schede critiche IL NASTRO BIANCO di Michael Haneke Titolo originale: Das weiße band …Sceneggiatura: Michael Haneke …Fotografia: Christian Berger …Montaggio: Monika Willi …Interpreti: Christian Friedel, Leonie Benesch, Ulrich Tukur, Ursina Lardi, Susanne Lothar, Burghart Klaussner …Produzione: X Filme Creative Pool, Wega Film, Les Films du Losange, Lucky Red …Distribuzione: Lucky Red …Germania/Austria/Francia/Italia 20<strong>09</strong> …colore 144’ SE TARANTINO ha affrontato, a suo modo, l’occupazione nazista, l’austriaco Michael Haneke, nella sua prima opera in lingua tedesca dal ’97, con toni e intrecci alla Heimat ci porta in un villaggio dell’Alta Germania in un’epoca cruciale per la nazione e l’Europa intera, il 1913-1914: un microcosmo all’apparenza ordinato, tranquillo, gerarchico nasconde al proprio interno meccanismi di sopruso, repressione e aggressività che troveranno eco nella Grande Guerra, il cui scoppio soltanto evocato chiude le oltre due ore di narrazione. Con un bianco e nero ormai desueto ma molto suggestivo e l’apporto alla sceneggiatura di Jean-Claude Carrière, Haneke realizza un’opera corale dall’andamento sì tradizionale (la voce narrante è quella dell’istitutore, ruolo in partenza concepito per il prematuramente scomparso Ulrich Mühe de Le vite degli altri) ma inquietante come Il villaggio dei dannati, in un SEGRETI DI FAMIGLIA di Francis Ford Coppola Titolo originale: Tetro …Sceneggiatura: Francis Ford Coppola …Fotografia: Mihai Malaimare jr. …Montaggio: Walter Murch …Musiche: Osvaldo Golijov …Interpreti: Vincent Gallo, Maribel Verdou, Klaus Maria Brandauer, Alden Ehrenreich …Produzione: American Zoetrope …Distribuzione: Bim …Argentina/Spagna/Italia 20<strong>09</strong> …bianco e nero/colore 127’ MELODRAMMA autobiografico sanguigno ed onirico, barocco e sperimentale, Segreti di famiglia è un saggio di sfolgorante bellezza visiva, un percorso dentro le ossessioni coppoliane attraverso uno sguardo indiscreto e impietoso su matrimoni, lutti e rancori, dal dolore alla incomunicabilità nella distanza, da innumerevoli incomprensioni alla 40 VIVILCINEMA settembreottobre<strong>09</strong> crescendo di tensione sotterranea che non esplode mai (può sorprendere se si pensa a Funny games o La pianista, molto meno se si guarda a Code inconnu o Storie) ma anzi lascia ampia libertà allo spettatore di sviluppare una chiave di lettura degli eventi, nel tentativo di decifrare i numerosi misteri che sconvolgono la comunità. Per una volta, l’irrisolto è ampiamente giustificato dall’assunto di fondo che non attribuisce la “colpa” a un individuo o a un gruppo ristretto bensì a un sistema di valori esasperato ed autocontraddetto, in cui l’infanzia e l’adolescenza represse, ridotte al silenzio, saranno terreno di coltura forza dell’invidia per il mancato talento che annienta debolezze e fragilità. A Buenos Aires vive Angelo, isolato in una vita da reduce, in fuga dal passato e dal presente, senza contatti con il padre direttore d’orchestra. La visita del fratello minore finirà per riaprire antiche ferite e sopite incomprensioni mai dimenticate. Con una lunga, faticosa e liberatoria seduta di autoanalisi in cui i tempi, le tensioni ancestrali della tragedia greca vengono contaminate con l’attrazione visionaria e la forza terapeutica delle immagini, il film è un viaggio sospeso tra realismo e fantasia nel labirinto della e massa critica del nazismo. È una convincente scelta stilistica quella di adottare un andamento lento e una struttura a spirale, che descrive con fredda scansione eventi fuori dell’ordinario e nuclei familiari compositi; lo scorrere dell’esistenza scandito dal raccolto, dalle prime comunioni, lasciando