />

pubblico delle grandi emozioni. Al cuore di questo lavoro, però, c’è un<br />

grande confronto interno sullo sviluppo dei temi della storia che<br />

intendiamo portare sullo schermo. Sono gli argomenti che scegliamo a<br />

guidarci in direzione di determinate emozioni forti, che controbilanciamo<br />

con un bel po’ di humour. Noi speriamo che i sentimenti provati dal<br />

pubblico la prima volta che vedono un nostro lavoro rimangano a lungo<br />

nei loro cuori. La nostra ambizione è comunicare queste emozioni non<br />

solo ai bambini, ma anche ad un pubblico più adulto.<br />

Esiste una ricetta nel cinema d’animazione?<br />

Walt Disney diceva sempre che ad ogni risata doveva corrispondere una<br />

lacrima e tutti noi che lavoriamo alla Pixar condividiamo questa idea.<br />

Quando fai un film devi riuscire a far stare il pubblico seduto sul bordo<br />

della poltrona in spasmodica attesa di quello che sta per accadere: tutti i<br />

personaggi devono essere, in un certo senso, “memorabili”. Anche i<br />

cattivi. Devi inserire la trama nel contesto di una storia originale e<br />

giorno, nei suoi giochi, incontra<br />

una bambina con cui condivide la<br />

stessa passione per l’avventura.<br />

Quella che scorre davanti ai nostri<br />

occhi è così una tenera storia<br />

d’amore fatta di momenti<br />

bellissimi, ma anche,<br />

inevitabilmente, di ombre e di<br />

tristezze. In questo senso Up<br />

rappresenta una vera sorpresa: con<br />

eleganza e delicatezza si racconta<br />

la gioia per l’arrivo di un bambino<br />

e la disperazione per la sua<br />

perdita. Non solo, in maniera<br />

poetica seguiamo Carl nel suo<br />

viaggio verso la vecchiaia,<br />

trovandolo, ad un certo punto,<br />

solo senza più la sua compagna. È<br />

in quel momento che l’uomo<br />

ormai molto anziano, con l’unico<br />

desiderio di restare solo in<br />

compagnia dei propri ricordi,<br />

decide di riprendere il sogno<br />

abbandonato quando sua moglie<br />

era ancora con lui. In una mattina<br />

diversa da tutte le altre, Carl e la<br />

sua casa si librano alte nel cielo,<br />

volando verso il Sudamerica.<br />

La solitudine, però, è un bene che<br />

il burbero vecchietto non riuscirà a<br />

conquistare: dapprima, un giovane<br />

boy scout rimasto per caso<br />

intrappolato sul patio della villetta<br />

intervista John Lasseter<br />

in volo, poi un uccello esotico e un<br />

cane parlante diventeranno gli<br />

improbabili e inseparabili compagni<br />

di viaggio dell’uomo nel<br />

raggiungimento del sogno di una<br />

vita.<br />

Up, però, non è soltanto un film<br />

d’avventura; la storia emozionante<br />

che racconta non è solo quella<br />

spettacolare che vedrà Carl e gli<br />

altri dare battaglia su un dirigibile<br />

pur di salvare le penne (nel vero<br />

senso del termine…) del loro nuovo<br />

amico uccello e dei suoi piccoli: le<br />

vicissitudini dei protagonisti di<br />

questo film colpiscono lo spettatore<br />

per la loro profondità psicologica<br />

senza mai scivolare nel melò,<br />

conquistando emotivamente il<br />

pubblico divertito e commosso da<br />

una pellicola originalissima che, in<br />

qualche maniera, sembra cogliere le<br />

atmosfere e l’esotismo del cinema<br />

americano degli anni Quaranta e di<br />

film come Orizzonte perduto di<br />

Frank Capra. La morale di Up è che<br />

la vita ci sorprende sempre, e in<br />

ogni momento possiamo trovare<br />

qualcuno che abbia bisogno di noi<br />

per affrontare la vita, che rimane<br />

l’avventura più mirabolante di<br />

tutte.<br />

MARCO SPAGNOLI<br />

L’arte prima di tutto<br />

La filosofia che anima il lavoro della Pixar spiegata dal suo creatore, alla<br />

vigilia dell’uscita di “Up” e dopo il Leone d’oro veneziano<br />

indimenticabile. Per fare queste cose devi avere il tempo di riuscire a<br />

mettere insieme tutti gli elementi in maniera equilibrata. Ecco perché ci<br />

mettiamo almeno due o tre anni per ogni film che facciamo.<br />

L’animazione non è un genere per bambini, ma un qualcosa di molto<br />

serio che riguarda sia gli adulti che i più piccoli.<br />

Dopo Up, a luglio, vedremo il sequel di Toy Story e poi un Cars 2:<br />

qual è la sfida legata alla serializzazione?<br />

Noi amiamo enormemente i personaggi dei nostri film per i motivi che<br />

ho appena elencato. L’unica cosa che ci può convincere a realizzare un<br />

sequel è avere un’idea che metta i protagonisti nel contesto di una<br />

storia buona almeno quanto quella originale, se non migliore. In questo<br />

senso gli unici titoli realizzati a Hollywood che ci ispirano in qualche<br />

maniera sono Il Padrino – Parte II e L’impero colpisce ancora.<br />

Entrambe le pellicole erano buone quanto gli originali e, in un certo<br />

senso, alla fine hanno reso il primo film ancora migliore in quanto parte<br />

di una saga. Per noi la qualità è il migliore business plan possibile.<br />

Qual è il segreto del vostro successo?<br />

Il nostro è uno Studio guidato dai filmmaker e non dagli uomini di<br />

marketing. Noi crediamo in una visione artistica dominante l’esito<br />

produttivo. Le nostre idee sono sempre ispirate dalle emozioni e il<br />

nostro cinema punta al fattore umano come la chiave di volta<br />

dell’intera storia. Non ci preoccupiamo di avere successo ma crediamo di<br />

dover fare grandi film raccontando storie importanti per noi e il nostro<br />

pubblico.<br />

MARCO SPAGNOLI


RICKY<br />

di François Ozon<br />

Sceneggiatura: François Ozon, Emmanuèle Bernheim<br />

dal romanzo “Moth” di Rose Tremain …Fotografia:<br />

Jeanne Lapoirie …Montaggio: Muriel Breton<br />

…Interpreti: Alexandra Lamy, Sergi Lopez, Mélusine<br />

Mayance, Arthur Peyret …Produzione: Eurowide<br />

Film Production, Teodora Film …Distribuzione: Teodora<br />

Film …Francia/Italia 20<strong>09</strong> …colore 90’<br />

BIZZARRO impenitente.<br />

Giocherellone osservatore<br />

dell’umana specie fino a<br />

trasformarla in qualcos’altro. A<br />

François Ozon piace cambiare per<br />

essere uguale a se stesso. Traendo<br />

libero spunto dal romanzo Moth<br />

di Rose Tremain, confeziona la<br />

fanta-commedia agrodolce Ricky,<br />

intingendo nel magico un<br />

realismo per metà del film<br />

profondamente dardenniano. La<br />

scena, infatti, si apre nella<br />

plumbea provincia nella Francia<br />

del Nord, dove la ragazza madre<br />

Katie (Alexandra Lamy) e la<br />

figlioletta Lisa (l’enfant prodige<br />

Mélusine Mayance) arrivano<br />

faticosamente a fine mese,<br />

essendo la donna una semplice<br />

operaia. Tra un turno e l’altro<br />

incontra il collega Paco (Sergi<br />

Lopez): nasce la passione seguita<br />

dal pargolo Ricky. La famigliola<br />

sembra il ritratto di una felice<br />

cartolina proletaria, finché l’uomo<br />

nostalgico dongiovanni lascia<br />

donna e prole, ignaro delle novità<br />

“fisiologiche” che stanno<br />

prendendo forma nel corpo del<br />

piccolo Ricky. Con queste se la<br />

vedranno Katie e Lisa,<br />

inizialmente sconvolte e in<br />

pellegrinaggio tra uno specialista<br />

e l’altro, successivamente<br />

rassegnate alla diversità. Che poi,<br />

alla fine, può anche esser<br />

fortunosa se data in pasto alle<br />

voracità mediatiche. Per fortuna<br />

intervista François Ozon<br />

Dalla veglia al sonno<br />

Realismo e favola nella storia del bambino molto speciale, “Ricky”, opera<br />

insolita nella filmografia dell’autore presentata in concorso a Berlino<br />

Un neonato che sviluppa caratteristiche diverse da tutti gli<br />

altri esseri umani e va a sconvolgere la quiete familiare. François Ozon, in<br />

concorso con Ricky all’ultima Berlinale, racconta il suo modo di<br />

“concepire la profondità della natura umana”. Seriamente bizzarra,<br />

normalmente fantasiosa.<br />

Da dove viene l’idea di Ricky?<br />

L’idea del film viene da un racconto breve inglese che mi ha fatto<br />

letteralmente innamorare. Ma non è stato facile portarlo sullo schermo,<br />

trasformarlo secondo l’idea che mi aveva prodotto in testa.<br />

Qual è il messaggio del film?<br />

Volevo mostrare come l’armonia di una famiglia può essere modificata –<br />

nel bene o nel male – da un improvviso fattore esterno che appartiene<br />

all’universo della “diversità”. Il primo livello di diversità è espresso<br />

dall’entrata in scena dell’uomo, Paco, uno spagnolo, cioè uno straniero<br />

che destabilizza l’equilibrio di madre e figlia. Il secondo livello, ancora<br />

più disturbante, quello di un neonato che si scopre anomalo, diciamo<br />

“diversamente dotato” per non svelare in che modo. Quasi magico.<br />

Questo aspetto mi interessava<br />

approfondire.<br />

I suoi film, e Ricky non fa<br />

eccezione, sembrano costruiti<br />

apposta per offrire vari livelli di<br />

interpretazione. Concorda?<br />

Mi piace lasciare libero il pubblico nelle<br />

sue diverse interpretazioni. Si parte,<br />

cuor di mamma Katie opterà per<br />

una soluzione completamente<br />

sentimentale, facendo volare il<br />

film nel cielo mielato della<br />

fantasia a lacrima pronta.<br />

Interessante nella materia e<br />

certamente poetico nei momenti<br />

migliori, Ricky non decolla come<br />

Ozon si sarebbe augurato. Il<br />

motivo risiede in una<br />

sceneggiatura debolmente<br />

raccordata e che non soddisfa la<br />

cura dei dettagli – specie nel<br />

trattamento dei rapporti<br />

schede critiche<br />

interpersonali – di una storia<br />

intrigante e dotata di una<br />

grande dose metaforica.<br />

L’accettazione che diventa<br />

esaltazione della diversità è un<br />

tema caro al regista francese –<br />

pure il suo recente e più riuscito<br />

Angel (2007) lo rimarcava nelle<br />

gesta di una folle eroina<br />

romantica – ma non può stare in<br />

piedi da solo se non supportato<br />

da una scrittura che vada in<br />

profondità, seppur si tratti di un<br />

film che reclama “leggerezza”<br />

rispetto ad altre opere della sua<br />

filmografia. Un plauso va,<br />

comunque, all’esilarante<br />

sequenza girata (con fatica,<br />

ammette il regista) nel<br />

supermercato e alla prova delle<br />

due attrici: Lamy solitamente<br />

impiegata in ruoli comici si<br />

cimenta qui con un film fuori dai<br />

generi e dai registri e la sua Katie<br />

è una madre sostanzialmente<br />

affaticata, preoccupata e molto<br />

realistica; la piccola Mélusine<br />

Mayance offre una performance<br />

da professionista “matura” che<br />

di certo lo stesso Ozon non<br />

tralascerà di utilizzare nei suoi<br />

prossimi lavori.<br />

ANNA MARIA PASETTI<br />

come per tutti, da una storia<br />

raccontata e poi si prosegue verso<br />

diverse esplorazioni, a carico di<br />

ciascuno spettatore. Amo aprire le<br />

strade affinché ognuno possa costruire una propria storia. Personale.<br />

Dotare un bambino di morfologie diverse che poi gli permettono<br />

di rifuggire dai luoghi comuni, significa interpretare la diversità<br />

come forma di libertà?<br />

Per me la libertà è avere la possibilità e la capacità di seguire la propria<br />

