Ricordi Canciani 1950-1978 - associazione pionieri e veterani eni
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22 - Tunisia, breve missione a El Borma<br />
Gli Operatori Halliburton dipendenti Agip erano solamente in cinque, insufficienti per fare<br />
fronte alle numerose esigenze operative in vari paesi all’Estero. L’Eni aveva ottenuto in<br />
quel periodo una nuova concessione di ricerche petrolifere in Tunisia, nel Sud del paese, in<br />
una zona chiamata El Borma: Da pochi mesi, un impianto Ideco Super 7/11 aveva iniziato la<br />
trivellazione di un pozzo esplorativo. Il 1° Aprile 1964 passai di nuovo in forza al Servizio<br />
Perforazione; partii il giorno stesso per la Tunisia, una breve missione di un mese per dare il<br />
cambio all’operatore Begani che rientrava in Italia per un breve periodo di ferie.<br />
Il viaggio in aereo da Milano era di circa tre ore, poco più di un’ora da Roma a Tunisi. Da<br />
qui proseguii dopo due giorni il viaggio per El Borma, con un aereo DC3 che atterrò su una<br />
improvvisata pista di atterraggio vicina al cantiere. Il nome di “El Borma”, che in arabo è la<br />
pentola, era a mio parere molto appropriato: un misto di affioramento roccioso e sabbia,<br />
circondato da una corona di dune, che verso Sud Est facevano parte del Sahara. All’interno<br />
di questa pentola, vicino all’impianto, il campo organizzato con il sistema già collaudato in<br />
altri cantieri dell’Agip.<br />
Per quanto concerne il mio lavoro, la cementatrice era un’unità Halliburton fissa, sistemata<br />
a terra vicino all’impianto.<br />
Il pozzo El Borma 1 ripreso da due diverse prospettive, lato affioramento e lato dune di sabbia.<br />
Il passatempo preferito al campo: assistere alla lotta fino alla morte tra uno scorpione e una<br />
vipera cornuta dentro un cerchio di fuoco. Al mattino seguivamo le tracce di questi serpenti<br />
velenosi e ne catturavamo parecchi, li conservavamo in un fusto per poi inviarli all’Istituto<br />
Sieroterapico di Tunisi, dove utilizzavano il loro veleno per ricavarne un siero antivipera.<br />
Spesso passavo un po’ di tempo a seguire il lavoro stressante del personale di sonda; una<br />
mattina stavano facendo manovra di estrazione delle aste, mentre la grossa chiave di<br />
manovra tratteneva l’asta inferiore incuneata alla tavola rotante, la chiave superiore era<br />
stretta al giunto dell’asta in superficie; un cavo d’acciaio, collegato ad un verricello, metteva<br />
in forte tensione il giunto fino allo strappo che determinava lo svitamento. Quel<br />
malaugurato giorno la fune d’acciaio si spezzò all’improvviso e la grossa chiave, roteando<br />
come una clava, colpi a morte i tre operai tunisini intenti al loro lavoro. Fu una disgrazia<br />
raccapricciante, la cui dimensione venne aggravata dal fatto che le città erano lontane e<br />
mancavano le possibilità di interv<strong>eni</strong>re. Quando questi incidenti succedevano in deserto,<br />
quasi sempre si concludevano in tragedia.<br />
Essendo io, in quei momenti, esonerato da turni e quindi disponibile, mi toccò la triste<br />
incombenza di costruire tre casse da morto, con tavole ricavate da casse di imballaggio.<br />
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