emergere poco a poco relazioni, inclinazioni e aberrazioni e lasciando che sia lo spettatore a “unire i puntini”, a raccogliere mezze frasi e commenti e mettere più a fuoco una realtà ben poco gradevole. Il barone latifondista (Ulrich Tupur, altro reduce da Le vite degli altri) con moglie insoddisfatta, pargoli e giovane tata; l’amministratore del creatività, con la materializzazione delle catene della colpa, i condizionamenti sentimentali, nella dura conquista di un equilibrio e di una stabilità quotidiana. Classico e solenne, radicale nel desiderio di ricercare e ricostruire la verità nella perdita, Segreti di famiglia indaga sul potere consolatorio ed autodistruttivo delle radici, con una Buenos Aires inedita filmata nelle sue contraddizioni, e riflette la dimensione irreale dei personaggi tracciati dall’Autore, sempre segnati da una personale propensione all’isolamento e alla paranoia, dalla paura per la rivelazione, dal pudore della debolezza e dall’impossibilità di adattarsi ad una realtà incomprensibile e minacciosa. Costruita sulle suggestioni ed alterazioni della memoria, con una vena sarcastica e grottesca, l’opera, che ha inaugurato la Quinzaine des réalizateurs a Cannes 20<strong>09</strong>, conferma lo straordinario talento del regista nella composizione di ogni immagine e penetra, come in Giardini di pietra, nella malinconia di affetti perduti e mai riconquistati, provando a fondo con famiglia numerosa e l’ultimo nato improvvisamente ammalatosi; il medico condotto con figlia adolescente e pargoletto orfano dalla nascita, assistito dalla vicina con figlio ritardato; il temutissimo pastore che sembra uscito da Fanny e Alexander, implacabile nel ricordare doveri morali e impartire punizioni ai figli; il già menzionato istitutore innamorato della tata impiegata dal barone, e ancora fittavoli e precettori nella galleria di personaggi che compongono un panorama umano fatto di ipocrisia e senso del possesso, tormenti segreti e una spessa coltre di perbenismo. Rara incursione del cineasta nel cinema in costume, Il nastro bianco – meritata Palma d’Oro assegnata dall’amica Huppert – scava nelle coscienze di una comunità devota e all’apparenza unita che tenta di arginare i sospetti scaturiti da troppi misteriosi incidenti. Agli sconvolgimenti pubblici, l’autore unisce l’impietosa analisi dei vizi privati, dall’educazione rigidissima agli indicibili soprusi; a farne le spese saranno i giovanissimi abitanti – e un pappagallino. Ma quanto è innocente la gioventù del villaggio? MARIO MAZZETTI riprodurre conflitti ed inadeguatezze dell’artista con istintiva brutalità, passioni e sentimenti nell’insofferenza delle tradizioni di una famiglia patriarcale. Con uno sguardo che spazia dalle intuizioni di Powell in Scarpette rosse e Scala al Paradiso alla rivoluzione del linguaggio di Orson Welles, in un gioco rarefatto e complesso tra bianco e nero e colore e la parodia e la derisione di cerimoniali e premi, il film è, a suo modo, istintivo e romantico, squilibrato negli eccessi: una riflessione sul tema del dolore, sull’impossibilità della rimozione, sulla fuga e la conquista della maturità. Coppola presenta in totale libertà nevrosi e insoddisfazioni, ribellioni e tradimenti e si dimostra all’altezza delle attese; racconta l’illusione della felicità con uno stile operistico che riproduce sensibilità perdute, lasciando sempre una seconda possibilità ai protagonisti che, come in Un’altra giovinezza, possono forse ripercorrere la propria esistenza con l’energia del cinema: un viaggio di purificazione, ritratto affascinante di un’ idea familiare e cammino di ricerca estetica. DOMENICO BARONE
UN FILM DI MICHAEL MANN -