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Programma di coo<strong>per</strong>azione transfrontaliera<br />

Interreg IIIA Italia-Malta<br />

Decisione Commissione Europea C(2004) 4912 del 08-12-2004<br />

Misura 1.1 Progetto n. 14<br />

Identità storica, culturale<br />

ed enogastronomica<br />

tra Siracusa, Agrigento e Malta


Indice<br />

PREMESSA 5<br />

UN EREDITÀ DI GRANDE VALORE 5<br />

UNA SCOMMESSA 6<br />

PASSATO E FUTURO DI SAPERI &SAPORI: LA RETE 8<br />

IL PROGRAMMA INTERREG IIIA ITALIA MALTA 10<br />

LE ATTIVITÀ DEL PROGETTO ‘SAPERI & SAPORI’ 12<br />

GLI SCAMBI CULTURALI E GLI STAGES 12<br />

L’E-LEARNING 13<br />

I CONVEGNI 13<br />

LA REGATA “SAPERI &SAPORI” 14<br />

IL CUORE DI SAPERI & SAPORI: LA RICERCA 16<br />

I SAPERI<br />

AGRIGENTO,SIRACUSA E MALTA NEL MEDITERRANEO: INTRODUZIONE<br />

18<br />

STORICA 18<br />

IVIAGGIATORI E IL GRAN TOUR 34<br />

AGRIGENTO 36<br />

SIRACUSA 43<br />

MALTA 58<br />

IL PATRIMONIO DELL’UMANITÀ: I SITI UNESCO 69<br />

I SAPORI 76<br />

SIRACUSA: I PRODOTTI 81<br />

AGRIGENTO: I PRODOTTI 106<br />

I CIBI MALTESI 116<br />

SAPORI LETTERARI 124<br />

LE RICETTE 132<br />

SIRACUSA 132<br />

AGRIGENTO 146<br />

MALTA 159<br />

3


MALTA IN REGATA: LA STORIA NELLA STORIA 166<br />

IL CLUB 166<br />

LA SEDE STORICA:FORT MANOEL 168<br />

LE REGATE 170<br />

L’ACCORDO DI RETE 172<br />

BIBLIOGRAFIA 174<br />

CREDITS 175<br />

4


Premessa<br />

Un eredità di grande valore<br />

Il progetto Sa<strong>per</strong>i & Sapori ha costituito una opportunità eccellente<br />

<strong>per</strong> <strong>la</strong> valorizzazione delle rispettive peculiarità culturali, <strong>la</strong> crescita dei<br />

processi di integrazione socio-economica tra <strong>la</strong> Sicilia e Malta e <strong>per</strong> <strong>la</strong><br />

creazione di ottime premesse <strong>per</strong> lo sviluppo di nuovi scenari imprenditoriali<br />

nei rispettivi paesi.<br />

Quale rappresentante dell'Istituto capofi<strong>la</strong> mi piace sottolineare come<br />

le attività proposte, sempre varie e motivanti, siano sempre state ispirate<br />

ai principi del<strong>la</strong> condivisione, del<strong>la</strong> concertazione e del<strong>la</strong> col<strong>la</strong>borazione.<br />

Ampiamente positivo va considerato il rapporto con l'Autorità di Gestione<br />

ed il Segretariato Tecnico Congiunto del Programma, <strong>la</strong> cui su<strong>per</strong>visione<br />

ha garantito costanti spunti di riflessione e una informazione<br />

capil<strong>la</strong>re. Un sentito ringraziamento va rivolto a tutti i membri del comitato<br />

di pilotaggio che ha rappresentato un vero e proprio punto di forza<br />

delle attività e che ritengo abbia costituito un eccellente modello di “governance”<br />

da prendere a modello <strong>per</strong> future analoghe iniziative.<br />

Da ultimo arrivato che eredita il progetto nel<strong>la</strong> sua fase conclusiva<br />

non posso che p<strong>la</strong>udere all'iniziativa di grande capacità di integrazione e<br />

coo<strong>per</strong>azione e dare atto a quanti hanno avuto un ruolo nel progetto,<br />

quale che fosse, di grande impegno e professionalità nel<strong>la</strong> conduzione<br />

di una iniziativa che, vuoi <strong>per</strong> il numero dei partner, vuoi <strong>per</strong> <strong>la</strong> varietà<br />

delle iniziative da realizzare ha comportato certamente un dispendio di<br />

energie notevole.<br />

Colgo infine l'occasione <strong>per</strong> rivolgere un pensiero ai dirigenti sco<strong>la</strong>stici<br />

dei due istituti di Siracusa e Favara, che dopo aver avviato e condotto<br />

gran parte delle attività hanno <strong>la</strong>sciato il servizio proprio in prossimità<br />

del<strong>la</strong> conclusione del progetto. A loro e ai rappresentanti degli altri partners<br />

è dovuto un ringraziamento sincero e <strong>la</strong> consapevolezza che quanto<br />

realizzato è frutto del loro <strong>la</strong>voro.<br />

Santo Longo<br />

Dirigente Sco<strong>la</strong>stico I.P.S.S.A.R.T. “Federico II di Svevia” di Siracusa<br />

Lead Partner<br />

5


Una scommessa<br />

Un progetto di ricerca, interscambio e promozione culturale che coinvolgesse<br />

più partners di rilievo poteva inizialmente sembrare troppo ambizioso.<br />

Ma i partners di Sa<strong>per</strong>i & Sapori hanno messo in campo risorse<br />

culturali e tecniche tali da <strong>per</strong>mettere al<strong>la</strong> grande il raggiungimento degli<br />

obiettivi progettati in <strong>per</strong>fetta unità d’intenti, unitamente al<strong>la</strong> col<strong>la</strong>borazione<br />

di prim’ordine del Project Manager <strong>Umberto</strong> Vanel<strong>la</strong>.<br />

Da poco al<strong>la</strong> dirigenza dell’Istituto Alberghiero “Federico II di Svevia”<br />

di Siracusa, quando sottoscrissi il contratto di finanziamento con<br />

l’Autorità di Gestione assunsi con qualche incertezza <strong>la</strong> responsabilità<br />

del<strong>la</strong> gestione e dell’attuazione del progetto e fu come accettare una sfida<br />

<strong>per</strong> una ardua tenzone. Cammin facendo, le incertezze sono state<br />

fugate e oggi posso dire che i risultati sono andati ben oltre le aspettative.<br />

La scelta dei partners non è stata casuale, ma è stata dettata da valutazioni,<br />

oltre che di livello qualitativo, di opportunità storico-culturali.<br />

Un progetto che nasce coinvolgendo tre istituti alberghieri (il “Federico<br />

II di Svevia” di Siracusa, il ”G. Ambrosini” di Favara e l’ITS di Malta),<br />

<strong>per</strong>ché nato dalle esigenze dei giovani e costruito <strong>per</strong> i giovani, <strong>per</strong>ché<br />

attraverso <strong>la</strong> conoscenza reciproca e l’esaltazione del<strong>la</strong> propria identità,<br />

venisse su<strong>per</strong>ato il senso di insu<strong>la</strong>rità con cui a volte ha dovuto fare i<br />

conti <strong>la</strong> nostra storia, e <strong>per</strong>ché il mare tra <strong>la</strong> Sicilia e Malta, da confine<br />

fra Stati, evolvesse, nelle coscienze delle giovani generazioni, in ponte<br />

di comunicazione e, <strong>per</strong> Malta, in un motivo in più di po<strong>la</strong>rizzazione verso<br />

l’Europa. Dunque, genesi e finalità “pedagogiche” del progetto partendo<br />

dai “sapori”, a cui hanno dato rilevante spessore culturale i contributi<br />

sui “sa<strong>per</strong>i” dati dai ricercatori del Parco Archeologico di Agrigento e<br />

<strong>la</strong> Sovrintendenza ai Beni culturali e ambientali di Siracusa ed il Royal<br />

Malta Yacht Club.<br />

Siamo oltremodo soddisfatti di quanto è stato fatto, ma riteniamo il<br />

tutto costituisce, proprio <strong>per</strong> <strong>la</strong> qualità del <strong>per</strong>corso, <strong>la</strong> rampa di <strong>la</strong>ncio<br />

<strong>per</strong> ulteriori traguardi ancora più ambiziosi, <strong>per</strong> <strong>la</strong> promozione in chiave<br />

turistica e culturale di questa regione mediterranea.<br />

Le es<strong>per</strong>ienze fatte ci hanno confermato quanto sia approssimativa e<br />

affrettata l’idea che i nostri giovani non amino lo studio e le tradizioni. I<br />

giovani non amano le tradizioni semplicemente <strong>per</strong>ché non le conoscono;<br />

non amano lo studio <strong>per</strong>ché non sono adeguatamente motivati. Ed in<br />

tal senso abbiamo impegnato <strong>la</strong> nostra responsabilità pedagogica. Conoscenza<br />

e motivazione sono stati gli enzimi <strong>per</strong> un entusiasmo e un<br />

coinvolgimento rilevanti. Scoprire che il primo trattato di scienza culinaria<br />

lo scrisse un certo Archestrato, forse gelese ma sicuramente di vita e<br />

cultura siracusana; o leggere che P<strong>la</strong>tone considerava scandalosa<br />

6


l’abitudine dei Siracusani di vedere nel<strong>la</strong> gastronomia una ragione di vita,<br />

o che addirittura nel V secolo un altro siracusano, tale Miteco, autore<br />

di un trattato di cucina, mandava suoi discepoli, veri e propri “chefs”, in<br />

Grecia ad insegnare a cucinare “al<strong>la</strong> siracusana”.<br />

Il verificare quanto di parentale, quanto di diverso e di speciale ci sia<br />

nel<strong>la</strong> vicina Malta, ha destato vivo interesse, curiosità e il desiderio di<br />

approfondire <strong>la</strong> conoscenza in tal senso. La ricerca non ha inteso certo<br />

rive<strong>la</strong>re cose e fatti nuovi: il nostro intento era di offrire in modo fascinoso<br />

il grande patrimonio di scienza, arte, cultura, usi e costumi che nel<br />

confuso affannarsi e gridare odierno corre il rischio di essere trascurato<br />

sempre di più e, nel tempo, di scomparire. Non ci si è basati solo sul<strong>la</strong><br />

conoscenza libresca o ex catedra di tipo sco<strong>la</strong>stico tradizionale, ma si<br />

sono s<strong>per</strong>imentati scambi di es<strong>per</strong>ienze: i ragazzi hanno visto all’o<strong>per</strong>a i<br />

loro colleghi e si sono confrontati sul sa<strong>per</strong>e e sul sa<strong>per</strong> fare, e hanno<br />

verificato “sul posto” costumi, storia ed arte.<br />

Altro impegno è stato quello di realizzare un modo nuovo di rapportarsi<br />

con gli altri. Il confronto fra le aree interessate ha teso ad evidenziare<br />

l’humus culturale comune, esaltando nel contempo i valori e<br />

l’irripetibile identità di ognuno, individuando le peculiarità che distinguono<br />

ed accomunano le aree interessate, in cui il contesto geografico e<br />

climatico e <strong>la</strong> sua evoluzione, nonché <strong>la</strong> multiforme stratificazione storica,<br />

con i continui interscambi antropici, hanno <strong>la</strong>sciato tracce ben leggibili<br />

sia nel paesaggio (con un incredibile corredo artistico e monumentale)<br />

sia in usi, costumi e nelle e<strong>la</strong>borazioni eno-gastronomiche.<br />

Ma tutte queste ricchezze e le memorie non bastano certo a rendere<br />

viva un’area geografica se non gestite in modo da renderle spendibili turisticamente.<br />

Il progetto non finisce <strong>qui</strong>, ma vuole essere una rampa di <strong>la</strong>ncio <strong>per</strong><br />

mete ancora più impegnative. Credo sia questo il modo migliore e doveroso<br />

di rispondere alle esigenze del<strong>la</strong> nuova Europa.<br />

Lo spessore delle es<strong>per</strong>ienze effettuate sono <strong>la</strong> migliore riprova<br />

dell’eccellenza del progetto. E <strong>per</strong> questo esprimo il mio compiacimento<br />

e <strong>la</strong> mia riconoscenza ai rappresentanti partneriali.<br />

Concetto Scandurra,<br />

Dirigente Sco<strong>la</strong>stico I.P.S.S.A.R.T. “Federico II di Svevia” di Siracusa<br />

Lead Partner<br />

7


Passato e futuro di Sa<strong>per</strong>i & Sapori: <strong>la</strong> rete<br />

Si è conclusa l'attività del progetto SAPERI & SAPORI, cofinanziato<br />

dall'Unione Europea nell'ambito del Programma di Coo<strong>per</strong>azione Transfrontaliera<br />

Interreg IIIA Italia-Malta nel <strong>per</strong>iodo 2004-2006.<br />

In 18 mesi di intenso <strong>la</strong>voro, <strong>la</strong> partnership creata tra Siracusa, Agrigento<br />

e Malta ha raggiunto un ambizioso obiettivo: da un <strong>la</strong>to, realizzare<br />

diverse attività autonome dal punto di vista dei contenuti e delle modalità<br />

attuative, ma intimamente connesse tra loro <strong>per</strong> il raffronto delle identità<br />

e tradizioni dei luoghi attraverso, appunto, i SAPERI ed i SAPORI; dall'altro,<br />

porre le basi <strong>per</strong> una partnership stabile capace di promuovere ulteriori<br />

sinergie tra i territori eleggibili nei programmi comunitari nel <strong>per</strong>iodo<br />

2007-2013.<br />

Il progetto 'Sa<strong>per</strong>i & Saporì ha costituito una opportunità eccellente<br />

<strong>per</strong> <strong>la</strong> valorizzazione delle rispettive peculiarità culturali, <strong>la</strong> crescita dei<br />

processi di integrazione socio-culturale tra Sicilia e Malta e <strong>per</strong> <strong>la</strong> creazione<br />

di ottime premesse <strong>per</strong> lo sviluppo di nuovi scenari di scambi.<br />

