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I grandi della
fotografia
A cura di
Maria Grazia Dainelli
Elliott Erwitt
Il maestro della fotografia del Novecento in una conversazione con Biba Giacchetti
di Miriana Carradorini e Maria Grazia Dainelli / foto Elliott Erwitt
Secondo lei, in quale categoria fotografica s’inserisce
l’opera di Elliot Erwitt?
Erwitt si muove all’interno della corrente nata negli anni Venti,
la Straight Photography, nonostante il suo lavoro sia soltanto
in parte assimilabile a quello di altri grandi fotografi del suo
tempo come ad esempio Cartier-Bresson. Egli utilizza molteplici
linguaggi: da quello ironico, che lo ha reso celebre nel
mondo, a quello formale nelle fotografie di architettura, a quello
“umanista” negli scatti che immortalano l’essere umano in
vari contesti sociali. Sono foto che raccontano grandi eventi
che hanno fatto la storia oppure scene private come la celebre
foto della neonata sul letto, che è la sua primogenita Ellen.
Bianca, ha seguito tutti i presidenti
degli USA degli ultimi settant’anni,
da Kennedy ad Obama. Con le
sue immagini ha raccontato le contraddizioni
di questi personaggi
ed alcuni episodi che hanno fatto
scalpore, come il diverbio tra Nixon
e Kruscev, uno scatto che è stato
strumentalizzato perché interpretato
come simbolo della supremazia
culturale e politica americana rispetto
a quella sovietica nel periodo
della Guerra Fredda.
Biba Giacchetti con Elliott Erwitt
Quali sono le principali caratteristiche che rendono riconoscibili
le sue foto?
Direi senz’altro una grande dolcezza visiva e la capacità di narrare
storie senza mai rivelare tutto completamente. È uno dei
rari fotografi i cui scatti sono diventati iconici e immediatamente
riconoscibili come ad esempio il bacio nello specchietto,
il salto sullo sfondo della Tour Eiffel o la locomotiva con lo
sbuffo. Erwitt è contro una certa tipologia di arte fotografica
per comprendere la quale occorre avere le istruzioni d’uso. Per
lui le parole sono davvero insignificanti perché ritiene che la fotografia
debba essere comprensibile in maniera immediata da
tutti. Anche per questo le sue immagini affrontano temi universali
in cui chiunque può riconoscersi. È un fotografo molto sofisticato
pur nell’estrema semplicità dei suoi scatti.
Cosa può dirci a proposito delle foto che ritraggono personaggi
della politica?
Si è interessato di politica pur non avendo mai fatto politica attiva
con la sua fotografia. Essendo stato accreditato alla Casa
Come ha affrontato l’avvento del digitale?
Il suo approccio alla fotografia è rimasto sostanzialmente invariato
perché ha continuato a scattare in analogico servendosi
del digitale soltanto per i lavori commerciali, visti i vantaggi
in termini di velocità, costi e possibilità di intervenire sulle immagini,
per quanto quest’ultimo aspetto non rientri affatto nelle
sue corde. Ancora oggi, Erwitt sviluppa i negativi nel suo
studio e l’unico stampatore da lui autorizzato è l’italiano Roberto
Bernè.
Che differenza c’è tra gli scatti personali e quelli commerciali?
A dire il vero nessuna, perché, come Erwitt stesso sostiene,
una bella foto può nascere in qualunque momento, anche durante
un servizio commerciale. A fare la differenza non è il soggetto
ma il modo di guardare le cose, di riconoscere e catturare
l’immagine interessante, cogliendo i collegamenti significativi
tra le cose, come nella foto del bambino in bicicletta con il nonno
che è stata realizzata per la promozione del turismo in Francia
e che per questo motivo condensa nell’inquadratura alcuni
stereotipi tipici di questa nazione come il basco, la baguette e
il viale alberato che ricorda le campagne della Provenza.
Cosa ha realizzato nel mondo del cinema?
Ha prodotto numerosi documentari partendo dalla ricerca di
situazioni spesso paradossali e sviluppando gli stessi temi
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France (Paris, 1989 / © Elliott Erwitt - Magnum Photos)
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ELLIOTT ERWITT