<strong>Luchino</strong>*Masolino d’Amico* Pubblicato su “<strong>La</strong> Stampa” del 20 marzo 2001con il titolo Personaggi del ’900. Un leader nato,un professionista impossibile da imbrogliare eun mago che si considerava immortale.<strong>Visconti</strong>, l’uomo che ipnotizzava i cavalli.<strong>La</strong> caratteristica di <strong>Luchino</strong> <strong>Visconti</strong> chepiù impressionava nella vita e sul lavoro,ripensandoci, era l’autorità. Per autorità -oggi si dice «leadership» - intendo il donodi farsi obbedire, ossia di ottenere chedelle persone eseguano senza perdertempo a convincerle. E’ una dote naturalee misteriosa e si manifesta in tanti modi.I direttori d’orchestra non eccelleno se nesono sprovvisti, ma non ce ne sono due chela esprimano con gli stessi gesti.Bernstein, che saltava entusiasta comeun derviscio e finiva fradicio di sudore,aveva sulle orchestre lo stesso ascendentedel gelido Pierre Monteux che, a vederlodi spalle, sembrava non muovere nemmenoun dito. <strong>Visconti</strong>, che di rado alzava lavoce, con la sua autorità era venuto almondo, ma è difficile sostenere che l’avesseereditata dai suoi lontanissimi antenati,i trecenteschi signori di Milano, i cuititoli, estinto il ramo principale, eranopassati a un collaterale per concessione diNapoleone Bonaparte.Donde gli venisse non si sa, fatto sta chela emanava. Inizialmente la sperimentòsui cavalli, quando ricorrendo anche all’ipnotismocostrinse uno scarto di Tesioquasi zoppo a vincere il Premio Città diMilano. Poi passò agli attori, che infattiparagonava spesso ai quadrupedi, affermandoche bisogna saperli prendere nelmodo giusto, capire quale ha bisogno dellafrusta, quale delle carezze, quale dellozuccherino. Lo scopo ultimo di questa suamanipolazione del prossimo non era, perfortuna, la politica, bensì il teatro, il cinema,l’opera lirica, ossia il «ludus», il gioco:del resto il gioco va fatto col massimoimpegno e la perfetta serietà. Sul gioco delteatro <strong>Visconti</strong> non scherzava affatto, esigevala perfezione in tutto e da tutti. Se ilgenio consiste in una cura infinita dei particolari,<strong>Visconti</strong> lo possedeva. In ognicaso, sapeva sempre esattamente quelloche voleva, persino la tonalità di unfischio di treno lontano, e non era possibileaccontentarlo con un surrogato approssimativo.Lo si è definito un grande dilettante,in realtà era un profondo conoscitoredi tutto quello di cui occupava. Per lescenografie sceglieva sempre e infallibilmentei tessuti più cari: i suoi finanziatoriprovarono qualche volta a scambiare icartellini dei prezzi sui campionari, ma luinon abboccò mai. Anche i suoi collaboratorierano sempre tutti di altissimo livello,dall’aiuto al costumista al datore di luci;con lui però funzionavano ancora meglioche con chiunque altro. <strong>La</strong> sua autoritàallargava il potenziale delle persone: se<strong>Visconti</strong> ti diceva di fare qualcosa che nonti eri mai sognato, obbedivi senza discutere,lui ovviamente ne sapeva più di te.Non dico che ci cogliesse proprio sempre.Una volta mi trovai con lui in visita allavilla che Marcello Mastroianni si eraappena comprato in Lucchesia. <strong>Visconti</strong>(io veramente lo chiamavo <strong>Luchino</strong>, anchese gli davo del lei) approvava, suggerivainterventi e modifiche. A un certo punto sifermò davanti a due grandi cespugli ornamentali.«Ma questi vanno potati!» disse «Datemile forbici». Arrivarono dei forbicioni dagiardiniere. Lui si mise a sforbiciare, masi stancò quasi subito. Allora passò le forbicia me. «Continua tu» mi ordinò. Io eroun ragazzo di città e non sapevo distinguereuna peonia da un carciofo. Aprii labocca per obiettare, ma subito la richiusi emi misi a sforbiciare, ligio. Quel cespuglio,che negli anni ho rivisto, non si è ripresomai più.13
