Ricordi Canciani 1950-1978 - associazione pionieri e veterani eni
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La bravura e capacità tecniche dell’ing. Donna erano pari alla sua “oculatezza” nello<br />
spendere i soldi dell’Azienda, tanto da meritarsi il nomignolo scozzese di “Mac Donnail”.<br />
Il personale di sonda, diviso in quattro squadre, godeva del privilegio, non previsto dal<br />
contratto, di rientrare in Italia ogni due mesi e mezzo per 20 giorni, accumulando ferie e<br />
festività non godute. Per quanto mi concerne, non sono mai stato in grado di godere di<br />
questo beneficio. Richiedere un sostituto alla Halliburton avrebbe inciso troppo sul budget<br />
dell’azienda, non posso non ricordare, con una punta di risentimento, che il periodo più<br />
breve trascorso in deserto fu di quattro mesi. Quando il mio equilibrio mentale sembrava<br />
vacillare, unico diversivo era il permesso di trascorrere alcuni giorni a Bengasi. Qualche<br />
invito a pranzo in casa d’amici che avevano la famiglia, Bernardi, Rotili; alla sera, un’ora di<br />
svago al Ber<strong>eni</strong>ce, il casinò sul bellissimo lungomare. Con Tirloni e la sua famiglia, il venerdì,<br />
giorno festivo per i mussulmani ed anche per noi, andavamo a pescare nella zona di Tocra, nota per<br />
le tombe Romane.<br />
Fu in una di queste brevi soste a Bengasi, non ricordo la data, che ci fu una forte scossa di<br />
terremoto con epicentro a Barce, sull’Altopiano del Gebel. Dopo alcuni giorni, Tirloni ed io<br />
ci recammo a visitare questa cittadina, dove i danni erano stati ingenti. La chiesa cattolica<br />
quasi completamente distrutta. Rammento l’ultimo frate francescano italiano rimasto,<br />
rannicchiato in un angolo tra le macerie, le scarpe senza lacci, il saio consunto, il viso<br />
impolverato, le lacrime gli rigavano il volto.<br />
Solo custode della fede cattolica in quel desolato paese, s’interrogava come neppure Dio<br />
fosse in grado di domare le forze della natura. Non so se i Libici siano riusciti a ricostruire il<br />
paese di Barce e ridargli la bellezza che aveva raggiunto grazie al lavoro degli emigrati<br />
Italiani. La fascia costiera, che si estende per alcuni km verso l’altopiano del Gebel. inizia<br />
dopo Bengasi e prosegue oltre Tobruk, una delle zone più verdi e lussureggianti della Libia.<br />
Nel febbraio del 1965 iniziò la perforazione del pozzo R 1. Non mi soffermo sui tanti<br />
particolari tecnici, ma ricordo invece un episodio che mi è rimasto impresso nella mente. È<br />
un caso umano sul quale voglio soffermarmi per ricordare la tragedia legata a questo pozzo,<br />
la malasorte che scelse la sua vittima tra questi operai soggetti ad un pesante lavoro, in turni<br />
continuati e con temperature elevate. Il capo perforatore Lucchi aveva finito alle ore 20 il<br />
suo turno di lavoro. La discesa nel pozzo della colonna da 9-5/8” ad una profondità di oltre<br />
3.000 m era iniziata al mattino. Si era verificato a volte, che si bloccasse a causa di frane nel<br />
foro, ma in questa circostanza tutto andò liscio. Alle 10 di sera era terminata anche la<br />
cementazione, l’ultimo tubo era rimasto circa tre metri sopra il piano sonda: Come era<br />
prassi, avvitai una saracinesca chiusa in testa all’ultimo tubo, a sua volta collegata ad un<br />
tubo flessibile di scarico da 2 pollici.<br />
Il capo squadra che doveva montare con il turno delle 4 del mattino, a causa di<br />
un’indisposizione, fu sostituito da Lucchi, costretto ad anticipare di un turno la sua ripresa<br />
del lavoro. Verso le 5 del mattino, salito su una scaletta, aprì la saracinesca per scaricare la<br />
pressione che si era accumulata all’interno dei tubi a causa del surriscaldamento del<br />
cemento. Probabilmente il povero Lucchi si era scordato di far collegare il tubo flessibile al<br />
tubo di scarico, per cui l’improvviso flusso d’aria ad alta pressione fece roteare il tubo<br />
flessibile, che lo colpì con violenza alla testa.<br />
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