Un’es<strong>per</strong>ienza realizzata in un triangolo, quello che idealmente si<br />

forma unendo i territori di Siracusa, Agrigento e Malta, che racchiude<br />

una vastità di sensazioni e di stimoli, che sintetizza un'intimità di intrecci<br />

tra le culture storica ed enogastronomica delle tre aree, in cui si par<strong>la</strong><br />

una e tre lingue contemporaneamente. E l'aver messo in evidenza come<br />

le diversità spesso si traducano in similitudini è uno dei meriti del <strong>la</strong>voro<br />

svolto dai partners.<br />

Ma quel<strong>la</strong> di Sa<strong>per</strong>i & Sapori è stata, <strong>per</strong> un certo verso, una es<strong>per</strong>ienza<br />

strategica. La costituzione di un partenariato che avesse tra le finalità<br />

progettuali quello di dare un seguito al<strong>la</strong> partnership con un accordo<br />

di rete stabile, che partisse da questa es<strong>per</strong>ienza <strong>per</strong> tradursi in una<br />

disponibilità ad una coo<strong>per</strong>azione futura, rappresenta forse l’elemento<br />

che oggi si rive<strong>la</strong> essere il più proficuo di spunti costruttivi, a beneficio di<br />

una programmazione di attività concertate tra i partners a valere su un<br />

gran numero di strumenti comunitari disponibili, primo tra tutti il prossimo<br />

programma o<strong>per</strong>ativo Italia Malta 2007-2013.<br />

E ciò si conforma <strong>per</strong>fettamente agli obiettivi strategici del<strong>la</strong> politica di<br />

coesione comunitaria <strong>per</strong> il <strong>per</strong>iodo 2007-2013, miranti a promuovere ed<br />

incrementare <strong>la</strong> coo<strong>per</strong>azione nelle zone di confine attraverso <strong>la</strong> costituzione<br />

di reti.<br />

Altresì, l’accordo di rete “sa<strong>per</strong>i & sapori” è configurato come un sistema<br />

“a<strong>per</strong>to”, accessibile <strong>qui</strong>ndi ad enti ed istituzioni che, riconoscendosi<br />

nelle finalità dello stesso, ne sottoscrivono i contenuti aderendo a<br />

pieno titolo, così, all’accordo nel<strong>la</strong> sua interezza.<br />

La zone di frontiera individuata lungo il Canale di Sicilia ha sempre<br />

avuto <strong>la</strong> connotazione di “limite di <strong>per</strong>iferia”. La coo<strong>per</strong>azione transfron-<br />

8


taliera tra <strong>la</strong> Sicilia e Malta mediante l'appoggio comunitario rappresenta<br />

un passaggio obbligato <strong>per</strong> l'integrazione delle identità dei due territori,<br />

legati da comuni tradizioni storiche e culturali, oltre che da scambi economici.<br />

Grazie al<strong>la</strong> coo<strong>per</strong>azione culturale, si intensificano i vantaggi che<br />

possono essere indotti a filiere importanti, come il turismo.<br />

In questa direzione vanno <strong>qui</strong>ndi incentrati i rapporti tra Sicilia e Malta,<br />

puntando soprattutto al<strong>la</strong> valorizzazione ed al<strong>la</strong> conservazione delle<br />

risorse esistenti: <strong>la</strong> cultura e le tradizioni locali come fonte di benessere<br />

economico sostenibile.<br />

In tale ottica si colloca un altro obiettivo, che trova già dimensione reale<br />

in altre aree del meridione ovvero del nord-est italiano: tradurre l'identità<br />

di intenti, di interessi, di strumenti in una coo<strong>per</strong>azione stabile<br />

che incida anche a livello politico, oltre che economico: il modello di “EuroRegione”<br />

ben si connota alle caratteristiche di Sicilia e Malta, anche in<br />

linea con i principi legis<strong>la</strong>tivi che attribuiscono alle regioni <strong>per</strong>iferiche il<br />

giusto merito di interlocutori privilegiati con i paesi esteri nelle aree di<br />

confine.<br />

SAPERI & SAPORI, anche <strong>per</strong> aver soddisfatto da solo i re<strong>qui</strong>siti minimi<br />

del<strong>la</strong> misura 1.1 del Programma (Formazione obbligo sco<strong>la</strong>stico:<br />

140 destinatari; il progetto ne ha coinvolti quasi 150 tra i tre istituti coinvolti),<br />

confida di aver dato un contributo importante al<strong>la</strong> realizzazione<br />

degli obiettivi del Programma Interreg Italia Malta 2004-2006 e di poter<br />

cogliere in futuro i frutti di es<strong>per</strong>ienza che in molti di noi ha <strong>la</strong>sciato davvero<br />

il segno.<br />

<strong>Umberto</strong> Vanel<strong>la</strong><br />

Project Manager “Sa<strong>per</strong>i & Sapori”<br />

9


Il Programma Interreg IIIA Italia Malta<br />

Il Programma di Coo<strong>per</strong>azione Transfrontaliera<br />

INTERREG IIIA Italia-Malta 2004-2006 ha inteso favorire<br />

l’integrazione tra <strong>la</strong> sponda sud-est del<strong>la</strong> Sicilia<br />

e Malta al fine di valorizzare dal punto di vista culturale,<br />

economico e sociale le risorse dell’area transfrontaliera,<br />

nell’ottica di uno sviluppo sostenibile.<br />

Il Programma è cofinanziato dall’Unione Europea<br />

attraverso il FESR - Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, che finanzia<br />

le infrastrutture, gli investimenti produttivi che creano occupazione,<br />

i progetti di sviluppo locale e gli interventi a favore delle piccole e<br />

medie imprese.<br />

I territori eleggibili nell’ambito del Programma Italia-Malta sono:<br />

le province del<strong>la</strong> costa sud-orientale del<strong>la</strong> Sicilia (Agrigento, Caltanissetta,<br />

Ragusa, Siracusa, Trapani); le province di Palermo e<br />

Catania sono interessate all’attuazione del Programma, con interventi<br />

che non possono su<strong>per</strong>are il 20% del<strong>la</strong> spesa totale del Programma;<br />

l’intero stato di Malta, con le isole di Malta, Gozo e Comino.<br />

L’area coinvolta è complessivamente pari a 11.669,59 kmq, che corrisponde<br />

al 44,2% del territorio siciliano ed al 100% del territorio maltese;<br />

<strong>la</strong> popo<strong>la</strong>zione residente ammonta a più di 2.200.000 di abitanti, pari<br />

al 37,2% del<strong>la</strong> popo<strong>la</strong>zione siciliana e al 100% del<strong>la</strong> popo<strong>la</strong>zione maltese.<br />

Gli ambiti d’azione, definiti sul<strong>la</strong> base delle specificità di area e settoriali,<br />

individuano tre assi di intervento:<br />

Asse 1 - Politiche di coesione transfrontaliera<br />

Misura 1.1 Rafforzamento e valorizzazione delle identità culturali<br />

dell’area transfrontaliera<br />

Misura 1.2 Sviluppo del sistema dei trasporti transfrontaliero<br />

Asse 2 - Politiche <strong>per</strong> lo sviluppo sostenibile dei territori di frontiera<br />

Misura 2.1 Gestione integrata delle risorse naturali e degli ambienti<br />

urbani<br />

Misura 2.2 Sviluppo dei servizi in favore del<strong>la</strong> promozione del sistema<br />

delle imprese sulle due sponde.<br />

Asse 3 - Assistenza tecnica e comunicazione<br />

Sa<strong>per</strong>i & Sapori è finanziato nell’ambito del<strong>la</strong> misura 1.1 del Pro-<br />

10


gramma Interreg IIIA Italia-Malta.<br />

La realizzazione del Programma, <strong>la</strong> cui dotazione finanziaria <strong>per</strong><br />

l’intero <strong>per</strong>iodo è di 6.832.874,00 euro (FERS 75%, cofinanziamento nazionale<br />

25%), è curata da un’Autorità Unica di Gestione, istituita presso<br />

<strong>la</strong> Regione Siciliana, affiancata dall Autorità di Gestione Nazionale<br />

Maltese, istituita presso <strong>la</strong> P<strong>la</strong>nning and Priorities Coordination Division<br />

dell’Ufficio del Primo Ministro di Malta.<br />

L’attività di gestione, monitoraggio e comunicazione del Programma è<br />

coadiuvata dal Segretariato Tecnico Congiunto, con sede presso l’<br />

Autorità Unica di Gestione.<br />

11


Le attività del progetto ‘Sa<strong>per</strong>i & Sapori’<br />

Gli scambi culturali e gli stages<br />

L’attività di scambi ha visto principalmente<br />

coinvolti i tre istituti alberghieri<br />

di Siracusa, Favara (AG)<br />

e St. Julian (Malta).<br />

Trattandosi di realtà sco<strong>la</strong>stiche<br />

al loro primo reciproco scambio<br />

proprio nell’ambito di questo progetto,<br />

le visite sono state organizzate<br />

con lo scopo di far conoscere<br />

le proprie realtà alle delegazioni studentesche ospitate, fornendo un<br />

quadro esaustivo dell’organizzazione e dell’offerta formativa, il tutto in un<br />

clima di assoluta familiarità e calda accoglienza e “guarnito” dai prodotti<br />

preparati dagli allievi del<strong>la</strong> struttura ospitante.<br />

Altresì, lo stage di tipo conoscitivo<br />

ha visto coinvolte realtà imprenditoriali<br />

locali oggetto di specifiche<br />

visite guidate. In tale occasione, i<br />

produttori, gli alberghi, i tour<br />

o<strong>per</strong>ator coinvolti hanno presentatpo<br />

le proprie attività soprattutto<br />

che ciò che riguarda i metodi di<br />

preparazione e commercializzazione dei prodotti e di erogazione dei<br />

servizi, fornendo ottimi spunti di riflessione su eventuali es<strong>per</strong>ienze di<br />

stage “on the job” s<strong>per</strong>imentabili nell’ambito delle rispettive offerte formative.<br />

Il confronto tra i formatori impegnati in questa fase ha confermato<br />

come l’attività di stage svolta nell’ambito dei propri programmi istituzionali<br />

possa trarre ulteriori stimoli dai rapporti con le realtà di altri territori,<br />

con partico<strong>la</strong>re riferimento agli<br />

scambi di tipo internazionale. Tale<br />

attività assumerà una dimensione<br />

ed un impegno organizzativo diverso<br />

a seconda del tipo di es<strong>per</strong>ienza,<br />

passando da 4/6 giorni di impegno<br />

<strong>per</strong> lo stage conoscitivoapprenditivo<br />

ad almeno 2/3 settimane<br />

in caso di es<strong>per</strong>ienze di stage “on<br />

the job”.<br />

L’attività è stata svolta nei seguenti <strong>per</strong>iodi:<br />

IPSSART Siracusa: stage/visita didattica ad Agrigento/Favara nel<br />

12


<strong>per</strong>iodo 03-05/11/2006; stage/visita didattica a Malta nel <strong>per</strong>iodo<br />

21-26/11/2006;<br />

IPSSARCT Favara (AG): stage/visita didattica a Siracusa nel <strong>per</strong>iodo<br />

06-08/10/2006; stage/visita didattica a Malta nel <strong>per</strong>iodo 21-<br />

28/10/2006;<br />

ITS Malta: stage/visita didattica a Siracusa ed Agrigento nel <strong>per</strong>iodo<br />

17-24/09/2006.<br />

L’e-learning<br />

L’e-learning rappresenta <strong>la</strong> forma<br />

più avanzata dei metodi di FAD<br />

(formazione a distanza), che consente<br />

di erogare attività formativa<br />

sfruttando le potenzialità di internet.<br />

Caratterizzato da un alto grado<br />

di indipendenza del <strong>per</strong>corso didattico<br />

da vincoli spazio-temporali, attraverso<br />

tale metodo è stato realizzato<br />

un corso on-line su “Storia e<br />

Cultura del<strong>la</strong> Regione Centrale Mediterranea”,<br />

rivolto a residenti maltesi e siciliani; <strong>la</strong> “regia” è stata curata<br />

dal partner ITS, <strong>la</strong> cui offerta formativa è già da anni caratterizzata<br />

dall’uso dell’e-learning.<br />

I partners hanno altresì partecipato ad un corso residenziale sulle tecnologie<br />

dell’e-learning, curato a Malta dal 25 al 29 settembre 2007 dal<br />

partner ITS, in cui sono stati approfonditi metodi e tecniche di implementazione<br />

di didattica in FAD, con partico<strong>la</strong>re riferimento alle risorse “open<br />

source” <strong>per</strong> <strong>la</strong> creazione di una piattaforma e-learning. Ciò con l’obiettivo<br />

di promuovere l’ampliamento delle rispettive offerte formative e <strong>la</strong> formazione<br />

continua attraverso <strong>la</strong> formazione a distanza.<br />

I convegni<br />

Uno degli aspetti del <strong>per</strong>corso<br />

progettuale è stata <strong>la</strong> promozione di<br />

dibattiti sul tema generale “storia,<br />

cultura ed enogastronomia <strong>per</strong> <strong>la</strong><br />

promozione integrata del turismo”<br />

attraverso due convegni avuti luogo<br />

nel 2007.<br />

Il primo evento, curato da ITS a<br />

Malta nel mese di maggio, ha dato<br />

un taglio più scientifico al<strong>la</strong> trattazione del tema promuovendo riflessioni<br />

sulle connessioni tra Sicilia e Malta partendo dal<strong>la</strong> preistoria e fino al<br />

13


medioevo, dedicando poi partico<strong>la</strong>re attenzione agli strumenti strategici<br />

messi in atto <strong>per</strong> <strong>la</strong> promozione del turismo maltese. Ovvia conclusione<br />

dell’evento è stata <strong>la</strong> degustazione curata dagli allievi e dal <strong>per</strong>sonale<br />

del<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong> maltese.<br />

Il secondo evento è stato invece organizzato dal<strong>la</strong> Soprintendenza ai<br />

BB.CC.AA. di Siracusa a giugno nel<strong>la</strong> cornice del Castello Maniace,<br />

promuovendo l’approfondimento<br />

sul<strong>la</strong> corre<strong>la</strong>zione tra i “sa<strong>per</strong>i” ed i<br />

“sapori” partendo dall’analisi di tradizioni,<br />

tipicità e peculiarità locali.<br />

Anche in questa occasione aspetto<br />

saliente dell’evento è stata <strong>la</strong> degustazione<br />

curata da un team di chef<br />

locali nello scenario di un noto albergo<br />

siracusano. Partendo da<br />

un’analisi storico-culturale delle re<strong>la</strong>zioni<br />

tra Sicilia e Malta, sono state<br />

proposte ricette in cui “ricercatezza”<br />

ha fatto rima con “prelibatezza”.<br />

La regata “Sa<strong>per</strong>i & Sapori”<br />

A giugno 2007 il partner Royal<br />

Malta Yacht Club ha realizzato <strong>la</strong><br />

regata “SAPERI & SAPORI - MAL-<br />

TA-S.LEONE”.<br />

Sette e<strong>qui</strong>paggi si sono affrontati<br />

in una regata dominata dal forte<br />

vento di scirocco che ha <strong>per</strong>messo<br />

al<strong>la</strong> barca vincitrice di raggiungere <strong>la</strong><br />

linea d'arrivo dinanzi al porto di San<br />

Leone (AG) in sole 10 ore e 06 minuti,<br />

ad una media di 10 nodi.<br />

Il primo premio, commissionato<br />

<strong>per</strong> l'occasione ad un noto scultore<br />

maltese, è stato consegnato durante<br />

<strong>la</strong> premiazione del<strong>la</strong> regata che ha<br />

avuto luogo nello sce-nario del<br />

giardino di un noto albergo del<strong>la</strong><br />

provincia di Agrigento, al<strong>la</strong> presenza<br />

dei velisti, dei partners del progetto e di autorità civili e militari.<br />

In realtà <strong>la</strong> regata è stata una ulteriore es<strong>per</strong>ienza del club di affermare<br />

lo spirito sportivo come strumento di promozione del<strong>la</strong> conoscenza<br />

dei luoghi e delle tradizioni dei luoghi visitati. La premiazione è stata oc-<br />

