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Andreě S. Solidor, Self-Portrait with Roach / © Elliott
Erwitt - Magnum Photos)
Japan (Yokohama, 2003 / © Elliott Erwitt - Magnum Photos)
delle fotografie. Il suo intento è stato raccontare le assurdità
del genere umano in modo dissacrante e divertente, unendo
ad una giusta dose di leggerezza l’amore per la verità.
Ci può dire chi è e com’è nato André S. Solidor, l’alter ego
di Erwitt?
Tutto ha avuto origine dal suo scetticismo verso quei fotografi
che paragonano i propri scatti ad opere d’arte, esponendoli
in gallerie importanti in giro per il mondo e vendendoli a cifre
esorbitanti. Queste cose non contano per Erwitt, sono soltanto
un modo per elevare a forma d’arte ciò che non merita di
esserlo, come ad esempio le foto di Cindy Sherman, che a suo
parere hanno un contenuto alquanto discutibile, e di altri fotografi
che invece lavorano su grandi formati senza che questo
abbia un senso. André S. Solidor si diverte a scattare foto digitali
che imitano in maniera ironica queste fantomatiche opere
d’arte, riuscendo anche a venderle e a pubblicarle in un libro.
Che rapporto ha con l’Italia?
Ha un rapporto viscerale perché i suoi genitori, ebrei in fuga
dalla rivoluzione russa, si sono rifugiati e sposati in Italia.
Nato a Parigi, Erwitt ha vissuto a Milano per 13 anni per poi
emigrare negli Stati Uniti a causa del fascismo. Arruolatosi
nell’esercito americano, è stato inviato in Italia e da allora vi
è spesso tornato per viaggi di lavoro e di piacere.
Quali insegnamenti lascia ai fotografi d’oggi e di domani?
L’importanza di applicarsi e di non strafare ma di prendersi il
tempo necessario per osservare il mondo. Guardando le sue
immagini, come quelle di altri grandi della fotografia, cogliamo
una straordinaria eleganza compositiva che è possibile
apprendere soltanto con costanza, esercizio e pazienza. È un
messaggio di gentilezza e di coerenza, anche se la sua vera
eredità non è clonabile perché risiede nel suo occhio, nel suo
cervello e nella sua sensibilità. Erwitt narra l’umanità con rispetto
e con bonaria ironia, diversamente da altri fotografi
che, come Martin Parr ad esempio, raccontano il genere umano
con una narrazione a tratti aggressiva. Le sue foto è come
se dicessero: « Vedi, l’essere umano è fatto di tanti piccoli
momenti, tante piccole felicità: ridiamone insieme . Rispetto,
gentilezza e bellezza: un mix che fa di lui uno dei più importanti
fotografi del Novecento.
Qual è stato il suo atteggiamento nei confronti di critici o
giornalisti che lo hanno intervistato?
È sempre stato molto rispettato ed apprezzato dal pubblico e
dagli addetti del settore. In alcune interviste è capitato che rispondesse
in maniera burbera soprattutto quando gli venivano
poste domande banali che non prevedono alcuna riflessione.
Come considera la fotografia amatoriale?
È molto democratico, nel senso che poco importa chi sia
l’autore della fotografia, se un professionista o un amatore,
l’importante è che sia una foto
fatta bene e con sensibilità.
Come vive la sua notorietà?
È famoso in tutto il mondo,
molto apprezzato in Giappone
e negli Stati Uniti. Ha ricevuto
numerosi riconoscimenti e
può essere considerato a tutti
gli effetti una leggenda vivente.
Non è né presuntuoso né
arrogante, è soddisfatto della
sua vita e non ha rimpianti.
ELLIOTT ERWITT
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