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Intervista a Massimo Piran,<br />
cantante e chitarrista [di<br />
Ciao Massimo, ci spieghi un po’ come ti sei<br />
avvicinato al canto e al tuo strumento secondario,<br />
la chitarra elettrica e acustica?<br />
Be’ in verità la chitarra la uso per nascondermi,<br />
non ho queste grandi velleità di virtuoso. Mi è<br />
sempre piaciuta la musica, provengo infatti da<br />
una famiglia in cui è sempre stata presente, mio<br />
padre suonicchiava e ha sempre amato cantare,<br />
così sotto questo influsso a 5-6 anni già cantavo<br />
e iniziai a suonare ad orecchio una tastierina<br />
che era a casa, ma studiare musica nel senso<br />
“didattico” (teoria e solfeggio puro) non è mai<br />
stato nelle mie corde, così fallì il tentativo di<br />
mio padre di farmi studiare pianoforte.<br />
Quali artisti ti hanno influenzato maggiormente<br />
nel tuo sviluppo artistico?<br />
Il canto è una cosa che avevo dentro di me, un<br />
dono di natura, quindi diciamo che si è sviluppato<br />
quasi da solo, per quanto riguarda la chitarra,<br />
abbandonato il piano iniziai a strimpellare<br />
la chitarra che mio padre teneva in casa,<br />
imparando i primi rudimenti da lui. La folgorazione<br />
vera e propria avvenne con la scoperta<br />
di Neil Young, che a 13 anni mi fecero sentire<br />
degli amici. Il disco che me lo fece conoscere<br />
era “Harvest” (1971), appena sentito pensai:<br />
“Cazzo, ma davvero si può suonare la chitarra<br />
acustica a quel modo?”. Era un modo di suonare<br />
che non avevo mai sentito, con l’uso di accordature<br />
aperte, di tecniche di stoppatura del<br />
polso, del fingerpicking (tecnica che permette<br />
di suonare armonia e melodia insieme), la plettrata<br />
mista (plettro + dita). Col fingerpicking<br />
una chitarra che suonava sembrava lavorasse<br />
per tre, permettendo di riprodurre la base del<br />
basso, la base ritmica, armonie e melodie.<br />
Passando all’elettrica invece?<br />
Dopo la scoperta di Neil Young per 5 anni<br />
buoni non ho voluto saperne. Poi però nell’84<br />
mi innamorai di una Gibson Les Paul Deluxe<br />
dorata, soprattutto perché mi ricordava sempre<br />
Neil [V. la famosa Old Lady, Les Paul Goltop<br />
1957 in origina dorata, riverniciata nera, inseparabile<br />
compagna dell’artista canadese. Ndr.].<br />
Ma la usavo poco, vuoi perché non la sentivo<br />
come il mio strumento, ma soprattutto perché<br />
ero ancora nel periodo di approfondimento del<br />
mondo della chitarra acustica. Anche se mi ricordo<br />
molti sabati sera passati a casa a suonare<br />
sopra a “Live Rust” (1979) [celebre album dal<br />
vivo di Young, diviso in due parti: una elettrica<br />
e una acustica, Ndr.], dove suonavo l’acustica,<br />
l’elettrica e anche il piano. Poi però coi ragazzi<br />
con cui giravo all’epoca, decidemmo di fare<br />
un gruppo, ma eravamo tre chitarristi, gli altri<br />
due decisero di passare a basso e batteria e così<br />
io fui costretto ad accompagnare la voce alla<br />
chitarra. Così presi una Fender Stratocaster del<br />
1979, che ancora mi accompagna ed iniziai a<br />
prendere lezioni. A 19 anni sono stato anche in<br />
Inghilterra per un corso di chitarra per 4 mesi,<br />
è stata un’esperienza interessante, anche per-<br />
ché ho imparato più cose frequentando ragazzi<br />
di Londra che le lezioni, che erano molto approssimative.<br />
Al ritorno poi ho iniziato a fare<br />
pianobar, che ha arricchito la mia conoscenza<br />
armonica e la capacità improvvisativa, premetto<br />
però che mi considero un esecutore e non un<br />
musicista, ormai ho passato l’ideale adolescenziale<br />
di fare il musicista di successo.<br />
Comunque diciamo che mi sento vicino a Neil<br />
Young più che altro come figura di cantantechitarrista<br />
acustico, più che elettrico, visto che<br />
non lo considero propriamente tale. Dall’altro<br />
lato non posso negare di avere avuto spunti<br />
interessanti per l’elettrica da artisti pop rock<br />
anni’80 e ’90 come i Police e gli U2. Mi trovo<br />
così ad avere due anime, una legata alla musica<br />
inglese e una americana “westcostiana”.<br />
Ci parli un po’ di un’esperienza particolare della<br />
tua carriera, ovvero l’apparizione in Rai?<br />
Nel 1990 un gruppo locale che si chiamava<br />
