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“famosi” comunisti del Giambellino. Alla Pianta, la trattoria tra via<br />

Segneri e via Manzano che era il loro ritrovo abituale, alcuni fratelli<br />

Morlacchi erano in compagnia dei soliti amici per una partita a stecca.<br />

Alla notizia dell’arrivo di questo gruppo di fascisti, in pochi minuti<br />

si radunarono decine di compagni. Dalle finestre delle case di<br />

piazza Tirana, via Giambellino e via Segneri volò di tutto in direzione<br />

dei fascisti. Giunsero sul posto numerose camionette della polizia.<br />

L’ufficiale si lasciò scappare un’affermazione che non sfuggì a<br />

Gianni: «Deficienti! Proprio al Giambellino dovevate venire?!». I<br />

missini vennero inseguiti da un gruppo di compagni inferociti fino a<br />

quando non furono ricacciati fuori dai confini del quartiere. «Non ci<br />

accontentammo di questa “vittoria”. Sapevamo benissimo chi aveva<br />

chiamato questi fascisti: anche al Giambellino c’erano dei “fazzoletti”<br />

e sapevamo anche che bar frequentavano. Tornammo indietro e<br />

andammo a regolare i conti anche con loro. Ne mandammo alcuni<br />

all’ospedale.»<br />

In fabbrica la musica non cambiava, anzi, se possibile l’odio di<br />

classe esplodeva anche più violento. Il padrone di una delle ditte<br />

del Giambellino era famoso per i suoi metodi repressivi e per l’arroganza<br />

con cui trattava i propri dipendenti. Non di rado trascendeva<br />

con approcci volgari verso le operaie e le impiegate. Un gruppo di<br />

compagni e sindacalisti, fra cui mio zio Dino, andò da lui per chiedere<br />

un incontro ma fu accolto con violenza inaspettata: il padrone<br />

arrivò quasi ad accoltellare uno di loro. Intervennero subito gli altri,<br />

disarmandolo e rendendo inoffensivi i suoi guardaspalle, che nel<br />

frattempo si erano fatti avanti, mandandoli all’ospedale. Pochi giorni<br />

dopo alcuni di quegli operai vennero arrestati, mentre naturalmente<br />

il padrone della fabbrica restò fuori dalla vicenda. «Dovemmo<br />

sostenere i licenziati e le loro famiglie per il tempo che rimasero<br />

in carcere» spiega Montemezzani. «Nessuno ci aiutò, né partiti, né<br />

sindacato. Ci scaricarono tutti: eravamo già catalogati “cani sciolti”.<br />

D’altronde ci sembrava che non sempre la fede e il dialogo bastassero<br />

a difenderci!»<br />

Fuori dal Pci. Nasce il gruppo “Luglio ’60”<br />

Dopo la morte di Stalin e il nuovo corso avviato da Chrusˇčëv, anche<br />

il Pci cominciò a fare i conti con un fermento e uno scontento mai<br />

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