14


casione <strong>per</strong> proporre le tipicità delle tradizioni enogastronomiche del territorio,<br />

mentre l’ospitalità del partner Parco del<strong>la</strong> Valle dei Templi ha fatto<br />

da cornice al<strong>la</strong> visita guidata dei luoghi eterni sovrastanti il golfo che è<br />

stato scenario del<strong>la</strong> regata.<br />

15


Il cuore di ‘Sa<strong>per</strong>i & Sapori’: <strong>la</strong> ricerca<br />

Sicuramente un’elemento fondamentale del progetto è stata <strong>la</strong> ricerca,<br />

con l'indagare e mettere a confronto i molteplici tratti identificativi dei<br />

Sa<strong>per</strong>i e dei Sapori che connotano le aree in esame: i loro territori, <strong>la</strong> loro<br />

storia, le loro tradizioni, i loro beni culturali, i loro sapori tipici (le loro<br />

identità, appunto).<br />

Il concetto di “tipicità” è stato assunto quale criterio guida dell'attività<br />

di ricerca: da un <strong>la</strong>to, <strong>la</strong> tipicità è affidata al<strong>la</strong> storia, ai monumenti, al<strong>la</strong><br />

tradizione locale, di cui rimane traccia nei documenti, nelle tradizioni popo<strong>la</strong>ri<br />

e nei ricettari; dall'altro, far emergere l'identità enogastronomica di<br />

un territorio vuol dire riconoscere e individuare quei “sapori tipici” che<br />

<strong>per</strong> peculiarità rendono distinguibile un’area.<br />

La ricerca sui Sa<strong>per</strong>i ha <strong>per</strong>seguito l'obiettivo di mettere a confronto<br />

le similitudini storiche, artistiche, culturali e naturalistiche comuni a Malta<br />

e al<strong>la</strong> Sicilia (in partico<strong>la</strong>re le città di Agrigento e Siracusa), crocevia del<br />

Mediterraneo tra cultura araba e occidentale, che suscitarono sempre<br />

curiosità e interesse. Vari gli elementi che accomunavano le due isole:<br />

l'aspetto morfologico del territorio, <strong>la</strong> vicinanza spaziale, il clima, <strong>la</strong> flora<br />

e <strong>la</strong> qualità del<strong>la</strong> pietra che caratterizza le architetture. A partire dal Settecento,<br />

<strong>per</strong>ò, il viaggio a Malta da parte dell'elite europea era già ispirato<br />

dal<strong>la</strong> voglia di conoscere i monumenti megalitici, i minerali e i costumi<br />

del luogo ma soprattutto dal voler rendere onore al<strong>la</strong> sede di un Ordine<br />

che nel Mediterraneo rappresentava il fulcro di e<strong>qui</strong>libri politici, sociali e<br />

religiosi; l'inserimento del<strong>la</strong> Sicilia nell'itinerario del Grand Tour è legato,<br />

invece, all'amore <strong>per</strong> <strong>la</strong> grecità e al fascino che quel<strong>la</strong> terra occupava<br />

nell'immaginario dei suoi visitatori. Nei loro diari ognuno di questi viaggiatori<br />

(in partico<strong>la</strong>re lo scozzese Patrick Brydone ed il francese Dominique<br />

Vivant Denon) ha <strong>la</strong>sciato traccia di emozioni, tesi e riproduzioni artistiche.<br />

Affiancando alle impressioni sui luoghi visitati da Brydone e Denon<br />

gli approfondimenti e descrizioni del<strong>la</strong> ricerca, è stato creato un ponte<br />

tra passato e presente, tra il Gran Tour del Settecento e i Sa<strong>per</strong>i moderni,<br />

<strong>per</strong>mettendo un inquadramento storico e culturale <strong>per</strong> rappresentare<br />

le principali caratteristiche storico architettoniche.<br />

Testimonianza ulteriore del valore universale dei luoghi sono i riconoscimenti<br />

Unesco avvenuti nel 1980 <strong>per</strong> La Valletta, l'ipogeo di Hal Saflieni<br />

e i templi megalitici a Malta, nel 1997 <strong>per</strong> l'area archeologica di Agrigento,<br />

nel 2006 <strong>per</strong> Siracusa e le necropoli rupestri di Pantalica.<br />

In parallelo, <strong>la</strong> ricerca sui Sapori ha evidenziato che nonostante i riconoscimenti<br />

ufficiali sanciti dal<strong>la</strong> concessione dei marchi DOP, IGP,<br />

DOC e IGT istituiti dall'Unione Europea a tute<strong>la</strong> delle produzioni tipiche,<br />

<strong>la</strong> “tipicità” di un sapore di un luogo è sancita dall'esterno al luogo stesso,<br />

dagli “altri”, gli “allogeni”, che si esprime in una pubblica e condivisa<br />

16


attestazione d'origine. Altresì essa è rive<strong>la</strong>ta già nel nome in cui <strong>la</strong> propria<br />

identità geografica è definita dall'uso del toponimo come tratto distintivo<br />

del<strong>la</strong> denominazione e costituisce una pubblica, ancorché non<br />

ufficiale, attestazione di tipicità.<br />

Ma altresì diffuso nell'ambito enogastronomico è l'intendere il termine<br />

“tipico” collegato al<strong>la</strong> presenza consolidata nel tempo di un prodotto o di<br />

una ricetta in un territorio: <strong>la</strong> tipicità, in questo caso, è <strong>per</strong> così dire affidata<br />

al<strong>la</strong> storia, al<strong>la</strong> tradizione locale, variamente attestata: ne rimane<br />

traccia nei documenti e nei saggi di storia locale, nelle tradizioni popo<strong>la</strong>ri,<br />

nei ricettari, <strong>per</strong>sino nel<strong>la</strong> letteratura; anche attraverso queste fonti è<br />

possibile dunque ricostruire l'identità enogastronomica di un territorio,<br />

evidenziandone i tratti tipici. Osservazione che conduce al<strong>la</strong> consapevolezza<br />

del legame indissolubile tra i Sa<strong>per</strong>i ed i Sapori di un luogo.<br />

Nel<strong>la</strong> ricerca sono stati identificati come “sapori tipici” i cibi naturali, i<br />

prodotti trasformati e le ricette che presentino almeno una caratteristica<br />

tra: l'attribuzione ufficiale di un marchio riconosciuto, l'identità geografica<br />

unita al<strong>la</strong> denominazione del “sapore”, l'appartenenza documentata al<strong>la</strong><br />

storia e tradizione locale. In tal modo <strong>la</strong> ricerca ha costruito una “filiera”<br />

enogastronomica che, partendo dalle risorse naturali tipiche di un luogo,<br />

ne segue <strong>la</strong> trasformazione sino al<strong>la</strong> tavo<strong>la</strong>, luogo deputato al<strong>la</strong> celebrazione<br />

del sapore.<br />

17


I Sa<strong>per</strong>i<br />

Agrigento, Siracusa e Malta nel Mediterraneo: introduzione<br />

storica<br />

18<br />

Agrigento<br />

Il sito che in età storica fu occupato dal<strong>la</strong> colonia greca di Akragas, ha<br />

restituito pochi ma chiari indizi di frequentazione in epoca preistorica.<br />

Tracce di abitazioni preelleniche sono state rinvenute al di sotto del<br />

Tempio di Zeus (un “fondo” di capanna, dal <strong>per</strong>imetro irrego<strong>la</strong>rmente<br />

curveggiante, riferibile all’orizzonte castellucciano dell’antica età del<br />

bronzo) e nelle vicinanze del poggetto di S. Nico<strong>la</strong>, nel cuore del<strong>la</strong> Valle<br />

dei Templi; scavi effettuati sulle pendici del<strong>la</strong> Rupe Atenea, negli anni<br />

trenta del secolo scorso, hanno messo in luce una necropoli con tombe<br />

del tipo “a forno”; testimonianze di culto sono venute al<strong>la</strong> luce sotto il<br />

Santuario rupestre di Demetra a S. Biagio, nei pressi del Tempio di Asclepio<br />

a sud del<strong>la</strong> Piana di S. Gregorio e nel recinto delle Divinità ctonie<br />

presso il limite occidentale del<strong>la</strong> Collina dei Templi; ancora, scavi in località<br />

S. Anna, a sud del<strong>la</strong> Collina dei Templi, hanno messo in luce i resti<br />

di un altro santuario ctonio che presenta una prima fase indigena.<br />

Partico<strong>la</strong>re importanza riveste, <strong>per</strong> l’Età del Rame, il sito di Serraferlicchio,<br />

identificato su una cresta calcarea, lunga circa un chilometro, a<br />

nord del<strong>la</strong> stazione ferroviaria di Agrigento Bassa. Gli scavi, ripetutamente<br />

intrapresi a partire dagli anni trenta del secolo scorso, hanno<br />

messo in luce le tracce di un vil<strong>la</strong>ggio di capanne ovali con battuti in pietra<br />

e foco<strong>la</strong>ri centrali, <strong>la</strong> cui necropoli, costituita da tombe a forno, si trova<br />

sul pendio orientale del<strong>la</strong> collina. Oltre alle capanne, è stata evidenziata<br />

<strong>la</strong> presenza di una galleria naturale all’interno del<strong>la</strong> quale sono stati<br />

rinvenuti numerosi frammenti ceramici, sì da dare l’idea di uno scarico<br />

naturale del vil<strong>la</strong>ggio. La ceramica di Serraferlicchio, dipinta in nero su<br />

fondo rosso lucido o vio<strong>la</strong>ceo, ha dato il nome (Stile di Serraferlicchio)<br />

ad un orizzonte culturale dell’eneolitico medio, diffuso praticamente in<br />

tutta <strong>la</strong> Sicilia.<br />

Altro abitato preistorico è stato rinvenuto pochi chilometri a sud-est di<br />

Agrigento, in località Cannatello; i resti archeologici rinvenuti, fra cui alcuni<br />

bronzi, ne hanno <strong>per</strong>messo una datazione risalente al<strong>la</strong> fine del secondo<br />

millennio a. C. Recenti scavi nel<strong>la</strong> stesso sito hanno messo in luce<br />

impianti abitativi riconducibili al mondo miceneo ed una cospicua<br />

quantità di materiale ceramico, più propriamente cipriota, gli uni e gli altri<br />

riconducibili a quell’età.<br />

I rinvenimenti di materiali micenei sono partico<strong>la</strong>rmente importanti<br />

<strong>per</strong>ché gettano luce sul problema dei rapporti intrattenuti dai Sicani


dell’agrigentino con i popoli che precedettero i Greci nel Mare Egeo. I<br />

colonizzatori greci di epoca storica (VIII – VI sec. a. C.) colsero l’eco di<br />

queste vicende e ne conservarono il ricordo in forma mitica tramandando<br />

<strong>la</strong> saga di Dedalo che, fuggito da Creta, trovò rifugio nel<strong>la</strong> sicana<br />

Camico, presso <strong>la</strong> reggia del re Cocalo. Il sito di Camico, <strong>la</strong> cui identificazione<br />

con l’odierna S. Angelo Muxaro (circa trenta km a nord-ovest di<br />

Agrigento) è ormai universalmente accettata, ha restituito notevolissimi<br />

re<strong>per</strong>ti riferibili ad una frequentazione micenea di queste zone; successive<br />

ricerche appositamente promosse nell’entroterra agrigentino hanno<br />

indotto gli studiosi a par<strong>la</strong>re di un vero e proprio processo di miceneizzazione<br />

di questa parte del<strong>la</strong> Sicilia, tramite stanziamenti di genti transmarine<br />

arrivate tra il XIV e il XII sec. a. C.<br />

Stando al racconto di Tucidide (VI, 4, 4), Akragas fu fondata nel 580<br />

a. C. da coloni rodio-cretesi. Sia che si segua <strong>la</strong> tradizione tucididea secondo<br />

cui <strong>la</strong> nuova polis fu una mera sottocolonia di Ge<strong>la</strong> che, fortemente<br />

ingrossata nel VII sec. a. C. dal continuo afflusso di nuovi immigrati,<br />

cercava nuovi sbocchi, sia che si dia credito al<strong>la</strong> notizia di Polibio (IX,<br />

27, 7-8) secondo cui i coloni provenivano direttamente da Rodi – e il culto<br />

di Zeus Atabyrios ne sarebbe una prova – finalità primaria del<strong>la</strong> nuova<br />

fondazione fu <strong>la</strong> con<strong>qui</strong>sta di nuove terre a scopo demografico. Il carattere<br />

composito del<strong>la</strong> popo<strong>la</strong>zione del<strong>la</strong> giovane colonia giocò probabilmente<br />

un ruolo importante nel<strong>la</strong> crisi – scoppiata circa un decennio dopo<br />

<strong>la</strong> fondazione del<strong>la</strong> città - che favorì l’ascesa al potere di Fa<strong>la</strong>ride (570-<br />

544 a.C. ca.), sotto il quale il dominio akragantino si espanse<br />

nell’entroterra fino a <strong>la</strong>mbire il territorio di Himera, sul<strong>la</strong> costa settentrionale<br />

del<strong>la</strong> Sicilia: del resto, <strong>la</strong> politica di espansione del tiranno akragantino,<br />

oltre ad essere strumento di conservazione del potere e di al<strong>la</strong>rgamento<br />

del consenso, era una necessità storica dovuta all’indomita presenza<br />

sicana nell’entroterra.<br />

Il silenzio delle fonti, dopo <strong>la</strong> caduta del<strong>la</strong> tirannide fa<strong>la</strong>ridea, probabilmente<br />

<strong>per</strong> mano di membri del<strong>la</strong> stirpe degli Emmenidi, non consente<br />

di ricostruire <strong>la</strong> storia evenemenziale di Akragas nel<strong>la</strong> seconda metà del<br />

VI sec. a. C.; <strong>la</strong> città continuò comunque a pros<strong>per</strong>are fino ad essere <strong>la</strong><br />

più vasta e popolosa del<strong>la</strong> Sicilia dopo Siracusa. Proprio ad un membro<br />

del<strong>la</strong> stirpe degli Emmenidi, Terone, tiranno di Akragas dal 487 a. C. ca.,<br />

fu dovuta <strong>la</strong> con<strong>qui</strong>sta di Himera (483 a. C. ca.) che garantiva al<strong>la</strong> stessa<br />

