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Pierino ne parlò ad alcuni compagni della “ditta”, che capirono<br />
la situazione e gli consigliarono di tentare l’espatrio per ottenere asilo<br />
politico in qualche paese “amico”. Qualche idea mio padre ce l’aveva:<br />
era vissuto per alcuni mesi in Germania Est, dove aveva lavorato<br />
come tipografo; le sue credenziali, all’epoca, gli erano state garantite<br />
dal Pci e da giornalisti dell’“Unità”. In fondo si trattava di chiedere<br />
asilo politico a un paese socialista; un paese che garantiva la copertura<br />
ai compagni della Raf e organizzava campi di raccolta per i<br />
rivoluzionari di tutto il mondo. L’idea poteva funzionare... Poteva,<br />
ma non funzionò.<br />
Il primo problema da risolvere era come organizzare il nostro<br />
espatrio verso la Svizzera. I miei genitori erano clandestini e non si<br />
poteva certo pensare di attraversare la frontiera come una famiglia<br />
qualsiasi. In realtà, mio padre si trovava già all’estero e ci avrebbe<br />
aspettati a Lugano. Mia madre, ormai al quarto mese di gravidanza,<br />
organizzò la fuga insieme ai miei parenti. Era il luglio del 1974. Heidi,<br />
una volta al confine, sarebbe espatriata per prima, ovviamente<br />
con documenti falsi; sarebbe seguita un’altra automobile con a bordo<br />
un compagno della “ditta”, una mia zia, anche lei incinta, e io.<br />
Durante il tragitto il compagno aprì il cruscotto e mostrò a mia zia la<br />
pistola che avrebbe dovuto difenderci in caso di pericolo. La reazione<br />
di lei fu poco gentile: già le mancava il fiato dalla paura e ora quel<br />
compagno le confidava un segreto che avrebbe fatto volentieri a meno<br />
di conoscere.<br />
Quel viaggio riservò altre sorprese. Lungo il tragitto, facemmo<br />
un piccolo incidente che ci costrinse a fermarci. Il compagno della<br />
“ditta” cercò rapidamente di giungere a una risoluzione rapida e<br />
amichevole del sinistro: aveva tutta l’intenzione di ripartire quanto<br />
prima. Infine, alla dogana, ci fermarono per un controllo. Mia zia fu<br />
sul punto di svenire. Si immaginava la guardia di frontiera che apriva<br />
il cruscotto scoprendo la pistola e costringendo lei e gli altri compagni<br />
di viaggio a un periodo di galera di durata indefinibile. Per fortuna<br />
tutto andò bene; i documenti falsi ressero il controllo e riuscimmo<br />
a entrare in Svizzera. Al di là del confine, nel luogo prefissato, ci<br />
aspettava mio padre che nell’attesa era invecchiato di qualche anno.<br />
Mia zia tornò a casa, sana e salva, con il primo treno.<br />
In Svizzera ci riunimmo e intraprendemmo il nostro viaggio verso<br />
la “libertà”. Quella che segue è la storia di quel viaggio, raccontata da<br />
mia madre poco tempo prima di essere definitivamente arrestata.<br />
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