natura.<br />

È come dire, citandola, “un approccio alla vita in modo tale da<br />

accettare l’umanità esattamente per quello che è”?<br />

Sì. Nel cinema, nel mio cinema, questo concetto si riassume nel mostrare<br />

un certo tipo di realismo “sociale” alla Dardenne o alla Loach per poi<br />

trasformarlo o trasfigurarlo in qualcosa di fantasioso, di magico, di<br />

disneyano volendo usare un aggettivo cinematografico. Quasi come<br />

passare dalla veglia al sogno. Questa per me è l’umanità più profonda,<br />

colta nel suo realismo e nei suoi desideri. E il cinema permette questo<br />

passaggio in maniera unica.<br />

Tra le sequenze finali, la stampa accorsa a vedere “il fenomeno”<br />

Ricky rimane “fregata” dal superbaby. Si può interpretare come<br />

una vendetta contro la critica che disapprova alcuni tuoi film?<br />

Bella interpretazione! Sinceramente non ci avevo pensato... Magari è<br />

un’espressione dell’inconscio.<br />

ANNA MARIA PASETTI<br />

VIVILCINEMA settembreottobre<strong>09</strong><br />

37


schede critiche<br />

LO SPAZIO BIANCO<br />

di Francesca Comencini<br />

Sceneggiatura: Francesca Comencini, Federica Pontremoli<br />

dal romanzo di Valeria Parrella …Fotografia:<br />

Luca Bigazzi …Montaggio: Massimo Fiocchi …Interpreti:<br />

Margherita Buy, Giovanni Ludeno, Antonia<br />

Truppo, Salvatore Cantalupo, Guido Caprino, Gaetano<br />

Bruno, Maria Pajato …Produzione: Fandango, Rai<br />

Cinema …Distribuzione: 01 …Italia 20<strong>09</strong> …colore 96’<br />

LO SPAZIO BIANCO è una pausa<br />

della scrittura che permette di<br />

andare avanti con un nuovo<br />

racconto, senza usare il futuro,<br />

senza strappi col presente, senza<br />

perdere il filo della storia. È come<br />

mettere un punto, ma la pausa<br />

così è più ampia e distesa, è come<br />

un silenzio che ci fa raccogliere le<br />

idee e ci introduce in un territorio<br />

nuovo della parola e del pensiero.<br />

Lo spazio bianco è anche il limbo<br />

dove respirano solo attaccati<br />

all’ossigeno esserini venuti al<br />

mondo prima del tempo. Lo<br />

spazio bianco è il bel film di<br />

Francesca Comencini (Mobbing,<br />

Carlo Giuliani ragazzo), un po’<br />

sottovalutato nel concorso<br />

veneziano, forse perché questo<br />

racconto femminile e intimo,<br />

visionario e musicale, che parla di<br />

maternità come di qualcosa di<br />

misterioso e unico, qualcosa che si<br />

tramanda da una donna all’altra e<br />

che ha a che fare col simbolico<br />

oltre che con la biologia, ha<br />

bisogno di uno spazio bianco,<br />

LA DOPPIA ORA<br />

di Giuseppe Capotondi<br />

Sceneggiatura: Alessandro Fabbri, Ludovica Rampolli,<br />

Stefano Sardo …Fotografia: Tat Radcliffe<br />

…Montaggio: Guido Notari …Musiche: Pasquale<br />

Catalano …Interpreti: Ksenia Rappoport, Filippo<br />

Timi, Antonia Truppo, Gaetano Bruno, Giorgio<br />

Colangeli …Produzione: Indigo Film, Medusa Film<br />

…Distribuzione: Medusa …Italia 20<strong>09</strong> …colore 95’<br />

GIALLO esistenziale<br />

sull’insicurezza e la fragilità di due<br />

anime smarrite e solitarie, incrocio<br />

tra horror, cronaca romantica e<br />

melodramma, La doppia ora è<br />

l’opera prima di Capotondi:<br />

un’ambiziosa pellicola di genere,<br />

citazionista ma divertente e<br />

straniante. Realizzata con le<br />

migliori intenzioni, la pellicola resta<br />

sospesa tra realtà ed<br />

immaginazione, in una dimensione<br />

impalpabile che mette a fuoco<br />

l’isolamento e lo straniamento di<br />

due personaggi lontani dal<br />

presente e dal quotidiano,<br />

prigionieri di un’illusione d’amore,<br />

protesi alla conquista di un’idea<br />

personale di armonia e di equilibrio<br />

sentimentale, da trovare dentro un<br />

doloroso percorso interiore.<br />

Sonia, cameriera in un hotel e<br />

testimone di un tragico suicidio<br />

dalla finestra, incontra Guido,<br />

custode di una villa sulla collina. In<br />

38 VIVILCINEMA settembreottobre<strong>09</strong><br />

ovvero di un ascolto più attento e<br />

sottile di quello che un grande<br />

festival di cinema può prestare.<br />

Maria, la protagonista di questa<br />

storia ispirata al romanzo di Valeria<br />

Parrella edito da Einaudi, è una<br />

donna molto contemporanea, una<br />

che fa tutto da sola, che decide e<br />

“non sa aspettare”. Ha 42 anni e<br />

improvvisamente,<br />

inaspettatamente, si ritrova incinta,<br />

il suo partner si <strong>def</strong>ila, la bimba<br />

nasce prematura e rimane per<br />

lunghi giorni in un limbo in cui non<br />

è ancora nata o non è ancora<br />

morta. La dura, solitaria Maria in<br />

quei giorni di veglia accanto<br />

all’incubatrice, nel reparto<br />

neonatale di un grande ospedale<br />

pochi giorni, i due imparano a<br />

comprendersi, conoscersi ed amarsi<br />

rivelando piccole debolezze e<br />

timori; durante una rapina in villa,<br />

l’uomo viene colpito a morte e la<br />

ragazza, sospettata di complicità<br />

dalla polizia, si ritrova prigioniera<br />

dei fantasmi del passato.<br />

In un racconto congegnato<br />

sull’ambiguità, sul potere evocativo<br />

e disturbante dell’aldilà e<br />

sull’incertezza di comportamenti e<br />

azioni, il regista riesce a modellare<br />

lo stile ed il linguaggio essenziale<br />

del thriller – i sospiri, il rumore e le<br />

attese della tensione –<br />

concentrandosi su trappole, artifici<br />

e raggiri di maniera che<br />

dove devi lavarti le braccia fino al<br />

gomito e indossare un camice<br />

verde, scopre una rete di donne di<br />

diversa età, estrazione e cultura di<br />

cui si assume in qualche modo la<br />

responsabilità, che sente come<br />

sorelle e figlie.<br />

Ma non subito. All’inizio vive tutta<br />

concentrata nella sua gestazione<br />

ormai solo mentale, come se il<br />

potere del controllo potesse<br />

davvero salvare e guarire: lascia la<br />

scuola serale dove insegna,<br />

mangia le cose comprate al take<br />

away, sta sveglia di notte e il suo<br />

unico contatto con gli altri è la<br />

gente spiata nelle case dal vagone<br />

della funicolare, in una Napoli<br />

piccolo borghese e qualsiasi come<br />

rimandano, senza ironia, ai corpi<br />

doppi e al rapporto tra apparenza<br />

e verità narrato da De Palma. Con<br />

una sceneggiatura che, analizzata<br />

a mente fredda, evidenzia segni e<br />

circostanze, il regista, nella sua<br />

personale rivisitazione dei generi,<br />

tende a mischiare le carte e resta<br />

vittima consapevole dell’esercizio<br />

di stile; tuttavia, firma un’opera<br />

imperfetta ed atipica sul rapporto<br />

attrazione-repulsione di due<br />

individui impauriti, raccontata con<br />

precisione ed essenzialità nei ritmi<br />

e rituali degli speed date.<br />

Cercando di riprodurre le speranze<br />

tradite di una vita metodica e<br />

opaca, in fuga da impegni, vincoli<br />

mai prima. Poi però Maria si apre<br />

agli altri: agli allievi stropicciati che<br />

faticano per conquistare la terza<br />

media; a Mina, altra mamma di un<br />

prematuro, che non può smettere<br />

di lavorare perché non le bastano i<br />

soldi; al dottorino con cui ha una<br />

storia; al suo ex, un musicista anche<br />

lui padre da poco; alla vicina di<br />

casa magistrato che ha lasciato i<br />

figli per affrontare un caso difficile,<br />

personaggio molto bello, ispirato<br />

alla figura di Ilda Boccassini e<br />

interpretato in modo stringato ed<br />

efficace da un’attrice di teatro<br />

bravissima come Maria Pajato che<br />

abbiamo appena visto anche nel<br />

film di Luca Guadagnino.<br />

Margherita Buy, è quasi inutile<br />

dirlo, si prende un bel pezzo della<br />

scena, con quel suo dolore represso<br />

e quel muoversi come uno spettro<br />

tra i vivi. Ma lascia anche tanto<br />

spazio agli altri attori, che sono<br />

spesso molto bravi: tra tutti<br />

segnaliamo Antonia Truppo (Mina)<br />

e Salvatore Cantalupo (l’allievo<br />

operaio).<br />

Infine una precisazione che ci sta a<br />

cuore: Lo spazio bianco non è,<br />

come ha detto qualcuno, un film<br />

sull’inutilità dei maschi, ma la<br />

proposta, come dice la regista, di<br />

un nuovo patto di amicizia tra i<br />

due sessi.<br />

CRISTIANA PATERNÒ<br />

amorosi, ambizioni professionali,<br />

l’autore cerca un’altra umanità,<br />

invisibile e sempre indecisa.<br />

La doppia ora, proiettato in<br />

concorso alla Mostra di Venezia e<br />

Coppa Volpi per la migliore attrice,<br />

è un film sulla ricerca dell’altro, su<br />

sensazioni e percezioni alterate;<br />

un’amara riflessione sull’inganno<br />

dei sentimenti, fotografata con una<br />

luce vivida che amplifica dubbi ed<br />

esitazioni nella comprensione di<br />

fatti e avvenimenti. In un<br />

compiaciuto e razionale gioco di<br />

equivoci e malintesi, in una Torino<br />

angosciante e indifferente,<br />

attraverso un ribaltamento<br />

continuo di prospettive ed attese il<br />

film indaga sulla perdita di fiducia,<br />

rispecchia titubanze e perplessità<br />

nel concedersi senza riserva ed il<br />

terrore nel vivere emozioni e<br />

tormenti. Ricco di tracce, simboli e<br />

rimozioni, il film rende omaggio al<br />

genio di Hitchcock, restandone<br />

vittima: non rispetta le regole, gioca<br />

con la struttura dello psico noir ed i<br />

salti spazio temporali ma spiazza lo<br />

spettatore, con suoni e apparizioni,<br />

in un divertimento ambiguo di<br />

ricordi e rimandi.<br />

DOMENICO BARONE


omaFictionFest20<strong>09</strong> 9<br />

43000<br />

presenze complessive<br />

accreditati<br />

3000partecipanti<br />

1000Industry<br />

7000<br />

spettatori<br />

1000<br />

nelle province<br />

90<br />

ospiti internazionali<br />

224<br />

broadcaster nazionali<br />

40<br />

ospiti<br />

case di<br />

Produzione<br />

pitching<br />

300000<br />

visite al sito web<br />

IL ROMAFICTIONFEST ES<br />

E LE MIGLIORI SERIE TV DEL MON MONDO<br />

VI DANNO APPUNTAMENTO AL 2010<br />

Realizzato da: Promosso da:<br />

201<br />

www.romafictionfest.it


schede critiche<br />

IL NASTRO BIANCO<br />

di Michael Haneke<br />

Titolo originale: Das weiße band …Sceneggiatura:<br />

Michael Haneke …Fotografia: Christian Berger<br />

…Montaggio: Monika Willi …Interpreti: Christian Friedel,<br />

Leonie Benesch, Ulrich Tukur, Ursina Lardi, Susanne<br />

Lothar, Burghart Klaussner …Produzione: X Filme<br />

Creative Pool, Wega Film, Les Films du Losange, Lucky<br />

Red …Distribuzione: Lucky Red<br />

…Germania/Austria/Francia/Italia 20<strong>09</strong> …colore 144’<br />

SE TARANTINO ha affrontato, a<br />

suo modo, l’occupazione nazista,<br />

l’austriaco Michael Haneke, nella<br />

sua prima opera in lingua tedesca<br />

dal ’97, con toni e intrecci alla<br />

Heimat ci porta in un villaggio<br />

dell’Alta Germania in un’epoca<br />

cruciale per la nazione e l’Europa<br />

intera, il 1913-1914: un microcosmo<br />

all’apparenza ordinato, tranquillo,<br />

gerarchico nasconde al proprio<br />

interno meccanismi di sopruso,<br />

repressione e aggressività che<br />

troveranno eco nella Grande<br />

Guerra, il cui scoppio soltanto<br />

evocato chiude le oltre due ore di<br />

narrazione. Con un bianco e nero<br />

ormai desueto ma molto suggestivo<br />

e l’apporto alla sceneggiatura di<br />

Jean-Claude Carrière, Haneke<br />

realizza un’opera corale<br />

dall’andamento sì tradizionale (la<br />

voce narrante è quella<br />

dell’istitutore, ruolo in partenza<br />

concepito per il prematuramente<br />

scomparso Ulrich Mühe de Le vite<br />

degli altri) ma inquietante come Il<br />

villaggio dei dannati, in un<br />

SEGRETI DI FAMIGLIA<br />

di Francis Ford Coppola<br />

Titolo originale: Tetro …Sceneggiatura: Francis Ford<br />

Coppola …Fotografia: Mihai Malaimare jr. …Montaggio:<br />

Walter Murch …Musiche: Osvaldo Golijov<br />

…Interpreti: Vincent Gallo, Maribel Verdou, Klaus<br />

Maria Brandauer, Alden Ehrenreich …Produzione:<br />

American Zoetrope …Distribuzione: Bim …Argentina/Spagna/Italia<br />

20<strong>09</strong> …bianco e nero/colore 127’<br />

MELODRAMMA autobiografico<br />

sanguigno ed onirico, barocco e<br />

sperimentale, Segreti di famiglia<br />

è un saggio di sfolgorante bellezza<br />

visiva, un percorso dentro le<br />

ossessioni coppoliane attraverso<br />

uno sguardo indiscreto e<br />

impietoso su matrimoni, lutti e<br />

rancori, dal dolore alla<br />

incomunicabilità nella distanza, da<br />

innumerevoli incomprensioni alla<br />

40 VIVILCINEMA settembreottobre<strong>09</strong><br />

crescendo di tensione sotterranea<br />

che non esplode mai (può<br />

sorprendere se si pensa a Funny<br />

games o La pianista, molto meno<br />

se si guarda a Code inconnu o<br />

Storie) ma anzi lascia ampia libertà<br />

allo spettatore di sviluppare una<br />

chiave di lettura degli eventi, nel<br />

tentativo di decifrare i numerosi<br />

misteri che sconvolgono la<br />

comunità. Per una volta, l’irrisolto è<br />

ampiamente giustificato<br />

dall’assunto di fondo che non<br />

attribuisce la “colpa” a un individuo<br />

o a un gruppo ristretto bensì a un<br />

sistema di valori esasperato ed<br />

autocontraddetto, in cui l’infanzia e<br />

l’adolescenza represse, ridotte al<br />

silenzio, saranno terreno di coltura<br />

forza dell’invidia per il mancato<br />

talento che annienta debolezze e<br />

fragilità.<br />

A Buenos Aires vive Angelo, isolato<br />

in una vita da reduce, in fuga dal<br />

passato e dal presente, senza<br />

contatti con il padre direttore<br />

d’orchestra. La visita del fratello<br />

minore finirà per riaprire antiche<br />

ferite e sopite incomprensioni mai<br />

dimenticate. Con una lunga,<br />

faticosa e liberatoria seduta di<br />

autoanalisi in cui i tempi, le<br />

tensioni ancestrali della tragedia<br />

greca vengono contaminate con<br />

l’attrazione visionaria e la forza<br />

terapeutica delle immagini, il film<br />

è un viaggio sospeso tra realismo e<br />

fantasia nel labirinto della<br />

e massa critica del nazismo. È una<br />

convincente scelta stilistica quella di<br />

adottare un andamento lento e una<br />

struttura a spirale, che descrive con<br />

fredda scansione eventi fuori<br />

dell’ordinario e nuclei familiari<br />

compositi; lo scorrere dell’esistenza<br />

scandito dal raccolto, dalle prime<br />

comunioni, lasciando emergere<br />

poco a poco relazioni, inclinazioni e<br />

aberrazioni e lasciando che sia lo<br />

spettatore a “unire i puntini”, a<br />

raccogliere mezze frasi e commenti<br />

e mettere più a fuoco una realtà<br />

ben poco gradevole. Il barone<br />

latifondista (Ulrich Tupur, altro<br />

reduce da Le vite degli altri) con<br />

moglie insoddisfatta, pargoli e<br />

giovane tata; l’amministratore del<br />

creatività, con la materializzazione<br />

delle catene della colpa, i<br />

condizionamenti sentimentali,<br />

nella dura conquista di un<br />

equilibrio e di una stabilità<br />

quotidiana.<br />

Classico e solenne, radicale nel<br />

desiderio di ricercare e ricostruire la<br />

verità nella perdita, Segreti di<br />

famiglia indaga sul potere<br />

consolatorio ed autodistruttivo<br />

delle radici, con una Buenos Aires<br />

inedita filmata nelle sue<br />

contraddizioni, e riflette la<br />

dimensione irreale dei personaggi<br />

tracciati dall’Autore, sempre<br />

segnati da una personale<br />

propensione all’isolamento e alla<br />

paranoia, dalla paura per la<br />

rivelazione, dal pudore della<br />

debolezza e dall’impossibilità di<br />

adattarsi ad una realtà<br />

incomprensibile e minacciosa.<br />

Costruita sulle suggestioni ed<br />

alterazioni della memoria, con una<br />

vena sarcastica e grottesca, l’opera,<br />

che ha inaugurato la Quinzaine des<br />

réalizateurs a Cannes 20<strong>09</strong>,<br />

conferma lo straordinario talento<br />

del regista nella composizione di<br />

ogni immagine e penetra, come in<br />

Giardini di pietra, nella<br />

malinconia di affetti perduti e mai<br />

riconquistati, provando a<br />

fondo con famiglia numerosa e<br />

l’ultimo nato improvvisamente<br />

ammalatosi; il medico condotto con<br />

figlia adolescente e pargoletto<br />

orfano dalla nascita, assistito dalla<br />

vicina con figlio ritardato; il<br />

temutissimo pastore che sembra<br />

uscito da Fanny e Alexander,<br />

implacabile nel ricordare doveri<br />

morali e impartire punizioni ai figli;<br />

il già menzionato istitutore<br />

