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tre il loro quartiere, oltre la loro marginale realtà. Le vicende dell’Unione<br />
Sovietica, la causa del socialismo, la nascita e l’esistenza del<br />
Partito comunista italiano, gli ideali e i contenuti della lotta antifascista<br />
venivano trasmessi a quei ragazzi da Alberto Messa nel corso<br />
di lunghe chiacchierate. La sua era una casa aperta, non solo per la<br />
politica. «Casa mia era un ricettacolo di giovani; anche se c’era la<br />
guerra, a casa mia si ballava lo stesso. Poi, a volte, mio padre iniziava<br />
con il suo repertorio di racconti e noi restavamo ad ascoltarlo affascinati.»<br />
Così lo ricorda uno dei suoi sette figli, Dino.<br />
Inquadrato nell’esercito italiano nel corso della Prima guerra<br />
mondiale, Alberto Messa venne fatto prigioniero dagli austriaci e nel<br />
corso di quella detenzione maturò le sue idee rivoluzionarie e comuniste,<br />
influenzate da quanto stava accadendo in Russia proprio in<br />
quegli anni. Partecipò alla fondazione del Pci nel 1921 e rimase per il<br />
resto della sua vita un attivista del Partito. Era tra quelli che venivano<br />
tradotti a San Vittore ogni volta che Milano riceveva la visita del<br />
re o di Mussolini. Aveva tatuato sul braccio il simbolo della Falce e<br />
Martello con la scritta «Solcati dal fulmin, siam noi l’avvenir».<br />
«Quando andavamo a fare il bagno sul Naviglio» ricorda ancora Dino<br />
«doveva coprirsi il tatuaggio con una fascia, se no lo portavano<br />
dentro.» Dopo l’8 settembre gli agenti dell’Ovra si presentarono alla<br />
Carlo Erba, dove Alberto faceva l’operaio, e lo arrestarono. Fu inviato,<br />
con il primo scaglione di deportati del 1943, al campo di sterminio<br />
di Mathausen. Per parecchi giorni la famiglia non riuscì a sapere<br />
che fine avesse fatto. Un carcerato, allora, suggerì alla moglie di<br />
presentarsi con un pacco di vestiti a San Vittore per vedere se veniva<br />
accettato o meno. Se l’avessero respinto, allora era molto probabile<br />
che Alberto fosse stato trasferito in Germania. Andò a finire proprio<br />
così. Sua moglie si presentò al carcere più volte, ma il pacco che consegnava<br />
tornava sempre al mittente.<br />
Quando la guerra finì lo attesero invano. Sembrava proprio che<br />
fosse uno dei tanti inghiottiti dalla macchina di sterminio nazista.<br />
Poi, un giorno, si presentò a casa Messa un anarchico che era stato<br />
compagno di prigionia di Alberto. Chiese se il suo vecchio compagno<br />
fosse tornato. Alla risposta negativa della moglie, si limitò a<br />
scuotere il capo.<br />
La verità venne a galla solo alcuni mesi dopo. Alberto, nel campo<br />
di Mathausen, aveva l’ingrato compito di trasportare con delle carriole<br />
la cenere dei cremati nei prati circostanti per concimare il terre-<br />
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