L’autorevolezza, talvolta l’imperiosità di<strong>Visconti</strong> mascheravano il fatto che infondo era timido. Se qualcuno gli tenevatesta poteva diventare violento, ma chinon avendo paura di lui riusciva a scherzarcie sdrammatizzare - succedeva dirado, ma succedeva - lo smontava. Ricordoun episodio poco prima della proiezionealla stampa di Le Notti bianche. Era ilritorno di <strong>Visconti</strong> a Venezia dopo lo scandalodi Senso, che anni prima era statoclamorosamente escluso dai premi perinterventi politici, e il nuovo film era alcentro delle attese. <strong>Visconti</strong> aveva appenacontrollato una copia campione ed erarimasto scontento di un particolare. Ilmomento clou del film è l’arrivo dello sconosciutoche la protagonista, di cui il solitarioMastroianni si innamora, aspettatutte le notti. Lo sconosciuto era JeanMarais, che vedendo Maria Schell da lontanole diceva (con la voce di GiorgioAlbertazzi) «Sei tu, Natalia?».Ora, <strong>Visconti</strong> trovava che quella battutaera anticlimax. Era venuta male; suonavafredda, sembrava che i due si fosserolasciati un minuto prima: era assurda.Rovinava tutto il film. I giornalisti non ladovevano sentire, bisognava cambiare,ridoppiare, fare qualcosa. Si creò, comesuccede in queste situazioni, una tragedia.Il produttore Franco Cristaldi tentòdebolmente di dire che in tre ore, lì alLido, non si poteva fare niente. <strong>Visconti</strong>chiese che almeno la battuta fosse toltadalla colonna sonora: impossibile. E interrompereil sonoro per un momento? Chi èil proiezionista? Chiamatelo!Volavano i suggerimenti mentre <strong>Visconti</strong>sempre più convinto della necessità dineutralizzare la goffa battuta minacciavatorvo addirittura di ritirare il film per nonesporlo al ludibrio. Risolse tutto RuggeroMastroianni, fratello di Marcello, grandemontatore e romano pigro e sornione.Durante un momento in cui tutti sfinititacevano intervenne dicendo: «Conte, sevuole mi affaccio e dico: sono stato io».<strong>Luchino</strong> rise e si rassegnò.L’aneddoto spiega anche un po’ la suaincrollabile predilizione, del resto ricambiata,per mia madre: mia madre sapevacome prenderlo, sapeva scherzare con lui,magari disorientandolo momentaneamenteun tantino. Non sono sicuro per esempioche <strong>Luchino</strong> apprezzasse il fatto chemia madre battezzasse Modrone il gattinoche lui ci regalò quando eravamo bambini(del tutto indifferente al fatto che miopadre detestasse gli animali: aveva decisoche il posto giusto per quel gatto era casanostra, quale infatti risultò).Esigentissimo con tutti, <strong>Visconti</strong> lo fu conse stesso quando fu colpito da un ictus chelo lasciò con un braccio e una gamba semiparalizzati.In qualche modo, si rifiutò diammettere quello che era successo - non loaveva ordinato lui, quindi non esisteva. Insegreto si curò caparbiamente, obbedì aimedici e si sottomise a spossanti esercizidi rieducazione, ma davanti agli altri continuòa lavorare come se niente fossestato.Essendo la sua una attività comportantela messa in moto di grosse macchine organizzative,faticò a convincere chi dovevaaffidargliele; ma al solito ci riuscì. Pur didimostrare di esserci, accettò che il produttoredel film Gruppo di famiglia in uninterno fosse un uomo di destra in cerca dirispettabilità culturale come EdilioRusconi (a chi glielo rimproverava disse,sacrosantemente, che i capitali non sonodi sinistra); e insomma, si rimise all’ope-ra, e alla maniera sua. Nemmeno per unsecondo accettò di fare l’invalido. Congrandi traffici gli fu fatta venire dallaSvizzera l’ultima invenzione, una carrozzinaelettrica che camminava da sé, malui ci si sedette una volta sola: dovevausare le sue gambe.A me e a mia moglie disse: «non mi avetemai invitato a casa vostra», e quandoseppe che abitavamo un quarto pianosenza ascensore il complimento diventòun ordine. Lo invitammo, e arrivò moltoaffaticato ma, al solito, del tutto padronedi sè, appoggiandosi a un bellissimo infermierebiondo, mangiò, bevve e fu cordialecon gli altri ospiti, un po’ intimiditi.All’epoca viveva in un piccolo appartamentosulla collina Fleming, semprepieno di fiori, continuando nel frattempo aarredare una grandiosa villa sui collilaziali dove sapeva benissimo che non sisarebbe mai trasferito.Da quell’appartamento il 17 marzo 1976,venticinque anni fa, se ne andò, avendodeciso di farlo, o questa fu la sensazioneche diede. Aveva realizzato la Manon diPuccini a Spoleto, un capolavoro di regiad’opera degno della sua leggiadraTraviata alla Scala del ’55 (io l’ho vista, mici portò mio padre una sera, il pomeriggioeravamo stati a San Siro per un Italia-Brasile 3-0, due gol di Virgili.In camerino la Callas ci disse civettando,con incantevole accento veronese e mirabilepadronanza delle espressioni idiomatiche:«siete venuti fino a Milano solo perme? Non ci credo. Chissà quale altrouccello avete preso con questa fava!»).Aveva appena finito di girare un altrofilm, L’Innocente. Poteva anche voltarepagina. Quando seppi che non c’era piùpiansi - gli volevo molto bene, e poi ero
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