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schede critiche<br />
LEBANON<br />
di Samoel Maoz<br />
Sceneggiatura: Samoel Maoz …Montaggio: Arik<br />
Lahav-Leibovich …Fotografia: Giora Bejach …Musiche:<br />
Michael Giacchino …Interpreti: Yoav Donat, Italy<br />
Tiran, Oshri Cohen, Michael Moshonov, Zohar<br />
Strauss …Produzione: …Distribuzione: Bim …Israele<br />
20<strong>09</strong> …colore 93’<br />
DOPO VALZER con Bashir, un<br />
altro reduce israeliano dalla guerra<br />
del Libano racconta la sua<br />
esperienza di quei giorni.<br />
Lebanon, però, è un film molto<br />
diverso e non solo per la sua forma<br />
cinematografica che non è quella<br />
dell’animazione, bensì per<br />
l’impianto stesso della narrazione.<br />
intervista Samuel Maoz<br />
Vittime di guerra<br />
Leone d’oro a Venezia, l’esordio del regista israeliano descrive gli orrori della guerra<br />
nel Libano del 1982 dal punto di vista claustrofobico dei soldati di un carro armato<br />
Perché ha scelto di esordire con un<br />
film come Lebanon?<br />
Sentivo il bisogno di liberarmi, di fare pace con il mio passato mettendo<br />
da parte il presunto eroismo e tutti i cliché che mi hanno fatto<br />
compagnia negli ultimi venti anni. Lo scopo di tutto questo era riuscire<br />
a perdonarmi. Ho delle responsabilità che fanno parte del mio destino.<br />
Anche se non avevo altra scelta, non posso fare a meno di sentirmi<br />
responsabile. In questo senso ho sempre pensato che Lebanon dovesse<br />
essere un film non politico, per riuscire così a parlare alla testa, al cuore<br />
e allo stomaco degli spettatori.<br />
Perché ha scelto di ambientarlo all’interno di un carro armato?<br />
La genesi del film dipende interamente dall’idea alla base della sua<br />
realizzazione. L’uomo nel carro armato sono io e volevo raccontare la<br />
mia esperienza, nei limiti della struttura narrativa del cinema classico.<br />
Non volevo solo che il pubblico conoscesse questa storia, ma desideravo<br />
anche che la percepisse a livello sensoriale. In questo senso percezione e<br />
comprensione coincidono. Volevo prendere lo spettatore e metterlo al<br />
mio posto nel carro per farlo identificare con i personaggi. L’idea di<br />
Lebanon era quella di comunicare al pubblico un’esperienza in cui<br />
vedesse e conoscesse le stesse cose che vivono e conoscono i<br />
protagonisti. Questa era l’unica maniera per far capire che cosa<br />
abbiamo vissuto in quei giorni.<br />
Ha provato una sorta di catarsi nel realizzare questo film?<br />
Ho provato un grande senso di liberazione durante la lavorazione, ma<br />
quando mi sono accorto a film finito quali emozioni Lebanon è in<br />
34 VIVILCINEMA settembreottobre<strong>09</strong><br />
Se, infatti, il film di Ari Folman era<br />
un viaggio psicologico nella<br />
memoria di un passato<br />
dimenticato e addirittura rimosso,<br />
la pellicola vincitrice del Leone<br />
d’Oro alla Mostra di Venezia è,<br />
invece, la messinscena di<br />
un’esperienza in cui lo spettatore<br />
segue il punto di vista del regista<br />
con poche informazioni a<br />
disposizione, molti ordini cui<br />
eventualmente dovere obbedire e<br />
una dimensione spaziale<br />
fortemente limitata e limitante.<br />
A dispetto dello spazio risicato<br />
quanto il budget a disposizione,<br />
Lebanon è tutt’altro che privo di<br />
colpi di scena e trovate in grado di<br />
rendere in forma dinamica e<br />
appassionante la storia, raccontata<br />
anche attraverso qualche<br />
momento di “apertura” verso<br />
l’esterno, verso un’umanità ostile<br />
impietrita dalla paura e distrutta<br />
dal dolore.<br />
Ambientato nel giugno del 1982,<br />
