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Modesto elogio della santa semplicità 17<br />
Labor and Diligence Enjoying Their Simple Meal. Maerten van Heemskerck, Dutch, 1498-1574<br />
agli altri, è aver cura di loro, è un modo per cogliere il senso più<br />
alto della vita, è uno scudo contro l’arroganza e la superbia.<br />
Del resto per non avere una vita vuota, secondo Lao Tzu, bisogna<br />
essere semplici nelle azioni e nei comportamenti,«così tu torni<br />
alla fonte dell’essere, perciò sii semplice come la pietra».<br />
Semplicità è accendere un camino, ammirare un panorama,<br />
sprofondare nelle gioie della natura, è formaggio e miele, è<br />
pane, burro e marmellata: «si può essere felici anche mangiando<br />
un cibo molto semplice, bevendo acqua pura e avendo come cuscino<br />
il proprio braccio ripiegato» (Confucio). Non è però taverneggiando<br />
o con una certa clownerie intellettuale che ciò sarà<br />
possibile.<br />
Semplicità è fare il viaggio della propria vita con un solo bagaglio,<br />
o magari pur avendone molti, sapersi acconciare ad averne<br />
uno solo ed essere mentalmente e praticamente pronti a questa<br />
evenienza.<br />
Semplicità è tra due ipotesi scegliere la più chiara, tra due forme<br />
quella più semplice, tra due parole la più breve, tra due frasi<br />
quella essenziale.<br />
A volte può bastare uno sciocco qualsiasi per imboccare la via<br />
della complessità, mentre forse serve un genio per fare la cosa<br />
più semplice (P. Seeger), perciò è corretto pensare che la semplicità<br />
è la suprema eccellenza.<br />
Non casualmente Giacomo Leopardi sosteneva che «gli uomini<br />
di molto merito hanno sempre le maniere semplici, e che sempre<br />
le maniere semplici sono prese per indizio di poco merito».<br />
Maniere semplici e parole semplici.<br />
Parole semplici, parole rasoterra, come un pescatore che lancia<br />
un piccolo verme per prendere un bel pesce, per prendere la verità<br />
che è sul fondo. Raymon Queneau che aveva una sua ricetta<br />
cultural-culinaria: «prendete una parola, prendetene due, scaldatele<br />
a fuoco lento, versate la salsa enigmatica, spolverate con<br />
qualche stella, mettete pepe e sale andare a vela».<br />
Parole semplici, a maggior ragione che sempre più spesso si adoperano<br />
vocaboli vuoti, astratti, cadaverici, parole che non aderiscono<br />
alla realtà, alla conoscenza, al sapere, all’anima: sì perché<br />
le parole hanno un’anima e noi dobbiamo darle da mangiare<br />
nell’incavo della mano.<br />
Nel suo memorabile Capodanno d’un prigioniero (1961), dopo<br />
27 anni di prigione nell’inferno del famigerato Hanoi Hilton,<br />
una delle prigioni al mondo dove la tortura è stata più praticata,<br />
il poeta vietnamita Nguyen Chi Thien, così ricorda:<br />
Notte nella giungla,<br />
continua a piovere<br />
i tetti gocciolano,<br />
tremando di freddo<br />
ci abbracciamo le ginocchia,<br />
il punto azzurro<br />
di una lampada ad olio,<br />
il secchio dell’urina<br />
quello degli escrementi,<br />
il letto pieno di insetti<br />
che mordono.