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in macchina e dopo circa tre ore eravamo nel parcheggio del carcere;<br />
altre volte prendevamo il treno molto presto al mattino, cambiavamo<br />
linea a Torino e, una volta a Cuneo, con il taxi raggiungevamo la<br />
prigione. I tassisti stipularono un specie di convenzione che prevedeva<br />
che il trasporto di familiari dei carcerati fosse a tariffa fissa: cinquemila<br />
lire. Alcuni di quei viaggi divennero leggendari. Uno in particolare<br />
lo ricordo ancora oggi con piacere. Partimmo io, mio fratello<br />
e i miei zii Dino e Carletto. Grazie alla loro involontaria comicità<br />
non smettemmo di ridere per tutto il tragitto: litigavano in milanese<br />
per le ragioni più futili, Dino prendeva in giro Carletto come ai tempi<br />
della lotta partigiana. Erano maldestri, approssimativi nel fare le<br />
cose, buoni come il pane, simpaticissimi. Ricordo che mentre entravamo<br />
in carcere io e mio fratello apparivamo molto più disinvolti e<br />
capaci rispetto a loro nel gestire le varie pratiche. Una volta Dino rimase<br />
schiacciato dentro la porta con il metal detector e ci vollero innumerevoli<br />
passaggi prima che la macchina smettesse di suonare.<br />
Prima le chiavi, poi le monete, poi la cintura. A ogni passaggio scopriva<br />
di avere ancora qualcosa addosso.<br />
Carletto rischiò invece di perdere la giacca: la appoggiò male sul<br />
rullo che passava sotto i raggi X e quella si infilò negli ingranaggi. Allora<br />
lui prese a tirare una manica urlando alla guardia di bloccare il<br />
meccanismo. Esasperati, i secondini velocizzarono le operazioni di<br />
controllo. Tutto sommato le giornate di visita al carcere erano quasi<br />
sempre giornate di festa.<br />
Durante il periodo di Cuneo feci per la prima volta un colloquio<br />
da solo con mio padre. Avevo quindici anni e quando lo chiesi a mia<br />
madre mi sembrò subito contenta e ben disposta. Alcuni parenti<br />
storsero il naso all’idea che un ragazzino potesse gestirsi una simile<br />
situazione, ma Heidi capì il senso della mia richiesta. Da un lato volevo<br />
finalmente parlare un paio d’ore con Pierino senza che con me<br />
ci fosse nessun altro, dall’altro quel viaggio rappresentava un modo<br />
per dimostrare la mia solidarietà nei suoi confronti. Era come se dicessi:<br />
vengo a trovarti da solo per dimostrarti che sono orgoglioso di<br />
essere tuo figlio e che condivido tutta la tua storia di rivoluzionario.<br />
Volevo guardare in faccia le guardie mentre erano obbligate a perquisire<br />
un ragazzino di quindici anni venuto da Milano tutto solo a<br />
trovare suo padre.<br />
Ripercorsi pedissequamente tutti i passaggi che avevo imparato<br />
nel corso degli anni: in taxi fino alla stazione centrale, poi il treno fi-<br />
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