innamorato della tata impiegata<br />

dal barone, e ancora fittavoli e<br />

precettori nella galleria di<br />

personaggi che compongono un<br />

panorama umano fatto di<br />

ipocrisia e senso del possesso,<br />

tormenti segreti e una spessa<br />

coltre di perbenismo. Rara<br />

incursione del cineasta nel cinema<br />

in costume, Il nastro bianco –<br />

meritata Palma d’Oro assegnata<br />

dall’amica Huppert – scava nelle<br />

coscienze di una comunità devota<br />

e all’apparenza unita che tenta di<br />

arginare i sospetti scaturiti da<br />

troppi misteriosi incidenti. Agli<br />

sconvolgimenti pubblici, l’autore<br />

unisce l’impietosa analisi dei vizi<br />

privati, dall’educazione<br />

rigidissima agli indicibili soprusi; a<br />

farne le spese saranno i<br />

giovanissimi abitanti – e un<br />

pappagallino. Ma quanto è<br />

innocente la gioventù del<br />

villaggio?<br />

MARIO MAZZETTI<br />

riprodurre conflitti ed<br />

inadeguatezze dell’artista con<br />

istintiva brutalità, passioni e<br />

sentimenti nell’insofferenza delle<br />

tradizioni di una famiglia<br />

patriarcale.<br />

Con uno sguardo che spazia dalle<br />

intuizioni di Powell in Scarpette<br />

rosse e Scala al Paradiso alla<br />

rivoluzione del linguaggio di Orson<br />

Welles, in un gioco rarefatto e<br />

complesso tra bianco e nero e colore<br />

e la parodia e la derisione di<br />

cerimoniali e premi, il film è, a suo<br />

modo, istintivo e romantico,<br />

squilibrato negli eccessi: una<br />

riflessione sul tema del dolore,<br />

sull’impossibilità della rimozione,<br />

sulla fuga e la conquista della<br />

maturità. Coppola presenta in totale<br />

libertà nevrosi e insoddisfazioni,<br />

ribellioni e tradimenti e si dimostra<br />

all’altezza delle attese; racconta<br />

l’illusione della felicità con uno stile<br />

operistico che riproduce sensibilità<br />

perdute, lasciando sempre una<br />

seconda possibilità ai protagonisti<br />

che, come in Un’altra giovinezza,<br />

possono forse ripercorrere la propria<br />

esistenza con l’energia del cinema:<br />

un viaggio di purificazione, ritratto<br />

affascinante di un’ idea familiare e<br />

cammino di ricerca estetica.<br />

DOMENICO BARONE


UN FILM DI MICHAEL MANN<br />

-


schede critiche<br />

GOOD MORNING AMAN<br />

di Claudio Noce<br />

Sceneggiatura: Elisa Amoruso, Claudio Noce, Diego<br />

Ribon, Heidrun Schleef ...Fotografia: Michele D’Attanasio<br />

…Montaggio: Andrea Maguolo …Musiche:<br />

Valerio Vigliar …Interpreti: Valerio Mastandrea, Said<br />

Sabrie, Anita Caprioli …Produzione: DNA Cinematografica<br />

con RAI Cinema …Distribuzione: Cinecittà<br />

Luce …Italia 20<strong>09</strong> …colore 105’<br />

DUE UOMINI smarriti a<br />

confronto, alla faticosa ricerca<br />

della propria identità e di un<br />

equilibrio rasserenante di<br />

sopravvivenza nel riuscito esordio<br />

di Claudio Noce, vincitore del<br />

David di Donatello e del Nastro<br />

d’Argento con il corto Aria e già a<br />

Venezia col corto Adil e Yusuf.<br />

Good morning Aman è un<br />

romanzo di formazione che<br />

celebra il valore dell’amicizia e<br />

l’ordinario peso della solitudine,<br />

filmato con semplicità e freschezza<br />

e l’entusiasmo della poesia<br />

metropolitana.<br />

Aman è un italiano di origine<br />

somala, arrivato in Italia a quattro<br />

anni in fuga dalla guerra in<br />

Somalia; Teodoro è un ex pugile,<br />

intrappolato e vinto da colpe e<br />

rimpianti: i due si incontrano sulle<br />

terrazze dell’Esquilino, uniti<br />

dall’insonnia che li perseguita. Due<br />

solitari che, confrontandosi,<br />

ritrovano le piccole certezze<br />

42 VIVILCINEMA settembreottobre<strong>09</strong><br />

dell’esistenza e la voglia di<br />

superare traumi e sconfitte. Non è<br />

la scontata e retorica storia di<br />

faticosa e violenta integrazione<br />

razziale ma, nelle intenzioni, un<br />

omaggio alle atmosfere del cinema<br />

americano degli anni Settanta e<br />

alle storie di Hal Ashby, curioso<br />

narratore di inquietudini e incontri<br />

tra personalità opposte che si<br />

scoprono lentamente<br />

complementari, sempre percorsi da<br />

una vena malinconica e<br />

dolceamara. Con una regia<br />

attenta, che privilegia la sofferenza<br />

dei volti e degli sguardi, Noce<br />

schiva il ricatto della commozione<br />

ed usa in modo intelligente e<br />

misurato la voce fuori campo,<br />

mostrando una Roma multietnica<br />

in eterna evoluzione, con l’aiuto di<br />

DI ME COSA NE SAI<br />

di Valerio Jalongo<br />

Sceneggiatura: Valerio Jalongo, Giulio Manfredonia,<br />

Felice Farina …Montaggio: Mirco Garrone …Produzione:<br />

Ameuropa International, Cinecittà Luce …Distribuzione:<br />

Cinecittà Luce …Italia 20<strong>09</strong> …colore 78’<br />

DI ME COSA ne sai di Valerio<br />

Jalongo, con quel titolo così<br />

allusivo, sembra fatto apposta per<br />

rispondere al vaniloquio del<br />

ministro Renato Brunetta, che non<br />

perde occasione di inveire contro le<br />

élite parassitarie del cinema<br />

italiano. Cosa ne sa il ministro<br />

Brunetta della cultura (non<br />

“culturame”) cinematografica<br />

italiana che ha reso grande il<br />

nostro paese nel mondo, degli<br />

uomini coraggiosi (i De Laurentiis, i<br />

Grimaldi…) che hanno osato sfidare<br />

le regole commerciali e il “comune<br />

senso del pudore”; di quanta fatica<br />

e quante amarezze costi oggi<br />

realizzare un film che<br />

probabilmente verrà distribuito<br />

poco e male, finendo per far da<br />

riempitivo a un palinsesto<br />

notturno? Sa invece molto bene,<br />

probabilmente, il ministro, cosa<br />

passa fra le glorie passate e le<br />

odierne miserie del cinema<br />

nazionale: l’avvento di quell’impero<br />

televisivo che ha vampirizzato il<br />

cinema minandone l’autonomia.<br />

una sceneggiatura che delinea la<br />

forza e la fragilità dei caratteri, in<br />

una dimensione sospesa tra realtà<br />

ed immaginazione.<br />

Good morning Aman,<br />

presentato alla Settimana della<br />

Critica dell’ultima Mostra di<br />

Venezia, narra difficoltà e<br />

problemi di anime indecise,<br />

incapaci di adattarsi ai ritmi ed alla<br />

complessità di un quotidiano che<br />

non riconoscono e preferiscono<br />

osservare dall’alto. Vite intrecciate<br />

dal destino ma filmate con pudore<br />

e gentilezza, senza aggressività, in<br />

un personale percorso di<br />

conoscenza; un film costruito su<br />

dialoghi e confessioni, sulla forza<br />

terapeutica e salvifica del mettersi<br />

a nudo, senza difese. È un’opera<br />

intima ed essenziale, pensata<br />

Valerio Jalongo (Messaggi quasi<br />

segreti, Sulla mia pelle) è<br />

portavoce del movimento<br />

Centoautori, formatosi<br />

spontaneamente alcuni anni fa per<br />

la difesa del cinema italiano e<br />

l’elaborazione di proposte sui<br />

problemi dell’industria<br />

cinematografica. Anche Di me<br />

cosa ne sai, presentato a Venezia<br />

alle Giornate degli autori, nasce<br />

dalle riflessioni del gruppo e dalla<br />

necessità, avvertita da molti autori,<br />

di ripercorrere la storia del cinema<br />

italiano per capirne i motivi della<br />

crisi. Il quadro che esce da questo<br />

montaggio stringente di sequenze<br />

e interviste di repertorio, dati<br />

sull’industria e frammenti di vita<br />

politica, culturale e televisiva degli<br />

ultimi trent’anni, è sconfortante e<br />

non solo per il cinema. Lo stato di<br />

salute del cinema – inteso anche<br />

come spettacolo condiviso in sala –<br />

e la considerazione che oggi gode<br />

nell’immaginario collettivo<br />

diventano il simbolo di<br />

un’agghiacciante decadenza<br />

culturale che ha il suo contraltare in<br />

Videocracy, e la sua sintesi<br />

nell’ignoranza dei ragazzini in coda<br />

per le selezioni di un reality.<br />

Fortunatamente a opporre<br />

resistenza ci sono ancora pochi ma<br />

sull’identificazione emotiva con lo<br />

spettatore, con stile rarefatto e<br />

simbolico per riprodurre i flussi e i<br />

disagi della fantasia. In un incontro<br />

di corpi e parole, l’autore ritrae il<br />

malessere narrando l’amicizia<br />

virile, per un viaggio interiore di<br />

ricerca ed approfondimento. Noce<br />

usa un approccio realista, in un<br />

cinema sincero ed ottimista che<br />

ritrova il piacere della narrazione<br />

ma riesce anche a far riflettere<br />

cercando nuove impressioni. Con le<br />

incertezze e le ingenuità<br />

dell’opera prima e l’impazienza di<br />

mostrare abilità e capacità<br />

registica, è una pellicola divisa in<br />

capitoli, con un approccio<br />

originale, composta da altri<br />

sguardi sull’irrinunciabile<br />

mutazione culturale ed etnica che<br />

modella la struttura della<br />

commedia e del dramma in un<br />

percorso individuale dentro<br />

coscienze e conoscenze.<br />

DOMENICO BARONE<br />

ostinati “donchisciotte”, come<br />

alcuni agguerriti esercenti d’essai,<br />

ma la crisi avanza e non solo – come<br />

pensa Brunetta – perché il governo<br />

ha tagliato gran parte dei<br />

finanziamenti.<br />

I motivi, complessi e strettamente<br />

collegati a un perverso – e unico in<br />

Europa – sistema degli audiovisivi,<br />

sono analizzati con lucidità e<br />

chiarezza da Jalongo, che non<br />

risparmia di interrogarsi anche sulle<br />

responsabilità interne all’ambiente<br />

del cinema. Ecco allora il regista<br />

Felice Farina recitare sullo schermo<br />

la sua storia, in una docu-fiction<br />

semiseria che fa da filo conduttore e<br />

contrappunto grottesco a tutto il<br />

film. La storia, che Farina condivide<br />

con molti suoi colleghi, è quella del<br />

difficile recupero del suo ultimo<br />

lavoro dal fallimento della società<br />

produttrice – una società fittizia – e<br />

delle energie spese per terminare il<br />

film con le proprie mani,<br />

letteralmente, e per presentarlo di<br />

persona al pubblico, in giro per<br />

l’Italia. Più che alle élite radicalchic –<br />

caro ministro – questi cento e più<br />

autori del cinema assomigliano a<br />

dei precari testardi, in lotta per la<br />

difesa del proprio lavoro.<br />

BARBARA CORSI


CAPITALISM: A LOVE STORY<br />

di Michael Moore<br />

Sceneggiatura: Michael Moore …Fotografia: Jayme<br />

Roy, Daniel Marracino …Montaggio: John Walter,<br />

Connor O’Neill, Alex Meillier, Tamyn Ager Meillier,<br />

Jessica Brunetto …Musiche: Jeff Gibbs …Produzione:<br />

Dog Eat Dog Films …Distribuzione: Mikado<br />

…Usa 20<strong>09</strong> …colore 120’<br />

DOPO LA chiusura della fabbrica<br />

della General Motors, dalla città di<br />

Flint vengono mandate le lettere di<br />

sfratto ai proprietari di case (uno<br />

ogni 7 secondi) che hanno<br />

rifinanziato l’immobile senza poi<br />

riuscire a ripagare i debiti. Molte<br />

delle principali aziende del paese<br />

hanno stipulato polizze sulla vita<br />

dei loro dipendenti (più sono<br />

giovani, più si guadagna) di cui<br />

naturalmente sono uniche<br />

beneficiarie. I piloti d’aereo<br />

intascano uno stipendio non<br />

superiore a ventimila dollari annui e<br />

sono costretti a trovarsi un secondo<br />

lavoro, come la maggior parte dei<br />

liberi professionisti nei paesi dell’Est<br />

prima che cadesse il Muro. A causa<br />

del fallimento dell’azienda, gli<br />

operai di una fabbrica di Detroit<br />

sono stati gettati sul lastrico senza<br />

stipendio, indennità e liquidazione<br />

di sorta. È un’America fatta di<br />

sfratti, licenziamenti selvaggi,<br />

divario incolmabile tra l’1% ai vertici<br />

della finanza, dell’economia e della<br />

politica e il resto della popolazione.<br />

PARNASSUS, L’UOMO CHE<br />

VOLEVA INGANNARE IL DIAVOLO<br />

di Terry Gilliam<br />

Titolo originale: The imaginarium of doctor Parnassus<br />

…Sceneggiatura: Terry Gilliam, Charles McKeown<br />

…Fotografia: Nicola Pecorini …Montaggio:<br />

Mick Audsley …Musiche: Mychael Danna, Jeff Danna<br />

…Interpreti: Heath Ledger, Christopher Plummer,<br />

Lily Cole, Tom Waits, Johnny Depp, Colin Farrell,<br />

Jude Law …Produzione: Poo Poo Pictures, Parnassus<br />

Productions …Distribuzione: Moviemax<br />

...Usa/Canada …colore 122’<br />

HEATH LEDGER & Friends,<br />

ovvero Johnny Depp, Colin Farrell<br />

e Jude Law. Ed ecco lo<br />

straordinario attore, The J<strong>ok</strong>er di<br />

Un paese che, sin dall’era Reagan,<br />

ha affidato alle principali banche di<br />

investimento e ai loro emissari la<br />

gestione diretta dell’economia,<br />

trasformando i presidenti in<br />

fantocci utili a deregolamentare,<br />

favorire, finanziare, spingendo<br />

sull’orlo del baratro gli elettori<br />

proni e fiduciosi, fino a sprofondare.<br />

Riuscendo a tenere saldamente le<br />

redini della narrazione per due ore,<br />

concedendosi il consueto gusto della<br />

divagazione, dell’iperbole e del<br />

collegamento ardito, riducendo al<br />

minimo l’enfasi delle lacrime di<br />

vedove e orfani (ma poteva farne<br />

del tutto a meno), Michael Moore si<br />

avvale in Capitalism: a love story<br />

The dark knight, moltiplicarsi<br />

come in una galleria degli specchi<br />

grazie al film di Terry Gilliam,<br />

Parnassus, l’uomo che voleva<br />

ingannare il diavolo. Ledger, che<br />

nel film interpretava il ruolo di<br />

Tony, un misterioso benefattore<br />

dell’infanzia maltrattata che forse<br />

nasconde intenzioni losche, il 22<br />

gennaio del 2008 improvvisamente<br />

e tragicamente è morto. Le riprese<br />

erano iniziate da quattro<br />

settimane appena e il progetto<br />

sembrava destinato a morire<br />

– lunghissimo applauso e Leoncino<br />

d’oro dei giovani giurati di Agiscuola<br />

a Venezia 20<strong>09</strong> – di immagini<br />

d’archivio e di un’iconografia di<br />

notevole impatto, rendendosi protagonista<br />

sì ma con discrezione<br />

(voce narrante, giullare grottesco<br />

per amplificare le emozioni, volto<br />

sgomento dai tempi comici perfetti)<br />

della fluviale analisi del crollo<br />

finanziario del sistema capitalistico<br />

per eccellenza; delle cause profonde<br />

e dei risvolti paradossali (il salvataggio<br />

in due tempi del grande<br />

istituto, prima negato poi votato<br />

alla Camera dopo un blitz del<br />

ministro del Tesoro); degli effetti<br />

nefasti e dei profitti illimitati, indi-<br />

anch’esso, finché il grande regista,<br />

visionario e un po’ maledetto, non<br />

ha avuto l’idea di moltiplicare Tony<br />

attraverso uno specchio. Ed è un<br />

piacere degli occhi, e un gioco nel<br />

gioco, individuare i vari alter ego<br />

di Tony.<br />

Terzo lavoro scritto con lo<br />

sceneggiatore Charles McKeown<br />

dopo il magico Brazil e il<br />

lussureggiante Le avventure del<br />

Barone di Munchausen, ecco un<br />

fantasy dal sapore nettamente<br />

autobiografico. Protagonista è<br />

l’immortale Dottor Parnassus<br />

(Christopher Plummer), un<br />

sapiente inventore di favole che<br />

aiuta gli esseri umani a dare forma<br />

alle proprie fantasie segrete, per<br />

quanto assurde esse siano,<br />

lasciando che attraversino uno<br />

specchio trasportato su un carro<br />

trainato da quattro cavalli. Nella<br />

moderna Londra dello shopping e<br />

della finanza, l’antico carro di<br />

Tespi viaggia con a bordo una<br />

buffa combriccola di guitti<br />

emarginati: la bella figlia Valentina<br />

(Lily Cole) e i due aiutanti (il<br />

giovane Andrew Garfield e il nano<br />

Verne Troyer), imbonitori a caccia<br />

schede critiche<br />

gnandosi come non mai e cercando<br />

di istigare il pubblico alla ribellione,<br />

la stessa che spinge nel finale<br />

i suoi vessati protagonisti a reagire,<br />

occupando fabbriche e resistendo<br />

al pignoramento. Sono<br />

momenti di tensione (una figura<br />

dagli anni ’50 ci avverte a inizio<br />

proiezione che il film è inadatto<br />

alle persone impressionabili…),<br />

d’altronde i valori in gioco sono<br />

quelli della democrazia, argine<br />

necessario quella Dichiarazione<br />

d’indipendenza coi suoi diritti e<br />

valori fondamentali messi ultimamente<br />

da parte.<br />

Un discorso lucido e facilmente<br />

comprensibile quello di un Moore<br />

ispirato, di nuovo ai livelli delle<br />

opere degli esordi, che non esita a<br />

ricorrere ai consueti colpi di teatro,<br />

come quando da privato cittadino<br />