Akragas uno sbocco sul Tirreno e l’inserimento nelle grandi correnti di<br />

traffico del Mediterraneo. Tutto ciò urtava, <strong>per</strong>ò, contro gli interessi dei<br />

Fenici di Sicilia, da lungo tempo stanziati nel<strong>la</strong> cuspide occidentale<br />

dell’Iso<strong>la</strong>, e, di riflesso, di Cartagine, che aveva stretto rapporti di “amicizia”<br />

con Selinunte e Himera, città greche con vocazione emporica, e ne<br />

aveva fatto due avamposti <strong>per</strong> i propri traffici marini. La situazione degenerò:<br />

se dal<strong>la</strong> parte di Cartagine si schierarono Regio e Selinunte, Tero-<br />

19


ne ebbe dal<strong>la</strong> sua l’alleanza – suggel<strong>la</strong>ta da una serie di matrimoni – di<br />

Gelone di Siracusa: presso Himera, nel 480 a. C., gli eserciti riuniti di<br />

Terone e Gelone, riportarono contro i Punici una memorabile vittoria <strong>la</strong><br />

cui eco risonò <strong>per</strong> molto tempo nel<strong>la</strong> storiografia greca che non esitò a<br />

considerar<strong>la</strong> pari a quel<strong>la</strong> riportata nello stesso anno e – come si disse –<br />

nello stesso giorno, contro i Persiani a Sa<strong>la</strong>mina.<br />

Caduta <strong>la</strong> tirannide Emmenide, nel 472 a. C. ca., ad Akragas si instaurò<br />

un regime democratico e <strong>la</strong> città entrò definitivamente nell’orbita<br />

degli interessi politici ed economici di Siracusa. Solo nell’ultimo decennio<br />

del V sec. a. C., l’ennesimo contrasto fra Selinunte e Segesta portò ancora,<br />

sul suolo siciliano, un forte esercito cartaginese guidato da Annibale.<br />

Come è noto, le principali poleis siceliote vennero prese e distrutte<br />

dai Cartaginesi: Selinunte ed Himera nel 409 a. C., Akragas, Ge<strong>la</strong> e<br />

Kamarina tra il 406 e il 405 a. C. L’avanzata dell’esercito cartaginese si<br />

arrestò alle porte di Siracusa e il trattato stipu<strong>la</strong>to al<strong>la</strong> fine del 405 a. C.,<br />

tra i Cartaginesi e Dionisio I - divenuto nel frattempo strategòs autokràtor<br />

di Siracusa – previde, fra le altre condizioni, che Akragas entrasse a far<br />

parte dei possedimenti cartaginesi. Dal<strong>la</strong> rovina del 406 a. C. Akragas,<br />

almeno come potenza di ordine politico e militare, non risorse mai più<br />

compiutamente.<br />

Nel<strong>la</strong> seconda metà del IV sec. a. C., grazie all’o<strong>per</strong>a militare e politica<br />

di Timoleonte, <strong>la</strong> città fu massicciamente ripopo<strong>la</strong>ta con nuovi coloni<br />

venuti dal<strong>la</strong> lucana Elea; a questo momento, con tutta probabilità, è da<br />

attribuire il rinnovamento edilizio dell’abitato, quale si è potuto riconoscerlo<br />

negli scavi del cosiddetto “Quartiere ellenistico-romano” presso S.<br />

Nico<strong>la</strong> e nel settore ovest del<strong>la</strong> Collina dei Templi. Stretta geograficamente<br />

tra le due “potenze” che si erano intanto divisa <strong>la</strong> Sicilia, Siracusa<br />

e Cartagine, al<strong>la</strong> nuova Agrigento non restò altra scelta che tenersi,<br />

tranne qualche breve <strong>per</strong>iodo, dal<strong>la</strong> parte di quest’ultima nel difficile gioco<br />

militare e politico che si giocherà nell’Iso<strong>la</strong> fino al<strong>la</strong> fine del III sec. a.<br />

C., quando, con <strong>la</strong> seconda guerra punica, i Romani allontaneranno definitivamente<br />

i Cartaginesi dal<strong>la</strong> Sicilia.<br />

Dopo <strong>la</strong> con<strong>qui</strong>sta da parte di Roma, <strong>la</strong> Sicilia greca decadde dalle attività<br />

spirituali e artistiche e scomparve come entità politica a sé stante;<br />

<strong>la</strong> ritrovata pace, tuttavia, consentì una grande ripresa economica i cui<br />

vantaggi andarono, più che altro, a favore dei vincitori. Anche Agrigento,<br />

c<strong>la</strong>ssificata come “civitas decumana”, finì <strong>per</strong> godere di un certo benessere,<br />

grazie ad un’intensa produzione agrico<strong>la</strong> (frumento, orzo, olio, vino,<br />

frutta), ai rinnovati commerci (l’Emporio akragantino ricordato da<br />

Strabone e Tolomeo), ai prodotti tessili e allo zolfo.<br />

In età im<strong>per</strong>iale <strong>la</strong> città, unica sopravvissuta – insieme con Lilibeo –<br />

su una costa meridionale pressoché deserta, godette ancora, soprattutto<br />

nel II e nel III sec., di una certa opulenza; <strong>la</strong> decadenza, progressiva ed<br />

20


inarrestabile, arrivò con le incursioni dei Vandali e poi dei Goti. Il centro<br />

urbano pian piano si restrinse fino a ridursi ad un modesto borgo appol<strong>la</strong>iato<br />

sul<strong>la</strong> parte alta, <strong>la</strong> zona nord-ovest dell’antica città. Nell’829 d. C.<br />

<strong>la</strong> modesta rocca, non adeguatamente munita, venne <strong>per</strong> <strong>la</strong> prima volta<br />

occupata dagli Arabi che l’abbandonarono l’anno successivo dopo aver<strong>la</strong><br />

quasi distrutta; nel<strong>la</strong> prima metà del X sec. <strong>la</strong> città fu di nuovo occupata<br />

dagli Arabi, prevalentemente Berberi, e di questi divenne <strong>la</strong> capitale<br />

siciliana, in rivalità accanita con Palermo che fu roccaforte del ramo più<br />

propriamente arabo del<strong>la</strong> con<strong>qui</strong>sta. Sotto <strong>la</strong> dominazione araba <strong>la</strong> città<br />

godette ancora una volta di un rinnovato splendore, grazie anche al<strong>la</strong><br />

sua posizione strategica sul<strong>la</strong> costa antistante le basi o<strong>per</strong>ative arabe: di<br />

questo splendore e dei monumenti costruiti, pur vividamente descritti da<br />

7 Edrisi, il geografo arabo dei tempi di Ruggero II (metà del XII sec. ca.),<br />

purtroppo nul<strong>la</strong> ci è stato tramandato.<br />

Agli Arabi successero i Normanni che, sotto <strong>la</strong> guida di Ruggero,<br />

con<strong>qui</strong>starono Agrigento nel 1086. Ad essi si deve <strong>la</strong> costruzione di importanti<br />

o<strong>per</strong>e di fortificazione nonchè del primo nucleo del<strong>la</strong> nuova cattedrale<br />

fondata dal vescovo Ger<strong>la</strong>ndo, parte del pa<strong>la</strong>zzo vescovile, le<br />

strutture più antiche del convento di S. Nico<strong>la</strong>, <strong>la</strong> chiesa di S. Biagio sulle<br />

rovine del tempio greco di Demetra e <strong>la</strong> chiesa di S. Maria dei Greci<br />

sui ruderi del tempio che era forse stato di Athena.<br />

Il <strong>per</strong>iodo che va dal<strong>la</strong> fine del XIII sec. a tutto il XV sec. fu, <strong>per</strong> <strong>la</strong> città,<br />

un <strong>per</strong>iodo di grande rinnovamento edilizio propiziato da una nobile<br />

agrigentina, Marchisia Prefoglio, progenitrice del<strong>la</strong> famiglia dei Chiaramonte:<br />

Manfredi, Giovanni e Federico Chiaramonte, figli di Marchisia,<br />

fecero del<strong>la</strong> magnificenza e del<strong>la</strong> munificenza e<strong>la</strong>rgita negli edifici privati,<br />

pubblici e religiosi da loro voluti un attento strumento di potere: e questo<br />

potere fu tanto vasto da condizionare <strong>la</strong> storia politica siciliana <strong>per</strong> tutto il<br />

XIV sec.: Agrigento, crocevia degli interessi di questa nobile famiglia, vide<br />

esaltato il proprio ruolo commerciale e, con i suoi 8.000 abitanti, fu <strong>la</strong><br />

terza città del<strong>la</strong> Sicilia occidentale dopo Palermo e Trapani.<br />

La signoria dei Chiaramonte su Agrigento cessò quando, celebrate le<br />

contestate nozze del<strong>la</strong> regina di Sicilia Maria, con il giovanissimo Martino,<br />

figlio dell’erede al trono di Aragona, <strong>la</strong> monarchia siciliana si svincolò<br />

dal<strong>la</strong> tute<strong>la</strong> dei “quattro vicari” (Andrea Chiaramonte, Antonio Ventimiglia,<br />

Manfredi A<strong>la</strong>gona, Guglielmo Peralta) e, <strong>per</strong> ripristinare ordine e legalità,<br />

potè contare sul<strong>la</strong> forza militare e sugli appoggi internazionali del<br />

Regno di Aragona. I due sovrani Maria e Martino, sbarcati in Sicilia al<strong>la</strong><br />

testa di un’armata nel 1392, ottennero un grande successo nei confronti<br />

del<strong>la</strong> feudalità con <strong>la</strong> cattura di Andrea Chiaramonte e si prodigarono<br />

nel<strong>la</strong> concessione di grazie, franchigie e immunità alle città demaniali,<br />

<strong>per</strong> farsele preziose alleate nel<strong>la</strong> lotta contro lo strapotere baronale. Girgenti<br />

ebbe così confermati gli antichi privilegi; furono ripristinate le magi-<br />

21


strature cittadine e soppresse le gabelle e le collette imposte dai Chiaramonte.<br />

Nel 1398 il par<strong>la</strong>mento, convocato a Siracusa <strong>per</strong> avviare il pacifico<br />

riassetto del Regno, confermò l’inalienabilità, da parte del<strong>la</strong> corona,<br />

delle città demaniali - fra le quali era Agrigento - e stabilì il ritorno ad<br />

una normale fiscalità. In questo <strong>per</strong>iodo, le vicende politiche di Girgenti<br />

sono connesse con le vicende del suo vescovato: dal 1401 <strong>la</strong> cattedra<br />

vescovile agrigentina venne riservata, come fonte di lucroso vantaggio,<br />

ad esponenti del clero cata<strong>la</strong>no.<br />

Le o<strong>per</strong>azioni militari e le carestie avevano, frattanto, determinato<br />

l’abbandono del<strong>la</strong> città da parte di molti cittadini quando, tra il 1410 e il<br />

1450, subentrò <strong>la</strong> crisi dell’attività portuale dovuta al proliferare di nuovi<br />

caricatori (Siciliana e Montechiaro) che fecero <strong>per</strong>dere al<strong>la</strong> città il monopolio<br />

dell’esportazione del frumento proveniente dall’entroterra.<br />

Il XVI sec. si apre, ad Agrigento, con due rivolte: <strong>la</strong> prima si ebbe nel<strong>la</strong><br />

primavera del 1516, subito dopo i moti palermitani che avevano portato<br />

al<strong>la</strong> fuga dei Moncada. Furono soppresse le gabelle, scacciati gli “ottimati”<br />

e istituito un governo popo<strong>la</strong>re che <strong>per</strong>mise violenze e saccheggi<br />

gratuiti. La seconda rivolta si ebbe nell’estate del 1517: <strong>la</strong> fazione popo<strong>la</strong>re<br />

agrigentina, istigata dal<strong>la</strong> nobile famiglia dei Naselli, costrinse al<strong>la</strong><br />

fuga molti nobili, alleati dei Moncada, dando alle fiamme diversi dei loro<br />

pa<strong>la</strong>zzi. Quando i disordini cessarono, <strong>la</strong> città rimase stremata, con <strong>la</strong><br />

popo<strong>la</strong>zione in calo e un’architettura signorile degradata.<br />

La crisi economica, demografica ed urbanistica del<strong>la</strong> città durò fino al<strong>la</strong><br />

fine del ‘600; le gravi difficoltà in cui si dibattevano, in tutta <strong>la</strong> Sicilia, i<br />

ceti più disagiati, determinarono, nel maggio 1647, in coincidenza con<br />

una disastrosa carestia, una vera esplosione di moti popo<strong>la</strong>ri che, non<br />

avendo fra loro alcun coordinamento, non ottennero nessun risultato; a<br />

Girgenti il popolo si diede a veri e propri atti vandalici: furono incendiati<br />

gli archivi e a<strong>per</strong>te le carceri; fu imposta ai proprietari l’a<strong>per</strong>tura dei magazzini<br />

di frumento; <strong>la</strong> fol<strong>la</strong> assalì <strong>la</strong> sede vescovile, ne saccheggiò i<br />

magazzini e sequestrò un’ingente somma di denaro al vescovo Traina,<br />

colpevole di aver mercanteggiato a lungo il prezzo del grano. Mentre gli<br />

altri centri siciliani erano ormai tornati all’ordine, a Girgenti <strong>la</strong> gestione<br />

popo<strong>la</strong>re del potere durò fino all’agosto del 1648 quando il marchese<br />

Monta<strong>per</strong>to, incaricato di mettere fine all’anarchia, riuscì a catturare e<br />

giustiziare diciassette dei ventiquattro magistrati popo<strong>la</strong>ri. A giudizio delle<br />

massime autorità, Girgenti non costituiva più un gioiello inalienabile<br />

del<strong>la</strong> Corona e dunque <strong>la</strong> città fu messa all’asta <strong>per</strong> essere infeudata:<br />

l’ac<strong>qui</strong>stò, nel 1648, il vescovo Traina il quale dispose che essa sarebbe<br />

tornata libera e demaniale al<strong>la</strong> sua morte (1651).<br />

Nei primi decenni del XVIII sec., <strong>la</strong> Sicilia divenne teatro di o<strong>per</strong>azioni<br />

militari fra i Sabaudi di Vittorio Amedeo, tito<strong>la</strong>re del regno, e l’esercito<br />

spagnolo che mirava a ricon<strong>qui</strong>star<strong>la</strong>. Ad Agrigento, l’incapacità delle<br />

