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COMUNICARE L’IMPRESA<br />
De Bortoli: «Lo scandalo Uber<br />
archivia i manager muscolari»<br />
Il presidente della Vidas: «Non è vero che un dirigente capace si misura<br />
dalle sfuriate e dai pugni battuti sul tavolo. Presto alle aziende sarà<br />
necessario poter avere anche una certificazione sociale»<br />
«ABBIAMO TUTTI ESAGERATO, NEGLI ANNI<br />
PASSATI, nell’accettare acriticamente la<br />
visione del manager machista e muscolare<br />
che doveva guardare solo al risultato senza<br />
mai guardare negli occhi i suoi collaboratori.<br />
Non è così. Non funziona, è moralmente<br />
sbagliato e non rende. In particolare,<br />
trovo immorale che in alcune aziende si<br />
incentivino i manager permettendo loro<br />
di monetizzare i risparmi che ottengono<br />
sul costo del lavoro». Ferruccio De Bortoli,<br />
presidente di Vidas e della Longanesi, per<br />
vent’anni direttore di grandi quotidiani<br />
come Il Corriere della Sera e Il Sole 24<br />
Ore, ha idee precise sulle polemiche circa<br />
la leadership nelle aziende, seguita allo<br />
scandalo Uber – con il vertice dimezzato<br />
per vicende di rapporti interni brutali –<br />
e in piccolo, in Italia, alla sorprendente<br />
sentenza con cui la magistratura milanese<br />
ha confermato la giusta causa del<br />
licenziamento di un top-manager dell’Aon<br />
allontanato pur in presenza di ottimi<br />
risultati aziendali perché appunto brutale<br />
nei rapporti con i collaboratori. «Circola<br />
ancora troppo un’idea sbagliata», osserva,<br />
«che cioè il manager capace deve essere<br />
quello che fa sfuriate, picchia pugni sul<br />
tavolo e non accetta mediazioni. È un’idea<br />
semplicistica».<br />
Nata come?<br />
Da un insieme di fattori. C’è stato, fino a prima<br />
della crisi, un lungo periodo nella vita<br />
pubblica e aziendale nel quale l’affermaziodi<br />
Sergio Luciano<br />
ne dell’identità personale o di un gruppo o<br />
di un partito passava attraverso una certa<br />
muscolarità degli atteggiamenti o del linguaggio.<br />
Ci siamo abituati a credere che il<br />
politico più esperto o il manager più capace<br />
dovessero essere dei duri, avere atteggiamenti<br />
politicamente scorretti, diretti e bruschi.<br />
Forse ha inciso il linguaggio televisivo,<br />
mi viene in mente il format di Donald Trump,<br />
“The Apprentice”, con i suoi eccessi…<br />
eppure oggi negli Usa Trump è il presidente,<br />
e in Italia Flavio Briatore, suo amico ed<br />
emulo con la riproposizione italiana di quel<br />
format, appare a molti come un pensatore<br />
della modernità.<br />
Quindi c’è un nesso politica-aziende?<br />
Mi pare evidente. Direi un parallelo calzante<br />
tra politica e aziende. Ci siamo tutti convinti<br />
che di mediazioni si morisse, ci si sentiva<br />
deboli quando si doveva contemperare<br />
interessi di varia natura, pensavamo che il<br />
farlo si sarebbe risolto in un giudizio negativo<br />
su chi lo faceva. Gli assessment fatti dagli<br />
head-hunter e dai consulenti gestionali davano<br />
punteggi migliori ai manager portati a<br />
escludere e a dividere, anziché a quelli che<br />
tentano di includere e unire, il che ha anche<br />
condotto a una stagione di incentivi aziendali<br />
progettati per raggiungere l’efficienza<br />
penalizzando il lavoro, riducendolo al minimo<br />
indispensabile, oppure facendo ristrutturazioni<br />
sanguinose sul piano umano.<br />
Ma come? Nell’era dell’innovazione<br />
galoppante si stracciano i diritti?<br />
Guardiamo ai fatti. Quando le condizioni di<br />
tante aziende, disruptive dal punto di vista<br />
delle tecnologie, rischiano di diventare altrettanto<br />
disruptive anche dal punto di vista<br />
umano, si generano mostri. Del resto, come<br />
spiegarsi altrimenti che, ad esempio, le mitizzate<br />
aziende della Silicon valley siano<br />
così arretrate sul fronte della parità di genere<br />
e che e la prevalenza maschile sia così<br />
forte nelle new tech digitali? Uber è stata in<br />
questo senso un caso tipico, la dominazione<br />
indiscutibile di un’idea tecnologica che<br />
non guarda in faccia a nessuno, spinta da<br />
investitori finanziari che guardano soltanto<br />
all’ultima riga del bilancio, trascurando posti<br />
di lavoro e umanizzazione dei rapporti,<br />
senza porsi limiti… Io penso che invece i limiti<br />
debbano pur esser posti. E credo, e spero,<br />
che arriveremo a una terza generazione<br />
di manager che guardino anche alla sostenibilità<br />
del loro agire.<br />
E come?<br />
Una soluzione, già adottata episodicamente,<br />
è quella di introdurre la valutazione dei manager<br />
da parte dei dipendenti. E del resto,<br />
sarà proprio la tecnologia a portarci in quella<br />
direzione. Quando i robot renderanno<br />
inutile il lavoro a bassa qualificazione, sostituendosi<br />
ad esso, nelle aziende ci saranno<br />
soprattutto dipendenti di cui sarà indispensabile<br />
il coinvolgimento culturale e per<br />
così dire mentale, ci sarà bisogno della loro<br />
convinzione e della loro fiducia, al di là del<br />
rapporto gerarchico e dell’orario di lavoro».<br />
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