cerca di arrestare i “grandi capi”<br />

della finanza e di mettere il cordone<br />

di polizia all’intera Wall Street,<br />

luogo di un crimine grave e reiterato<br />

ai danni dei risparmiatori, dei<br />

piccoli proprietari, dei cittadini di<br />

serie B delle moderne democrazie<br />

plutocratiche. E poi, pur essendo<br />

un campione del documentario a<br />

tesi, l’autore riesce a farci sorridere,<br />

emozionare e più di tutto indignare,<br />

e non è poco…<br />

MARIO MAZZETTI<br />

di un pubblico sempre più sparuto.<br />

Finché un giorno la compagnia non<br />

salva rocambolescamente un tizio<br />

che penzola da un ponte come il<br />

banchiere Roberto Calvi dal<br />

Blackfriars’ Bridge e quello si unisce<br />

a loro, mettendo le sue spiccate doti<br />

di marketing e la sua parlantina a<br />

servizio dell’arte in via d’estinzione.<br />

Ma Parnassus, e soprattutto la dolce<br />

Valentina, sono minacciati dal<br />

Demonio in persona, interpretato<br />

nientemeno che dal cantautore Tom<br />

Waits, demonio in carne ed ossa che<br />

intende riscuotere il suo credito e<br />

portar via la ragazza nel giorno del<br />

suo 16° compleanno.<br />

Ognuno dei personaggi citati farà la<br />

sua sortita nel mondo dietro lo<br />

specchio, un paese delle<br />

meraviglie (o degli orrori) dove<br />

tutto è possibile grazie agli effetti<br />

davvero speciali creati dalla Peerless<br />

Camera Company, la società<br />

londinese che ha sempre<br />

collaborato alle opere di Gilliam. Sei<br />

mesi di pre-produzione, scene girate<br />

col blue screen e un budget di 30<br />

milioni di dollari hanno fatto il<br />

resto.<br />

CRISTIANA PATERNÒ<br />

VIVILCINEMA settembreottobre<strong>09</strong><br />

43


NEMICO PUBBLICO<br />

di Michael Mann<br />

Titolo originale: Public enemies …Sceneggiatura:<br />

Ronan Bennett, Ann Biderman, Michael Mann dal<br />

romanzo di Bryan Burrough …Fotografia: Dante Spinotti<br />

…Montaggio: Jeffrey Ford …Musiche: Elliot<br />

Goldenthal …Interpreti: Johnny Depp, Christian<br />

Bale, Marion Cotillard, James Russo, Billy Crudup<br />

…Produzione: Universal Pictures, Forward Pass,<br />

Misher Films …Distribuzione: Universal Pictures<br />

…Usa 20<strong>09</strong> …colore 140’<br />

LA BELLEZZA pittorica delle<br />

inquadrature e la fisicità diretta e<br />

potente delle azioni sono<br />

caratteristiche che<br />

contraddistinguono il cinema di<br />

Michael Mann, e Nemico<br />

pubblico non fa eccezione. La<br />

storia di John Dillinger, nemico<br />

pubblico n.1 dell’America degli<br />

anni Trenta, è qui raccontata senza<br />

enfasi e senza psicologismi. John<br />

Dillinger è un rapinatore di banche<br />

e Mann racconta semplicemente<br />

gli accadimenti dei mesi che vanno<br />

dalla spettacolare evasione alla<br />

morte di Dillinger. Gli avvenimenti,<br />

le ricostruzioni di Chicago, le<br />

riprese on location come nel caso<br />

della Crown Point Jail e della Little<br />

Bohemia Lodge, persino il modo di<br />

parlare di Dillinger, interpretato da<br />

un bravo e costantemente<br />

misurato Johnny Depp, rivelano<br />

un’imponente e meticolosa ricerca<br />

L’UOMO CHE FISSA LE CAPRE<br />

di Grant Heslov<br />

Titolo originale: The men who stare at goats …Sceneggiatura:<br />

Peter Straughan dal romanzo di Jon<br />

Ronson …Fotografia: Robert Elswit …Montaggio:<br />

Tatiana Riegel …Musiche: Rolfe Kent …Interpreti:<br />

George Clooney, Ewan McGregor, Jeff Bridges,<br />

Kevin Spacey …Produzione: Sm<strong>ok</strong>e House Pictures<br />

…Distribuzione: Medusa …Usa 20<strong>09</strong> …colore 90’<br />

UN GIORNALISTA disperato, un<br />

improbabile agente dotato di<br />

superpoteri, un’unità segreta<br />

dell’esercito americano<br />

specializzata nella ricerca<br />

paranormale sono gli insoliti<br />

protagonisti de L’uomo che fissa<br />

le capre, che segna l’esordio alla<br />

storica, e qui sta forse una delle<br />

peculiarità del film: Mann si è<br />

basato sui fatti. Sui documenti,<br />

sulle fotografie, sugli articoli di<br />

giornale, naturalmente sul<br />

romanzo di Bryan Burrough, ma<br />

non sull’immaginario<br />

gangsteristico del cinema classico<br />

hollywoodiano.<br />

La mise en scène è straordinaria:<br />

non si può non rimanere<br />

affascinati e travolti dal susseguirsi<br />

regia di Grant Heslov, da lungo<br />

tempo amico e collaboratore come<br />

sceneggiatore e coproduttore dei<br />

film di George Clooney. Ed è<br />

proprio l’attore americano al<br />

centro della trama di questa<br />

divertente e intelligente<br />

commedia dal tono comunque<br />

molto leggero, che prende in giro<br />

l’ossessione per l’utilizzo<br />

dell’energia psichica a fini militari.<br />

Interpellato da un reporter alla<br />

ricerca dello scoop della sua vita,<br />

l’uomo che finge di essere un<br />

tecnico, al lavoro per la<br />

ricostruzione dell’Iraq, conduce il<br />

di scoppi di violenza e azioni<br />

frenetiche, dall’iperrealismo di<br />

certe scene alternato a momenti di<br />

pura astrazione (la splendida<br />

fotografia di Spinotti e le<br />

possibilità date dal digitale<br />

potenziano il film in questo senso),<br />

dal fascino semplice di Dillinger, un<br />

ragazzo dell’Indiana che odia le<br />

banche, odia il sistema, odia la<br />

polizia. Ma attenzione: la simpatia<br />

è immediata, e non perché lui sia<br />

giornalista alla volta di uno<br />

sgangherato viaggio, guidato –<br />

come dice di essere – da una<br />

visione notturna del suo ex capo<br />

guru, interpretato da un Jeff<br />

Bridges alla sua migliore<br />

interpretazione dai tempi de Il<br />

Grande Lebowski. Tra flashback<br />

e momenti insoliti che fanno<br />

ironicamente il verso a tanto<br />

cinema legato al mondo degli<br />

agenti segreti, L’uomo che fissa<br />

le capre brilla per una<br />

sceneggiatura intrigante, tratta<br />

dal libro dello scrittore e<br />

giornalista gallese Jon Ronson, che<br />

esplora la strana storia di un<br />

gruppo di soldati chiamati in<br />

codice “I Jedi” per le loro<br />

avanzatissime capacità psichiche.<br />

Al di là dell’evidente, forse perfino<br />

facile umorismo<br />

metacinematografico in cui il<br />

giornalista che deve scrivere degli<br />

Jedi è anche l’Obi Wan Kenobi<br />

della seconda trilogia di Guerre<br />

Stellari, L’uomo che fissa le<br />

capre mette ancora una volta in<br />

luce il talento di Clooney nel<br />

campo della commedia sofisticata.<br />

Circondato da interpreti<br />

decisamente alla sua altezza, come<br />

Ewan McGregor e Kevin Spacey,<br />

Clooney e gli altri sono impegnati<br />

schede critiche<br />

John Dillinger, ma perché le banche<br />

erano quelle che avevano gettato il<br />

paese nella Grande Depressione e<br />

rubato i risparmi della gente, e il<br />

sistema va di conseguenza, quindi<br />

le antipatie di Dillinger sono quelle<br />

del pubblico americano. Quanto<br />

alla polizia, il sogno di J. Edgar<br />

Hoover era quello di catturare il<br />

nemico pubblico per eccellenza per<br />

trasformare il suo Bureau nel<br />

Federal Bureau of Investigation,<br />

mentre il suo agente di punta,<br />

Melvin Purvis (un bravissimo<br />

Christian Bale) è circondato da<br />

colleghi inetti che non sanno<br />

maneggiare le armi e anzi, quando<br />

sparano, uccidono cittadini<br />

innocenti. Di conseguenza, Mann<br />

non ha bisogno di ricorrere a<br />

espedienti narrativi per ornare di<br />

fascino Dillinger e le sue azioni. Ne<br />

racconta squarci e attimi privati con<br />

la fidanzata Billie Frechette, ma<br />

senza dilungarsi mai. I fatti, Mann<br />

racconta splendidamente i fatti:<br />

John Dillinger è morto ammazzato<br />

su un marciapiede all’uscita del<br />

cinema, tradito dalla leggendaria<br />

“lady in red”, che indossava in<br />

realtà una camicetta bianca e una<br />

gonna arancione…<br />

CHIARA BARBO<br />

a restituire allo spettatore il senso<br />

di una storia dove non si capisce<br />

mai se quello che accade è frutto<br />

di stupidità, del caso oppure di<br />

poteri tanto inspiegabili quanto<br />

complessi nella loro<br />

fenomenologia.<br />

Sullo sfondo di un Iraq più<br />

“appaltato” che occupato,<br />

L’uomo che fissa le capre è un<br />

film originale che, con qualche<br />

venatura demenziale, si trasforma<br />

in una satira antimilitarista senza<br />

troppe pretese, ma anche<br />

abbastanza riuscita. Le capre<br />

evocate dal titolo sono le<br />

testimoni involontarie di una serie<br />

di esperimenti in cui i superpoteri<br />

vengono usati talora per liberare<br />

un generale della Nato detenuto<br />

dalle italiane Brigate Rosse (il<br />

film non lo dice, ma si tratta della<br />

liberazione del generale Dozier),<br />

altre volte per canalizzare lo<br />

scontro di ego tra i vari membri<br />

di questa unità di elite, nata<br />

durante la guerra del Vietnam e<br />

la cui storia, in una maniera o<br />

nell’altra, arriva fino ai giorni<br />

nostri. Un film piacevole dove la<br />

parodia porta a momenti<br />

inaspettati di comicità.<br />

MARCO SPAGNOLI<br />

VIVILCINEMA settembreottobre<strong>09</strong><br />

45


schede critiche<br />

NORD<br />

di Rune Denstad Langlo<br />

Sceneggiatura: Erlend Loe …Fotografia: Philip Ogaard<br />

…Montaggio: Zaklina Stojevska …Musiche: Ola<br />

Kvernberg …Interpreti: Anders Baasmo Christiansen,<br />

Tommy Almenning, Marte Aunemo, Kyrre Hellum<br />

…Produzione: Motlys …Distribuzione: Sacher<br />

Film …Norvegia 20<strong>09</strong> …colore 78’<br />

ACCANTO a storie minime e<br />

stravaganti come Kitchen<br />

stories, ai personaggi strampalati<br />

dei film di Lukas Moodysson e ai<br />

toni sarcastici e crepuscolari di<br />

Kaurismaki, trova la sua perfetta<br />

collocazione anche Nord, un<br />

piccolo film norvegese che scivola<br />

con eleganza tra la commedia di<br />

toni e situazioni e la malinconia<br />

GENOVA<br />

di Michael Winterbottom<br />

Sceneggiatura: Laurence Coriat …Fotografia: Marcel<br />

Zyskind …Montaggio: Paul Monaghan …Musiche:<br />

Melissa Parmenter …Interpreti: Colin Firth, Catherine<br />

Keener, Hope Davis, Willa Holland, Perla Haney-<br />

Jardine …Produzione: Revolution Film, Aramid Ent.<br />

Fund, Moviola Film …Distribuzione: Officine Ubu<br />

…Inghilterra 2008 …colore 92’<br />

“HO DECISO che dovevo girare<br />

un film a Genova e solo in un<br />

secondo momento ho pensato a<br />

quale storia raccontare”. Sono<br />

parole del regista, un’affermazione<br />

sicuramente sincera perché è<br />

davvero difficile immaginare una<br />

diversa ambientazione per questo<br />

film. Il cuore della storia, che pure è<br />

una vicenda molto intima e privata,<br />

ruota infatti attorno a<br />

quell’inestricabile labirinto di vicoli<br />

dove è facile perdersi fisicamente e<br />

mentalmente, come appunto<br />

accade ai protagonisti del film, alla<br />

ricerca di un filo che li riconduca<br />

alla vita dopo essere stati oggetto<br />

di una improvvisa tragedia. In<br />

Genova, insomma, la città è un<br />

preciso ed affascinante luogo fisico,<br />

ma anche un’ambientazione<br />

simbolica, un percorso che conduce<br />

dalle tenebre verso la luce.<br />

In seguito alla tragica morte della<br />

moglie in un incidente stradale,<br />

anche per liberarsi dal peso di<br />

46 VIVILCINEMA settembreottobre<strong>09</strong><br />

sgangherata del suo protagonista,<br />

Jomar, un ex campione di sci che,<br />

in seguito a un esaurimento<br />

nervoso e una depressione da cui<br />

non riesce a venir fuori, trova<br />

lavoro come addetto alle sciovie,<br />

lavoro che naturalmente svolge<br />

assai malvolentieri. Tra il<br />

rimpianto per la clinica in cui è<br />

stato ricoverato per mesi, il ricordo<br />

della moglie che l’ha lasciato e la<br />

noia di quel lavoro che lo spinge a<br />

bere, fumare e ciondolare tutto il<br />

giorno tra il letto e la poltrona,<br />

una notizia inaspettata lo spinge a<br />

uscire dall’apatia per affrontare<br />

un viaggio verso nord, centinaia di<br />

ricordi strazianti, Joe, docente<br />

universitario di Chicago, decide di<br />

trasferirsi insieme alle figlie,<br />

l’adolescente Kelly, 16 anni, e la<br />

piccola Mary, 10 anni, a Genova<br />

dove ha ottenuto un incarico.<br />

Il trasferimento sembra giovare a<br />

Joe e a Kelly che, bellissima, attira<br />

subito l’attenzione dei coetanei,<br />

mentre Mary, oppressa dai sensi di<br />

colpa, si ritiene responsabile del<br />

fatale incidente: è perseguitata da<br />

incubi notturni e ad un certo<br />

momento comincia a vedere la<br />

madre aggirarsi attorno a lei.<br />

Mentre Barbara, una vecchia amica<br />

di Joe, intuisce il malessere della<br />

bambina, padre e sorella non<br />

sembrano accorgersene. Finché un<br />

giorno, proprio per seguire la<br />

chilometri tra distese di neve e<br />

ghiaccio, in solitudine, fatta<br />

eccezione per alcuni incontri<br />

bizzarri che pian piano<br />

riappacificheranno Jomar con se<br />

stesso e con la vita.<br />

Nord è un road movie sulla<br />

snowmobile, un “road movie<br />

fuoripista” come lo <strong>def</strong>inisce lo<br />

stesso autore; una commedia<br />

minimale che trascina il<br />

protagonista fuori dal suo<br />

malessere per farlo incontrare e<br />

scontrare con situazioni assurde e<br />

personaggi stravaganti e assoluti<br />

nella loro umanità: bambine<br />

solitarie, gare di snowboard,<br />

improbabili soldati che sbucano<br />

dal nulla e vecchi scontrosi intenti<br />

a pescare nel ghiaccio conducono<br />

il protagonista, nella sua<br />

ricerca della vita, verso<br />

un finale sobrio e<br />

asciutto che ben<br />

completa la<br />

stravaganza<br />

misurata e sottile<br />

di questa<br />

malinconica<br />

commedia<br />

umana.<br />

I meriti<br />

del<br />

film<br />

madre che ha visto camminare<br />

davanti a lei, Mary si inoltre in una<br />

città sempre più ostile e pericolosa…<br />

La trama potrebbe far pensare ad<br />

un mystery segnato da presenze<br />

soprannaturali e destinato ad una<br />

tragica conclusione ed invece<br />

Genova racconta semplicemente,<br />

con accenti intimi e dolorosi,<br />

l’elaborazione di un lutto da parte<br />

di tre persone private del loro<br />

affetto più caro.<br />

Genova, premio per la regia lo<br />

scorso anno a San Sebastian, è un<br />

film di atmosfere e di silenzi, dove i<br />

dialoghi sono rarefatti e il racconto<br />

è affidato principalmente alla<br />

suggestione delle immagini, dei<br />

colori, dei suoni. In maniera niente<br />

affatto casuale, la mamma morta<br />

sono molti: il regista Rune Denstad<br />

Langlo, che qui impiega<br />

splendidamente anche la sua<br />

esperienza di documentarista,<br />

riesce a mantenere in costante<br />

equilibrio la commedia pur non<br />

tralasciando momenti di dramma,<br />

utilizzando bene gli scenari<br />

nordici, protagonisti del film<br />

insieme al bravo Anders Baasmo<br />

Christiansen, una presenza<br />

fondamentale nei vari segmenti<br />

del film, sempre provvisorio nel<br />

suo incedere incerto, tra la<br />

chiusura in se stesso e lo stupore di<br />

fronte agli incontri imprevisti che<br />

quel pezzetto di vita gli riserva,<br />

sempre umanissimo. E lo<br />

sceneggiatore Erlend Loe scrive<br />

con delicatezza personaggio e<br />

momenti narrativi, senza<br />

risparmiare ironia e sarcasmo<br />

graffiante a Jomar Henriksen e<br />

anche al pubblico. Nord è<br />

stato presento nella sezione<br />

Panorama alla scorsa<br />

edizione del Festival di<br />

Berlino, vincendo il<br />

premio Fipresci della<br />

stampa<br />

internazionale<br />

come miglior<br />

film.<br />

CHIARA BARBO<br />

era un’insegnante di pianoforte ed<br />

anche le sue figlie prendono lezioni<br />

di musica. Il film funziona molto<br />

bene nella parte domestica e<br />

familiare, illustrando con sapienza e<br />

profondità i rapporti che legano il<br />

padre alle figlie e le figlie fra loro.<br />

Kelly è la tipica adolescente alla<br />

scoperta delle prime vere emozioni,<br />

una ragazza che vorrebbe bruciare<br />

le tappe e comincia a mostrare una<br />

crescente insofferenza per regole<br />

ed orari. Alle sue continue e<br />

provocatorie sfide non sfugge<br />

neppure la sorella più piccola,<br />

ovviamente incapace di<br />

comprendere le ragioni di tanta<br />

improvvisa ostilità. Funziona invece<br />