22


c<strong>la</strong>ssi egemoni di attivare strumenti utili ad alleviare i mali del<strong>la</strong> città e <strong>la</strong><br />

mancanza di dinamicità delle sue componenti socio-economiche, determinarono,<br />

nel 1718, una sommossa popo<strong>la</strong>re. Il popolo, sopraffatta <strong>la</strong><br />

guarnigione sabauda, assunse il controllo del<strong>la</strong> città e puntò a riorganizzare<br />

il potere politico disarmando i nobili, facendo giustizia sommaria di<br />

diversi funzionari, amministratori e guardie locali e proc<strong>la</strong>mando addirittura<br />

re il proprio capo, il contadino Zosimo. Ma al solito, <strong>la</strong> mancanza di<br />

un realistico programma politico privò di sbocchi quell’ennesima sommossa<br />

e, poco dopo, fu facile <strong>per</strong> il capitano Pietro Monta<strong>per</strong>to avere<br />

ragione degli insorti e riprendere il controllo del<strong>la</strong> città.<br />

Nel 1730 venne nominato vescovo di Girgenti Lorenzo Gioieni e Cardona<br />

(1730 – 1754) che assunse il compito di avviare un programma di<br />

riforme capace di determinare <strong>la</strong> rigenerazione civile e sociale del<strong>la</strong> città;<br />

<strong>la</strong> sua o<strong>per</strong>a fu incisiva in tutti gli ambiti del<strong>la</strong> vita cittadina: commerciale,<br />

produttivo, sociale, didattico e religioso. A lui si deve, fra l’altro, l’inizio<br />

del<strong>la</strong> costruzione del molo di Porto Empedocle ( <strong>per</strong> il quale furono utilizzati<br />

i resti del Tempio di Giove) poi portata a termine dal suo successore,<br />

il vescovo Andrea Lucchesi Palli (1755 – 1768) il quale, costretto a<br />

lottare contro coloro che si opponevano al<strong>la</strong> politica del suo predecessore,<br />

ridimensionò l’impegno sociale e ripiegò sul terreno del<strong>la</strong> munificenza<br />

e del<strong>la</strong> beneficenza. Si dovette dunque all’iniziativa del clero seco<strong>la</strong>re e<br />

rego<strong>la</strong>re il rinnovamento architettonico del<strong>la</strong> città verificatosi nel ‘600 e<br />

nel ‘700, con <strong>la</strong> costruzione di nuove chiese (S. Rosalia, S. Lorenzo) e <strong>la</strong><br />

riedificazione di quelle più antiche (S. Giuseppe, S. Pietro, S. Francesco<br />

d’Assisi). Anche l’edilizia signorile ebbe nuovo impulso con <strong>la</strong> costruzione<br />

dei pa<strong>la</strong>zzi Lo Vetere – Del Carretto, Costa e Ce<strong>la</strong>uro. Sul colle di<br />

Girgenti l’abitato rimase sostanzialmente contratto fino a tempi recenti;<br />

“(…) Però l’arte di quei tempi è andata in rovina. In Girgenti non sorge<br />

un pubblico o privato edificio che non sia un orrore di asimmetria e di antistatica,<br />

meno il bellissimo teatro comunale, o<strong>per</strong>a del girgentino Dionisio<br />

Sciascia, costruito dal nostro Raimondo Nobile Orazio, e decorato<br />

dallo insigne architetto palermitano Giambattista Basile. Si costruisce il<br />

pa<strong>la</strong>zzo del<strong>la</strong> provincia, e nel<strong>la</strong> restaurazione del <strong>la</strong>to di tramontana si<br />

altera il sistema architettonico, e si sostituiscono alle finestre ad angolo<br />

retto dei tre <strong>la</strong>ti, quelle di forma circo<strong>la</strong>re. Si cinge il carcere di un muraglione,<br />

e questo non tira orizzontale ma a piano inclinato, vi si piantano i<br />

casotti agli angoli, e quelli sporgono dal piano del<strong>la</strong> grossezza del<strong>la</strong> murata,<br />

senza mensole che li sostengano. Si costruisce quasi di pianta il<br />

grande edifizio del Distretto militare, ove non si vede né unità di disegno<br />

nelle facciate, né e<strong>qui</strong>distanza nelle finestre, e così via che sarebbe<br />

noioso <strong>qui</strong> descrivere …” (G. Picone, Memorie storiche agrigentine, Girgenti<br />

1866).<br />

23


24<br />

Siracusa<br />

Il sito che da secoli è sede del<strong>la</strong> città di Siracusa, è stato frequentato<br />

dall’uomo fin dal VI millennio a.C. I vil<strong>la</strong>ggi neolitici di Stentinello, Matrensa<br />

e di Ognina, rinvenuti nelle immediate vicinanze, ne sono <strong>la</strong> prova.<br />

Il neolitico o età nuova del<strong>la</strong> pietra (5000/4500- 3500 a.C.) segna un'epoca<br />

rivoluzionaria in cui si verifica un lento ma vigoroso <strong>per</strong>iodo di<br />

mutamento. Cambia <strong>la</strong> concezione dell'uomo verso <strong>la</strong> natura: da oggetto<br />

passivo diviene soggetto attivo e <strong>la</strong> natura, miniera inesauribile di energie<br />

da sfruttare. Nasce l'agricoltura e <strong>la</strong> pastorizia e si afferma al posto<br />

del<strong>la</strong> raccolta dei frutti selvatici e del<strong>la</strong> caccia degli animali. Nasce così<br />

una società con carattere sedentario, i cui nuovi criteri associativi portano<br />

allo sviluppo dei vil<strong>la</strong>ggi. Nasce <strong>la</strong> ceramica. P.Orsi individuò in Sicilia<br />

questo momento importante del<strong>la</strong> storia dell'uomo, proprio nel vil<strong>la</strong>ggio<br />

siracusano di Stentinello, fatto di capanne rettango<strong>la</strong>ri sul terrazzo roccioso<br />

prospiciente il mare di contrada Targia, alle porte di Siracusa. Il<br />

carattere difensivo, che caratterizza anche gli altri vil<strong>la</strong>ggi siracusani, indica<br />

che probabilmente ricoprivano un ruolo di priorità rispetto al resto<br />

dell'iso<strong>la</strong>.<br />

L'età del rame (3500/2500- 2200 a.C.) segna il sorgere dell'età dei<br />

metalli, il cui impulso verso nuove condizioni di vita giunge dall'Anatolia.<br />

Trattandosi di una produzione specializzata, <strong>la</strong> <strong>la</strong>vorazione del metallo fu<br />

o<strong>per</strong>a di cerchie ristrette di artigiani, che monopolizzarono <strong>la</strong> loro professione:<br />

il metallo diviene bene di lusso e costituisce fattore determinante<br />

nell'insorgere di una c<strong>la</strong>sse guerriera, detentrice del potere all'interno<br />

delle comunità di vil<strong>la</strong>ggio. L’antica età del bronzo, nel<strong>la</strong> preistoria siciliana,<br />

è rappresentata dal<strong>la</strong> cultura di Castelluccio, presso Noto, di cui si<br />

sono potuti definire i limiti cronologici, grazie a recenti datazioni al Carbonio<br />

14 effettuate al<strong>la</strong> Muculufa (un altro sito di età castellucciana, nel<strong>la</strong><br />

valle del Salso), che hanno spostato l’inizio del<strong>la</strong> facies al 2200 a.C.,<br />

contemporaneamente al<strong>la</strong> fine dell’età dei templi maltesi. In questo momento<br />

si diffondono i vil<strong>la</strong>ggi fortificati, espressione di una società chiusa,<br />

impegnata<br />

allo sfruttamento intensivo delle proprie risorse. Il vil<strong>la</strong>ggio di Castelluccio<br />

comprende capanne irrego<strong>la</strong>rmente quadrango<strong>la</strong>ri e ovali, in parte<br />

incassate nel<strong>la</strong> roccia, di cui una è probabile, che abbia avuto destinazione<br />

sacra. Al disotto del pianoro dove si trovarono gli scarichi, si estendeva<br />

<strong>la</strong> necropoli, sui fianchi rocciosi del<strong>la</strong> Cava del<strong>la</strong> Signora. Il rito<br />

funerario è quello dell'inumazione collettiva e rannicchiata, che avveniva<br />

dentro tombe a grotticel<strong>la</strong> artificiale. Al di fuori del<strong>la</strong> tomba, presso il portello,<br />

una <strong>la</strong>stra di pietra in alcuni casi decorata da bassorilievi, veniva<br />

posto un vaso che doveva fungere da collegamento tra i vivi ed i morti,


come probabile contenitore di offerte <strong>per</strong>iodiche da parte dei congiunti<br />

del defunto. I portelli tombali restano un fenomeno iso<strong>la</strong>to nel contesto di<br />

questa cultura. Il prospetto era talvolta decorato con lesene intagliate<br />

nel<strong>la</strong> roccia, che di fatto arretrava l'ingresso nel<strong>la</strong> grotticel<strong>la</strong>.<br />

Con Castelluccio inizia <strong>la</strong> diversificazione sociale, che darà in seguito,<br />

origine al fenomeno urbano; è chiaro infatti, che oltre i gruppi dediti alle<br />

attività primarie agricolo-pastorali, figuravano cerchie artigianali impegnate<br />

a tempo pieno al<strong>la</strong> realizzazione di beni re<strong>la</strong>tivi a bisogni secondari.<br />

Ognina, a sud di Siracusa, è una “colonia maltese” insediatesi <strong>per</strong><br />

motivi commerciali sul<strong>la</strong> costa siciliana, che vive secondo le proprie tradizioni,<br />

riluttante ad accogliere gli elementi locali. Al di sopra dello strato<br />

neolitico stentinelliano, il sito continua a svilupparsi attraverso due distinti<br />

<strong>per</strong>iodi: quello di Castelluccio, che corrisponde al momento maltese<br />

del<strong>la</strong> necropoli di Tarxien e quello di Thapsos, corrispondente a Borg in<br />

Nadur.<br />

Per il bronzo antico, <strong>la</strong> Sicilia rappresenta un mondo diverso, dove<br />

Ognina costituisce una delle tappe dell’itinerario marittimo che congiungeva<br />

fra loro i due arcipe<strong>la</strong>ghi. Nell‘epoca precedente, in cui fioriva <strong>la</strong><br />

grande architettura dei templi maltesi, non c’erano rapporti. Da una parte,<br />

Malta con <strong>la</strong> sua architettura e il fresco naturalismo del<strong>la</strong> sua scultura<br />

e ricco patrimonio decorativo e intensi rapporti con Creta e le Cic<strong>la</strong>di.<br />

Dall’altra parte <strong>la</strong> Sicilia in uno stadio di civiltà arretrato, l’eneolitico, con<br />

le popo<strong>la</strong>zioni che ritornano a vivere in grotta. L’isoletta di Ognina appare<br />

come una testa di ponte maltese, rifugio <strong>per</strong> piccole navi. Finora iso<strong>la</strong>ta<br />

non si esclude che ricerche future possano segna<strong>la</strong>rne altri sulle coste<br />

orientali e meridionali del<strong>la</strong> Sicilia.<br />

Al di fuori di questi contatti, non vi sono altri indizi di rapporti tra i due<br />

territori. Molte volte i portelli di Castelluccio sono stati confrontati con le<br />

<strong>la</strong>stre che decorano i templi maltesi, soprattutto di Tarxien. Lo stile è <strong>per</strong>ò<br />

diverso: le spirali maltesi ricordano quelle cic<strong>la</strong>diche e sono sviluppo<br />

ornamentale di un motivo fitomorfo. Quelle siciliane rappresentano<br />

l’estrema stilizzazione del<strong>la</strong> figura umana, in un caso almeno dell’atto<br />

sessuale e rientrano nel simbolismo aniconico di cui è impregnata l’arte<br />

del<strong>la</strong> nuova età.<br />

Più significativo è il confronto con le facciate rupestri delle tombe a<br />

grotticel<strong>la</strong> castellucciane che sembrano riprodurre, in forme schematizzate<br />

e provinciali, uno dei motivi più frequenti nell’architettura dei templi<br />

maltesi. Questo è l’unico elemento di corre<strong>la</strong>zione tra <strong>la</strong> grande cultura<br />

megalitica maltese e <strong>la</strong> Sicilia castellucciana.<br />

La cultura di Castelluccio rappresenta l’evoluzione del<strong>la</strong> facies di<br />

Sant’Ippolito ed il suo arrivo potrebbe precedere di qualche tempo<br />

l’affermarsi del<strong>la</strong> cultura di Capo Graziano e del<strong>la</strong> necropoli di Tarxien.<br />

25


Queste tre facies rive<strong>la</strong>no una certa parente<strong>la</strong> ed una comune genesi<br />

dal<strong>la</strong> civiltà mesoel<strong>la</strong>dica del Peloponneso (Altis di Olimpia). Per vie diverse<br />

tutte queste facies si riportano ad un’unica origine, riconducibile<br />

ad un fenomeno storico di ampia portata che corrisponde al<strong>la</strong> migrazione<br />

delle prime genti indoeuropee.<br />

Media età del bronzo (1400-1270 a.C.). Al<strong>la</strong> fine del XV secolo si assiste<br />

ad un mutamento culturale di portata rilevante. Si afferma allora <strong>la</strong><br />

cultura di Thapsos, identificata nel<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong> di Magnisi, a nord di Siracusa,<br />

di cui si conoscono due momenti: il primo ( fine XV, XIV sec.), caratterizzato<br />

da capanne circo<strong>la</strong>ri con palo centrale, senza apparente criterio<br />

di organizzazione. La seconda fase (XIII- XII sec., sconfinante<br />

nell’età del Bronzo recente), propone un totale cambiamento, con <strong>la</strong> diffusione<br />

di capanne rettango<strong>la</strong>ri disposte a quadri<strong>la</strong>tero attorno ad una<br />

corte pavimentata con acciotto<strong>la</strong>to, fiancheggiati da strade che seguono<br />

il suolo dell’abitato: esempio innegabile dell’avvenuta protourbanizzazione,<br />

secondo uno schema riconducibile al mondo miceneo. All'esterno si<br />

estendeva <strong>la</strong> necropoli. La ricchezza dei materiali raccolti è indice del<br />

tenore e dell'intensità di rapporti commerciali, che fanno apparire questo<br />

sito come uno dei più importanti del bacino del Mediterraneo, nel<strong>la</strong> media<br />

età del Bronzo, dove il commercio miceneo è da intendere come<br />

l’elemento catalizzatore del suo sviluppo culturale. Si registra in questo<br />

momento, un‘enorme disponibilità verso l’esterno, che è un fatto nuovo<br />

<strong>per</strong> <strong>la</strong> Sicilia.<br />

L’età del medio bronzo (XIV-XIII secolo a.C.) a Malta, è caratterizzata<br />

dal<strong>la</strong> cultura di Borg in Nadur ed in Sicilia di Thapsos. Anche in questo<br />

caso non vi sono molti elementi in comune. Oltre il vecchio emporio di<br />

Ognina, il commercio con Malta comincia a far capo in questa età ad un<br />

nuovo centro, Thapsos. Dal<strong>la</strong> fine del XV secolo, pur restando attivi gli<br />

scali eoliani, anche <strong>la</strong> Sicilia con Thapsos, entra nell’orbita del commercio<br />

egeo. E sotto <strong>la</strong> spinta di questi contatti l’emporio siracusano si trasforma<br />

da vil<strong>la</strong>ggio indigeno in un centro protourbano.<br />

Thapsos ci offre l’esempio di una stazione costiera che vive del mare<br />

e sul mare, differenziata dal mondo interno, chiuso in un’economia continentale,<br />

basata su agricoltura e pastorizia. Fu certamente un emporio<br />

del commercio fenicio, così come era stata emporio del commercio miceneo<br />

e maltese. Thapsos scompare nel XIII secolo, quando si abbandonano<br />

gli insediamenti costieri e ci si rifugia nell’entroterra, a causa di<br />

rivolgimenti politici che sono da mettere in rapporto con il passaggio dei<br />

Siculi dal<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong> italiana.<br />