Flexy Gang ebbe un ingaggio, grazie all’interessamento<br />
di Sergio Bardotti [Famoso paroliere<br />
italiano deceduto nel 2007 e assiduo<br />
collaboratore di Baudo, Ndr.], per un programma<br />
televisivo che si chiamava “Gran Premio”,<br />
condotto da Pippo Baudo. Il leader del gruppo<br />
si chiamava Mauro Radigna ed era il vocalist<br />
nonché chitarrista. Facevano Ska, riproponendo<br />
vecchi pezzi italiani degli anni ’50-‘60 in<br />
nuove vesti. Il contratto aveva una durata di 4<br />
mesi, da gennaio ad aprile, ma Radigna, dopo le<br />
prime puntate, non era soddisfatto della piega<br />
che avevano preso gli eventi e lasciò il gruppo.<br />
Così Lucio Cosentino, il batterista, mi chiamò<br />
per sostituire il membro dimissionario alla chitarra,<br />
per rispettare gli impegni presi ed evitare<br />
penali con la Rai. Accettai e fu un’esperienza<br />
interessante, soprattutto per comprendere i<br />
meccanismi del dietro le quinte del sistema.<br />
Il gruppo cambiò quindi nome in Grand Flexy<br />
Meet Circus Band, perché al gruppo subentra-<br />
4/4<br />
Massimiliano Moschin]<br />
rono un cantante ex mangiafuoco, un suonatore<br />
di buzuki e un fisarmonicista. Il pezzo che registrammo<br />
fu “Ankara”, di stampo rock balcanico.<br />
Lasciai il gruppo conclusa l’esperienza, che<br />
ricordo comunque con piacere.<br />
Che ne pensi della situazione attuale della<br />
musica?<br />
Credo che già dall’iniziò degli anni ’90 si sia<br />
manifesta una crisi che si è aggravata sempre<br />
di più a partire dalla metà del decennio, che recentemente<br />
si può ben vedere con programmi<br />
come X-Factor, per citarne uno, dove si bada<br />
sempre meno al talento e alla bravura prediligendo<br />
fattori estetici o comunque qualità in grado<br />
di “bucare il video”. Purtroppo, e non voglio<br />
fare il nostalgico, difficilmente la musica degli<br />
ultimi 15 anni riesce a comunicare emozioni<br />
all’ascolto, oggi bisogna prendere, consumare<br />
e buttare via, la gente non ha tempo per ascoltare<br />
con calma e credo che sia anche per questo<br />
che la musica sia standardizzata e uniformata<br />
all’apparire piuttosto che all’essere. Il problema<br />
quindi non è entrare nell’industria musicale,<br />
ma mantenersi in vita all’interno di quel mondo<br />
che tende a travolgere gruppi e cantanti con la<br />
velocità con lui li ha spinti al successo.<br />
In che situazioni live possiamo vederti?<br />
Mantengo l’attività di pianobar, se vogliamo<br />
chiamarla ancora così oggi, poi continuo col famoso<br />
gruppo di amici sopraccitato, gli Special<br />
Plate, dove facciamo cover pop rock straniere e<br />
italiane e con la Becher Blues Band, dove suoniamo<br />
musica West Coast. Purtroppo oggi però<br />
i locali guardano molto a gruppi che attirano<br />
gente e quindi spesso un gruppo che “funziona”<br />
non è detto che sia formato da eccelsi musicisti,<br />
ma basta che riempiano il locale di amici assetati!<br />
Difficilmente poi si trova gente veramente<br />
attenta alla musica perché, e non voglio esser<br />
retorico, in questa zona la musica non è un pilastro<br />
della cultura e dell’identità culturale.<br />
Per concludere, cosa consiglieresti a chi vuole<br />
avvicinarsi al mondo della musica, oggi<br />
poi dove molti ragazzi subiscono molte pressioni<br />
o vengono idolatrati per poi finire nel<br />
dimenticatoio?<br />
Non do consigli perché credo che bisogna provare<br />
sulla propria pelle determinate esperienze.<br />
Spesso tanti ragazzi vengono spinti da chi hanno<br />
alle spalle e si trovano in situazioni davvero<br />
difficili da gestire, il mondo della musica è in<br />
continuo movimento ed è difficile orientarvisi.<br />
Alla Rai ho visto cose davvero assurde, genitori<br />
che accompagnavano i figli facendo di tutto per<br />
far sì che i loro piccoli talenti facessero strada.<br />
Alla fine quindi, è l’esperienza che conta, sia<br />
per comprendere i propri limiti che le proprie<br />
qualità e poi aver tenacia se si crede in un progetto.<br />
Soprattutto, oltre alla tecnica necessaria,<br />
serve riuscire a dare qualcosa, a comunicare<br />
emozioni, colpire nel segno nel cuore e nell’animo<br />
delle persone. ❒<br />
aprile 2009 • M T<br />
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