intervista Francis Ford Coppola FILMOGRAFIA - Terrore alla tredicesima ora (1963), Buttati Bernardo! (1967), Il padrino (1972), La conversazione (1974), Il padrino – Parte II (1974), Apocalypse Now (1979), Un sogno lungo un giorno (1982), I ragazzi della 56ª strada (1983), Rusty il selvaggio (1983), Cotton Club (1984), Peggy Sue si è sposata (1986), I giardini di pietra (1987), Tucker, un uomo e il suo sogno (1988), Il padrino – Parte III (1990), Dra- 12 Tutto in famiglia Personale ma non autobiografico, “Segreti di famiglia” è l’ultima opera del leggendario regista, la terza da lui anche scritta. Sempre allergico a Hollywood, estinti i debiti della Zoetrope fa cinema per divertimento, tra vini e alberghi. Con un occhio all’Italia… “Niente è successo realmente, ma è tutto vero: tremendamente vero…”. Così Francis Ford Coppola, a chi gli chiede se Tetro (Segreti di famiglia in Italia) sia in qualche modo autobiografico. Presentato in anteprima alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes, da lui ideato, scritto e diretto, girato in un superbo bianco e nero (il colore compare solo per i flashback), Tetro scava nei conflittuali rapporti familiari del protagonista (Vincent Gallo), ossessionato dall’idea di “uccidere il padre”, celebre quanto egocentrico e soffocante direttore d’orchestra (Klaus Maria Brandauer), che non esita a rubargli la fidanzata e a stroncare le sue potenzialità letterarie perché “non può esserci più di un genio in famiglia”. È la terza volta che realizza un lungometraggio basato su una sua sceneggiatura originale. Proprio così. L’ho scritto durante il montaggio di Un’altra giovinezza. Nella mia carriera, ogni volta che ho fatto un film tratto da un romanzo, ho sempre voluto mettere il nome dell’autore sul titolo, per sottolinearne la paternità: Il Padrino di Mario Puzo, Dracula di Bram St<strong>ok</strong>er, L’uomo della pioggia di John Grisham. Qualche volta sento il bisogno di metterci anche il mio nome, e per far questo devo essere anche l’autore della sceneggiatura. D’altronde, più che talento ho una fervida immaginazione: mi trovo a cucinare delle idee. Il lavoro più difficile, ma anche quello più essenziale, è proprio quello della sceneggiatura. Infatti ammiro gente come Woody Allen, che ogni anno scrive uno script originale. Perché scrivere rende liberi? Infatti, Tetro è un inno alla mia libertà! Dopo il flop commerciale di Un sogno lungo un giorno, che travolse la mia Zoetrope, per un VIVILCINEMA settembreottobre<strong>09</strong> decennio ho fatto quasi un film su commissione all’anno: per pagare i miei debiti con le banche. E, ovviamente, non avevo più il controllo pressoché totale che avevo ottenuto con Il Padrino. Solo dopo Dracula ho estinto i debiti, e sono finiti questi problemi. E oggi? Ora mi sento un uomo e un regista indipendente che è riuscito ad affrancarsi, come fa Vincent Gallo nel film. Oggi posso infischiarmene del movie business. Che decisamente non le piace… No, non mi piace il cinema che si vive tra le mura degli uffici marketing, che pensa alla televisione – quella italiana è la più stupida al mondo, e ci soffro – e pretende grandi incassi a discapito della qualità, la voglia e la gioia di creare. Sono stufo di questo cinema in cui il budget è direttamente proporzionale alla stupidità dell’opera. Sono sorpreso: quando pensi ai film contemporanei, ogni cosa deve essere semplice e sottodimensionata. Se cerchi di fare qualcosa di poco più ambizioso, sei immediatamente bollato come pretenzioso. Amo la grandezza, letteralmente, e sono triste di sapere che negli States i nostri film ormai raggiungono solo 4mila schermi. Anche per questo me ne sono andato in America Latina. Ma? Ma sono un uomo fortunato, molto fortunato: ho vinto tutti i premi che un uomo di cinema possa desiderare, dalla Palma d’Oro agli Oscar. E se sono un uomo ricco, lo devo al mio vino: il cinema lo faccio perché lo desidero, non perché ne ho bisogno. Lo faccio per scoprire nuovi attori come Alden Ehrenreich (il fratello di Tetro, NdR) o lavorare con attrici straordinarie come Maribel Verdù, nel film la fidanzata del protagonista. Come vede questa attuale rispetto alla sua generazione d’oro? Maribel Verdù e Vincent Gallo Il rimpianto del passato è uno stereotipo: bisogna guardare al presente con obiettività e ottimismo. Vedo tanti bravi registi: da Spike Jonze ad Alexander Payne passando per Catherine Hardwicke, Tamara Jenkins, Gus van Sant, Steven Soderbergh. Certo, non è il mainstream il loro terreno privilegiato, ma l’arte indipendente: sono tanti e straordinari, forse è il mondo a non meritarli, e non il contrario. E le stesse valutazioni dovremmo farle in tutti i campi, quando giudichiamo le giovani generazioni. Il cinema per lei rimane una grande famiglia: del resto, Tetro è l’ennesima saga familiare della sua filmografia. La famiglia è il nucleo più importante. Se amo questo lavoro, probabilmente è perché posso parlarne con mia figlia Sofia, caratterialmente e cinematograficamente molto diversa da me. E poi posso lavorare con mio figlio Roman, guardare i documentari che mia moglie fa sui miei set, un gioco nato dopo che le regalai la sua prima super16. In famiglia succede tutto: lì trovi quasi tutte le domande, e molte delle risposte. Le sue origini sono italiane: il suo presente? Quest’estate ho inaugurato un nuovo albergo in Lucania. In Italia torno appena posso, anche per la mia scuola di cinema. È un paese che per me significa molto, anche se spesso mi preoccupa! Del vostro cinema, mi sono rimaste nel cuore le commedie feroci di Pietro Germi, Vittorio De Sica, Mario Monicelli, Francesco Rosi. E quello straordinario attore di Alberto Sordi, che ebbi la fortuna di conoscere. Fu lui a parlarmi di un collega molto bravo: Carlo Verdone. Chissà, se avesse una bella sceneggiatura, sarebbe bello fare un film insieme. FEDERICO PONTIGGIA
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