Tarda età del bronzo (1270-700 a.C.) É il momento in cui <strong>la</strong> vecchia<br />

civiltà viene travolta dall'irrom<strong>per</strong>e di nuove genti, Ausoni, Siculi, Morgeti:<br />

gruppi diversi di un'unica stirpe etnica che abitava <strong>la</strong> peniso<strong>la</strong> italiana.<br />

In questo <strong>per</strong>iodo, compreso tra <strong>la</strong> fine del XIII e <strong>la</strong> fine dell' VIII secolo<br />

26


a.C., sono state distinte quattro fasi, durante le quali il tipo di sepoltura<br />

non cambia. Esse sono state denominate: Pantalica Nord (1270-1000<br />

a.C.), Cassibile o Pantalica II, (1000-850 a.C.), Pantalica Sud o III ( 850-<br />

730 a.C.), Finocchito (730-650 a.C.) A Thapsos l’insediamento continua<br />

a vivere, anche se molto ridotto, in questa fase detta di Thapsos/Cassibile.<br />

Si sono rinvenuti una serie di ambienti quadrango<strong>la</strong>ri di 7-<br />

10m. <strong>per</strong> <strong>la</strong>to, a volte con partizioni interne. Il materiale ceramico raccolto<br />

s’inquadra nell’orizzonte del bronzo finale, facies di Cassibile, caratterizzato<br />

dal<strong>la</strong> ceramica a decorazione “piumata”. Associati a questi materiali<br />

sono stati trovati materiali importati, come <strong>la</strong> ceramica di Malta riferibile<br />

agli orizzonti di Borg in Nadur e Bahrija. La ricerca archeologica<br />

degli ultimi decenni ha ampiamente dimostrato che il tratto orientale di<br />

costa siciliana era ben noto ai Greci, prima ancora del<strong>la</strong> colonizzazione<br />

storica. La Sicilia era una terra molto fertile e i Greci vi giunsero proprio<br />

<strong>per</strong> avere una terra da coltivare e crearsi una nuova patria. Nacque così<br />

<strong>la</strong> città di Siracusa, fondata dal corinzio Archia al<strong>la</strong> fine dell’VIII secolo<br />

a.C., che sarebbe divenuta ben presto <strong>la</strong> potenza dominante nel<strong>la</strong> Sicilia<br />

orientale. In essa fiorì <strong>la</strong> cultura greca, attraverso le vicissitudini del<strong>la</strong> città,<br />

da Gelone vincitore sui Cartaginesi nel 480 a.C., al 413 a.C. che segna<br />

<strong>la</strong> vittoria dei Siracusani sugli Ateniesi e poi ancora, attraverso Dionigi<br />

il grande tiranno del IV secolo e Ierone II, sovrano ellenistico, fino a<br />

giungere al 212 a.C., anno del<strong>la</strong> presa da parte di Marcello di Siracusa,<br />

che segna <strong>la</strong> riduzione del<strong>la</strong> Sicilia a provincia romana.<br />

La Sicilia fu <strong>la</strong> prima ad insegnare ai nostri antenati come è bello governare<br />

paesi stranieri. Così dice Cicerone nel<strong>la</strong> II Verrina, orazione<br />

pronunciata nel corso del processo intentato a Verre nel 70a.C., <strong>per</strong> le<br />

infinite scorrettezze e ruberie compiute come governatore dell’iso<strong>la</strong> e<br />

nostra fonte principale di informazione sul<strong>la</strong> vita del<strong>la</strong> provincia, nel <strong>per</strong>iodo<br />

repubblicano. Non abbiamo invece, molte notizie sul<strong>la</strong> colonizzazione<br />

augustea del<strong>la</strong> Sicilia, avvenuta tra il 22 e 21 a.C. Dopo Augusto i<br />

cambiamenti amministrativi in Sicilia sono stati minimi ed hanno <strong>la</strong>sciato<br />

poche tracce nei documenti scritti. Sappiamo comunque, del<strong>la</strong> diffusione<br />

di un’economia basata sul <strong>la</strong>tifondo, in età im<strong>per</strong>iale, <strong>per</strong> cui un documento<br />

come l’itinerarium Antonini di IV secolo d.C., indica i <strong>la</strong>tifondia<br />

dell’iso<strong>la</strong> e non le città. In questi secoli Siracusa mantiene <strong>la</strong> sua rilevanza<br />

e lo sappiamo dal<strong>la</strong> testimonianza del<strong>la</strong> tradizione evangelica che fa<br />

del<strong>la</strong> città aretusea una delle tappe fondamentali del viaggio in occidente<br />

dell’apostolo Paolo, che vi soggiornò provenendo da Malta.<br />

Nel V secolo <strong>la</strong> Sicilia tornò al<strong>la</strong> ribalta, in conseguenza delle invasioni<br />

barbariche e del<strong>la</strong> divisione dell’im<strong>per</strong>o in metà Occidentale e metà<br />

Orientale con capitale Bisanzio. I Vandali con<strong>qui</strong>starono il Nord Africa e<br />

da lì fecero una prima incursione dell’iso<strong>la</strong> nel 440 d.C. I saccheggi continuarono,<br />

fino ad ottenere il pieno controllo militare nel 468 d.C., che<br />

27


durò <strong>per</strong> otto anni.<br />

Nell’anno 535, ricon<strong>qui</strong>stata da Giustiniano, <strong>la</strong> Sicilia diviene provincia<br />

bizantina. Non conosciamo molto di questo <strong>per</strong>iodo di amministrazione<br />

bizantina e l’iso<strong>la</strong> ebbe vita abbastanza tran<strong>qui</strong>l<strong>la</strong>. Sappiamo che<br />

l’im<strong>per</strong>atore Costanzo II stabilì <strong>la</strong> sua residenza a Siracusa, ma il peso<br />

finanziario di dare asilo all’im<strong>per</strong>atore ed al<strong>la</strong> sua corte si rivelò ben presto<br />

intollerabile <strong>per</strong> tutti i siciliani. Nel 668 l’im<strong>per</strong>atore viene ucciso e da<br />

questo momento, decade il ruolo di Siracusa.<br />

All’uccisione di Costante seguì una rivolta dei nobili bizantini, con vari<br />

tentativi di “colpi di stato” che culmineranno nell’azione di Eufemio che,<br />

nell’inseguire il suo folle piano di dominio, chiederà aiuto agli Arabi. Già<br />

al<strong>la</strong> fine del VII secolo gli Arabi avevano iniziato ad attaccare <strong>la</strong> Sicilia.<br />

Dal 700 al 750 l’iso<strong>la</strong> era stata soggetta a ripetuti incursioni cui era seguito<br />

un <strong>per</strong>iodo di stasi.<br />

Nell’827, in seguito al<strong>la</strong> richiesta di aiuto di Eufemio, un ingente esercito<br />

sbarcò in Sicilia, a Mazara e da lì cominciò <strong>la</strong> con<strong>qui</strong>sta araba<br />

dell’iso<strong>la</strong>. La guerra durò 50 anni; Palermo cadde nell’831, Siracusa<br />

nell’878, dopo un lungo assedio.<br />

La caduta del<strong>la</strong> città aretusea, simbolo dell’ellenismo in occidente,<br />

segna <strong>la</strong> fine del<strong>la</strong> Sicilia antica. Per volontà dei nuovi dominatori, Siracusa<br />

rimase una città di importanza minore cedendo definitivamente il<br />

posto di capitale a Palermo e avendo come titolo quello di capitale del<br />

Val di Noto, una delle tre grandi aree, con Val Demone e Val di Mazara,<br />

in cui gli Arabi divisero <strong>la</strong> Sicilia.<br />

L’iso<strong>la</strong> fu poi, con<strong>qui</strong>stata dai Normanni nell’XI secolo. Sorse allora<br />

una società nuova <strong>per</strong> lingua, religione, cultura, economia e sistema sociale,<br />

che produsse un netto spartiacque tra antichità e medioevo. La<br />

politica attuata dai Normanni fu di tolleranza e sincretismo culturale, non<br />

tra<strong>la</strong>sciando comunque, di attuare un processo di progressiva <strong>la</strong>tinizzazione.<br />

I Normanni rafforzarono l’aspetto militare dell’iso<strong>la</strong>, facendo costruire<br />

molti castelli <strong>per</strong> assicurarsi il controllo del territorio, ma furono<br />

anche amanti delle costruzioni di tradizione araba, come le lussuose residenze<br />

immerse nel verde. Federico II di Svevia, nell’ottica di una politica<br />

rivolta all’Europa, volle eliminare i segni del<strong>la</strong> tradizione is<strong>la</strong>mica. Attraverso<br />

<strong>la</strong> lotta e <strong>la</strong> deportazione, intese cancel<strong>la</strong>re l’elemento musulmano,<br />

che pure era stato una componente etnica di enorme rilevanza.<br />

Attuò un processo di controllo del territorio, iniziando <strong>la</strong> costruzione di<br />

castelli sul<strong>la</strong> costa orientale e meridionale dell’iso<strong>la</strong>. A Siracusa, che sarà<br />

insignita del titolo di “fedelissima” sarà costruito il Castello Maniace, a<br />

difesa del<strong>la</strong> città e del porto. Le agitazioni che seguirono al<strong>la</strong> morte di<br />

Federico (1250), portarono al regno degli Angioini prima ( 1266 ) e degli<br />

Aragonesi dopo ( 1295). Ma soprattutto si rinnovò un rafforzamento del<br />

potere feudale e grandi lotte di predominio si scatenarono nel<strong>la</strong> prima<br />

28


metà del trecento, tra le potenti famiglie del regno.<br />

Nel corso del XIV secolo, Siracusa riveste un ruolo di primo piano<br />

nell’ambito del regno spagnolo: nel 1361 vi viene istituita <strong>la</strong> Camera Reginale,<br />

in occasione delle nozze del re Federico IV che assegna, quale<br />

dote, al<strong>la</strong> regina Costanza un vasto dominio così designato.<br />

La Camera Reginale sarà poi soppressa da Carlo V, nel 1538. Il XVI<br />

secolo segna l’epoca dei Vicerè, che di fatto sanziona il ruolo di subordine<br />

dell’iso<strong>la</strong>, che resterà nelle mani degli Spagnoli fino XVIII secolo. Carlo<br />

V, <strong>per</strong> difendere l’iso<strong>la</strong> e servirsene, insieme a Malta, nel Mediterraneo<br />

nel<strong>la</strong> lotta tra l’im<strong>per</strong>o spagnolo e quello turco, nel 1527 dà inizio a<br />

imponenti <strong>la</strong>vori di fortificazione, al<strong>la</strong> cui edificazione Siracusa attenderà<br />

con interruzioni ed alti costi, <strong>per</strong> quasi 300 anni. Dopo <strong>la</strong> battaglia di Lepanto,<br />

allentatosi il <strong>per</strong>icolo musulmano, si ha un rafforzamento<br />

dell’edilizia religiosa in città. A Siracusa si tornò a par<strong>la</strong>re di fortificazioni<br />

con Carlo II, che vi inviò l’ingegnere militare Carlo Grunemberg; nel<br />

1678 <strong>la</strong> città fu dichiarata “piazza d’armi” con notevole aggravio delle<br />

spese militari che ciò comportava.<br />

La fine del secolo si chiude con un evento spaventoso. Il terremoto<br />

del 1693 ebbe un impatto devastante <strong>per</strong> il Val di Noto. Siracusa ebbe<br />

innumerevoli morti e crolli, ma nel complesso <strong>la</strong> città resistette. Iniziata<br />

quasi subito <strong>la</strong> ricostruzione, lo stesso Grunemberg tornò a Siracusa <strong>per</strong><br />

visitare e constatare le condizioni delle fortificazioni soprattutto. La città<br />

tutta diviene un enorme cantiere di <strong>la</strong>voro, da cui rinasce <strong>la</strong> Siracusa barocca<br />

che, nel<strong>la</strong> maggior parte dei casi, è sopravvissuta fino ai nostri<br />

giorni.<br />

Tra il 1701 e 1713 e in poco più di un ventennio (1733), <strong>la</strong> Sicilia passa<br />

dagli Spagnoli ai Savoia, dai Savoia agli Austriaci, dagli Austriaci ai<br />

Borbone di Napoli. Il governo dell’iso<strong>la</strong> e di Siracusa comunque, nonostante<br />

questi cambiamenti di reggenza, si basa sempre sull’eredità di vita<br />

di un baronaggio, legato al<strong>la</strong> terra e ai suoi proventi. Utilizzando <strong>la</strong> licentia<br />

popu<strong>la</strong>ndi il baronaggio rafforza enormemente il suo potere, creando<br />

nel feudo nuovi centri abitati e accrescendo le presenze in Par<strong>la</strong>mento.<br />

Dopo il Congresso di Vienna, Ferdinando I del Regno delle Due Sicilie<br />

abolisce <strong>la</strong> divisione dell'iso<strong>la</strong> in tre valli, creando 7 distretti o Intendenze,<br />

mirando in sostanza al riordino delle finanze dell’iso<strong>la</strong> e al progresso,<br />

con <strong>la</strong> costruzione di nuove strade ed edifici di utilità sociale. Ma<br />

il terribile colera del 1837 e sobil<strong>la</strong>nti dicerie, provocano a Siracusa una<br />

rivolta antigovernativa, che porterà, come conseguenza, a spostare il<br />

capoluogo a Noto e, <strong>per</strong> punizione, a costruire una batteria sul<strong>la</strong> punta<br />

del Castello Maniace, rivolta contro <strong>la</strong> città. La <strong>per</strong>dita dei privilegi avrà<br />

come conseguenza l’acuirsi delle già esistenti tensioni antiborboniche<br />

che porteranno Siracusa a prendere parte ai moti rivoluzionari del ’48.<br />

29


Solo con l’Unità d’Italia e l’annessione del<strong>la</strong> Sicilia, che avviene nel<br />

