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Bambini affidati, 1945<br />

Gli anni della guerra resero drammatiche<br />

le condizioni della numerosa<br />

famiglia Morlacchi. I miei nonni<br />

Remo e Gina furono costretti a mandare<br />

i propri figli in campagna, presso<br />

famiglie contadine disponibili ad<br />

accogliere i bambini più poveri. Nel<br />

1945 l’ultimogenito della famiglia<br />

morì di stenti: «Ricordo che mia<br />

mamma aveva dovuto lasciarlo perché<br />

non aveva latte e l’aveva affidato<br />

a un istituto. C’era miseria, il bambino<br />

non stava bene. Quando sono<br />

andata con mio papà all’ospedale<br />

hanno tirato fuori una cassettina<br />

dove c’era questo bambino con gli<br />

occhi aperti, la bocca aperta...».<br />

Nella foto si vedono, da sinistra,<br />

Adriano, Lina, Antonio e Pierino in<br />

una casa contadina, in provincia di<br />

Reggio Emilia.<br />

174<br />

Lapide di via Segneri 1, angolo piazza<br />

Tirana, Milano<br />

Nella famiglia Morlacchi c’è sempre<br />

stato un pudore di fondo a raccontare<br />

gli episodi della lotta partigiana<br />

vissuti dai miei zii Carletto e Dino.<br />

Nessuno ne parlava molto volentieri.<br />

Solo negli ultimi anni della sua vita<br />

Carletto si aprì con alcuni fratelli,<br />

raccontando le asprezze di quei mesi<br />

di scontro con i fascisti. Non c’era<br />

alcun compiacimento nel narrare<br />

quei fatti. A noi bambini preferivano<br />

sempre raccontare gli episodi più<br />

divertenti e dissacranti.

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