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intervista<br />
28<br />
Giorgio Diritti<br />
La vita in tempo di guerra<br />
29 settembre – 5 ottobre<br />
1944. Circa ottocento civili furono assassinati<br />
dalle truppe naziste nel territorio emiliano di<br />
Marzabotto e nelle colline limitrofe di<br />
Montesole. Fra le vittime molti bambini. È<br />
questo lo scenario che accompagna il nuovo<br />
lavoro di Giorgio Diritti, L’uomo che verrà:<br />
il racconto di quei tragici giorni attraverso la<br />
storia di una famiglia e lo sguardo lucido ed<br />
innocente di Martina.<br />
Qual è stata la genesi del progetto?<br />
L’idea è nata molti anni fa. Avevo<br />
intervistato un monsignore responsabile<br />
della Caritas di Bologna. Era stato compagno<br />
di seminario di alcuni sacerdoti che sono<br />
morti a Montesole. Aveva scritto un libro, Le<br />
querce di Montesole che racconta i tragici<br />
fatti della strage di Marzabotto. Quella<br />
lettura mi ha aperto gli occhi su una vicenda<br />
che i libri di storia o l’immaginario collettivo<br />
raccontano in maniera diversa rispetto alla<br />
realtà dei fatti. In quel periodo però ero<br />
molto giovane e inesperto. Ho tentato di<br />
proporre il progetto di un film su quella<br />
vicenda senza ricevere alcuna risposta<br />
positiva. Poi nel ‘93 ho ripreso in mano<br />
l’idea. Ho fatto parecchie interviste a<br />
sopravvissuti e partigiani, iniziando il<br />
percorso che mi ha portato poi alla<br />
realizzazione della sceneggiatura.<br />
Nella scrittura che punto di vista hai<br />
utilizzato?<br />
Non volevo fare un film storico, anche se è<br />
importante parlare di questo pezzo di storia,<br />
mantenendo viva la memoria. Tanto meno<br />
VIVILCINEMA settembreottobre<strong>09</strong><br />
Claudio Casadio e Maya Sansa<br />
La strage di Marzabotto, il conflitto bellico visto dal basso ne “L’uomo che verrà”,<br />
attesa opera seconda per l’autore della rivelazione “Il vento fa il suo giro”, con Alba<br />
Rohrwacher e Maya Sansa accanto ad attori non professionisti<br />
un film bellico dove ci sono i vincitori buoni<br />
da una parte e i cattivi perdenti dall’altra.<br />
Volevo raccontare la vicenda di Marzabotto<br />
affrontando un tema purtroppo d’attualità,<br />
vale a dire la condizione dei civili nella<br />
guerra. I civili con la loro quotidianità, i<br />
sogni, le aspirazioni, i figli da crescere, il<br />
desiderio di migliorare la propria condizione<br />
sociale, il desiderio di affermarsi nel lavoro,<br />
l’innamorarsi. Sono stadi che facevano parte<br />
del loro vissuto e che logiche di dominio e di<br />
possesso, di ideologie come quella nazista,<br />
oppure d’interessi commerciali velati da altre<br />
cose, hanno in un attimo annientato insieme<br />
alle persone. Il film racconta la guerra vista<br />
in un certo senso dal basso, con il punto di<br />
vista di chi la subisce.<br />
Per farlo hai utilizzato gli occhi e il<br />
cuore di Martina.<br />
Ho utilizzato il punto di vista di una bambina<br />
per due motivi. Nella fase della fanciullezza<br />
c’è una dimensione bellissima, che è quella<br />
che ti porta a scoprire il mondo per<br />
conoscere gli elementi che lo compongono,<br />
pur non sapendo bene cosa essi siano. In<br />
questo sguardo innocente tante volte si<br />
nasconde una grande forza, quella che<br />
mette in luce le incoerenze e le stranezze<br />
del mondo degli adulti. L’altro aspetto è<br />
legato al fatto che nella strage di<br />
Marzabotto hanno perso la vita un alto<br />
numero di bambini, più di duecento di<br />
età inferiore agli otto/dieci anni.<br />
Oltre a Martina troviamo altre due<br />
donne: la madre interpretata da<br />
Maya Sansa e la zia interpretata da Alba<br />
Rohrwacher. Che caratteristiche hanno?<br />
Il mio è il racconto corale che ha per<br />
protagonista una tipica famiglia<br />
dell’Appennino di allora, immersa in una<br />
dimensione in cui la civiltà contadina era<br />
molto forte. Le famiglie erano dei nuclei<br />
multiformi dove convivevano tante persone.<br />
Il personaggio interpretato da Maya Sansa<br />
viveva la condizione di vita in campagna<br />
come una cosa normale. Maya è nella logica<br />
di una madre, spesso inglobata nelle<br />
dinamiche che relegavano il ruolo femminile<br />
in ambiti poco decisionali. Questo non<br />
accadeva ovunque: nelle altre regioni d’Italia,<br />
come in Piemonte, il matriarcato era molto<br />
forte. Qui nell’Appennino bolognese era la<br />
figura maschile che predominava. L’uomo<br />
andava a fare la spesa al paese, gestiva i<br />
soldi e prendeva le<br />
decisioni.<br />
Il regista del film