1865, <strong>la</strong> città aretusea riac<strong>qui</strong>sta il ruolo di capoluogo, divenendo pure<br />

sede di Prefettura.<br />

30<br />

Malta<br />

Fin dal<strong>la</strong> fine del VI millennio a.C., l’arcipe<strong>la</strong>go maltese fu interessato<br />

dallo stanziamento di genti dell’età neolitica (5000/4500 a.C. – 3500<br />

a.C.). Al<strong>la</strong> presenza di questi gruppi umani, in un’epoca tanto remota,<br />

sono riferibili alcuni rinvenimenti archeologici nel<strong>la</strong> località maltese di<br />

Skorba (comune di Mgarr): <strong>qui</strong> tre distinti livelli stratigrafici, cui sono riferibili<br />

altrettante fasi dello sviluppo del<strong>la</strong> civiltà neolitica maltese, hanno<br />

restituito numerosi re<strong>per</strong>ti archeologici.<br />

La fase più antica, detta di Ghar Da<strong>la</strong>m (dal nome del<strong>la</strong> grotta in cui<br />

inizialmente si ritrovò questo tipo di re<strong>per</strong>ti), è caratterizzata dal<strong>la</strong> presenza<br />

di ceramica impressa che ha somiglianze con <strong>la</strong> ceramica rinvenuta<br />

nel vil<strong>la</strong>ggio neolitico di Stentinello presso Siracusa; le analogie con<br />

quest’ultimo sito riguardano anche i numerosi re<strong>per</strong>ti litici ricavati, in<br />

buona parte, da ossidiana di Pantelleria e di Lipari.<br />

La seconda e <strong>la</strong> terza fase, dette rispettivamente di Skorba grigio e<br />

Skorba rosso, rappresentano, in realtà, due diversi momenti di un unico<br />

sviluppo culturale il più recente dei quali (quello di Skorba rosso), datato<br />

con il metodo del Carbonio 14 al 3225 a.C. ca., mostra evidenti re<strong>la</strong>zioni<br />

con <strong>la</strong> facies culturale di Diana presente a Lipari e in Sicilia (ceramica<br />

caratterizzata dall’abbandono totale del<strong>la</strong> decorazione a spirali e meandri<br />

in favore di su<strong>per</strong>fici uniformi di colore rosso lucido).<br />

L’Eneolitico o Età del Rame (3500/2500 – 2200 a. C. ca.), ha inizio, a<br />

Malta, con <strong>la</strong> fase detta di Zebbug (3200 a. C. ca.): e di nuovo <strong>la</strong> ceramica,<br />

che è il fossile- guida <strong>per</strong> eccellenza, presenta analogie con <strong>la</strong> ceramica<br />

siciliana del<strong>la</strong> facies di San Cono, piccolo insediamento caratterizzato<br />

da capanne circo<strong>la</strong>ri, sco<strong>per</strong>to tra Vizzini e Licodia (Catania).<br />

A Malta <strong>la</strong> fase di Zebbug vede già l’inizio del fenomeno<br />

dell’architettura temp<strong>la</strong>re megalitica che avrà i suoi maggiori sviluppi nel<strong>la</strong><br />

successiva fase di Ggantija: gli edifici, da un’iniziale p<strong>la</strong>nimetria “a trifoglio”<br />

(templi di Ta Hagrat, Kordin III, Skorba), arrivano ad avere sei absidi<br />

affrontate lungo un corridoio centrale, un ingresso monumentale e<br />

un muro <strong>per</strong>imetrale che racchiude gli spazi interni, il tutto realizzato con<br />

una tecnica costruttiva che prevede l’utilizzo di blocchi squadrati di calcare<br />

e pareti intonacate e, in alcuni casi, dipinte di ocra rossa (templi di<br />

Ggantija Nord e Sud, complesso di Hagar Qim).<br />

Il momento finale dell’Eneolitico ( 2430 a.C. ca.) è rappresentato dal<strong>la</strong><br />

fase detta di Tarxien - contraddistinta soprattutto dal<strong>la</strong> fioritura dell’arte<br />

p<strong>la</strong>stica - a cui sono riferibili i tre templi principali di Tarxien, i due templi


di Mnajdra, il tempio minore di Bugibba (baia di S. Paolo) e parte<br />

dell’ipogeo di Hal Saflieni (destinato probabilmente sia al<strong>la</strong> funzione di<br />

sepolcro collettivo, sia al<strong>la</strong> celebrazione di riti religiosi).<br />

L’Età del Bronzo ha inizio, a Malta, con <strong>la</strong> fase detta “del<strong>la</strong> necropoli<br />

di Tarxien” (1930 a.C. ca.), in cui il rito funebre prevede <strong>la</strong> cremazione e<br />

<strong>la</strong> sepoltura dentro urne. In Sicilia, questo momento corrisponde a quello<br />

detto “del<strong>la</strong> cultura di Castelluccio” ( presso Noto) il cui inizio, grazie a<br />

recenti datazioni al C 14, è stato posto intorno al 2200 a.C. ca., contemporaneamente<br />

al<strong>la</strong> fine dell’età dei templi maltesi. Alcune decorazioni<br />

delle facciate rupestri delle tombe a grotticel<strong>la</strong> castellucciane sembrerebbero<br />

riprodurre in forme schematizzate e provinciali uno dei motivi<br />

decorativi più frequenti dell’architettura dei templi maltesi, ma mentre a<br />

Malta l’architettura e il fresco naturalismo del<strong>la</strong> scultura denunciano intensi<br />

rapporti con Creta e le Cic<strong>la</strong>di, <strong>la</strong> Sicilia, all’alba dell’età del Bronzo,<br />

appare ancora in uno stadio di civiltà arretrato, l’Eneolitico, con le<br />

popo<strong>la</strong>zioni che ritornano a vivere in grotta. La cultura maltese del<strong>la</strong> fase<br />

del<strong>la</strong> necropoli di Tarxien invece, fortemente proiettata verso il mare tanto<br />

da avere in Ognina, a sud di Siracusa, un vero e proprio emporio,<br />

sembrerebbe avere più stringenti connessioni con <strong>la</strong> cultura di Capo<br />

Graziano ( il cui sito eponimo si trova sull’iso<strong>la</strong> di Filicudi) che appare<br />

anch’essa proiettata sul mare e inserita nei circuiti commerciali micenei:<br />

le due culture – eoliana e maltese – entrambe rivierasche e mercantili,<br />

ebbero, dunque, intensi contatti economici e culturali, verisimilmente attraverso<br />

Ognina.<br />

La media Età del Bronzo (1400-1270 a. C. ca.) è caratterizzata, a<br />

Malta, dal<strong>la</strong> cultura di Borg in Nadur, i cui insediamenti, indiziati da capanne<br />

ovali con fondazioni in pietra, sorgono su promontori o sul<strong>la</strong><br />

sommità di colline. Ceramiche maltesi dello stile di Borg in Nadur, insieme<br />

a ceramiche micenee, sono state rinvenute soprattutto a Thapsos sito<br />

del Medio Bronzo messo in luce sul<strong>la</strong> penisoletta di Magnisi, fra Siracusa<br />

ed Augusta, che diventa, dunque, una nuova testa di ponte <strong>per</strong> il<br />

commercio maltese e miceneo.<br />

L’ultima fase del<strong>la</strong> preistoria maltese, <strong>la</strong> fase di Bahrija, rappresenta il<br />

momento conclusivo dell’Età del Bronzo e il passaggio all’Età del Ferro.<br />

Nel <strong>per</strong>iodo protostorico, intorno al 1000 a.C., Malta fu colonizzata dai<br />

Fenici che usarono l’iso<strong>la</strong> come avamposto <strong>per</strong> <strong>la</strong> loro espansione e i loro<br />

commerci nel Mediterraneo. I Greci <strong>la</strong> occuparono intorno al 736 a. C.<br />

ca., stanziandosi dove oggi sorge <strong>la</strong> città vecchia (Mdina): da loro l’iso<strong>la</strong><br />

avrebbe ricevuto il nome greco di Melita (miele) oppure l’adattamento<br />

greco del semitico “malàt” (rifugio). Nel 400 a.C. ca., Malta finì sotto il<br />

controllo di Cartagine e vi rimase fino a quando Attilio Regolo in una<br />

prima spedizione, e Tiberio Sempronio, definitivamente, nel 218 a.C., ne<br />

assicurarono il possesso a Roma col titolo di “civitas foederata”. In età<br />

31


im<strong>per</strong>iale fu proc<strong>la</strong>mata “municipium”.<br />

Nel<strong>la</strong> baia poi detta di S. Paolo (sul<strong>la</strong> costa nord-orientale dell’iso<strong>la</strong>)<br />

fece naufragio, nel 58 d. C. ca., S. Paolo che si recava a Roma e che<br />

rimase tre mesi sull’iso<strong>la</strong> (secondo il vivido e realistico racconto degli Atti<br />

27, 39 – 28, 10).<br />

Durante il <strong>per</strong>iodo delle invasioni barbariche, nel 454, Malta fu occupata<br />

dai Vandali di Genserico; nel 465 passò ai Goti, fino a che, nel 533,<br />

Belisario <strong>la</strong> ricon<strong>qui</strong>stò a Bisanzio: il governo dell’iso<strong>la</strong> fu <strong>qui</strong>ndi affidato<br />

a governatori greci (come avvenne, del resto, <strong>per</strong> <strong>la</strong> Sicilia).<br />

Occupata dagli Arabi intorno all’870, fu sottomessa ben presto al governo<br />

musulmano del<strong>la</strong> Sicilia, che vi tenne un governatore, <strong>la</strong>sciando<br />

libertà di culto al<strong>la</strong> popo<strong>la</strong>zione, obbligata tuttavia a pagare l’imposta<br />

<strong>per</strong>sonale e il tributo.<br />

Il dominio musulmano delle isole maltesi durò fino al 1091, quando<br />

Ruggero il Normanno, liberata <strong>la</strong> Sicilia, occupò anche Malta; i musulmani,<br />

<strong>per</strong>ò, ne furono espulsi solo nel<strong>la</strong> prima metà del XIII sec., al tempo<br />

di Federico II. In tutto questo <strong>per</strong>iodo, essi avevano rappresentato<br />

l’elemento di gran lunga dominante tra <strong>la</strong> popo<strong>la</strong>zione di Malta: e <strong>qui</strong> <strong>la</strong>sciarono<br />

tracce, non tanto negli scarsi monumenti quanto nel<strong>la</strong> formazione<br />

del<strong>la</strong> lingua.<br />

Al<strong>la</strong> morte di Manfredi di Svevia, nel 1266, Malta, come <strong>la</strong> Sicilia,<br />

passò sotto il dominio angioino e, nel 1283, sotto quello aragonese, dopo<br />

che Ruggiero di Lauria ebbe sconfitto, nelle acque antistanti l’iso<strong>la</strong>, le<br />

forze angioine in una battaglia che influì non poco sul corso del<strong>la</strong> guerra<br />

del Vespro. Gli Aragonesi tennero Malta <strong>per</strong> oltre duecentocinquanta<br />

anni istituendovi un ordinamento comunale amministrato da un capitano<br />

e da vari magistrati incaricati delle finanze e dell’esercito.<br />

Nel 1530, l’im<strong>per</strong>atore Carlo V cedette l’iso<strong>la</strong> ai Cavalieri dell’Ordine<br />

gerosolimitano di S. Giovanni, i quali, scacciati da Rodi nel 1522, si erano<br />

rifugiati a Viterbo e cercavano un feudo nobile, libero e franco:<br />

l’Ordine fu riconosciuto sovrano ed ebbe solo l’obbligo di presentare ogni<br />

anno un falcone al re di Sicilia, come segno di dipendenza feudale.<br />

Nell’estate del 1551, l’ammiraglio turco Sinan pascià tentò di occupare<br />

Malta ma, avendo incontrato resistenza, sbarcò a Gozo dove riuscì a<br />

sopraffare i difensori e, devastata l’iso<strong>la</strong>, ne trasse schiavi gli abitanti.<br />

Ma il conflitto ebbe il suo apice nel “Grande Assedio” che, nel 1565, i<br />

Turchi di Solimano II, al comando di Mustafà pascià, posero all’iso<strong>la</strong>: <strong>la</strong><br />

coraggiosa resistenza dei Cavalieri e dei Maltesi fu alimentata da spedizioni<br />

di soccorso cui presero parte unità spagnole, genovesi, napoletane,<br />

siciliane, toscane: Mustafà pascià, sconfitto a Pietranera, dispose,<br />

infine, l’abbandono dell’assedio.<br />

Falliti i rari tentativi di con<strong>qui</strong>sta da parte dei Turchi, Malta ebbe <strong>per</strong>ò<br />

a soffrire del<strong>la</strong> dura politica accentratrice dell’Ordine, che venne intac-<br />

32


cando sempre più i privilegi del<strong>la</strong> comunità; nel XVIII sec., il diffondersi<br />

delle idee illuministe di libertà e uguaglianza favorirono una prima insurrezione<br />

(1775) guidata da Gaetano Mannarino e appoggiata dal clero<br />

dell’iso<strong>la</strong>, che venne <strong>per</strong>ò repressa dai Cavalieri; meno facile fu domare<br />

una seconda congiura guidata da Michele Vassalli, nel 1797. Al<strong>la</strong> vigilia<br />

del<strong>la</strong> Rivoluzione francese esisteva a Malta un partito di malcontenti che<br />

propugnava <strong>la</strong> liberazione dal<strong>la</strong> tirannia economica dell’Ordine. Napoleone,<br />

di passaggio verso l’Egitto, con<strong>qui</strong>stò l’arcipe<strong>la</strong>go dopo una breve<br />

resistenza dei Cavalieri a cui il governo francese assicurò una pensione<br />

ed il <strong>per</strong>messo di risiedere in Francia.<br />

L’impresa napoleonica, quasi insignificante dal punto di vista militare,<br />

assunse invece importanza grandissima dal punto di vista politico – strategico,<br />

<strong>per</strong>ché gli inglesi, avendo compreso dall’iniziativa di Napoleone<br />

l’importanza di Malta, decisero di insediarvisi <strong>per</strong> assicurarsi il controllo<br />

del Mediterraneo centrale: nel novembre del 1800, l’ammiraglio Nelson<br />

pose l’assedio all’iso<strong>la</strong>. I Francesi resistettero, nonostante il blocco e<br />

l’ostilità degli iso<strong>la</strong>ni, fino al settembre del 1801; l’arcipe<strong>la</strong>go maltese<br />

passò <strong>qui</strong>ndi, <strong>per</strong> il Trattato di Parigi del 1814, sotto il dominio inglese,<br />

diventando colonia del<strong>la</strong> Corona britannica. Dal 1835 Malta fu retta da<br />

un governatore e ciò fino al 1921, quando fu concesso ai maltesi di autogovernarsi.<br />