Lebanon sfrutta al massimo la<br />
claustrofobia dell’ambientazione<br />
all’interno di un carro armato per<br />
mettere in discussione i quattro<br />
improbabili soldati che si trovano<br />
catapultati in una situazione per<br />
loro nuova, come il<br />
pattugliamento di un<br />
apparentemente inerme villaggio<br />
libanese già bombardato<br />
dall’aviazione israeliana. Quella<br />
che potrebbe essere<br />
un’operazione di routine si<br />
trasforma progressivamente in un<br />
incubo antimilitarista in cui risulta<br />
più facile colpire dei civili inermi<br />
che i nemici armati, e in cui ogni<br />
situazione viene enfatizzata<br />
tramite l’adrenalina dei quattro<br />
militari israeliani.<br />
La guerra raccontata da Maoz non<br />
ha orizzonte ed è quasi<br />
“sbirciata”, a piccole porzioni,<br />
attraverso un mirino da quattro<br />
uomini che non vogliono<br />
combattere, né tantomeno<br />
ammazzare qualcuno, ma che si<br />
trovano costretti dagli eventi a<br />
reagire seguendo il proprio istinto<br />
di sopravvivenza e la legge ferina<br />
secondo cui o si uccide o si viene<br />
uccisi.<br />
Interessante e originale sia sotto il<br />
profilo registico che narrativo,<br />
Lebanon prescinde<br />
dall’autobiografismo per<br />
raccontare qualcosa di universale<br />
che fa riferimento ad un dramma<br />
primario, come una gioventù<br />
sofferente le scelte<br />
apparentemente incomprensibili<br />
della propria nazione. Un film<br />
complesso e coinvolgente, in cui il<br />
punto di vista del regista,<br />
vagamente assolutorio, e la sua<br />
memoria degli eventi di oltre un<br />
quarto di secolo fa impongono allo<br />
spettatore un’ulteriore, ma non<br />
per questo meno efficace o<br />
superflua, riflessione sugli orrori<br />
della guerra e sulle dinamiche<br />
apparentemente incontrollabili che<br />
si sviluppano durante un<br />
combattimento.<br />
MARCO SPAGNOLI<br />
grado di comunicare al pubblico, ho provato anche una grandissima<br />
soddisfazione, oggi amplificata dalla vittoria del Leone d’Oro. Al tempo<br />
stesso, però, avverto un senso di profondo dolore per tutti i morti della<br />
guerra in Libano. Quando sei in guerra ti rendi conto di cose terribili<br />
che ti accompagneranno negli anni a venire. Mi dispiace<br />
profondamente per loro e per i caduti di tutte le guerre che ancora<br />
oggi si combattono nel mondo.<br />
La stampa libanese ha reagito abbastanza duramente al suo<br />
film accusandolo di non essere realistico e di non aver<br />
raccontato in maniera adeguata il popolo del Libano, nonché<br />
(più banalmente) di fare della “propaganda israeliana”.<br />
Lo so e me ne dispiace, ma per rispondere non posso dire altro che<br />
questa è la mia storia e la mia verità. Questa è la mia versione dei fatti,<br />
che deriva dalla mia esperienza e dai miei ricordi. Io ero lì. Certo,<br />
possiamo tentare di cercare dei colpevoli e provare a distinguerli dagli<br />
innocenti e dalle vittime, ma la realtà è che in guerra il vero nemico e il<br />
vero carnefice è la guerra stessa. Nessuno ha il controllo di una situazione<br />
del genere e, talora, sono le azioni delle vittime a determinare ciò che<br />
accade in determinati momenti. Il trucco di ogni guerra è quello di<br />
mettere in situazioni pericolose delle persone che reagiranno, uccidendo<br />
pur di riuscire a sopravvivere. Non è normale uccidere e la gente normale<br />
non uccide. In combattimento, invece, la stessa persona si sente costretta<br />
ad uccidere. In guerra si è guidati da istinti primari legati alla<br />
sopravvivenza contro i quali non riesci a ribellarti.<br />
MARCO SPAGNOLI