Ricordi Canciani 1950-1978 - associazione pionieri e veterani eni

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problemi con le Autorità libiche, che gli sequestrarono il mezzo, e per vivere era costretto a lavori saltuari come autista. Canciani davanti alla Chiesa del villaggio Garibaldi Canciani sul lungomare di Tripoli La sua conoscenza di tutto il territorio libico ci era stata di grande aiuto durante il viaggio, volevamo in qualche modo contraccambiare la sua cortesia e lo invitammo a pranzo, assieme alla sua signora, il giorno dopo, in un ristorante italiano sotto i portici del lungomare di Tripoli. Tutta la mattinata del giorno seguente, la trascorsi alla base della Halliburton a prelevare del materiale e dei ricambi da portare in Tunisia. Rividi i miei amici a pranzo e il pomeriggio lo dedicammo ad una passeggiata sul lungomare, il porto, la fortezza Turca, la moschea e ad altro. Volgeva al termine questa breve amichevole parentesi, l’indomani dovevamo riprendere il viaggio, salutando il Toscano lo ringraziammo calorosamente per le sue cortesie. Le vicissitudini della vita ed il destino non mi consentirono di rivederlo, ma lo ricordo per la sua gentilezza d’animo. Pag.45
24 - In Tunisia a El Borma. Dopo i due giorni di sosta a Tripoli, riprendemmo il viaggio diretti al confine, attraversando la cittadina di Sabrata, che avrebbe meritato una visita accurata per le molte testimonianze dell’impero Romano. Giungemmo a Zuara, l’ultimo paese in territorio libico, ed entrammo nell’unico piccolo ristorante del paese; ad un tavolo vicino al nostro pranzava una donna in camice bianco, un’infermiera italiana, da sola. Ritornando con il pensiero a quel giorno, mi sento ancora in bocca il bruciore causato dal peperoncino usato per condire la pastasciutta. C’inoltrammo per alcuni km. in territorio tunisino prima di arrivare al primo paese di confine, Ben Gardane. Alla dogana si presentò un impiegato piacentino, Braghi, mandato dalla direzione della SITEP di Tunisi, con l’ordine perentorio che avrei dovuto proseguire il viaggio da solo con la cementatrice. Alla mia richiesta di spiegazioni. m’insospettì la sua reticenza, ed insistetti per sapere il motivo; al suo diniego mi rifiutai di partire e, dopo un’animata discussione, venne fuori la verità! Al campo di El Borma era scoppiata un’epidemia, solo a me era concesso l’onore dell’eventuale rischio di essere contagiato. Alle sue minacce, risposi con una parola che non trascrivo, per non sentirne l’odore uscire dal computer. Alla fine chiesi di parlare al telefono con gli uffici di Tunisi, che in parte mi tranquillizzarono: dalle ultime notizie radio dei sanitari inviati al campo, la situazione non sembrava più così grave, le deformazioni al viso riscontrate a diverse persone potevano essere attribuite ad un’intossicazione alimentare. Proseguimmo il viaggio su strada asfaltata fino alla cittadina di Medenine, continuando poi diretti al Sud verso l’interno della Tunisia. La pista da seguire inizialmente era su un affioramento roccioso, una zona accidentata con basse montagne di terra rossa tagliate dal vento, formate da vari strati di colori diversi. La giornata era stata faticosa e piena d’imprevisti, il caldo si faceva sentire, ci fermammo la sera all’imbrunire. La cena, un panino con una bottiglia di latte acquistato alla partenza da Ben Gardane. Tentai di scambiare qualche impressione sugli avvenimenti della giornata con il Piacentino, autista del “Tornicrof ” e mio compagno di viaggio, ma era una persona molto riservata, le parole gli uscivano dalla bocca con il contagocce; con gli arabi dialogare era difficile. Alla fine mi sdraiai sul sedile del camion, cercando di riposare un po’ per affrontare l’indomani una nuova giornata di viaggio. Remada era il prossimo punto di riferimento prima di inoltraci nella zona più insidiosa; alcuni km di deserto di sabbia e dune che circondavano El Borma. Il camion del Piacentino, che era corredato di un treno di gomme a bassa pressione adatte per viaggiare sulla sabbia, avanzava senza incontrare problemi e non si curava molto del fatto che io potessi trovarmi in difficoltà, forse voleva tagliare per primo il traguardo. Con le gomme artiglio della cementatrice io procedevo a singhiozzo ed ero rimasto indietro, uscivo da una buca e dopo pochi metri sprofondavo di nuovo. La responsabilità alla base di questi inconvenienti era da attribuirsi alla miopia di un dirigente, che, con l’intento di far risparmiare qualche lira all’azienda, non considerava difficoltà, rischi, contrattempi e sacrifici del personale. Dopo alcune ore di tentativi inutili, ricorsi ad un espediente, che avevo visto adottare spesso nei Gruppi sismici in caso di terreni particolarmente insidiosi: sgonfiai quasi tutta la Pag.46
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