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MONFALCONE INTERNATIONAL<br />

IntegrAZIONI [di Giacomo Cuscunà]<br />

Foresti a mofalcon<br />

Incominciare a conoscere la comunità bengalese<br />

di Monfalcone: l’unica via per l’integrazione<br />

Quella presente nel comune di Monfalcone è<br />

una delle comunità bengalesi più rilevanti<br />

sia a livello nazionale che internazionale.<br />

I fl ussi migratori che partono dal Bangladesh si<br />

dirigono in tutto il mondo: Canada, Stati Uniti,<br />

Australia, Nuova Zelanda, ma i maggiori rimangono<br />

quelli per Regno Unito e Italia, con<br />

particolare riferimento al Friuli Venezia Giulia.<br />

I cittadini originari del Golfo del Bengala nella<br />

Città dei Cantieri sono infatti circa 1200, 3000<br />

se si considera l’intera provincia.<br />

Lo spostamento di importanti gruppi di persone<br />

da quell’area geografi ca cominciò all’inizio degli<br />

anni ‘80 e le rotte seguite dai migranti passavano<br />

attraverso l’Unione Sovietica, la Bulgaria<br />

e i Balcani, per poi raggiungere l’Italia attraverso<br />

i valichi di Tarvisio, Udine e Trieste. Per più<br />

di un decennio l’arrivo era quasi interamente di<br />

clandestini che si trovavano a vivere nei primi<br />

mesi di permanenza in Italia senza alcuna tutela.<br />

Dopo l’approvazione della Legge 189/2002,<br />

la cosiddetta Bossi-Fini, e le successive disposizioni<br />

adottate in materia di immigrazione, le<br />

maglie dei controlli si sono ristrette e ora le entrate<br />

sono per lo più di regolari con permesso<br />

di soggiorno e contratto di lavoro o di loro cari,<br />

grazie ai ricongiungimenti familiari.<br />

In Bangladesh la popolazione, dal punto di vista<br />

religioso, è suddivisa in cinque gruppi: Sunniti<br />

(82%), Sciiti (6%), Induisti (11%), Buddisti<br />

(0,6%), Cristiani Cattolici (0,4%). Nella provincia<br />

di Gorizia la presenza è più omogenea,<br />

contando quasi esclusivamente persone di credo<br />

sunnita provenienti principalmente da tre regioni<br />

contigue dello stato asiatico: Kishor Gonj,<br />

Narsingdi e Brahman Baria. Questi sono distretti<br />

dell’area centro-settentrionale del paese: tra i<br />

meno sviluppati e con una situazione socio-sanitaria<br />

piuttosto precaria.<br />

Le storie che stanno dietro a questa migrazione<br />

sono le stesse che animano i racconti di chi attraversa<br />

il Mediterraneo sulle carrette del mare e<br />

sbarca sulle coste di Lampedusa. Le stesse sto-<br />

26 • M T•<br />

aprile 2009<br />

rie raccontate dagli immigrati Italiani sulle banchine<br />

del porto di Nuova York, quando i nostri<br />

piroscafi solcavano l’Atlantico: tutte le persone<br />

che decidono di partire, lo fanno per cercare di<br />

migliorare il proprio stile di vita e quello della<br />

propria famiglia. E questo vale anche per gli immigrati<br />

bengalesi di Monfalcone.<br />

Lo scopo primario che li spingeva a partire negli<br />

anni ‘80 era quello di racimolare abbastanza denaro<br />

per tornare in patria e avviare un’attività in<br />

proprio, con una certa sicurezza economica alle<br />

spalle. Una volta arrivati qui, però, le prospettive<br />

cambiavano poichè la situazione trovata non<br />

era comparabile a quella che si erano lasciati<br />

alle spalle: si intravedeva la possibilità di una<br />

buona scuola per i fi gli, di un lavoro economicamente<br />

importante rispetto agli standard del paese<br />

d’origine, di una casa e anche di poter vivere<br />

una realtà democratica maggiormente garantita.<br />

Tutto ciò ha convinto i migranti a prendere in<br />

considerazione l’opportunità di cercare una situazione<br />

più stabile nel paese ospitante, sia da<br />

un punto di vista lavorativo che abitativo, e di<br />

iniziare una nuova vita, facendosi raggiungere<br />

anche dalla propria famiglia.<br />

La comunità bengalese, nel primo periodo, ha<br />

rappresentato una novità nel panorama dei migranti<br />

insediati sul territorio, che tradizionalmente<br />

erano di origine slava, albanese o nord<br />

africana. Questo non ha di certo favorito la<br />

loro integrazione, anzi, ha alimentato un clima<br />