molto meno il contorno, il coro dei<br />

ragazzi italiani che corteggiano<br />

Kelly e tutto il gruppo degli<br />

studenti di Joe, altrettante<br />

macchiette. In particolare<br />

l’accennata e un po’ ridicola storia<br />

d’amore fra Joe e la studentessa<br />

Rosa è uno degli elementi deboli<br />

del film. Insomma ciò che convince<br />

meno è il côtè di presenze italiane,<br />

ma la cosa non sorprende più di<br />

tanto: perché un regista inglese<br />

dovrebbe conoscerci così bene e<br />

raccontarci in maniera davvero<br />

convincente?<br />

FRANCO MONTINI


schede critiche<br />

CHE FINE HA FATTO OSAMA BIN LADEN?<br />

di Morgan Spurlock<br />

Titolo originale: Where in the world is Osama Bin<br />

Laden? …Sceneggiatura: Jeremy Chilnick, Morgan<br />

Spurlock …Fotografia: Daniel Marracino<br />

…Montaggio: Gavin Coleman, Julie “Bob” Lombardi<br />

…Musiche: Jon Spurney …Produzione: Warrior<br />

Poets, Wild Bunch …Distribuzione: Fandango<br />

…Usa 2007 …colore 96’<br />

NUOVA provocazione di<br />

Morgan Spurlock, ironico cialtrone<br />

e “fratello minore” della<br />

multinazionale Michael Moore,<br />

con una folle e divertente caccia al<br />

criminale più pericoloso del<br />

mondo che diventa un viaggio nei<br />

Paesi mediorientali, costruito<br />

come i livelli di difficoltà di un<br />

videogioco tra ispirate intuizioni,<br />

incontri di karate con il ricercato a<br />

cartoni animati, spunti e idee<br />

grottesche.<br />

Dall’Egitto all’Afghanistan,<br />

interviste strampalate sulle<br />

conseguenze economiche di<br />

attentati e speculazioni in Borsa<br />

costellano un reportage<br />

sull’incontro-confronto con la<br />

gente araba, disponibile e cordiale<br />

agli inoffensivi attacchi del regista.<br />

Spurlock, in pericolosa trasferta tra<br />

Marocco e Palestina, parte sulle<br />

tracce del fuggitivo fin dentro le<br />

caverne nel cuore<br />

dell’Afghanistan, avvicinando<br />

esperti ed imam; collabora, a suo<br />

BERLIN CALLING<br />

di Hannes Stöhr<br />

Sceneggiatura: Hannes Stöhr …Fotografia: Andreas<br />

Doub …Montaggio: Anne Fabini …Musiche: Paul<br />

Kalkbrenner …Interpreti: Paul Kalkbrenner, Rita Lengyel,<br />

Corinna Harfouch, Araba Walton, Peter Schneider<br />

…Produzione: Sabotage Films, Stöhr Film Prod.<br />

con Wdr, Arte …Distribuzione: Officine Ubu …Germania<br />

2008 …colore 100’<br />

IKARUS è un dj/remixer<br />

berlinese – una vaga<br />

rassomiglianza con Moby – che<br />

alterna album e dance floor in<br />

discoteca, troppi per concentrarsi<br />

sul nuovo disco, anche perché il<br />

ragazzo tende ad abusare di<br />

modo, al disinnesco degli ordigni;<br />

scopre la teoria della cospirazione<br />

che lega indissolubilmente<br />

l’organizzazione di Al-Qaeda alla<br />

rivoluzione suina di Babe e<br />

partecipa alle incursioni a fianco<br />

dell’esercito.<br />

Dopo l’esperimento del precedente<br />

Supersize me, in cui si faceva<br />

uomo-cavia che eroicamente<br />

decide di nutrirsi per un mese di<br />

prelibatezze preparate nei fast<br />

food con esiti clinici disastrosi,<br />

questa volta, con la stessa carica di<br />

ingenua goliardia, Spurlock si<br />

spinge in un lungo viaggio<br />

impersonando l’uomo comune che<br />

desidera un’esistenza metodica<br />

confortata dal consumo di generi<br />

ketamina e cocaina: la sua<br />

discografica respinge il progetto,<br />

lo stress aumenta e lo sballo pure,<br />

la ragazza-manager Mathilde<br />

inizia ad essere stufa mentre il<br />

padre, pastore protestante, parla<br />

nei suoi sermoni di responsabilità<br />

individuale.<br />

Una crisi di troppo (“era roba<br />

cattiva”…) e Ikarus si ritrova in<br />

ospedale con altre vittime di acidi<br />

e cristalli – ottenendo almeno il<br />

permesso di lavorare al disco,<br />

anche se la dottoressa trova la sua<br />

musica cupa e deprimente. Ma gli<br />

futili e con un figlio in arrivo.<br />

Senza le invettive moralistiche e<br />

saccenti del corpulento collega di<br />

Fahrenheit 9/11 e Sicko,<br />

l’autore, beffardo e narcisista, ha<br />

il pudore e il ritegno di non<br />

prendersi mai sul serio ma usa la<br />

stessa tecnica di guerriglia del<br />

compagno: sceglie un bersaglio da<br />

colpire facile facile, confidando<br />

nel candore e nella semplicità di<br />

spettatori ancora inclini<br />

all’indignazione, inconsapevoli di<br />

essere manipolati.<br />

La pellicola, presentata lo scorso<br />

anno al Festival Internazionale di<br />

Roma, diventa una “ardita”<br />

riflessione sui rapporti segreti tra<br />

Stati Uniti e mondo arabo,<br />

effetti allucinogeni persistono e<br />

una scappatella dall’ospedale gli<br />

costerà cara in termini umani,<br />

professionali e di salute: la terra<br />

continua a franargli sotto i piedi<br />

ma l’atteggiamento immaturo ed<br />

egocentrico si rafforza.<br />

All’ipogeo, grazie al sostegno di<br />

Mathilde (che nel frattempo ha<br />

accettato le avances dell’amica<br />

Corinne) e all’affetto del padre e<br />

del fratello, oltre che alle pillole<br />

che cancellano alti e bassi, il<br />

motore sembra tornare a girare…<br />

La musica techno del<br />

protagonista (Kalkbrenner nella<br />

vita fa lo stesso mestiere<br />

del suo personaggio)<br />

fornisce un tono<br />

maudit alla storia di<br />

tossicodipendenza,<br />

solo aggiornata alla<br />

“fame chimica” di<br />

sostanze brucia<br />

cervello. Può<br />

sembrare fico<br />

un dj che si<br />

gode la<br />

celebrità<br />

di<br />

stage<br />

disegnata con lo stile sarcastico ed<br />

irriverente dei fumetti. Spurlock<br />

gioca con intelligenza con i luoghi<br />

comuni, le differenze etniche, le<br />

paure e la xenofobia, ma da buon<br />

cittadino americano istruito cerca<br />

un’illusoria armonia, convincendosi<br />

che il nemico possa essere un<br />

pesante fardello nell’evoluzione e<br />

nell’incontro tra culture opposte<br />

ma complementari. Che fine ha<br />

fatto Osama Bin Laden? è un<br />

girotondo che inizia come<br />

intrattenimento satirico<br />

intervallato da spunti umoristici, in<br />

cui tesi ed asserzioni restano<br />

ovvietà scontate, con una<br />

sceneggiatura divisa tra indagine<br />

sociologica ed inchiesta, scandita<br />

da intermezzi grafici e spettacolari,<br />

notazioni di costume che graffiano<br />

ma non lasciano segni.<br />

DOMENICO BARONE<br />

performance infuocate (purché<br />

piacciano i ritmi electro), indossa<br />

magliette di calcio e soddisfa<br />

bisogni primari; il regista tuttavia<br />

ne sottolinea il senso di vuoto, la<br />

discesa agli inferi e fino alla fine<br />

non sappiamo se ce la farà a<br />

superare la crisi. Tuttavia, se solo<br />

la regia mostrasse qualche<br />

guizzo in più e il protagonista<br />

una maggiore espressività, la<br />

capacità di coinvolgimento della<br />

vicenda ne risulterebbe<br />

accresciuta. Lo stesso finale<br />

assomiglia più a una pubblicità<br />

progresso che a uno snodo<br />

narrativo. Il titolo del film è<br />

quello del famigerato disco di<br />

Ikarus tanto rinviato, e<br />

naturalmente ammicca ai<br />

Clash. Quanto a Berlino, la<br />

storia potrebbe svolgersi in<br />

qualsiasi metropoli (anche<br />

se i tedeschi vanno forte<br />

in questo campo<br />

musicale) e il<br />

Muro è soltanto<br />

evocato in un<br />

ricordo<br />

familiare.<br />

MARIO MAZZETTI<br />

VIVILCINEMA settembreottobre<strong>09</strong><br />

47


schede critiche<br />

BRÜNO<br />

di Larry Charles<br />

Sceneggiatura: Sacha Baron Cohen, Anthony Hines,<br />

Dan Mazer, Jeff Schaffer …Fotografia: Anthony Hardwick<br />

e Wolfgang Held …Montaggio: Scott M.<br />

Davids e James Thomas …Interpreti: Sacha Baron<br />

Cohen, Gustaf Hammarsten con la partecipazione di<br />

Bono, Sting, Elton John, Chris Martin …Produzione:<br />

Everyman Pictures, Four by Two, Media Rights Capital<br />

…Distribuzione: Medusa …Usa 20<strong>09</strong> …colore 85’<br />

DELLA PROVOCAZIONE ha fatto<br />

il suo logo. Sacha Baron Cohen, già<br />

Ali G e Borat, non si smentisce e<br />

con Brüno va anche oltre,<br />

affrontando ludicamente e<br />

luridamente il mondo della moda.<br />

Il suo personaggio omonimo è<br />

NORTH FACE<br />

di Philipp Stöltz<br />

Titolo originale: Nordwand …Sceneggiatura: Philipp<br />

Stöltz, Cristoph Silber, Rupert Henning, Johannes<br />

Naber …Fotografia: Kolja Brandt …Montaggio: Sven<br />

Budelmann …Musiche: Christian Kolonovits …Interpreti:<br />

Benno Furmann, Johanna W<strong>ok</strong>alek, Florian<br />

Lukas, Simon Schwarz …Produzione: Dor Film-West,<br />

Lunaris Film, MedienKontor …Distribuzione: Archibald<br />

…Germania 2008 …colore 126’<br />

AVVENTURA, tensione e<br />

dramma nella radicata tradizione<br />

delle pellicole di montagna in<br />

North Face, che ricostruisce con<br />

meticolosa attenzione la lotta<br />

disperata per la sopravvivenza<br />

nella scalata alla parete nord del<br />

Monte Eiger, evidenziando ogni<br />

dettaglio nella descrizione di<br />

eventi ed imprevisti, uniti ad una<br />

complessa riflessione<br />

sull’immanenza di una natura<br />

ostile e matrigna.<br />

Durante l’estate del 1936, due<br />

militari bavaresi decidono di<br />

scalare la parete nord della<br />

montagna, in un’ascensione<br />

seguita da giornalisti in cerca di<br />

gloria, funzionari del Reich decisi<br />

a trasformare l’impresa sportiva in<br />

un trionfante mezzo di<br />

propaganda. North Face, con<br />

stile classico e rigoroso, è un film<br />

dal cuore antico, epico, sul valore<br />

del coraggio individuale, sulla<br />

48 VIVILCINEMA settembreottobre<strong>09</strong><br />

l’irriverente e indomito critico del<br />

magazine Funky Zeit, che dal<br />

fashion biz ambisce a diventare<br />

una star. Austriaco dal<br />

maccheronico accento e<br />

omosessuale, con valletto a<br />

seguito segretamente innamorato<br />

di lui, parte alla conquista di<br />

Hollywood.<br />

Supportato da una sceneggiatura<br />

di cui è co-autore con gag<br />

esilaranti a profusione, Brüno è<br />

un film sui generis che fluttua tra<br />

fiction e mockumentary ed è per<br />

sua natura un fenomeno oltre lo<br />

schermo. Come del resto erano i<br />

solitudine fisica e mentale dello<br />

scalatore, deciso a non farsi<br />

strumentalizzare dagli attacchi<br />

della stampa, dalle lusinghe del<br />

potere politico come dal terrore<br />

dell’isolamento, cullandosi nella<br />

forza consolatoria di affetti e<br />

relazioni amorose, forze svanite,<br />

in una pessimistica<br />

considerazione sul significato del<br />

tempo.<br />

Stöltz, che ha studiato e<br />

compreso i codici morali degli<br />

eroi quotidiani e solitari del<br />

cinema di Fred Zinnerman,<br />

combina azione, storia e rischio,<br />

analizzando la dimensione<br />

psicologica della cronaca e del<br />

precedenti di Baron Cohen. Le sue<br />

performance, infatti, hanno<br />

animato la campagna<br />

promozionale condotta in maniera<br />

del tutto alternativa, tra irruzioni<br />

alle sfilate di moda milanesi,<br />

mescolamenti con le guardie reali<br />

a Londra in aderenti costumi o alla<br />

tv spagnola dove si è mostrato in<br />

mutande fregiate col volto di<br />

Zapatero. Il sottotitolo del film,<br />

d’altra parte, non induce a<br />

fraintendimenti sulla natura<br />

dell’oggetto: “deliziose<br />

scorribande attraverso l’America<br />

allo scopo di mettere visibilmente<br />

a disagio i maschi eterosessuali in<br />

presenza di un gay straniero in<br />

magliettina a rete”. Oltraggioso a<br />

dismisura, facilmente censurabile e<br />

presumibilmente sgradevole a<br />

pubblici non adepti o<br />

semplicemente rigido-schizzinosi,<br />

Brüno fa perno sull’immenso<br />

talento performativo del comico<br />

gallese-lituano-israeliano: le risate<br />

provocate dal magma esplosivo tra<br />

il suo modus e le battute e<br />

situazioni sono a volte davvero<br />

irresistibili. Solo per citarne alcune:<br />

l’utilizzo di uomini nudi in<br />

sostituzione dell’arredamento<br />

nello studio televisivo, la<br />

simulazione di un orgasmo con lo<br />

racconto, sottolineando gli<br />

ingannevoli meccanismi dello<br />

sfruttamento mediatico, dei<br />

contrasti etnici tra visioni<br />

esistenziali differenti ed<br />

inconciliabili. Con una<br />

costruzione scrupolosa e sicura<br />

della narrazione, diretta ad<br />

evidenziare la forza della<br />

competizione e dei legami di<br />

sangue, cerca sempre il realismo,<br />

l’effetto emotivo alla mistica<br />

ricerca delle difficoltà e degli<br />

imprevisti. Con una fotografia<br />

che estende il fascino della luce e<br />

del pericolo, il film ha una sua<br />

forza istintiva nel rapporto di<br />

assoluta dipendenza dalla vetta<br />

spirito di un <strong>def</strong>unto durante una<br />

seduta spiritica e – all’apice del<br />

politically incorrect – il furto<br />

nell’immaginario Paese “Dar-five”<br />

di un bebè africano “scambiato<br />

con un iPod” a prova che essere<br />

padre single e gay è bello. La gag<br />

non rovina la risata in sala essendo<br />

già punta di diamante del trailer. Il<br />

film non risparmia sagaci cine e<br />

tele-citazioni, talvolta di autentica<br />

arguzia, virate a caricatura<br />

estrema delle manie, fobie ed<br />

ossessioni prodotte dall’American<br />

Dream. Questa volta concentrato<br />

sullo spaccato umano dello star<br />

system, terreno intrinsecamente<br />

comico. E, con personalissimo<br />

messaggio pacifista, Baron Cohen<br />

si improvvisa anche mediatore tra<br />

Israele e Palestina, quasi<br />

riuscendoci... Tra le curiosità del<br />

backstage: nel film era prevista<br />

un’intervista a LaToya Jackson<br />

prendendo di mira il fratello<br />

Michael, la cui scomparsa, però, ha<br />

ovviamente procurato il taglio<br />

<strong>def</strong>initivo della scena. Rimasti,<br />

invece, i camei degli amici Bono,<br />

Sting, Elton John e Chris Martin,<br />

musicalmente uniti per una<br />

“Brüno-causa”.<br />

ANNA MARIA PASETTI<br />

da raggiungere che diventa<br />

ossessione. Il regista, con<br />

l’intelligenza del cineasta<br />

consumato, riprende non solo la<br />

preparazione e la paura del<br />

vuoto, ma la costruzione di un<br />

sogno, la difficoltà ed il coraggio<br />

del fattore umano: la stanchezza<br />

e la disillusione degli scalatori che<br />

lottano contro pregiudizi, la<br />

tragica distanza dalla realtà<br />

quotidiana e la coesistenza<br />

silenziosa con il rischio della<br />

morte.<br />

Costruito con l’ambizione di unire<br />

l’incanto letterario del racconto<br />

orale con la manipolazione<br />

sentimentale degli avvenimenti;<br />

l’immediatezza e l’identificazione<br />

del cinema popolare con un uso<br />

seduttivo e mai retorico dell’etica,<br />

il film è una cronaca sulla perdita<br />

dell’innocenza, filmata con la<br />

crudezza dell’essenzialità e<br />

filtrata dallo scetticismo di chi<br />

osserva con cinica indifferenza lo<br />

spettacolo. Proiettato al Festival<br />

di Locarno lo scorso anno e girato<br />

nei luoghi della spedizione<br />

originale, North Face è un<br />

viaggio introspettivo in una<br />

passione eroica, nell’incoscienza<br />

dell’impresa e della memoria.<br />

DOMENICO BARONE


500 GIORNI INSIEME<br />

di Marc Webb<br />

Titolo originale: 500 days of Summer …Sceneggiatura:<br />

Scott Neustadter, Michael H. Weber …Fotografia:<br />

Eric Steelberg …Montaggio: Alan Edward Bell<br />

…Interpreti: Joseph Gordon-Levitt, Zooey Deschanel,<br />

Geoffrey Arend, Chloe Grace Moretz …Produzione:<br />

Fox Searchlight, Waterman Production …Distribuzione:<br />

20th Century Fox …Usa 20<strong>09</strong> …colore 96’<br />

“QUESTA È la storia di un<br />

ragazzo che incontra una ragazza.<br />

Ma vi avverto subito: non è una<br />

storia d’amore”. La voce narrante<br />

alquanto perentoria del<br />

protagonista istruisce lo spettatore<br />

su cosa non aspettarsi. E<br />

sagacemente lascia che lo stesso<br />

spettatore apra la bella sorpresa di<br />

DIAMOND 13<br />

di Gilles Béhat<br />

Titolo originale: Diamant 13 …Sceneggiatura: Gilles<br />

Béhat, Oliver Marchal, Hugues Pagan …Fotografia:<br />

Bernard Malaisy …Montaggio: Thierry Faber<br />

…Musiche: Frederic Vercheval …Interpreti: Gérard<br />

Depardieu, Oliver Marchal, Asia Argento, Aïssa Maïga<br />

…Produzione: MK2 …Distribuzione: Moviemax<br />

