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LNS Agosto 2021

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mostra

tempo tante e tali trasformazioni

nella società e

nell’arte da apparire come

una proiezione costruita a posteriori

di un’età divenuta già

leggendaria e le pagine sono

pertanto da leggersi molto in

filigrana. Per fare solo un

esempio, Lloyd ci presenta

Puccini mentre sbadiglia davanti

alle fotografie di opere

di Cézanne e di Van Gogh,

che gli venivano mostrate dal

grande collezionista fiorentino

Gustavo Sforni (1888-

1939) nella cui abitazione era

stato condotto dallo stesso

Lloyd. Ma sarà proprio lo

Sforni, pittore lui stesso e profondo

conoscitore delle tendenze

dell’arte europea contemporanea,

a esprimere un

giudizio antitetico scrivendo

una lettera ad Oscar Ghiglia

nel 1913: “La mia serata a

Livorno è stata bellissima:

ho trovato tutti e ho passato

un paio d’ore con Puccini

che è un vero artista e

con lui si respira: sentirai

quando lo vedrai. Altro che

incoscienza!! Rimarrai sorpreso.

Io credo che quell’uomo

lì è ancora in tempo

a superare di gran lunga

quello che ha fatto fino

ad ora...”.

Invece Gastone Razzaguta,

grande disegnatore (spesso

confrontato col viareggino

Lorenzo Viani), scrittore e

per molti anni segretario del

gruppo Labronico, ha sempre

insistito sulla lucidità e consapevolezza

di Puccini, almeno

fin da quando, nel 1937,

aveva scritto un articolo apparso

sul Corriere del Tirreno,

in cui ricordava tra le altre

cose che Puccini aveva

conseguito con lode il titolo

di Professore in disegno tecnico

presso l’Accademia di

Belle Arti di Firenze e che era

anche un ottimo conoscitore

della lingua francese, insomma

tutt’altro che “uno stravagante,

un mattoide o giù

di lì...”, fatto salvo ovviamente

il quadriennio di internamento

a Siena dove in età

giovanile era stato curato per

problemi psichici e poi dimesso

in salute. Ancora nel capitolo

che gli dedica in “Virtù

degli artisti labronici”

(1943) Razzaguta insiste senza

mezzi termini sul fatto che

Puccini era persona beneducata,

di famiglia benestante,

che “sapeva benissimo

quello che faceva in arte”,

e incolpa chi aveva romanzato

la sua biografia avendo

interesse a presentarlo come

un personaggio “rozzo e

istintivo”.

Vediamo, per farci solo una

pallida idea, alcune opere in

mostra. Un richiamo fattoriano

del “Pio bove” del Museo

Civico di Livorno (fig.1)

si può riscontrare nel giovanile

“Bove giacente” di Puccini

(fig.2), proveniente dalla

ricchissima collezione

Rangoni di Firenze. L’animale

è colto di schiena come nell’acquaforte

del Maestro, ma

diventa protagonista assoluto

dello spazio, da cui sono stati

eliminati il cielo e la campagna

in cui Fattori

lo colloca;

inoltre il

gioco d’ombra

trasforma

il manto bianco

in un colore

azzurro

verdastro del

tutto innaturale,

perché a

Puccini interessano

le

forme e il colore

molto più

del ritratto

naturalistico.

Un simile at-

7

Fig. 1 - Giovanni Fattori, Pio Bove, acquaforte su zinco, su carta

pesante chiara, 46,3x66,4 cm, Museo Civico ‘G. Fattori’, Livorno.

Fig. 2 - Mario Puccini, Bove giacente, olio su tavola, 20,3x31,4

cm, collezione Rangoni.

teggiamento è riscontrabile

anche nella produzione più

matura di paesaggio in cui

mancano quasi sempre riferimenti

precisi e di riconoscimento

toponomastico che

un vedutista non avrebbe

mai omesso: i colori sono

sempre più infuocati e stridenti,

come nel pagliaio protagonista

di una scena campestre

che potrebbe essere

stata ripresa ovunque

(fig.3); e quando Puccini dipinge

il porto protagonisti diventano

i riflessi, il cromatismi

delle vele da cui filtra la

luce, i cordami annodati che

talvolta lo strato dell’impasto

ad olio rende quasi in rilie-

Fig. 3 - Mario Puccini, Pagliai, 1914, olio su tavola, 34x50 cm, collezione Rangoni.

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