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mostra
tempo tante e tali trasformazioni
nella società e
nell’arte da apparire come
una proiezione costruita a posteriori
di un’età divenuta già
leggendaria e le pagine sono
pertanto da leggersi molto in
filigrana. Per fare solo un
esempio, Lloyd ci presenta
Puccini mentre sbadiglia davanti
alle fotografie di opere
di Cézanne e di Van Gogh,
che gli venivano mostrate dal
grande collezionista fiorentino
Gustavo Sforni (1888-
1939) nella cui abitazione era
stato condotto dallo stesso
Lloyd. Ma sarà proprio lo
Sforni, pittore lui stesso e profondo
conoscitore delle tendenze
dell’arte europea contemporanea,
a esprimere un
giudizio antitetico scrivendo
una lettera ad Oscar Ghiglia
nel 1913: “La mia serata a
Livorno è stata bellissima:
ho trovato tutti e ho passato
un paio d’ore con Puccini
che è un vero artista e
con lui si respira: sentirai
quando lo vedrai. Altro che
incoscienza!! Rimarrai sorpreso.
Io credo che quell’uomo
lì è ancora in tempo
a superare di gran lunga
quello che ha fatto fino
ad ora...”.
Invece Gastone Razzaguta,
grande disegnatore (spesso
confrontato col viareggino
Lorenzo Viani), scrittore e
per molti anni segretario del
gruppo Labronico, ha sempre
insistito sulla lucidità e consapevolezza
di Puccini, almeno
fin da quando, nel 1937,
aveva scritto un articolo apparso
sul Corriere del Tirreno,
in cui ricordava tra le altre
cose che Puccini aveva
conseguito con lode il titolo
di Professore in disegno tecnico
presso l’Accademia di
Belle Arti di Firenze e che era
anche un ottimo conoscitore
della lingua francese, insomma
tutt’altro che “uno stravagante,
un mattoide o giù
di lì...”, fatto salvo ovviamente
il quadriennio di internamento
a Siena dove in età
giovanile era stato curato per
problemi psichici e poi dimesso
in salute. Ancora nel capitolo
che gli dedica in “Virtù
degli artisti labronici”
(1943) Razzaguta insiste senza
mezzi termini sul fatto che
Puccini era persona beneducata,
di famiglia benestante,
che “sapeva benissimo
quello che faceva in arte”,
e incolpa chi aveva romanzato
la sua biografia avendo
interesse a presentarlo come
un personaggio “rozzo e
istintivo”.
Vediamo, per farci solo una
pallida idea, alcune opere in
mostra. Un richiamo fattoriano
del “Pio bove” del Museo
Civico di Livorno (fig.1)
si può riscontrare nel giovanile
“Bove giacente” di Puccini
(fig.2), proveniente dalla
ricchissima collezione
Rangoni di Firenze. L’animale
è colto di schiena come nell’acquaforte
del Maestro, ma
diventa protagonista assoluto
dello spazio, da cui sono stati
eliminati il cielo e la campagna
in cui Fattori
lo colloca;
inoltre il
gioco d’ombra
trasforma
il manto bianco
in un colore
azzurro
verdastro del
tutto innaturale,
perché a
Puccini interessano
le
forme e il colore
molto più
del ritratto
naturalistico.
Un simile at-
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Fig. 1 - Giovanni Fattori, Pio Bove, acquaforte su zinco, su carta
pesante chiara, 46,3x66,4 cm, Museo Civico ‘G. Fattori’, Livorno.
Fig. 2 - Mario Puccini, Bove giacente, olio su tavola, 20,3x31,4
cm, collezione Rangoni.
teggiamento è riscontrabile
anche nella produzione più
matura di paesaggio in cui
mancano quasi sempre riferimenti
precisi e di riconoscimento
toponomastico che
un vedutista non avrebbe
mai omesso: i colori sono
sempre più infuocati e stridenti,
come nel pagliaio protagonista
di una scena campestre
che potrebbe essere
stata ripresa ovunque
(fig.3); e quando Puccini dipinge
il porto protagonisti diventano
i riflessi, il cromatismi
delle vele da cui filtra la
luce, i cordami annodati che
talvolta lo strato dell’impasto
ad olio rende quasi in rilie-
Fig. 3 - Mario Puccini, Pagliai, 1914, olio su tavola, 34x50 cm, collezione Rangoni.