Doppia anima

la California, che i genitori,
quando morì a Monza al Gran
Premio del 1961, disposero che
il corpo fosse accompagnato alla
sepoltura sulla sua spider
preferita, targata Modena.
La linea della California era
perfetta, immacolata, senza una
sbavatura o qualcosa che
potesse, anche solo
lontanamente, fare arricciare il
naso. Sergio Scaglietti l’aveva
realizzata di getto e l’alternarsi
di linee tonde, rese appena
aggressive dalle affusolate pinne
che sottolineavano i parafanghi
posteriori, erano destinate a
diventare un emblema di stile
automobilistico.
Innamoramenti perduti.
Possederla è l’appagamento
della passione per l’automobile
e per il bello: per lei c’è chi ha
fatto carte false (nel vero senso
della parola, al tavolo da gioco),
scritto libri, ricavato garage
all’interno di salotti, ricostruito
le parti in acciaio con quello
inox, per prevenire la ruggine.
I 103 esemplari costruiti dal
1958 al 1963 sono oggetto del
desiderio dei collezionisti più
incalliti e danarosi: chi ancora
non ha la California nel suo
garage la vuole e chi ce l’ha
difficilmente se ne libera.
Oggi come allora la caccia è
aperta perché quello di
mantenere viva la passione è il
destino dei capolavori e la
California è una vera opera
d’arte.
26 marzo 1960, “12 Ore” di Sebring: due Ferrari 250 California “passo
lungo” corrono sul circuito americano tracciato sulla pista di un
aeroporto. A fine gara, con il numero 17, la spider argentea di George
Reed e Alan Connell si classifica 5^ assoluta. Tre posti più indietro, la
n° 16, la California rossa della Scuderia Serenissima, pilotata da
Giogio Scarlatti, Fabrizio Serena e Carlo Mario Abate
Granturismo 45