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La Toscana Nuova - ottobre 2021

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Andreě S. Solidor, Self-Portrait with Roach / © Elliott

Erwitt - Magnum Photos)

Japan (Yokohama, 2003 / © Elliott Erwitt - Magnum Photos)

delle fotografie. Il suo intento è stato raccontare le assurdità

del genere umano in modo dissacrante e divertente, unendo

ad una giusta dose di leggerezza l’amore per la verità.

Ci può dire chi è e com’è nato André S. Solidor, l’alter ego

di Erwitt?

Tutto ha avuto origine dal suo scetticismo verso quei fotografi

che paragonano i propri scatti ad opere d’arte, esponendoli

in gallerie importanti in giro per il mondo e vendendoli a cifre

esorbitanti. Queste cose non contano per Erwitt, sono soltanto

un modo per elevare a forma d’arte ciò che non merita di

esserlo, come ad esempio le foto di Cindy Sherman, che a suo

parere hanno un contenuto alquanto discutibile, e di altri fotografi

che invece lavorano su grandi formati senza che questo

abbia un senso. André S. Solidor si diverte a scattare foto digitali

che imitano in maniera ironica queste fantomatiche opere

d’arte, riuscendo anche a venderle e a pubblicarle in un libro.

Che rapporto ha con l’Italia?

Ha un rapporto viscerale perché i suoi genitori, ebrei in fuga

dalla rivoluzione russa, si sono rifugiati e sposati in Italia.

Nato a Parigi, Erwitt ha vissuto a Milano per 13 anni per poi

emigrare negli Stati Uniti a causa del fascismo. Arruolatosi

nell’esercito americano, è stato inviato in Italia e da allora vi

è spesso tornato per viaggi di lavoro e di piacere.

Quali insegnamenti lascia ai fotografi d’oggi e di domani?

L’importanza di applicarsi e di non strafare ma di prendersi il

tempo necessario per osservare il mondo. Guardando le sue

immagini, come quelle di altri grandi della fotografia, cogliamo

una straordinaria eleganza compositiva che è possibile

apprendere soltanto con costanza, esercizio e pazienza. È un

messaggio di gentilezza e di coerenza, anche se la sua vera

eredità non è clonabile perché risiede nel suo occhio, nel suo

cervello e nella sua sensibilità. Erwitt narra l’umanità con rispetto

e con bonaria ironia, diversamente da altri fotografi

che, come Martin Parr ad esempio, raccontano il genere umano

con una narrazione a tratti aggressiva. Le sue foto è come

se dicessero: « Vedi, l’essere umano è fatto di tanti piccoli

momenti, tante piccole felicità: ridiamone insieme . Rispetto,

gentilezza e bellezza: un mix che fa di lui uno dei più importanti

fotografi del Novecento.

Qual è stato il suo atteggiamento nei confronti di critici o

giornalisti che lo hanno intervistato?

È sempre stato molto rispettato ed apprezzato dal pubblico e

dagli addetti del settore. In alcune interviste è capitato che rispondesse

in maniera burbera soprattutto quando gli venivano

poste domande banali che non prevedono alcuna riflessione.

Come considera la fotografia amatoriale?

È molto democratico, nel senso che poco importa chi sia

l’autore della fotografia, se un professionista o un amatore,

l’importante è che sia una foto

fatta bene e con sensibilità.

Come vive la sua notorietà?

È famoso in tutto il mondo,

molto apprezzato in Giappone

e negli Stati Uniti. Ha ricevuto

numerosi riconoscimenti e

può essere considerato a tutti

gli effetti una leggenda vivente.

Non è né presuntuoso né

arrogante, è soddisfatto della

sua vita e non ha rimpianti.

ELLIOTT ERWITT

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