...Francia/Belgio/Lussemburgo 20<strong>09</strong> …colore 93’<br />

DIAMOND 13 è una pellicola di<br />

genere con molti padri nobili,<br />

manierata, efficace e violenta nella<br />

prima parte, squilibrata e<br />

sfilacciata nella seconda, in una<br />

cronaca crudele ed essenziale,<br />

senza presunzioni d’autore.<br />

Mat, poliziotto della sezione<br />

criminale della polizia di Parigi,<br />

500 giorni insieme, ovvero<br />

un’esilarante commedia. Complice<br />

la storia vera, pare, vissuta da uno<br />

dei due sceneggiatori, trasformata<br />

nel riuscito esordio “in<br />

lungo” del già<br />

videomaker Marc Webb.<br />

Tom (Joseph Gordon-<br />

Levitt) scrive biglietti<br />

augurali. Incontra<br />

Summer – tradotta in<br />

italiano con Sole – (Zooey<br />

Deschanel) e se ne<br />

innamora<br />

perdutamente.<br />

Ma la ragazza<br />

vive la<br />

scopre che un suo collega della<br />

squadra antidroga è coinvolto in<br />

un traffico di stupefacenti; l’uomo,<br />

deciso a rispettare il vincolo di<br />

amicizia, decide di mettere a<br />

rischio la sua carriera per cercare di<br />

salvarlo e di neutralizzare<br />

l’organizzazione criminale.<br />

Poliziesco duro e classico, scandito<br />

dalla pulsione per la vendetta e<br />

dal rispetto del codice etico dei<br />

comportamenti, Diamond 13,<br />

proiettato al Taormina FilmFest<br />

nella sezione Anteprime al Teatro<br />

Antico, rilegge e ricalca la struttura<br />

della letteratura poliziesca, di<br />

figure sconfitte alla deriva,<br />

relazione come un’amicizia,<br />

alimentando le pene d’amore del<br />

malcapitato per i fatidici 500<br />

giorni. Lo stillicidio amoroso al<br />

maschile è vissuto con un racconto<br />

in flashback in prima persona con<br />

tanto di “conta giorni” dal<br />

momento dell’incontro<br />

all’epilogo, naturalmente da non<br />

svelare. I due giovani,<br />

imperfettamente belli ma<br />

perfettamente interpretati, hanno<br />

diverse passioni in comune: dalla<br />

musica per gli Smiths alla pittura<br />

di Magritte, e vanno perfino<br />

all’Ikea giocando alla felice<br />

famiglia americana nell’era<br />

dell’iPod. Ma tutto questo non<br />

basta per alimentare l’amore, dice<br />

lei, confusamente ma a<br />

ripetizione. Webb,<br />

mostrando cinecultura<br />

e<br />

passione<br />

per la<br />

musica,<br />

perdute dentro una metropoli<br />

notturna e degradata, attraversata<br />

da colori iperrealisti. Béhat,<br />

attratto istintivamente dagli eroi<br />

solitari, silenziosi, emarginati e<br />

dimenticati, è stato sempre<br />

sedotto dalle colpe dei personaggi,<br />

dalle zone grigie ed oscure, deciso<br />

a rappresentare l’interscambio dei<br />

ruoli, esasperando la disperazione<br />

e l’isolamento. Qui affronta un<br />

racconto popolare con un verismo<br />

costruito sulla percezione del<br />

tradimento e sulla perdita della<br />

speranza. È un mondo criminale e<br />

razionale, già narrato nel violento<br />

esordio Rue Barbare, che citava<br />

un’idea tradizionale e<br />

appassionata di western urbano<br />

cercando di riprodurre le difficoltà<br />

di uomini senza futuro, in fuga da<br />

lutti e disperazioni, prigionieri e<br />

vittime del dovere, nel rispetto<br />

della legge e dei codici. Diamond<br />

13 deve molto al pessimismo sulla<br />

condizione umana di Melville e<br />

Verneuil (Il poliziotto della<br />

brigata criminale, Polvere<br />

d’angelo), esempi atipici ed<br />

inconsueti di gialli esistenziali con<br />

al centro poliziotti anarchici, senza<br />

motivazioni decisive, intrappolati<br />

dal lavoro e da un’idea personale<br />

di giustizia. Il film, che si smarrisce<br />

schede critiche<br />

infarcisce con bravura il suo film di<br />

citazioni colte (Il laureato,<br />

Truffaut), di canzoni sfiziose<br />

(addirittura un hit di Carla Bruni)<br />

strizzando l’occhio al musical e di<br />

un montaggio interessante, dallo<br />

slow motion alle accelerazioni,<br />

dallo split screen all’animazione.<br />

La direzione del romanticismo<br />

melodrammatico subisce<br />

un’interessante inversione di rotta<br />

perché qui non siamo di fronte al<br />

semplice tentativo di conquista<br />

dell’uomo sulla donna, bensì alla<br />

riduzione del primo a preda di un<br />

sogno d’amore, più che del<br />

sentimento per una persona,<br />

mentre l’oggetto in questione si<br />

comporta esattamente secondo il<br />

cliché tipico del maschio. E allora<br />

si intuisce che il film lavora con<br />

intelligenza sul processo di<br />

maturazione dell’essere<br />

umano, portandolo dalla<br />

percezione del proprio punto<br />

di vista come assoluto alla<br />

presa di coscienza di quanto è<br />

reale. 500 giorni insieme<br />

è stato presentato con<br />

successo al Sundance e<br />

sonoramente<br />

applaudito in Piazza<br />

Grande a Locarno.<br />

ANNA MARIA PASETTI<br />

nella risoluzione dell’enigma, resta<br />

costruito su invenzioni ed<br />

intuizioni descrittive, con una<br />

vocazione essenziale e cinefila,<br />

diretta a ricalcare i modelli amati e<br />

studiati con una visione<br />

struggente e nostalgica, emotiva e<br />

retrospettiva, nel tentativo di<br />

contaminare la sintesi spietata e<br />

romantica del fumetto con la<br />

forma ed il linguaggio del thriller:<br />

senza appesantimenti ed analisi<br />

psicologiche ma con la forza e<br />

l’energia dell’azione, perfetta nel<br />

sintetizzare i contrasti tra periferie<br />

squallide e pericolose e quartieri di<br />

lusso. Il regista, di solida<br />

formazione televisiva, lavora con<br />

la semplicità e la concretezza di un<br />

artigiano, concentrandosi sul<br />

distacco e sul vuoto,<br />

sull’impotenza e l’ambiguità.<br />

DOMENICO BARONE<br />

VIVILCINEMA settembreottobre<strong>09</strong><br />

49


GIOVANNA<br />

D’ARCO AL ROGO<br />

di Roberto Rossellini<br />

Francia 1954 ...colore 70’<br />

Audio: Italiano mono, Francese mono ...Sottotitoli:<br />

Italiano ...Video: 1.33:1 – 4/3 ...Extra: introduzione al film, immagini<br />

d’epoca, galleria fotografica, trailer ...Etichetta: Ripley’s Home Video<br />

“È un film molto strano. Ora si dirà che la<br />

mia involuzione è arrivata al limite massimo, ma<br />

questo non è per niente del teatro filmato, è<br />

cinema, e direi persino che si tratta di<br />

neorealismo, nel senso in cui l’ho<br />

sempre pensato”. Roberto Rossellini<br />

descriveva così l’adattamento<br />

cinematografico di Giovanna D’Arco<br />

al rogo dalla versione teatrale da lui<br />

stesso diretta con successo qualche<br />

tempo prima. A Rossellini, infatti, fu<br />

chiesto nel 1953 di mettere in scena<br />

l’oratorio drammatico in undici scene<br />

scritto da Arthur Honegger su testo di Paul<br />

Claudel. Il regista costruì la messa in scena<br />

basandosi soprattutto sull’ascolto di<br />

un’incisione discografica, senza essere a<br />

conoscenza delle istruzioni sceniche delle<br />

precedenti rappresentazioni, che prevedevano<br />

Giovanna legata al palo del rogo durante tutto<br />

lo spettacolo. La “prima” al San Carlo di Napoli<br />

fu un successo e tra il gennaio e il marzo<br />

successivo venne girata, sempre a Napoli, la<br />

versione cinematografica. Rossellini, sempre<br />

attirato dalla possibilità di sperimentare nuovi<br />

linguaggi e forme stilistiche, trasforma la<br />

drammatica vicenda di Giovanna D’Arco in un<br />

racconto dai contorni a tratti quasi fiabeschi. Le<br />

differenze rispetto alla versione teatrale non<br />

risiedono tanto nel testo (praticamente<br />

invariato), quanto nell’impianto scenico che,<br />

grazie al montaggio e ad una serie di<br />

accorgimenti tecnici, viene segmentato in<br />

numerose situazioni narrative, dando modo a<br />

Rossellini di operare registicamente in ognuna<br />

di esse, pur mantenendo la linearità della<br />

trama. A dominare sono comunque i dialoghi<br />

tra Giovanna D’Arco (interpretata da una<br />

splendida Ingrid Bergman) e il personaggio di<br />

frate Domenico, che scende sulla terra per<br />

aiutare l’eroina di Francia, tradita dal suo stesso<br />

popolo, a comprendere lo sporco inganno di cui<br />

è stata vittima. Il film è scandito da quattro<br />

momenti che ripercorrono a ritroso gli eventi<br />

che hanno condotto la donna alla condanna. Il<br />

film uscì a Roma per la prima volta, quasi in<br />

maniera clandestina, nel luglio del 1954, dopo<br />

mesi passati alla disperata ricerca di un<br />

distributore. Giovanna D’Arco al rogo è<br />

proposto in dvd dalla Ripley’s Home Video in<br />

una confezione di pregevole fattura,<br />

soprattutto in virtù dei numerosi extra che<br />

accompagnano il film. Quest’ultimo è proposto<br />

nella versione restaurata nel 1987, dalla qualità<br />

video più che accettabile, in considerazione del<br />

fatto che il recupero venne eseguito senza<br />

poter contare sul negativo originale. Ottima,<br />

invece, la traccia audio, disponibile sia in<br />

italiano che in francese. La ricca sezione dei<br />

contenuti speciali si apre con un libretto<br />

allegato di 42 pagine che, oltre a riportare per<br />

intero il testo dell’oratorio originale di Claudel,<br />

include numerose testimonianze ed interviste,<br />

tra cui quelle allo stesso Rossellini e Ingrid<br />

Bergman. Gli extra del comparto si aprono<br />

invece con l’introduzione in francese al film di<br />

Roberto Rossellini, che racconta i motivi che lo<br />

50 VIVILCINEMA settembreottobre<strong>09</strong><br />

rubriche<br />

Cult dvd<br />

spinsero a dirigere il film e come esso non riuscì<br />

ad avere un’adeguata distribuzione. Sono poi<br />

presenti alcune immagini di repertorio del<br />

Cinegiornale Luce sulla prima rappresentazione<br />

al San Carlo ed una carrellata di immagini<br />

pubblicitarie per il lancio del film. Da<br />

sottolineare il commento critico di Adriano<br />

Aprà sulla genesi del film e sull’impostazione<br />

stilistica data da Rossellini. A chiudere gli extra<br />

l’episodio di Rossellini interpretato dalla<br />

Bergman di Siamo donne, del 1953.<br />

TRISTANA<br />

di Luis Buñuel<br />

Spagna1970 ...colore 94’<br />

Audio: Italiano 2.0, Spagnolo 2.0 ...Sottotitoli:<br />

Italiano ...Video: 1.33:1 – 4/3<br />

...Extra: dossier cartaceo ...Etichetta:<br />

Dynit<br />

È sicuramente la raccolta in<br />

dvd più esaustiva dedicata a Luis Buñuel quella<br />

pubblicata dalla giovane etichetta Dynit: 19<br />

film che coprono una buona parte della<br />

produzione del regista spagnolo, da Terra<br />

senza Pane del 1933 a Tristana del 1970. Nel<br />

mezzo titoli splendidi e spesso poco conosciuti<br />

ai più, come Lui (1953), storia di una morbosa<br />

relazione sessuale, ed Estasi di un delitto<br />

(1955), thriller anomalo che ironizza sulle<br />

frustrazioni derivanti dall’educazione cattolica,<br />

fino ai più ben noti Nazarin (1958) e Viridiana<br />

(1961). Assoluto inedito per il mercato home<br />

video italiano, Tristana fu presentato nel 1970<br />

fuori concorso alla 23^ edizione del Festival di<br />

Cannes, dove Buñuel aveva già vinto nel 1961,<br />

con Viridiana, la Palma d’Oro. Il film è tratto<br />

da un romanzo di Benito Pérez Galdós, uno dei<br />

più grandi autori della letteratura spagnola.<br />

Rispetto al libro, Buñuel posticipa gli eventi<br />

dall’Ottocento alla soglie degli anni Trenta,<br />

spostando la vicenda da Madrid alla provincia.<br />

Spagna, 1929: la giovane Tristana (Catherine<br />

Deneuve, di nuovo protagonista per Buñuel<br />

dopo Bella di giorno e La via lattea) si<br />

trasferisce, dopo la morte di sua madre, nella<br />

piccola città di Toledo. Qui verrà mantenuta dal<br />

suo tutore, don Lope, appartenente alla classe<br />

borghese. L’uomo, sebbene in età avanzata, è<br />

attratto dal fascino della ragazza e comincia a<br />

circuirla. Tristana, pur non respingendo le<br />

pressanti attenzioni dell’uomo, si sente in<br />

trappola, e approfitta della prima occasione per<br />

scappare. Così, dopo aver conosciuto Horacio,<br />

un giovane artista, parte per Madrid. Una<br />

trasferta che durerà due anni. Ammalatasi ad<br />

una gamba, infatti, Tristana torna sconfitta dal<br />

suo tutore, nel frattempo diventato ricchissimo<br />

grazie ad una cospicua eredità. Nonostante le<br />

cure ricevute, Tristana deve subire<br />

l’amputazione della gamba: un evento<br />

doloroso che cambia il carattere della donna,<br />

fino al tragico epilogo. Dura condanna<br />

dell’ipocrisia borghese e del perbenismo<br />

cattolico, Tristana descrive in maniera spietata<br />

una storia di prevaricazione e corruzione, in cui<br />

la vittima alla fine si trasforma in carnefice. Un<br />

saggio sulla misoginia, con cui Buñuel chiude<br />

un’ideale trilogia sul tema, dopo Diario di una<br />

cameriera e Bella di giorno. L’edizione dvd di<br />

Tristana si fa apprezzare per l’ottima qualità di<br />

una traccia video che, nonostante i quasi<br />

trent’anni di età, appare priva di difetti.<br />

Discorso che vale anche per l’audio, pulito<br />

soprattutto nella traccia sonora originale.<br />

a cura di GABRIELE SPILA<br />

Mancano purtroppo gli extra video, mentre è<br />

presente un interessante libretto d’accompagno<br />

curato da Sandro Toni, della Cineteca di Bologna.<br />

Nel supporto cartaceo sono incluse, oltre ad<br />

un’intervista a Buñuel e ad una serie di apparati<br />

critici, numerose locandine originali e la<br />

filmografia del regista spagnolo.<br />

GLORIA, UNA NOTTE<br />

D’ESTATE (Gloria)<br />

di John Cassavetes<br />

Usa 1980 ...colore 117’<br />

Audio: Inglese 5.1, Italiano, Francese, Spagnolo, Tedesco ...Sottotitoli: Italiano,<br />

Inglese, Francese, Spagnolo …Video: 1.85:1 – 16/9 ...Etichetta:<br />

Columbia<br />

Gloria Swenson è una ex showgirl e attricetta<br />

di provincia. Si fa chiamare così in omaggio alla<br />

diva di Viale del tramonto, vive a New York in<br />

un anonimo appartamento. Durante una visita ai<br />

vicini, una famiglia di portoricani, viene a sapere<br />

che questi sono minacciati di morte dalla mafia<br />

locale. Sapendo di avere le ore contate,<br />

decidono di affidare a Gloria il loro figlio più<br />

piccolo, Phil. Di lì a poco i gangster<br />

stermineranno il resto della famiglia e si<br />

metteranno all’inseguimento di Gloria e del<br />

bambino. New York diventa così il teatro di un<br />

action movie dove Gloria è l’assoluta<br />

protagonista. Recuperando il suo passato di<br />

intrepida donna d’azione pronta a tirare fuori<br />

dalla propria borsetta il revolver, Gloria, che<br />

credeva di non amare i bambini (“Non li<br />

sopporto, specialmente i vostri!”, dice alla madre<br />

del piccolo Phil poco prima dell’affidamento),<br />

scopre l’amore materno, un sentimento che la<br />

spingerà fino all’estremo limite del sacrificio<br />

personale. Con Gloria John Cassavetes affronta<br />

un genere a lui poco consono come il gangster<br />

movie, ma già sperimentato, qualche anno<br />

prima, con L’assassinio di un allibratore<br />

cinese. Anche con Gloria il regista si allontana<br />

però dalle convenzioni del genere, proponendo<br />

uno spaccato di vita metropolitana certamente<br />

duro e violento, ma nel quale si inserisce una<br />

vicenda – il rapporto tra Gloria e il bambino –<br />

fondata sull’amore e sui buoni sentimenti. Un<br />

film impreziosito dall’uso sapiente della<br />

macchina da presa, manovrata da un Cassavetes<br />

che si dimostra degno dei migliori maestri<br />

d’azione. Scritto inizialmente per essere affidato<br />

ad altri autori, Gloria fu poi girato dallo stesso<br />

Cassavetes, che si rese conto di quanto il film<br />

calzasse a pennello per un’attrice (oltre che sua<br />

moglie) come Gena Rowlands. Il film fu<br />

presentato nel 1980 alla Mostra di Venezia, dove<br />

vinse il Leone d’Oro insieme ad Atlantic City di<br />

Louis Malle ed ha ispirato un remake, meno<br />

fortunato, nel 1999, interpretato da Sharon<br />

Stone e diretto da Sidney Lumet. L’edizione dvd<br />

proposta dalla Columbia presenta una versione<br />

del film eccellente, rimasterizzata sia nella<br />

traccia video, priva di qualsiasi<br />

artefatto, che in quella<br />

audio, dove il sonoro<br />

originale è stato<br />

rielaborato su cinque<br />

canali. Mancano<br />

purtroppo gli extra, un<br />

peccato per un film<br />

sicuramente ricco di spunti<br />

di interesse, presenti invece<br />

nella versione americana.


