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Ricordi Canciani 1950-1978 - associazione pionieri e veterani eni

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Bengasi e ritornò con il meccanico Mario Rotili, che riuscì in breve tempo a riparare il<br />

guasto.<br />

Ripresi il viaggio e raggiunsi gli altri automezzi che si erano fermati ad attendermi ad<br />

Agedabia, proseguendo il viaggio, di nuovo in colonna, verso Sirte, dove arrivammo a tarda<br />

sera. Trascorsi la notte in compagnia di molti scarafaggi, in una casa che, prima della<br />

guerra, forse era chiamata “albergo”. Il mattino successivo proseguimmo il viaggio sulla<br />

stretta strada costruita dagli Italiani, chiamata Sirtica. In quel periodo il sole scottava<br />

parecchio, la temperatura superava i 35 gradi, l’acqua minerale non era bevibile, per cui<br />

avevo appeso al finestrino, esposta alla corrente d’aria, la “ghirba“, recipiente fatto con la<br />

pelle di capra, molto in uso tra i nomadi, che serve per mantenere fresca l’acqua anche in<br />

deserto. La strada a tratti passava vicinissima al mare ed avevamo programmato una breve<br />

sosta a Ben Giauat dove arrivammo verso le 10 di mattina.<br />

C’era una sola casa con una stanza adibita ad osteria, all’esterno la pompa per il<br />

rifornimento agli automezzi. Mi tolsi pantaloncini e camiciola e mi tuffai in mare, distante<br />

poche decine di metri.<br />

Dopo essermi rinfrescato e tolto la polvere di dosso, assieme al Piacentino entrammo in<br />

quella bettola a bere una bibita; mentre eravamo seduti ad un tavolino entrò nel locale un<br />

Italiano, si presentò con una inconfondibile pronuncia toscana. Si trovava in Libia da diversi<br />

anni.<br />

V<strong>eni</strong>va con il suo camion da una concessione petrolifera americana ed era diretto a Tripoli,<br />

conosceva molto bene il tragitto e si offrì di unirsi a noi e farci da guida. Le strane<br />

coincidenze della vita! Stavamo chiedendo al Toscano, dove potevamo fermarci per il<br />

pranzo, quando la mia attenzione si concentrò su una fanciulla, apparsa all’improvviso,<br />

bella, slanciata, occhi e capelli neri, non credevo ai miei occhi, una visione irreale; non<br />

capivo come potesse trovarsi in quel luogo, una donna giovane sola.<br />

II nostro nuovo amico la conosceva, era al servizio del Libico, padrone del locale, e di<br />

qualche altro eventuale cliente, era Italiana la chiamavano “Maria dieci piastre”. Uscii dalla<br />

bettola e ripresi il viaggio portando impressa nella mia mente l’espressione smarrita del suo<br />

sguardo. Il Toscano partì per primo con il suo camion per indicarci la strada, e noi ci<br />

accodammo in colonna.<br />

Ci fu una prima breve sosta nel punto dove l’arco di “Filene” segnava il confine tra la<br />

Cirenaica e la Tripolitania, costruito per ricordare il luogo dove s’incontrarono i due fratelli<br />

che crearono le basi per l’unione dei due popoli. Così narra la leggenda. E qui la nostra<br />

guida c’indicò la strada da seguire per raggiungere la nuova meta: Tamanina, paese agricolo<br />

creato dagli emigranti italiani e battezzato ”villaggio Garibaldi”.<br />

Era il mezzogiorno di dom<strong>eni</strong>ca quando entrammo in questo villaggio con i nostri camion<br />

rombanti a turbare la quiete festiva. Proseguimmo per un breve tratto a piedi fino ad una<br />

piccola piazza.<br />

Dalla Chiesa antistante si udivano i rintocchi delle campane, la gente che aveva assistito alla<br />

Messa usciva e si fermava in piccoli gruppi sul sagrato; parlavano in vari dialetti italiani.<br />

Tutti indossavano l’abito della dom<strong>eni</strong>ca; io con la mia camiciola sdrucita e pantaloncini mi<br />

sentivo un po’a disagio, ma ho vissuto questo brevissimo spazio di tempo con la sensazione<br />

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