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Come una grande vetrata di cattedrale<br />
Passando in rassegna i molti nomi di coloro che hanno<br />
<strong>da</strong>to il proprio apporto ai Settelunedì, spontaneamente<br />
mi sono venute in mente le stupende vetrate delle cattedrali<br />
medioevali. Il pensiero è subito an<strong>da</strong>to alla cattedrale<br />
di Chartres, in particolare alle tre meravigliose vetrate del<br />
XII secolo che, sotto il rosone, dominano il “portail royal”,<br />
situato tra i due campanili. Poi il pensiero è an<strong>da</strong>to a Notre-<br />
Dame di Parigi, cattedrale a me particolarmente cara in<br />
quanto ho passato a Parigi alcuni anni della mia giovinezza.<br />
Spesso, in quei primi anni del mio presbiterato, mi<br />
ritrovavo, quasi senza rendermene conto, in Notre-Dame,<br />
soprattutto per contemplare quelle vetrate <strong>da</strong>i colori vivaci<br />
e animate <strong>da</strong> mille personaggi, affascinato <strong>da</strong> quella straordinaria<br />
capacità di far filtrare la luce dirottandola verso<br />
l’anima, in un ambiente di mistica penombra.<br />
Come una grande vetrata: così mi appare il servizio<br />
culturale che il Meic ha svolto in questi anni a <strong>Vercelli</strong>. La<br />
vivace fantasmagoria di voci diverse non appare una rassegnata<br />
frammentazione di spunti interpretativi chiusi nella<br />
propria presunta autonomia, ma come un insieme armonioso:<br />
l’originalità di ogni singola voce si colloca al suo<br />
posto, su uno sfondo verso cui tutto converge.<br />
Come nelle vetrate medioevali, nei Settelunedì emerge<br />
in primo luogo la luce, ovvero l’intelligenza, la riflessione,<br />
le implicanze intellettuali dell’esperienza cristiana.<br />
“Quoniam fides, si non cogitetur, nulla est”, afferma in<br />
modo perentorio sant’Agostino nel suo De<br />
praedestinatione sanctorum (11, 5). La fede è nulla se<br />
non si confronta, se non si esprime, se non si irrobustisce<br />
attraverso l’intelligenza e la riflessione.<br />
Ma la luce penetra nell’anima in un contesto di penombra,<br />
ovvero attraverso l’interiorità, la profondità, il silenzio.<br />
Una penombra che conduce all’invisibile, la cui miste-<br />
riosa luce è ancora più viva di quella che gli occhi possono<br />
scorgere. Nella penombra la fede appare nel suo nudo<br />
affi<strong>da</strong>rsi e nel suo umile invocare. Ancora sant’Agostino ci<br />
viene in aiuto: è Dio che attira a sè le persone. Perché Dio<br />
è “intimior intimo meo”, più interiore a me di quanto non<br />
sia io a me stesso. D’altronde già negli Atti degli Apostoli<br />
troviamo scritto: “Dio non è lontano <strong>da</strong> noi. In lui infatti<br />
viviamo, ci muoviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (At. 17,<br />
28). E allora gli occhi si chiudono e i sensi tacciono - il<br />
silenzio, la contemplazione, la mistica - per “sentire” e “conoscere”<br />
ciò che più importa, per ascoltare la Parola eterna<br />
che si è fatta storia.<br />
Come nelle vetrate delle grandi cattedrali medioevali si<br />
attua la transizione tra l’esterno e l’interno, tra i colori armoniosi<br />
della luce e le risonanze dell’anima, così il Meic di<br />
<strong>Vercelli</strong> ha offerto una straordinaria opportunità di<br />
accostamento e di transizione tra due ermeneutiche: quella<br />
che si richiama alla Parola di Dio e rinvia all’esperienza<br />
cristiana originaria e fon<strong>da</strong>trice e quella dell’esistenza storica<br />
che rinvia all’esperienza stessa del vivere umano come<br />
tale. L’accostamento, anzi la messa in relazione, mutua e<br />
critica, di queste due ermeneutiche esige un dialogo serio<br />
tra le due esperienze. Forse questo dialogo è avvenuto più<br />
su un versante, quello dell’esperienza cristiana che si è<br />
aperta e confrontata con i problemi che il vivere odierno<br />
pone. Minor attenzione al dialogo, invece, <strong>da</strong> parte dell’altro<br />
versante, quello dell’esperienza umana come è vista e<br />
vissuta <strong>da</strong>gli uomini di oggi, in particolare <strong>da</strong> chi si colloca<br />
in una cultura laica. Questa cultura è risultata meno propensa<br />
a mettersi in questione e a lasciarsi illuminare, e<br />
cioè, in ultima analisi, a far emergere il suo senso attraverso<br />
l’ascolto, il confronto e la critica. Forse anche questo è<br />
un “segno dei tempi”, come lo è il fatto che Giovanni Pa-