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Amici da vent'anni - MEIC Vercelli

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15<br />

Come una grande vetrata di cattedrale<br />

Passando in rassegna i molti nomi di coloro che hanno<br />

<strong>da</strong>to il proprio apporto ai Settelunedì, spontaneamente<br />

mi sono venute in mente le stupende vetrate delle cattedrali<br />

medioevali. Il pensiero è subito an<strong>da</strong>to alla cattedrale<br />

di Chartres, in particolare alle tre meravigliose vetrate del<br />

XII secolo che, sotto il rosone, dominano il “portail royal”,<br />

situato tra i due campanili. Poi il pensiero è an<strong>da</strong>to a Notre-<br />

Dame di Parigi, cattedrale a me particolarmente cara in<br />

quanto ho passato a Parigi alcuni anni della mia giovinezza.<br />

Spesso, in quei primi anni del mio presbiterato, mi<br />

ritrovavo, quasi senza rendermene conto, in Notre-Dame,<br />

soprattutto per contemplare quelle vetrate <strong>da</strong>i colori vivaci<br />

e animate <strong>da</strong> mille personaggi, affascinato <strong>da</strong> quella straordinaria<br />

capacità di far filtrare la luce dirottandola verso<br />

l’anima, in un ambiente di mistica penombra.<br />

Come una grande vetrata: così mi appare il servizio<br />

culturale che il Meic ha svolto in questi anni a <strong>Vercelli</strong>. La<br />

vivace fantasmagoria di voci diverse non appare una rassegnata<br />

frammentazione di spunti interpretativi chiusi nella<br />

propria presunta autonomia, ma come un insieme armonioso:<br />

l’originalità di ogni singola voce si colloca al suo<br />

posto, su uno sfondo verso cui tutto converge.<br />

Come nelle vetrate medioevali, nei Settelunedì emerge<br />

in primo luogo la luce, ovvero l’intelligenza, la riflessione,<br />

le implicanze intellettuali dell’esperienza cristiana.<br />

“Quoniam fides, si non cogitetur, nulla est”, afferma in<br />

modo perentorio sant’Agostino nel suo De<br />

praedestinatione sanctorum (11, 5). La fede è nulla se<br />

non si confronta, se non si esprime, se non si irrobustisce<br />

attraverso l’intelligenza e la riflessione.<br />

Ma la luce penetra nell’anima in un contesto di penombra,<br />

ovvero attraverso l’interiorità, la profondità, il silenzio.<br />

Una penombra che conduce all’invisibile, la cui miste-<br />

riosa luce è ancora più viva di quella che gli occhi possono<br />

scorgere. Nella penombra la fede appare nel suo nudo<br />

affi<strong>da</strong>rsi e nel suo umile invocare. Ancora sant’Agostino ci<br />

viene in aiuto: è Dio che attira a sè le persone. Perché Dio<br />

è “intimior intimo meo”, più interiore a me di quanto non<br />

sia io a me stesso. D’altronde già negli Atti degli Apostoli<br />

troviamo scritto: “Dio non è lontano <strong>da</strong> noi. In lui infatti<br />

viviamo, ci muoviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (At. 17,<br />

28). E allora gli occhi si chiudono e i sensi tacciono - il<br />

silenzio, la contemplazione, la mistica - per “sentire” e “conoscere”<br />

ciò che più importa, per ascoltare la Parola eterna<br />

che si è fatta storia.<br />

Come nelle vetrate delle grandi cattedrali medioevali si<br />

attua la transizione tra l’esterno e l’interno, tra i colori armoniosi<br />

della luce e le risonanze dell’anima, così il Meic di<br />

<strong>Vercelli</strong> ha offerto una straordinaria opportunità di<br />

accostamento e di transizione tra due ermeneutiche: quella<br />

che si richiama alla Parola di Dio e rinvia all’esperienza<br />

cristiana originaria e fon<strong>da</strong>trice e quella dell’esistenza storica<br />

che rinvia all’esperienza stessa del vivere umano come<br />

tale. L’accostamento, anzi la messa in relazione, mutua e<br />

critica, di queste due ermeneutiche esige un dialogo serio<br />

tra le due esperienze. Forse questo dialogo è avvenuto più<br />

su un versante, quello dell’esperienza cristiana che si è<br />

aperta e confrontata con i problemi che il vivere odierno<br />

pone. Minor attenzione al dialogo, invece, <strong>da</strong> parte dell’altro<br />

versante, quello dell’esperienza umana come è vista e<br />

vissuta <strong>da</strong>gli uomini di oggi, in particolare <strong>da</strong> chi si colloca<br />

in una cultura laica. Questa cultura è risultata meno propensa<br />

a mettersi in questione e a lasciarsi illuminare, e<br />

cioè, in ultima analisi, a far emergere il suo senso attraverso<br />

l’ascolto, il confronto e la critica. Forse anche questo è<br />

un “segno dei tempi”, come lo è il fatto che Giovanni Pa-

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