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14 - Hiram n.2/2016<br />
grandeoriente.it<br />
Ci si può ancóra giovare della profondità e possanza della prosa<br />
dell’Evola 30 , per il quale «la veduta classica, sia pagana che<br />
orientale, propria alla Sapienza, è che tra uomo e Dio non vi è<br />
differenza qualitativa, non vi è eterogeneità di natura». Al riguardo,<br />
soggiunge: «“La mia stirpe è celeste” – dichiara l’iniziato<br />
orfico; e, del pari, nei Veda e nelle Upanishad, l’uomo è<br />
considerato esser Dio stesso, se pure in uno stato di inconsapevolezza<br />
e di stordimento». Viene, poi, spiegato il presupposto<br />
logico-filosofico della c.d. deificazione dell’uomo: «Fra lo<br />
stato di coscienza dell’identità – che corrisponde a ciò che volgarmente<br />
si chiama Dio – e lo stato della coscienza umana la<br />
distanza può esser grande finché si vuole, ma tuttavia l’intervallo<br />
di separazione viene pensato come continuo, tale cioè<br />
che lo si può percorrere con un processo regolare e progressivo<br />
senza che si debbano incontrare salti. Perciò, in linea di principio,<br />
in questa veduta si riconosce la possibilità per l’uomo di<br />
poter ascendere a Dio non appena lo voglia; divinificazione<br />
che l’uomo può compiere con i suoi propri mezzi, senza alcun<br />
intervento trascendente o, come anche si dice, soprannaturale».<br />
Connota quale «la più alta verità» l’affermazione che<br />
«l’uomo non è diverso da Dio», ossia che «la divinificazione,<br />
l’apotheosi, è una sua possibilità effettiva immanente e inalienabile».<br />
Assai frequente è, nei testi alchemici, il simbolo dell’Albero<br />
31 , talora «concepito come una tentazione, che conduce<br />
a rovina e a maledizione chi vi soggiace», talaltra «concepito<br />
come l’oggetto di una conquista possibile che, vincendo sia<br />
draghi, sia gli esseri divini che lo difendono, trasforma l’audace<br />
in un dio e – talvolta – trasferisce l’attributo della divinità e dell’immortalità<br />
da una stirpe ad un’altra stirpe».<br />
Infine, meritevole di disamina, per la sua valenza sistematica,<br />
è l’enunciazione 32 di un insegnamento ben noto alle Scuole<br />
iniziatiche, ossia che «tanto gli Orientali che i Pagani − in piena<br />
conformità al principio di gerarchia esteso al campo spirituale<br />
ed in una composizione armoniosa di superiore e di inferiore<br />
− avevano un insegnamento iniziatico presso alla religione<br />
popolare e devozionale, i riti segreti dei Misteri presso ai miti,<br />
alle credenze e ai culti delle masse, un esoterismo presso all’exoterismo».<br />
Ritengo che queste ultime parole possano contribuire a meglio<br />
qualificare la posizione dell’Obbedienza rispetto alla Chiesa di<br />
30<br />
J. Evola, Imperialismo pagano. Il fascismo dinnanzi al pericolo eurocristiano,<br />
Roma, 2004, p. 130 s.<br />
31<br />
J. Evola, La Tradizione Ermetica. Nei suoi simboli, nella sua dottrina<br />
e nella sua «Arte Regia», Roma, 2009, p. 32 s.<br />
32<br />
J. Evola, Imperialismo pagano, cit., p. 131.<br />
Roma e fungere da guida per un incontro con essa, cui non<br />
può non riconoscersi il carattere ininterrotto del Magistero, sí<br />
che l’uomo occidentale ben può in essa rinvenire il prodromo<br />
exoterico tendente all’esoterismo di cui è custode la Libera Muratoria,<br />
talché il legame tra le due Vie si configura come la relazione<br />
rispettivamente intercorrente fra Piccoli e Grandi<br />
Misteri. Il Maomettano, diversamente, già potrà – senza far ricorso<br />
alla Massoneria moderna, espressione delle Tradizioni<br />
c.dd. mediterranea (o italica) e nordica – soddisfare una ricerca<br />
mistico-esoterica entro il Sufismo. Il dialogo, infatti, presupponendo<br />
un’alterità soggettiva identitaria, allorquando condotto<br />
– secondo Fortezza e Temperanza − da uomini illuminati, avrà<br />
come fine anelato di far sí che ne cives ad arma ruant, benché<br />
talora si debba − Écrasez l’infâme!, invita Voltaire – ricorrere<br />
alla Spada, quale extrema ratio e simbolo di Giustizia in atto:<br />
«Se sono inevitabili i flagelli della guerra, non odiamoci, non<br />
laceriamoci gli uni con gli altri nei periodi di pace, ed impieghiamo<br />
il breve istante della nostra esistenza per benedire insieme<br />
in mille lingue diverse, dal Siam alla California, la tua<br />
bontà che ci ha donato questo istante».<br />
Se il Neofita, con l’Iniziazione ricevuta, assume – verso se<br />
stesso, al cospetto del Supremo e innanzi ai propri Fratelli –<br />
l’obbligo di perfezionarsi moralmente, un cómpito non da<br />
meno incombe su chi la Scala iniziatica abbia, in tutto o in<br />
parte, già percorsa. Questi, arbitro dell’avanzamento nel percorso<br />
iniziatico (in primis, spirituale) di chi intenda consapevolmente<br />
intraprenderlo, è investito del compito di accertarsi<br />
– Vigilando – che costui non nuoccia all’Istituzione, ma che la<br />
arricchisca, su di lui esercitando, se del caso, una fraterna correzione.<br />
Gli è che il concetto di Tradizione Universale implica la trasmissione,<br />
da un lato, di una Sapienza misterica – e non già di un<br />
profano, per quanto dotto, sapere – e, dall’altro, di Atti, in ciò<br />
consistendo la peculiarità e prerogativa della Libera Muratoria,<br />
quale Istituzione tradizionale e regolare. Infatti, il Recipiendario,<br />
dapprima, e il Massone, poi, non si limitano a fungere da<br />
meri uditori di certa verba da altri pronunziati o da soggetti<br />
passivi qualsiasi durante i Rituali, essendone viceversa consapevoli<br />
e partecipi agenti.<br />
Ai fini della illustrazione di un connotato ulteriore dell’organizzazione<br />
massonica, giova menzionare che lo scrittore Tacito<br />
(Hist. 1.16) fa pronunciare all’imperatore Galba, per l’adozione<br />
di Pisone, un discorso celebre: «Sotto Tiberio, Caligola e Claudio<br />
siamo stati come una eredità che si trasmette nella stessa<br />
famiglia (sub Tiberio et Gaio et Claudio unius familiae quasi<br />
hereditas fuimus); sarà come una libertà l’iniziar da essere<br />
scelti (loco libertatis erit quod eligi coepimus); e, finita la casata