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30 - Hiram n.2/2016<br />
grandeoriente.it<br />
C’è però una terza fase, dove la strutturazione di un breve<br />
monologo ha carattere esemplare e falsamente<br />
esemplificativo, dove interiezioni indebite e rapide generano<br />
nell’interlocutore, all’interno di un apparente senso compiuto,<br />
l’inquietante sensazione che il meccanismo appercettivo e<br />
discernitivo subisca delle trappole:<br />
In primis et antimonio una scarpa fine si fa di capretto<br />
e di vitellino di latte, questa è la madre del vitello chiamata<br />
volgarmente vacchetta. Secondis, questa tinta è<br />
fatta col vitruolo e difatti un signore appena sopra vi<br />
poggia il dito del pipistrello della mano se lo sporca, se<br />
lo a-ni-li-fi-ca. Terzis, questa suola non è battuta a dovere<br />
e difatti dopo un giorno o due di marcia o di camminamento<br />
a piedi mette fuori la lingua come un cane da<br />
caccia. Ancora due parole, non ho finito verbo. Gli elastici<br />
sono di cotone e non di seta, e perciò cedono, vedi<br />
che cedono. La tramezza è usata, fraudolente. I punti di<br />
questo guardione sono dati con la zappa e con la lesina,<br />
dico le-si-na! Ed infine, mio caro amico, le solette interne,<br />
guarda, sono di cartone e non di pelle. Perciò,<br />
mio carissimo signor ciabattino, queste scarpe sono da<br />
fiera. Sei e cinquanta. E se non sapete fare il calzolaio,<br />
andate a fare il farmacista che è meglio. Rimembris omnibus,<br />
cioè ricordati uomo, che calzolaio si nasce e non<br />
si diventa, ostregheta.<br />
Così Totò/Mastr’Agostino Miciacio in San Giovanni decollato da<br />
Martoglio per la regia di Amleto Palermi, del 1940. Fu il terzo<br />
film della iniziale carriera cinematografica di Totò, ma il primo<br />
che colpì l’immaginario del pubblico ed ebbe effettivamente<br />
successo nonostante le critiche da subito negative. Già in quel<br />
momento, nel suo sentenzioso discorso tecnico-analitico da<br />
ciabattino provetto ad un annichilito “collega” Totò concentra<br />
la sua micidiale attenzione sulla prosopopea di un latinorum<br />
improbabile, superato solo forse dalle giaculatorie all’inizio de<br />
I due marescialli (regia di Sergio Corbucci, 1961) in cui con<br />
“linoleum, autobus, tua nonnam in carriolam” Totò/il<br />
ladruncolo Capurro cerca di depistare l’attenzione di De<br />
Sica/maresciallo dell’Arma Vittorio Cotone che lo sta<br />
riconoscendo anche se vestito da prelato. Altro segnale del suo<br />
incuriosirsi per forme dialettali “aliene” e da lui straniate<br />
ulteriormente, è con l’allocuzione “ostregheta” che compare in<br />
più di un film, fra cui nel colloquio degenerato in litigio con il<br />
bravissimo Achille Majeroni (il nonno istriano) in Arrangiatevi!<br />
per la regia di Mauro Bolognini, del 1959. Dove Totò/il nonno<br />
Illuminato, accusa il suo “coevo” di essere uno di quelli che ha<br />
fatto impiccare Nazario Sauro, facendo imbestialire il povero<br />
nonno, probabilmente irredentista (e filomassone anche lui,<br />
vista l’adesione di massa degli irredentisti alla Massoneria).<br />
Questo lavorare di “scalpello” su finezze che intrecciano<br />
absurdum linguistico e distorta citazione storica segnala,<br />
oltretutto, una padronanza argomentale di de Curtis che è stata<br />
sempre sottovalutata, anche in senso storico. Con questo non<br />
si vuol affermare una presunta dimensione intellettuale del<br />
Nostro – sarebbe stato il primo ad esclamare «ma mi faccia il<br />
piacere!» ridendo poi di gusto – quanto invitare a considerare<br />
con maggiore attenzione il repertorio di volutamente<br />
improprie ma significanti citazioni utilizzate spesso nell’ambito<br />
di una amabile satira politica lungimirante ed equamente<br />
distribuita (Gli Onorevoli, Letto a tre piazze, Totò, Vittorio e la<br />
dottoressa, destinazione Piovarolo, I due marescialli, Il<br />
coraggio), pur essendo Totò sempre stato disponibile a<br />
dichiarare il suo favore alla monarchia costituzionale.<br />
Dunque, cristallizzazione idiomatica di parziali assurdità,<br />
loquela apparentemente distratta, in realtà insidiosa – lo<br />
storpiare di continuo il cognome al perennemente vessato<br />
Peppino De Filippo in La Banda degli onesti (Camillo<br />
Mastrocinque, 1956) da Lo Turco in Lo Struzzo, Lo Turcio, Lo<br />
Tirchio, etc. etc… - ripetizione ossessiva e “persuasiva” di frasi<br />
brevi e brevissime fino a “musicalizzarle” (il tormentoso «Vota<br />
Antonio» de Gli Onorevoli, regia di Sergio Corbucci, 1963),<br />
decontestualizzazione, come si scriveva, di idiomi dialettali<br />
(soprattutto veneti e pugliesi) sono tutti “arnesi” di una tecnica<br />
complessa e vividissima che, però, riesce nel suo formidabile<br />
compito in ragione soprattutto della grana vocale particolare<br />
di questo burattino che si fa oracolo. Una verifica immediata<br />
di ciò la si ha in Totò a Parigi (Camillo Mastrocinque, 1958)<br />
dove il sosia Conte de Chermantel è doppiato da un noto attore<br />
con bellissima voce impostata ed è veramente straniante<br />
“vedere” Totò con altra voce. Tale “disagio” percettivo non è solo<br />
per abitudine e normale identificazione del rapporto figurafonte<br />
lalica. Nel mondo antico la voce è molto più relata alla<br />
germinazione animica di quanto non sia l’immagine corporea.<br />
Si pensi alla funzione secolare degli oracola – fra tutti il celebre<br />
omphalos delfico con il suo motto inciso ben noto agli iniziati<br />
(“conosci te stesso”) – dove la voce era la substantia animae del<br />
vaticinio ma, soprattutto, della riflessione. Si pensi alla narrata<br />
pratica Pitagorica di parlare, talvolta, da dietro una tenda, per<br />
conferire forza oracolare alle sue parole. Il Teatro, nato come