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In Australia la campagna contro l’immigrazione<br />

italiana era ferocissima.<br />

Nel 1925 un inviato del Corriere della<br />

sera ci racconta che al congresso dell’Australian<br />

Native Association il presidente<br />

tuona: “Noi non vogliamo che le condizioni<br />

sociali ed economiche dell’Australia<br />

siano minate da un inevitabile incrocio<br />

con stranieri, incapaci di sentire le nostre<br />

tradizioni, di rispettare la nostra bandiera”<br />

e alla fi ne dell’assemblea un ordine<br />

del giorno invoca “...il divieto d’immi-<br />

grazione in Australia per le razze non affi<br />

ni e non confacentesi.” Cioè la nostra, la<br />

razza dei “pelle oliva”, com’era defi nita.<br />

Ma Stella ci ricorda che “...si trattava in<br />

larghissima maggioranza, sia detto per<br />

la memoria corta dei razzisti nostrani, di<br />

lombardi, piemontesi, veneti...”<br />

E poi c’è la dolorosa storia dei bambini,<br />

schiavizzati, imprigionati a pulire i<br />

camini di tutta Europa, costretti a strillare<br />

i titoli dei giornali agli angoli delle<br />

strade, piegati a pulire scarpe, sotterrati<br />

MONFALCONE international<br />

I<br />

pregiudizi non risparmiarono nessuno,<br />

non era una questione di provenienza,<br />

gli italiani emigravano da tutte<br />

le regioni del paese, non faceva alcuna<br />

differenza. Ho in mente i racconti dei<br />

miei prozii emigrati da Panzano in Australia<br />

e ricordo le lunghe chiacchierate,<br />

quando lavoravo in Carnia, con gli uomini<br />

del paese: con le lacrime agli occhi<br />

quasi si vergognavano di parlare di ciò<br />

che avevano subito in Francia, Svizzera,<br />

Lussemburgo, Germania...<br />

Una vignetta della rivista “Nebelspater”, 1894. Il titolino recita:<br />

”Un idillio di italiche canaglie”. Nella foto scattata nel 1958 a Saarbrucken, alla fi nestra di un club si legge chiaramente il<br />

divieto d’ingresso per gli italiani in due lingue. “Si tratta solo di un esempio: simili avvisi, in Germania e soprattutto in Svizzera,<br />

erano frequentissimi”.<br />

Anche noi siamo stati clandestini, un<br />

esempio? Solo uno dei tanti. Nel dopoguerra<br />

almeno 80 italiani al giorno<br />

cercavano di attraversare il confi ne<br />

francese, la situazione era tale che i francesi<br />

allestirono un centro di accoglienza a<br />

Mentone: “Un immondo casermone dove<br />

le camere offrono come confort un po’ di<br />

paglia umida, vento gelido garantito a tutti<br />

i piani, vetri alle fi nestre serviti come<br />

obiettivi a tutte le artiglierie del mondo.”<br />

Molti non sopravvissero al freddo, alla<br />

fame e alla fatica del viaggio organizzato<br />

dai passeur “che fornivano ai clandestini,<br />

a carissimo prezzo, tutto il necessario:<br />

passaporti falsi, visti autentici ma illegali,<br />

rilasciati da funzionari corrotti...”<br />

nelle miniere, venduti ai vetrai francesi...<br />

Venduti, sì, venduti alle fornaci “...<br />

della Baviera, dell’Austria, dell’Ungheria,<br />

della Croazia; dalla sola provincia<br />

di Udine ne partivano più di 5000<br />

l’anno, presentavano spesso documenti<br />

con la data di nascita falsa e venivano<br />

falcidiati dagli incidenti sul lavoro...”<br />

Venduti ai piccoli imprenditori edili<br />

svizzeri che “...in pratica lavoravano<br />

solo con i bambini” refrattari all’educazione<br />

scolastica.<br />

Una vignetta pubblicata dallo svizzero “Nebelspalter” di Zurigo<br />

il 22 giugno 1898. Titolo: “Evviva! I “bocia” devono fi nalmente<br />

andare a scuola”. Testo: “Il piccolo “tschingg” italiano: noi<br />

non vuole andare a squola, vuole portare sacchi di malta, mangiare<br />

polenta sulle impalcature. Ricevere soldini il sabato essere<br />

molto meglio. La squola non serve a niente”.<br />

Certo! Sono storie d’altri tempi, ma non<br />

sembrano quelle di oggi? Quelle che leggiamo<br />

o ascoltiamo quotidianamente con<br />

indifferenza o addirittura con una certa<br />

irritazione? E la percezione di essere invasi<br />

da un’orda che ci mette in pericolo<br />

non è la stessa? A me pare proprio di sì.<br />

Alpi 1946 “Nella fotografi a, tratta da una rivista francese del<br />

1946 conservata al “Corriere della Sera”, un gruppo di emigranti<br />

italiani percorre in fi la indiana un sentiero di alta montagna,<br />

già coperto dalla prima neve, per passare in Francia.”<br />

Tratto da “L’orda, quando gli albanesi eravamo noi”, Gian Antonio Stella, Rizzoli, 2002.<br />

aprile 2009 • M T•<br />

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