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centinaio, amici, amici di amici, conoscenti, fidanzate, parenti<br />
delle fidanzate dei conoscenti, venuti a godersi lo spettacolo<br />
hardcore. Siamo tanti, carichi di energie, qualcuno con molto<br />
alcol in corpo, qualcun altro, tra cui io e Max, con eccessi di serotonina<br />
nel sangue e nel sistema nervoso centrale.<br />
Siamo facilmente irritabili.<br />
I poliziotti ci provocano.<br />
Vedono noi come i romani sconfitti e i loro controlli come<br />
le forche caudine del sistema che domina l’anarchia. Si sbagliano,<br />
ma da principio gli va bene, perché nessuno rompe le righe.<br />
Qualcuno sbadiglia, qualcuno si lamenta o bestemmia,<br />
ma a bassa voce, forse ricorda che formalmente è un reato e<br />
questa sera ogni scusa è buona per far scoppiare un casino. Io<br />
mi lascio spintonare dal serpentone di giubbotti di pelle e di<br />
braccia tatuate.<br />
“Documenti, prego.”<br />
La finta cortesia delle due parole, ripetute meccanicamente<br />
a ogni viso incrociato, dimostra uno sprezzo del pericolo che,<br />
in altri frangenti, meno stanco e più controllato, potrebbe addirittura<br />
farmi pensare che i due sbirri hanno del fegato a far<br />
quel che stanno facendo, in quel modo così osceno, ostentato,<br />
a casa nostra.<br />
Non è la sera giusta.<br />
“Documenti, prego.”<br />
È il turno di Lupo. Come doganieri, controllano la carta<br />
d’identità, prendono nota di nome, cognome e passano al pacco<br />
successivo. Per loro siamo oggetti, bagagli da controllare,<br />
vidimare, isolare se possibile. Marchiati come le mucche dei<br />
ranch texani, come i piccioni che migrano con la targhetta attaccata<br />
alle zampe. Siamo animali da censire.<br />
Non mi sta bene.<br />
“Documenti, prego.”<br />
Un sorriso sfacciato di troppo mi fa prudere le mani. Eppure<br />
io sono uno tranquillo. Diplomatico, oserei dire. Non ho<br />
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