a cura di CHIARA BARBO<br />

FILMOSOFIA<br />

I grandi interrogativi<br />

della filosofia in 8<br />

film hollywoodiani<br />

di Giovanni Piazza,<br />

Gruppo Perdisa Editore<br />

Il libro di Giovanni Piazza,<br />

analizzando le trame di otto film<br />

hollywoodiani presi come esempi<br />

particolarmente significativi,<br />

scopre e rivela il pensiero di<br />

alcuni tra i più grandi filosofi di<br />

tutti i tempi, da Platone a<br />

Kierkegaard, da Cartesio a<br />

Schopenauer, fino a Nietzche,<br />

Kant e Heidegger. E allora, film<br />

diversissimi tra loro – che hanno<br />

come matrice comune il fatto di<br />

essere prodotti in un contesto di<br />

industria cinematografica qual è<br />

Hollywood, con le sue regole e i<br />

suoi meccanismi, e di essere stati<br />

grandi successi al botteghino al<br />

momento della loro uscita, e in<br />

molti casi anche negli anni a<br />

seguire – diventano una palestra<br />

ideale dove esercitare il pensiero<br />

filosofico e scoprire i grandi<br />

filosofi che si nascondono dietro<br />

le trame e i contenuti dei singoli<br />

film. Grandi classici come<br />

Casablanca e Nodo alla gola,<br />

una pietra miliare della storia del<br />

cinema come Blade Runner e<br />

ancora Ricomincio da capo,<br />

film innovativi e futuribili come<br />

The Truman Show, Matrix e<br />

Minority report e infine V per<br />

Vendetta sono i film analizzati<br />

in questo senso dall’autore. “Il<br />

problema della<br />

morale, il<br />

concetto di<br />

colpa o quello<br />

di libertà: lo<br />

scopo<br />

dichiarato di<br />

questo<br />

saggio è discutere alcuni quesiti<br />

senza tempo, domande talmente<br />

radicate nell’immaginario collettivo<br />

da essere presenti anche nel cinema<br />

di maggior successo”. Filmosofia è un<br />

libro curioso e insolito, un bel punto<br />

di partenza per chi vuole addentrarsi<br />

in discussioni filosofiche ma anche<br />

per curiosare un po’ tra le storie, il<br />

pensiero e i riferimenti di produttori,<br />

sceneggiatori e registi<br />

hollywoodiani.<br />

LA TERRA<br />

TREMA<br />

di Roberto<br />

Semprebene,<br />

Effatà Editrice<br />

Roberto<br />

Semprebene<br />

ricostruisce in questo<br />

interessante libro non<br />

tanto (o non solo) la<br />

storia della<br />

realizzazione de La terra trema di<br />

Luchino Visconti, dal punto di vista<br />

artistico e tecnico (sebbene rimandi,<br />

a questo proposito, a una ricca<br />

bibliografia), quanto piuttosto il<br />

contesto nel quale il film è stato<br />

pensato e quindi realizzato: “un<br />

affascinante enigma nel contesto<br />

Cinema di carta rubriche<br />

della storia del cinema italiano, un<br />

episodio sul quale sembrano aver<br />

influito in maniera determinante i<br />

rapporti intercorsi fra la politica e il<br />

cinema in un periodo particolare e<br />

molto delicato nella storia italiana:<br />

quello che dalla fine della Seconda<br />

Guerra Mondiale arriva agli inizi<br />

degli anni ’50”. Partendo da alcuni<br />

accenni al contesto storico e sociale,<br />

l’autore analizza poi il contesto<br />

giuridico e politico-istituzionale, le<br />

leggi sul cinema tra Fascismo e<br />

Prima Repubblica, e ancora<br />

l’influenza degli Stati Uniti, quella<br />

dei principali esponenti del Pci e la<br />

“battaglia delle idee” tra<br />

quest’ultimo e il mondo cattolico,<br />

fino a considerare quella che<br />

era invece la posizione della<br />

Dc e dei suoi esponenti sul<br />

cinema e rispetto allo stesso<br />

Luchino Visconti, passando<br />

naturalmente per alcuni<br />

cenni sul Neorealismo e<br />

per concludere con la<br />

documentazione relativa<br />

al film, i diari della<br />

lavorazione redatti da<br />

Francesco Rosi,<br />

testimonianze e<br />

riferimenti bibliografici,<br />

fino alle reazioni alla presentazione<br />

del film durante la Mostra di<br />

Venezia del 1948.<br />

VISIONI<br />

RETROSPETTIVE<br />

La storia nei film<br />

di Vito Attolini,<br />

Barbieri editore<br />

Come scrive Marc Ferro, “tra il<br />

cinema e la storia esistono molteplici<br />

interferenze: c’è la connessione fra la<br />

storia che si sta svolgendo e quella<br />

con la storia intesa come<br />

documentazione dei nostri tempi,<br />

come spiegazione del divenire della<br />

nostra società. In tutti questi casi il<br />

cinema interviene”. Ed è a un tema<br />

tanto complesso e fondamentale, sia<br />

nella teoria cinematografica che<br />

considerando l’essenza del cinema<br />

stesso – senza tralasciare il genere<br />

storico – che Vito Attolini dedica i<br />

suoi studi e la sua attenzione in<br />

questo volume. Il percorso parte da<br />

un’interessante<br />

premessa sul film storico, in cui<br />

l’autore esamina il mito della<br />

verità, la realtà reinventata, il<br />

rapporto tra passato e presente,<br />

per poi passare a un viaggio nel<br />

mondo antico, in cui considera<br />

miti e fantasy, eroi, storie e<br />

leggende. L’analisi va poi alla<br />

romanità nel cinema, con i suoi<br />

miti e le sue rappresentazioni,<br />

quindi a quella che <strong>def</strong>inisce “età<br />

di mezzo”, ai cavalieri e le<br />

imprese, le pulzelle e le crociate,<br />

fino ad esaminare i modi della<br />

rappresentazione dei personaggi<br />

storici nel cinema italiano, e infine<br />

la narrazione al cinema dei<br />

sovrani svevi. Questo di Attolini è<br />

un bel viaggio nella storia<br />

attraverso film, autori, attori e<br />

personaggi, location reali e<br />

ricreate, attraverso storia, storie e<br />

leggende.<br />

WOODY ALLEN<br />

di Elio Girlanda e Annamaria<br />

Tella, Editrice Il Castoro<br />

L’uscita in sala di Basta che<br />

funzioni, ultimo film di Woody<br />

Allen e suo ritorno a Manhattan<br />

dopo varie peregrinazioni<br />

europee, è anche l’occasione per<br />

trovare in libreria l’edizione<br />

aggiornata e corretta del<br />

“castorino” su Woody Allen,<br />

monografia ormai celebre<br />

dedicata in questo caso al famoso<br />

regista newyorkese. Come di<br />

consueto, partendo dalla “A” di<br />

“amici” e “attore”, una rapida<br />

carrellata su alcune di quelle che<br />

sono le parole chiave per Allen e il<br />

suo cinema come comicità,<br />

ebraismo, inconscio, psicoanalisi e<br />

sesso, ci introduce ai numerosi,<br />

divertenti e divertiti capitoli che<br />

raccontano la vita, i grandi e i<br />

piccoli temi, le nevrosi, la<br />

genialità, i personaggi, le attrici, i<br />

luoghi, gli alter ego, i<br />

camuffamenti, insomma, il cinema<br />

di Woody Allen. Come di<br />

consueto, il racconto è<br />

inframmezzato dalle schede<br />

critiche e sinottiche dei singoli<br />

film, copiosissime nel caso di<br />

Woody Allen. Un’accurata<br />

filmografia e un’attenta nota<br />

bibliografica completano il<br />

volume.<br />

VIVILCINEMA settembreottobre<strong>09</strong><br />

51


ubriche Mondo d’essai<br />

a cura di MARTA PROIETTI<br />

LIONELLO CERRI<br />

30 ANNI DI ANTEO SPAZIOCINEMA<br />

La qualità paga: parola del fondatore della sala d’essai per antonomasia di Milano, alle<br />

Un cinema dove, oltre a vedere<br />

film di qualità, poter incontrare i registi, fare<br />

un corso di recitazione, assistere ad una<br />

mostra, ascoltare un concerto, ma anche<br />

mangiare insieme agli amici in un ristorante e<br />

passeggiare in una libreria. Parliamo del<br />

cinema Anteo di Milano che, proprio<br />

quest’anno, festeggia i suoi trent’anni di<br />

attività.<br />

Fondato nel 1979 da Lionello Cerri, insieme<br />

ad altri soci, l’Anteo è nato con l’obiettivo di<br />

creare uno spazio polivalente nel quale far<br />

convivere, accanto alla “classica” proiezione,<br />

molte altre attività: dai concerti ai corsi di<br />

cinema e teatro, dalle mostre agli incontri<br />

con i registi. “Eravamo spinti – spiega Cerri –<br />

dal desiderio di condividere un progetto: io e<br />

i miei soci non eravamo figli di esercenti, ma<br />

spettatori occasionali e il fatto che a Milano,<br />

in quegli stessi anni, avessero aperto dei<br />

teatri “alternativi”, realtà polivalenti come<br />

l’Elfo, il Portaromana e il Ciak, ci ha fatto<br />

pensare di aprire un luogo analogo, ma<br />

dedicato interamente al cinema. L’idea era<br />

quella di far capire allo spettatore tutto<br />

quello che c’è dietro al “prodotto finito film”,<br />

dandogli la possibilità di frequentare un<br />

corso di sceneggiatura, piuttosto che di regia<br />

o di storia del cinema. Creare così una sala a<br />

misura d’uomo per dare allo spettatore la<br />

possibilità di andare al cinema come se stesse<br />

andando a casa di amici. Questa è stata la<br />

logica che ci ha spinti a portare avanti il<br />

cinema in una certa maniera, dando forza al<br />

prodotto, ma allo stesso tempo curando il<br />

rapporto con il pubblico, attività che ritengo<br />

complementare alla proiezione”.<br />

Seguendo questa strada, negli anni l’Anteo è<br />

divenuto in Italia un vero e proprio “caso”<br />

che è stato anche oggetto di studio da parte<br />

di alcuni studenti universitari. Nato come<br />

monosala, nel ’97 l’Anteo è stato trasformato<br />

in multisala con la creazione di due nuove<br />

sale. Nello stesso anno è stata ampliata la<br />

52 VIVILCINEMA settembreottobre<strong>09</strong><br />

libreria, che era già presente nel cinema, ed è<br />

stato aperto, sempre all’interno della<br />

struttura, un ristorante che si chiama Osteria<br />

del Cinema. Quattro anni fa è stata aggiunta<br />

una quarta sala di 50 posti. Ma oltre che nella<br />

struttura, è nel rapporto costruito con il<br />

pubblico il punto di forza dell’Anteo che,<br />

all’anno, raggiunge i 300 mila spettatori. “Le<br />

persone che frequentano il nostro cinema –<br />

dice Cerri – sono facilmente riconoscibili.<br />

Potrei farne l’identikit. Circa due anni fa uscì<br />

un articolo sul Corriere della Sera in cui Lina<br />

Sotis scriveva in modo positivo proprio<br />

questo: lo spettatore che va all’Anteo si<br />

riconosce, ovvero veste in modo simile e parla<br />

anche nello stesso modo. Ed è vero”.<br />

In trent’anni di attività, sono diversi i ricordi di<br />

Cerri legati ad iniziative che hanno riscontrato<br />

una grande partecipazione di pubblico. “Ad<br />

esempio – racconta – quando l’Anteo era<br />

ancora una monosala, riuscimmo a portare al<br />

cinema, in un solo giorno, 12 mila spettatori:<br />

si trattava del ’94 e facevamo una proiezione<br />

ogni 20 minuti di un corto, realizzato da più<br />

registi italiani, contro Berlusconi. Quindici<br />

anni fa invece abbiamo proposto una serata<br />

dedicata alla “porno archeologia”, curata da<br />

Farassino e Sanguineti, e la via di fronte al<br />

cinema era piena di gente che avrebbe voluto<br />

entrare in sala, ma che non è stato possibile<br />

accontentare. Sono diversi i ricordi di questo<br />

tipo, tanto che uno dei nostri problemi è stato<br />

che spesso è girata la voce di non venire<br />

all’Anteo, soprattutto in alcuni giorni della<br />

settimana, perché non si riusciva ad entrare”.<br />

Tra le attività collaterali che funzionano<br />

meglio all’Anteo, Cerri ne cita in particolare<br />

alcune, come le schede sui film “che<br />

realizziamo da quando abbiamo aperto, ma<br />

vanno molto bene anche gli incontri con i<br />

registi, sia nazionali sia internazionali, che<br />

organizziamo circa due volte al mese. Per<br />

realizzare tutto questo, con me – spiega – non<br />

lavorano solo operatori e maschere ma ci<br />

sono cinque persone in ufficio che si<br />

occupano non solo dell’Anteo, ma anche<br />

dell’Apollo di Milano e dei cinema di Monza.<br />

Queste persone hanno il compito di<br />

“organizzare” il pubblico: c’è chi si occupa<br />

delle scuole, chi delle rassegne, chi dell’ufficio<br />

stampa e via dicendo. La logica nasce dal<br />

concetto teatrale di organizzazione del<br />

pubblico”. Per quanto riguarda la<br />

promozione di queste iniziative, sono diversi i<br />

canali utilizzati. “Abbiamo una mailing list di<br />

migliaia di persone a cui mandiamo tutte le<br />

informazioni sulle nostre attività. Abbiamo<br />

poi un sito Internet che è molto frequentato<br />

e ci segue molto anche la stampa”.<br />

Malgrado ciò, anche l’Anteo negli ultimi anni<br />

ha dovuto affrontare i cambiamenti del<br />

mercato. “Il pubblico – dice Cerri – dall’inizio<br />

della nostra attività è cresciuto in modo<br />

costante, ma è chiaro che negli ultimi anni<br />

abbiamo anche noi fatto i conti con una<br />

realtà diversa. Una volta a Milano eravamo<br />

solo noi a programmare un certo tipo di film<br />

che invece adesso esce su più schermi, anche<br />

nei multiplex. È ovvio che il pubblico di questi<br />

film non può aumentare a dismisura e di<br />

conseguenza anche la nostra resa è<br />

diminuita”. Per Cerri in questo momento, in<br />

cui si registra un numero elevato di chiusure<br />

di sale di città, è proprio nelle attività<br />

collaterali e nella qualità del servizio che si fa<br />

la differenza: “offrire un servizio sempre più<br />

slow food contro quello fast food dei<br />

multiplex. È su questo che si vince o si perde<br />

la partita”.<br />

Tra i progetti per il futuro, c’è la partenza di<br />

una collaborazione “con un istituto<br />

universitario importante di Milano – dice<br />

Cerri che però preferisce ancora non svelarne<br />

il nome – che prevede vari corsi, dalla<br />

scrittura del film alla storia del cinema, che<br />

saranno aperti agli studenti, agli insegnati,<br />

ma anche al pubblico”.