di diffi denza che rendeva ancor più diffi cile la<br />

ricerca di un alloggio. L’occupazione, invece,<br />

non è mai stato un problema: il Bangladesh è<br />

fi rmatario con l’Italia di un trattato bilaterale<br />

che riserva una quota del mercato del lavoro italiano<br />

ai propri immigrati, che rappresentano un<br />

importante bacino di manodopera a basso costo,<br />

che può far comodo alle industrie operanti sul<br />

territorio.<br />

In generale la comunità bengalese presente nel<br />

Mandamento non ha mai dato segni di disagio<br />

sociale o creato gravi problemi di ordine pub-<br />

blico. Le accuse di essere la causa principale<br />

dell’aumento dei fenomeni di microcriminalità<br />

(e non solo) fatte da alcune parti politiche denotano<br />

una generalizzazione pericolosa. Se è vero<br />

che un numero rilevante di atti illeciti è compiuto<br />

da stranieri, è anche vero che tra i fermati<br />

il numero di Bengalesi è quasi inesistente. La<br />

deriva xenofoba e la paura dello straniero (il<br />

foresto) che va diffondendosi si sta insinuando<br />

anche nella nostra realtà bisiaca, frenando quel<br />

processo naturale di conoscenza dell’altro, che<br />

ha da sempre caratterizzato queste terre, storici<br />

centri di convivenza tra genti diverse.<br />

Non è possibile ignorare la necessità di avviare<br />

una rifl essione seria che prenda in considerazione<br />

le dinamiche ed i bisogni dei migranti<br />

del Friuli Venezia Giulia e di Monfalcone in<br />

particolare. La comunità musulmana (non solo<br />

Bengalesi, ma anche Kosovari, Magrebini...)<br />

ormai, rappresenta il 7% del totale dei residenti<br />

in città (secondo dati pubblicati dal Messaggero<br />

Veneto il 9 Dicembre 2008), e tale percentuale<br />

è destinata a salire nei prossimi anni. Le polemiche<br />

che hanno infarcito i quotidiani locali<br />

sull’eventualità di costruire una moschea nel<br />

territorio comunale sono solo uno dei sintomi<br />

della miopia che sta gradualmente manifestandosi<br />

anche nelle nostre zone.<br />

Che ormai ci sia la reale necessità di creare un<br />

luogo adeguato ai bisogni della comunità islamica<br />

di Monfalcone risulta, a chi scrive, un fatto.<br />

Prova ne sia il fatto che in occasione di importanti<br />

ricorrenze religiose come la Festa del<br />

sacrifi cio o quella che celebra la conclusione del<br />

digiuno del Ramadan, si ripresenti il problema<br />

di trovare uno spazio che permetta ai fedeli di<br />

potersi riunire e pregare assieme.<br />

La creazione di un centro culturale islamico<br />

sembra quasi un tabù, del quale è meglio non<br />

parlare. In realtà un’istituzione del genere potrebbe<br />

rappresentare la via più concreta verso<br />

l’integrazione: punto di riferimento sia per la<br />

comunità musulmana, sia per chi quella comunità<br />

voglia cominciare a conoscerla senza pregiudizi.<br />

In Bangladesh comunque, la pratica della fede<br />

cristiana è garantita e i luoghi di culto sono presenti<br />

sul territorio. Sarebbe curioso che proprio<br />

l’Italia, che amiamo defi nire una democrazia<br />

moderna e laica, crei tanti problemi ad una<br />

comunità così importante, che chiede solo la<br />

possibilità di esercitare uno dei principi cardine<br />

della nostra Costituzione: la Libertà di Culto<br />

(art. 8 e 19).<br />

Uno specchio del cambiamento della popolazione<br />

monfalconese lo troviamo nelle classi delle<br />

scuole materne ed elementari del comune. Da<br />

una ricerca svolta da alcuni studenti del corso di<br />

laurea in scienze internazionali e diplomatiche<br />

di Gorizia risulta ad esempio che “la scuola primaria<br />

Toti di Monfalcone è frequentata da 200<br />

alunni provenienti da 19 Stati diversi. Gli stranieri<br />

sono 23 e i più numerosi sono proprio i bengalesi<br />

(5 alunni).” I bambini nella scuola hanno<br />

cominciato a conoscersi: giocano e studiano assieme.<br />

Per una volta dovremmo imparare da loro:<br />

collaborare per attuare politiche che favoriscano<br />

l’integrazione e la condivisione con l’altro, senza<br />

essere schiavi di ideologie o paure ingiustifi -<br />

cate. ❒

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