LA MAGNIFICA<br />

INVENZIONE<br />

Cineteca Nazionale, Milano<br />

Mentre il polo<br />

cinematografico milanese sta<br />

prendendo forma nell’ex<br />

manifattura tabacchi, anche la<br />

Cineteca Italiana si organizza per<br />

il trasloco. In viale Fulvio Testi si<br />

sono già trasferiti gli uffici, poi<br />

toccherà al Museo; più tempo<br />

richiederà l’allestimento<br />

dell’Archivio che necessita di<br />

ambienti adatti per la<br />

conservazione delle pellicole. Nel<br />

frattempo, anche per dare<br />

visibilità al rilancio della<br />

fondazione, parte delle collezioni<br />

museali saranno in mostra<br />

all’Area Metropolis 2.0 dal 3<br />

ottobre al 15 gennaio. “La<br />

magnifica invenzione. Rarità<br />

dalle collezioni del Museo del<br />

Cinema della Cineteca Italiana<br />

1895 – 1925” fornirà una preziosa<br />

occasione di visionare rari<br />

materiali dell’era del muto, in<br />

attesa della futura collocazione:<br />

bozzetti delle dive, cartelloni,<br />

oggetti e prototipi, fra cui il<br />

famoso Cinématographe<br />

Lumière. Per l’inaugurazione<br />

verranno proiettati un breve film<br />

datato 19<strong>09</strong>, esattamente<br />

cent’anni fa, che documenta il<br />

primo giro d’Italia e Cenere<br />

(1916) dal romanzo di Grazia<br />

Deledda, un classico diretto da<br />

Febo Mari, primo e unico<br />

lungometraggio interpretato da<br />

Eleonora Duse. La partitura e<br />

l’esecuzione al pianoforte di<br />

questo restauro sono curate da<br />

Francesca Badalini. Altra iniziativa<br />

promossa dalla Cineteca sarà il<br />

festival “Piccolo Grande Cinema”,<br />

al cui interno i bambini avranno<br />

uno spazio interamente dedicato<br />

(CineCineMondo), con proiezioni<br />

di prime visioni poi diffuse nel<br />

circuito culturale e laboratori di<br />

animazione, regia, doppiaggio<br />

tenuti da professionisti. Dal 15 al<br />

22 novembre a Milano (sede<br />

principale Spazio Oberdan), Sesto<br />

San Giovanni e in altre province<br />

lombarde dal 18 al 22.<br />

Detour<br />

a cura di UMBERTO FERRARI<br />

rubriche<br />

Rassegne, retrospettive ed ed eventi dal dal mondo delle delle Cineteche<br />

ENZO G.<br />

CASTELLARI<br />

Cineteca Nazionale, Roma<br />

Uno dei registi italiani di cui<br />

più si parla ultimamente,<br />

soprattutto all’estero, è Enzo G.<br />

Castellari: Inglourious Basterds di<br />

Tarantino è infatti un remake del<br />

suo Quel maledetto treno<br />

blindato (‘78). A fronte di uno<br />

zoccolo duro di appassionati che su<br />

di lui sa praticamente tutto, esiste<br />

però una buona fetta di pubblico<br />

che non lo conosce affatto. A<br />

entrambi, quindi, farà piacere<br />

(ri)vedere le sue pellicole alla Sala<br />

Trevi di Roma, dal 7 al 14 ottobre e<br />

lui in persona la sera del 13. Enzo<br />

G. Castellari è figlio d’arte (la G. sta<br />

per Girolami, cognome del padre, il<br />

regista Marino), e ha spaziato in<br />

quasi tutti i generi; come altri<br />

artefici dei B movies – dove B sta<br />

essenzialmente per budget, di<br />

solito abbastanza basso – ha<br />

dovuto sopperire alle difficoltà con<br />

l’inventiva e la perizia. Più di una<br />

volta ha importato in Italia<br />

tecniche e situazioni che venivano<br />

sperimentate con successo in Usa:<br />

lui stesso ammette di aver<br />

“copiato” i ralenti da tutte le<br />

pellicole di Sam Peckinpah,<br />

specialmente Il mucchio selvaggio.<br />

Lo split-screen – che lui chiama<br />

“polischermo” – usato in America<br />

alla fine degli anni ’60, l’ha<br />

impiegato astutamente nel 1970<br />

per La battaglia d’Inghilterra,<br />

inserendo immagini di repertorio<br />

con formato ridotto in un film<br />

girato in cinemascope, senza che<br />

nessuno se ne accorgesse. E nel<br />

1974, in contemporanea con Il<br />

giustiziere della notte, ha diretto Il<br />

cittadino si ribella, con Franco<br />

Nero.<br />

Con grande competenza tecnica,<br />

da vero artigiano, si interessa di<br />

ogni aspetto della realizzazione,<br />

dal lavoro degli stuntmen agli<br />

effetti speciali. Anche per<br />

risparmiare, nei suoi film ha<br />

sovente fatto uso di miniature e<br />

modellini: ne L’ultimo squalo (’80),<br />

a pochi anni di distanza da Spielberg,<br />

ha alternato le riprese di una copia<br />

meccanica a quelle di uno squalo<br />

vero, filmato in Australia da quattro<br />

macchine da presa, di cui una con un<br />

passo di 300 fotogrammi al secondo<br />

per un super ralenti. Oggi pure lui è<br />

fonte d’ispirazione. Oltre a Tarantino,<br />

qualche anno fa anche Sam Raimi,<br />

nel filmare il western Pronti a morire,<br />

ha ammesso l’influenza del suo<br />

western Keoma (‘76).<br />

JEAN-LUC GODARD<br />

Cineteca del Friuli, Udine-<br />

Pordenone<br />

«Girando un film non c’è nulla di<br />

tecnicamente impossibile, se uno non<br />

ci ha provato». Questa affermazione,<br />

apparentemente scontata, ha<br />

provocato una vera e propria<br />

<strong>def</strong>lagrazione nella cinematografia<br />

francese e di tutto il mondo, quando<br />

nel 1960 uscì Fino all’ultimo<br />

respiro, primo lungometraggio di<br />

Jean-Luc Godard, che ne fu<br />

l’applicazione pratica. Appena l’anno<br />

precedente si era affacciato alla<br />

ribalta il movimento della Nouvelle<br />

Vague, che attingeva energie dalla<br />

giovane critica dei Cahiers du<br />

Cinéma: con questo film si fece<br />

prepotentemente largo l’era<br />

moderna del cinema. Arduo ma<br />

stimolante esplorare la complessa<br />

personalità godardiana: una sfida<br />

raccolta da “Lo sguardo dei maestri”,<br />

XII edizione, tramite una<br />

retrospettiva dal 21 ottobre al 4<br />

febbraio 2010 al Visionario del<br />

Centro Espressioni Cinematografiche<br />

di Udine e al Cinemazero di<br />

Pordenone, in collaborazione con la<br />

Cineteca.<br />

Secondo la teoria della “caméra<br />

stylo” di Alexandre Astruc, Godard<br />

voleva affermare la totale autonomia<br />

di un autore nell’usare il mezzo<br />

filmico. Come in letteratura con le<br />

licenze poetiche, Godard andava<br />

contro la tradizione con particolari<br />

anomalie. Il suo stile è quindi<br />

segnato da una soggettività molto<br />

forte, libero, senza convenzioni,<br />

come i personaggi delle sue storie.<br />

Quasi a voler ricreare il linguaggio<br />

cinematografico ripartendo da<br />

zero, scandalizza i cultori del<br />

classico trasgredendo alla<br />

grammatica codificata: presenza<br />

“esibita” della cinepresa; punto di<br />

vista indipendente dal movimento<br />

degli attori che dialogano anche<br />

fuori campo; jump-cut (i falsi<br />

raccordi). In tutti i suoi film, riusciti<br />

o meno – Pierrot le fou, Questa<br />

è la mia vita, Il disprezzo, Si<br />

salvi chi può (la vita), Passion,<br />

Prenom Carmen sono alcuni fra<br />

quelli proposti – prosegue nella<br />

sperimentazione, e in ognuno<br />

aggiunge un tassello a questa<br />

de/ricostruzione.<br />

A ciò si aggiunga il rifiuto di una<br />

certa produzione istituzionale e la<br />

ricerca di una nuova identità<br />

estetica attraverso l’uso di<br />

attrezzature leggere, riprese per<br />

le strade, fotografia sporca, non<br />

elaborata. Come detto, Fino<br />

all’ultimo respiro è stato uno<br />

degli atti fondativi di questo<br />

nuovo modo di girare, anche se<br />

l’autore lo considerò più come la<br />

fine del vecchio cinema: una<br />

distruzione di tutti i vecchi principi<br />

più che la creazione di nuovi. Ma<br />

la versatilità di Godard non si<br />

esaurisce qui. Durante la sua lunga<br />

vita (compirà 80 anni l’anno<br />

prossimo) ha affrontato il cinema<br />

militante con l’esperienza del<br />

collettivo Dziga Vertov, la<br />

sperimentazione televisiva o<br />

quella sull’aspetto visivo come<br />

sintesi di autobiografia e memoria<br />

storica.<br />

I termini per questo cattivo<br />

maestro senza eredi si sprecano,<br />

ciò nonostante la sua produzione<br />

multiforme lo rende in<strong>def</strong>inibile.<br />

Proprio su questo rebus molti<br />

ospiti proveranno a confrontarsi a<br />

Udine il 5 e 6 febbraio, nel<br />

convegno internazionale di studi<br />

che concluderà l’iniziativa: storici e<br />

critici tra cui il francese André S.<br />

Labarthe ma non solo, anche<br />

esponenti dell’arte e della cultura<br />

che il regista, attraverso le<br />

molteplici potenzialità del mezzo<br />

audiovisivo, ha saputo esplorare<br />

come pochi altri.<br />

Prossime uscite<br />

30 novembre 20<strong>09</strong><br />

2 febbraio 2010<br />

VIVILCINEMA settembreottobre<strong>09</strong> 53


ubriche Colonna sonora<br />

a cura di MARIO MAZZETTI<br />

Ennio Morricone<br />

BAARIA<br />

(RTI)<br />

In attesa della colonna sonora<br />

completa a firma del grande Ennio<br />

Morricone, la Medusa ha pubblicato<br />

con Electa il bel volume fotografico<br />

realizzato da Marta Spedaletti e<br />

Stefano Schirato, con interviste di<br />

Gianluca D’Agostino, che include sei<br />

brani della colonna sonora. Pur<br />

conoscendo la predilezione di<br />

Tornatore per composizioni corpose,<br />

avvolgenti, a effetto, con Morricone<br />

non si finisce mai di stupire: già la<br />

lunga Sinfonia per Baaria esibisce<br />

una varietà di fughe, crescendo,<br />

sospensioni, vocalità etniche per<br />

illustrare una Sicilia arcaica.<br />

Convincono e coinvolgono<br />

soprattutto Ribellione (una danza<br />

barocca dall’incedere solenne, tra<br />

percussioni e fiati, che riprende il<br />

tema di Allonsanfan, Rabbia e<br />

Tarantella)e Un gioco sereno (a sua<br />

volta sembra emanare dai film di<br />

Elio Petri).<br />

Le note in Mostra<br />

Uno sguardo all’ultima Mostra del Cinema veneziana dal punto di vista delle musiche e delle canzoni che hanno<br />

arricchito film e documentari, dalla partitura di Morricone per l’ultimo Tornatore alle romantiche vette degli archi<br />

che accompagnano le struggenti sequenze di A single man di Tom Ford (ben due compositori: Abel Korzeniowski<br />

e Shigeru Umebayashi preso in prestito da Wong Kar-wai), dall’inaspettato Sakamoto che contribuisce a dare<br />

profondità con pochi ma sapienti tocchi a Women without men dell’iraniana Shirin Neshat alla ballata acustica<br />

che riprende il titolo dell’applaudito Life during wartime di Todd Solondz (nei dialoghi viene citata Joni Mitchell,<br />

alla quale chiedere “preziosi consigli”), dall’umorismo tagliente della canzoncina dei penultimi (At least we’re not<br />

Detroit) nel film di Michael Moore alle canzoni funzionali alla trama de La doppia ora (In between days dei Cure)<br />

e Lo spazio bianco (Nina Simone e Call me dei Blondie su cui si scatena la Buy sui titoli di testa). Nicola Piovani<br />

contribuisce a rendere la valenza popolare del film sul ’68 di Placido (e del Tris di donne di Terracciano), accanto a<br />

canzoni senza tempo come Suzanne di Cohen, mentre Marco Filiberti ne Il compleanno non può che virare su arie<br />

di tragica intensità (melodramma oblige), salvo sfondare i timpani con Maledetta primavera della Goggi durante<br />

una scena di onanismo. Fa piacere ritrovare Rolfe Kent nel film con McEwan e Clooney The men who stare at<br />

goats, mentre è più elettricamente introspettiva la partitura di Valerio Vigliar che accompagna l’intenso Good<br />

morning Aman di Noce. Un best of di Pivio & Aldo De Scalzi come commento ad alto volume del bel doc<br />

Hollywood sul Tevere di Marco Spagnoli; spensieratezze pop anni ’50 e ’60 accompagnano il complesso Mr.<br />

Nobody di Jaco van Dormael, accanto a sempreverdi come Sweet dreams. E se il doc sul femminismo in un’Italia<br />

ormai remota Ragazze la vita trema emoziona al suono dei classici di PFM, De André e Nada tra gli altri, il livello<br />

musicale decolla con le maestosità del compositore John Adams, sovente accostato a Steve Reich per la struttura<br />

minimalista, nell’ambizioso Io sono l’amore di Guadagnino e, sul fronte soul/r’n’b in quel gioiello altamente<br />

commestibile che è Soul kitchen di Fatih Akin. Pezzi da 90 musicano Il cattivo tenente (Mark Isham), The road<br />

(Nick Cave & Warren Ellis) ma anche i doc Deserto rosa (Franco Battiato) e Negli occhi (Pino Daniele). Ma i vertici<br />

musicali la Mostra li ha raggiunti con due opere di Orizzonti, due doc d’autore di invidiabile fattura: l’immersione<br />

del grande Frederick Wiseman ne La danse – Le Ballet de l’Opéra de Paris, due ore e mezza tra fatica delle<br />

prove e incanto della rappresentazione di balletti di ogni stile ed epoca, da Petipa a Preljocaj alla Bausch con il<br />

meraviglioso corredo delle musiche di Chaikovskj, Bach, Berlioz... E che dire di The one all alone, con cui<br />

l’olandese Frank Scheffer prosegue la divulgazione dei più significativi compositori del ‘900, Zappa incluso? Con<br />

immagini di rara potenza espressiva, un montaggio fluido di interviste, foto e repertorio vengono rievocate la vita<br />

e le opere dello “scienziato pazzo” Edgard Varèse, genio musicale teorico del “suono organizzato”, illustrato da<br />

colleghi, allievi o direttori d’orchestra mentre scorrono le creazioni che hanno rivoluzionato la musica classica. Un<br />

viaggio musicale di grande fascino, a suggello d’un’edizione della Mostra che ha gratificato (anche) l’udito.<br />

54 VIVILCINEMA settembreottobre<strong>09</strong><br />

Artisti vari<br />

INGLOURIOUS BASTERDS<br />

(REPRISE/WEA)<br />

Quanti film in una sola colonna<br />

sonora... Da divoratore di cinema<br />

qual è, Tarantino continua ad<br />

utilizzare brani di film altrui,<br />

compositori di culto a cominciare da<br />

Morricone (era presente<br />

all’anteprima nazionale di Bastardi<br />

senza gloria e Tarantino l’ha<br />

omaggiato con tutta la riverenza<br />

possibile) di cui saccheggia tra gli<br />

altri La resa dei conti, Revolver, il<br />

già citato tema di Allonsanfan.E<br />

poi Un dollaro bucato (di Gianni<br />

Ferrio), Slaughter l’uomo mitra,<br />

Cat people (David Bowie che rifà se<br />

stesso), McKlusky metà uomo<br />

metà odio (già in Kill Bill), La<br />

battaglia di Alamo... In poco più di<br />

mezz’ora alcuni dei brani che<br />

arricchiscono le atmosfere<br />

dell’avvincente, fantastorico<br />

makkaroni kombat. La compilation è<br />

meno cult di Pulp fiction ma molto<br />

efficace.<br />

Artisti vari<br />

TAKING WOODSTOCK<br />

(RHINO)<br />

La commedia di Ang Lee sul<br />

“dietro le quinte” della madre<br />

di tutti i raduni rock non può<br />

non attingere alle perle di<br />

Richie Havens, Crosby Stills &<br />

Nash (Wooden ships degli<br />

Airplane, presenti in proprio<br />

con l’inno Volunteers) e una<br />

fitta schiera di esecuzioni live di<br />

Janis Joplin, The Band, Canned<br />

Heat (Going up the country,<br />

splendida), Arlo Guthrie,<br />

Grateful Dead, Country Joe<br />

McDonald: una spolverata di<br />

rock, blues, psichedelia anni ’60<br />

per fotografare (sia pure<br />

parzialmente, come sempre le<br />

antologie: mancano Who,<br />

Hendrix e tanti altri) lo spirito di<br />

un’epoca che ha segnato l’apice<br />

della creatività – e pazienza se<br />

non tutti gli artisti del disco<br />

erano a Woodstock, come nel<br />

caso dei Doors.<br />

Artisti vari<br />

500 DAYS OF SUMMER<br />

(SIRE)<br />

È sempre più frequente, da<br />

Juno in poi, che love stories<br />

contemporanee si avvalgano di<br />

classici del brit rock, una spruzzata<br />

di musica raffinata e rarità per<br />

intenditori: non fa eccezione lo<br />

score del film che ha aperto<br />

Locarno, con gli Smiths<br />

dell’immortale There is a light that<br />

never goes out e Please please<br />

please… (anche riletta da She &<br />

Him, alias la protagonista Zooey<br />

Deschanel); l’intensa Regina<br />

Spektor, Hall & Oates, Simon &<br />

Garfunkel e perfino Carlabrunì con<br />

la sua più celebre chanson; ancora,<br />

Doves, Black Lips, Feist in una<br />

compilation non banale, indie rock<br />

di buon livello.<br />

Elton John<br />

a Napoli<br />

Ancora turbato dalla morte del<br />

suo tastierista, è sbarcato a Napoli,<br />

a Piazza Plebiscito per un concerto<br />

gratuito della Piedigrotta ’<strong>09</strong>, quel<br />

mostro sacro di Elton John:<br />

pubblico osannante e composto,<br />

due ore e un quarto di voce e<br />

pianoforte che hanno incantato la<br />

foltissima platea, scorrendo un<br />

repertorio lungo 40 anni (almeno 8<br />

gli album mitici fino al 1975). Il<br />

concerto è stato aperto da The one<br />

e Your song per chiudersi nei bis<br />

con I’m still standing e un medley<br />

da Il re leone. Con la solita divisa<br />

eccentrica e le lenti scure con le<br />

iniziali di brillanti, il vecchio Reg ha<br />

esibito una voce superiore alle<br />

aspettative (niente più falsetti ma<br />

non perde una nota), robusti intro<br />

al pianoforte, una tecnica sempre<br />

sopraffina tra blues, gospel (Border<br />

song), honky tonk, ragtime (Bennie<br />

& the Jets, più bella in chiave one<br />

man band) e rock’n’roll: fan di ogni<br />

età a cantare a memoria le parole<br />

scritte per lui da Bernie Taupin: tra<br />

le perle della serata Rocket man,<br />

Philadelphia Freedom, Don’t let<br />

the sun go down on me e una ‘O<br />

sole mio prima solenne poi<br />

swingante, che “diventa” Song for<br />

Guy e infine Take me to the pilot:<br />

lui ci ha messo l’anima, il pubblico<br />

ha fatto il resto.


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PIETRO VALSECCHI<br />

PRESENTA<br />

Con il patrocinio<br />

Riccardo Scamarcio Jasmine Trinca Luca Argentero<br />

Direzione generale Cinema<br />

ilgrandesogno.msn.it<br />

11 settembre 20<strong>09</strong><br />

UN FILM<br />

DI MICHELE<br />

PLACIDO<br />

PIETRO VALSECCHI presenta una produzione TAODUE – BABE FILM in collaborazione con MEDUSA FILM<br />

IL GRANDE SOGNO un film di MICHELE PLACIDO<br />

con RICCARDO SCAMARCIO JASMINE TRINCA LUCA ARGENTERO MASSIMO POPOLIZIO ALESSANDRA ACCIAI MARCO IERMANÒ MARCO BRENNO<br />

con la partecipazione amichevole di SILVIO ORLANDO e con LAURA MORANTE nel ruolo di ‘MADDALENA’<br />

sceneggiatura di DORIANA LEONDEFF ANGELO PASQUINI e MICHELE PLACIDO fonico di presa diretta BRUNO PUPPARO<br />

costumi CLAUDIO CORDARO scenografia FRANCESCO FRIGERI musiche NICOLA PIOVANI fotografia ARNALDO CATINARI<br />

montaggio CONSUELO CATUCCI aiuto regia e casting FEDERICO GIORGIO RIDOLFI<br />

organizzatore della produzione LUCIANO LUCCHI prodotto da PIETRO VALSECCHI CAMILLA NESBITT regia di MICHELE PLACIDO<br />

In collaborazione con<br />

MEDUSA FILM<br />

federazione<br />

italiana<br />

cinema<br />

d’essai<br />

STUDIOVENTISEI

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