L’autogoverno fu <strong>per</strong>ò sospeso due volte: una prima volta<br />

nel 1930, <strong>per</strong> un contrasto sorto tra <strong>la</strong> Chiesa e lo Stato; una seconda<br />

volta, nel 1933, <strong>per</strong> le attività italianofile del partito allora al potere. Nel<br />

1936 si tornò al governatorato, ma le forti agitazioni di protesta indussero<br />

il governo inglese a concedere, nel 1939, <strong>la</strong> cosiddetta “Costituzione<br />

Macdonald”.<br />

Nel corso del<strong>la</strong> seconda guerra mondiale, l’iso<strong>la</strong>, e soprattutto il porto<br />

di La Valletta, furono il centro di difesa delle posizioni britanniche nel<br />

Mediterraneo; nel 1943, a bordo del<strong>la</strong> corazzata Nelson, ormeggiata nel<br />

porto di Malta, fu firmato l’armistizio fra l’Italia e le Nazioni Unite.<br />

Dopo <strong>la</strong> seconda guerra mondiale il governo britannico concesse<br />

all’iso<strong>la</strong> una limitata autonomia in base al<strong>la</strong> costituzione entrata in vigore<br />

nel 1947 che fu abrogata in seguito ai disordini che seguirono le dimissioni<br />

del governo Dom Mintoff (1958); dopo un’ulteriore costituzione<br />

provvisoria, <strong>la</strong> nuova carta costituzionale fu approvata nel 1961. Nel<br />

1962 il primo ministro G. Borg Olivier richiese, al par<strong>la</strong>mento inglese,<br />

che Malta divenisse indipendente pur rimanendo nell’ambito del Commonwealth:<br />

ciò avvenne nel settembre del 1964 e il nuovo stato assunse<br />

il nome di “State of Malta”.<br />

Ad oggi, lo stato maltese non ha del tutto soppresso i rapporti con <strong>la</strong><br />

Gran Bretagna, che mantiene nell’iso<strong>la</strong> basi militari e assiste <strong>la</strong> sua economia<br />

con un massiccio programma di aiuti.<br />

33


I Viaggiatori e il Gran Tour<br />

Il Grand Tour è un viaggio a tappe con cui i rampolli delle famiglie aristocratiche<br />

completavano <strong>la</strong> loro educazione nelle principali corti europee.<br />

Esso si diffuse in Europa a partire dal 1400.<br />

Ovviamente l’Italia, cul<strong>la</strong> del Rinascimento, costituiva una parte importante<br />

di questo viaggio. Le città più visitate erano Roma, Firenze, ma<br />

anche Mi<strong>la</strong>no, Torino e Napoli, oltre <strong>la</strong> quale, almeno fino al XVIII secolo,<br />

i viaggiatori non scendevano mai. Ma gli scavi condotti a Pompei ed<br />

Erco<strong>la</strong>no nel 1700 diedero il via a un rinnovato interesse <strong>per</strong> l’arte c<strong>la</strong>ssica<br />

e così il Grand Tour su<strong>per</strong>ò i tradizionali confini di Roma e Napoli e<br />

proseguì fino in Sicilia e a Malta. Ognuno di questi viaggiatori ha <strong>la</strong>sciato<br />

un diario di viaggio ricco e variegato e ha osservato l’Iso<strong>la</strong> da diversi<br />

punti di vista, da quello storico-antropologico a quello paesaggistico, riportando<br />

spesso emozioni, tesi e riproduzioni artistiche.<br />

Sul<strong>la</strong> scia dei diari di viaggio di due di questi viaggiatori del ‘700, Patrick<br />

Brydone e Dominique Vivant Denon, ci muoviamo al<strong>la</strong> sco<strong>per</strong>ta di<br />

Agrigento, Siracusa e Malta che costituivano tre tappe obbligate<br />

dell’itinerario del Grand Tour in Sicilia.<br />

34<br />

Patrick Brydone<br />

Nacque il 5 Gennaio 1736 (1741) a Coldingham, al confine meridionale<br />

del<strong>la</strong> Scozia. Ricevette un’ educazione universitaria, prestò servizio<br />

nell’ esercito e divenne a travelling preceptor, un precettore viaggiante al<br />

seguito di qualche giovane nobiluomo inglese, inviato a completare <strong>la</strong><br />

sua educazione con il Grand Tour in Europa. L’ itinerario tradizionale<br />

comprendeva anche <strong>la</strong> visita delle principali città italiane, toccando Napoli<br />

come estremo limite territoriale. Brydone, cui Lord Ful<strong>la</strong>rton affidò il<br />

figlio William <strong>per</strong> scortarlo e istruirlo, prolungò <strong>per</strong>ò il viaggio fino in Sicilia.<br />

Di tale viaggio egli stese il resoconto, tappa <strong>per</strong> tappa in una serie di<br />

lettere che vennero poi raccolte e pubblicate in un volume, secondo l’<br />

uso settecentesco.<br />

In tal modo si cercava di <strong>salvare</strong>, sia pure facendo ricorso all’ artificio<br />

letterario di un collo<strong>qui</strong>o episto<strong>la</strong>re, l’ immediatezza e <strong>la</strong> genuinità delle<br />

impressioni ricevute visitando un paese straniero, e si veniva a giustificare<br />

il tono discorsivo del linguaggio che serviva a rendere questo genere<br />

di libri più accessibile al lettore comune.<br />

Il titolo con cui l’o<strong>per</strong>a apparve fu A Tour through Sicily and Malta in a<br />

Series of Letters to William Beckford, Esq., of Sommerly in Suffolk; from<br />

P. Brydone, F.R.S., in two volumes. La prima edizione uscì a Londra nel<br />

1773 e dopo questa se ne susseguirono ben altre nove. Il libro venne


tradotto in tedesco, a Lipsia, nel 1774 e in francese, ad Amsterdam, nel<br />

1775.<br />

L’apparizione del Viaggio di Brydone suscitò un enorme interesse,<br />

segnando una data nel<strong>la</strong> storia del racconto di viaggio come genere letterario:<br />

senza innovare completamente, concorre con il suo immenso<br />

successo ad orientarlo al<strong>la</strong> cura <strong>per</strong> il partico<strong>la</strong>re spontaneo, immediato,<br />

<strong>per</strong> <strong>la</strong> freschezza delle impressioni; al desiderio, non di informare in modo<br />

sistematico ma di piacere attraverso l’imprevisto, <strong>la</strong> varietà; e soprattutto,<br />

allo sforzo di evitare <strong>la</strong> noia.<br />

Ma quanto vale Brydone come osservatore? Bisogna innanzi tutto notare<br />

che par<strong>la</strong> molto <strong>per</strong> sentito dire: non ha visitato che una picco<strong>la</strong> parte<br />

dell’ iso<strong>la</strong>. Da Messina è andato via terra a Catania e all’Etna, poi a<br />

Siracusa <strong>per</strong> mare; di là a Malta e Agrigento sempre <strong>per</strong> mare; ha attraversato,<br />

in seguito l’iso<strong>la</strong> fino a Palermo, dove si è imbarcato; ignora<br />

quasi tutto l’interno. Sulle usanze popo<strong>la</strong>ri, le feste, <strong>la</strong> pesca, i prodotti<br />

del paese, le bellezze naturali riferisce secondo ciò che gli è stato raccontato;<br />

oppure riporta, citandoli, antichi autori siciliani, soprattutto Fazello;<br />

purtroppo tiene più al<strong>la</strong> novità e all’originalità che all’attendibilità<br />

delle notizie. L’arte di Brydone vale comunque, molto di più del<strong>la</strong> sua<br />

capacità documentaria e non a caso è stata scelta <strong>la</strong> formu<strong>la</strong> del diario,<br />

<strong>per</strong>chè è <strong>la</strong> più spontanea, capace di cogliere il partico<strong>la</strong>re più interessante.<br />

Dominique Vivant Denon<br />

Nasce a Chalon-sur-Saône nel 1747 da genitori nobili. Quando giunge<br />

a Parigi <strong>per</strong> seguire i corsi di diritto è un giovanotto affascinante e<br />

bril<strong>la</strong>nte. Impara il disegno e contemporaneamente riesce ad introdursi<br />

nell’ambiente di corte. Si con<strong>qui</strong>sta il favore di Luigi XV e diviene il maestro<br />

incisore di Madame de Pompadour Nel 1777-1778 venne inviato<br />

dall’Abate Richard de Saint-Non in Sicilia, al<strong>la</strong> guida di un gruppo di architetti<br />

e artisti, con il compito di raccogliere materiale illustrativo e stendere<br />

un resoconto sulleantichità dell'iso<strong>la</strong>.<br />

Nel corso del viaggio, mentre i suoi compagni prendevano misure ed<br />

eseguivano schizzi, Denon scrive un diario che invia all’Abate. Dal 1781<br />

al 1786, sul<strong>la</strong> scorta delle indicazioni contenute nel<strong>la</strong> sua re<strong>la</strong>zione,<br />

Saint-Non dà alle stampe il Voyage pittoresque ou description des royaumes<br />

de Naples et de Sicile, in cinque volumi in-folio, dimenticando<br />

quasi sempre di citare le sue fonti. Il fatto suscita il risentimento di Denon<br />

che offre il diario integrale del suo viaggio a Benjamin de La Borde:<br />

esso viene pubblicato nel 1788 a Parigi, con il titolo Voyage in Sicile.<br />

Per il suo modo di pensare Denon è certamente un uomo del XVIII<br />

secolo: attratto dal<strong>la</strong> filosofia di Rousseau, possiede abbastanza <strong>per</strong>so-<br />

35


nalità <strong>per</strong> non cedere alle mode del tempo. È un osservatore preciso e<br />

concreto, dalle qualità descrittive eccezionali, che rive<strong>la</strong>no una mentalità<br />

più scientifica che letteraria. Denon viene in Sicilia <strong>per</strong> studiare il patrimonio<br />

archeologico. Possiede una buona cultura c<strong>la</strong>ssica <strong>per</strong> farlo e soprattutto,<br />

cerca <strong>la</strong> Sicilia antica, andando incontro ad inevitabili delusioni.<br />

Stimabile archeologo, le sue descrizioni sono sempre molto dettagliate.<br />

Poco interessato al<strong>la</strong> realtà locale, ad usi e costumi del<strong>la</strong> popo<strong>la</strong>zione,<br />

l’oggetto del suo viaggio sono le antichità di Sicilia. Non può <strong>qui</strong>ndi apprezzare<br />

<strong>la</strong> città “moderna”, ma non <strong>la</strong> giudica nemmeno distrattamente,<br />

anzi cerca in essa le antichità di non facile fruizione come, a Siracusa, il<br />

pozzo di San Filippo o il supposto tempio di Diana in una casa privata.<br />

Rive<strong>la</strong> proprio una mentalità “moderna” quando riconosce che <strong>la</strong> sopravvivenza<br />

dell’Athenaion è da attribuire al<strong>la</strong> trasformazione del tempio<br />

in chiesa cristiana. Come tutti i c<strong>la</strong>ssici possiede l’amore <strong>per</strong> i paesaggi<br />

freschi e verdeggianti. Divide con i contemporanei il gusto <strong>per</strong> i giardini<br />

inglesi e il loro disordine e le Latomie gli sembrano offrire il più bel andamento<br />

di terreno ideale <strong>per</strong> un giardino inglese… Questa varietà confusa<br />

forma uno spettacolo singo<strong>la</strong>re e avvincente una mesco<strong>la</strong>nza di<br />

selvaggio e coltivato. Si comincia ad amare <strong>la</strong> confusione….<br />

Nel 1798 Denon partecipa con Napoleone al<strong>la</strong> spedizione d'Egitto, da<br />

cui trae il Voyage en Egypte (1802), che ottiene un gran successo. Grazie<br />

al<strong>la</strong> conoscenza delle belle arti e dell’antichità che si era costruito visitando<br />

l’Italia e poi l’Egitto, dal 1804 al 1815 viene nominato direttore<br />

generale dei Musei di Francia. Inviato all’estero come commissario <strong>per</strong><br />

<strong>la</strong> raccolta di o<strong>per</strong>e d’arte, mostra un notevole zelo, anche eccessivo,<br />

nello spogliare le collezioni d’Europa <strong>per</strong> arricchire il Louvre. Nel 1815 si<br />

deve rassegnare ad assistere al<strong>la</strong> restituzione di buona parte delle collezioni<br />

del Louvre ai paesi d’origine. Trascorre gli ultimi dieci anni del<strong>la</strong><br />

vita nel museo <strong>per</strong>sonale che si era lentamente formato, in seguito ai<br />

suoi innumerevoli viaggi. Muore a Parigi nel 1825.<br />

Agrigento<br />

Brydone e Denon ad Agrigento<br />

P. Brydone Viaggio in Sicilia e a Malta (1700)<br />

Lettera XVI Agrigento 11 giugno<br />

Brydone racconta il viaggio che lo ha portato a Girgenti, come allora<br />

si chiamava Agrigento, via mare da Malta con una breve sosta nei pressi<br />

di Ragusa. La prima impressione che riceve del<strong>la</strong> città non è delle migliori,<br />

ma registra un’ottima ospitalità.<br />

Lettera XVIII Agrigento 12 giugno<br />

Il nostro racconta il primo giorno di visita alle antichità di Agrigento,<br />

36


che trova siano le più notevoli del<strong>la</strong> Sicilia. Inizia <strong>la</strong> visita da quel<strong>la</strong> che<br />

oggi chiamiamo Collina dei templi con il tempio di Giunone, che egli<br />

chiama Venus, e il tempio del<strong>la</strong> Concordia.<br />

Prosegue <strong>la</strong> visita con il tempio di Ercole e di Giove Olimpio. Visita altre<br />

rovine, ma quelle fin <strong>qui</strong> citate sono <strong>per</strong> lui le più considerevoli; tra le<br />

altre: il tempio di Vulcano, di Proserpina, di Castore e Polluce, di Giunone,<br />

di Escu<strong>la</strong>pio, le mura dell’antica città, le catacombe, <strong>la</strong> tomba di Terone.<br />

La descrizione che fa delle cose che vede è continuamente arricchita<br />

dalle citazioni degli autori, antichi e non, che hanno par<strong>la</strong>to delle<br />

medesime cose.<br />

Lettera XIX Agrigento 13 giugno<br />

Questa lettera si apre con il racconto del<strong>la</strong> famosa ospitalità degli antichi<br />

abitanti di Agrigento che non sono da meno neanche, come ebbe a<br />

dire lo stesso Brydone, nel ‘700. Viene menzionata una fonte d’acqua da<br />

cui sgorga una sorta di olio che serve a curare molte ma<strong>la</strong>ttie. Continua<br />

con un’accurata descrizione di un’o<strong>per</strong>a in cui è scolpita una caccia al<br />

cinghiale (sarcofago di Fedra?).<br />

Infine par<strong>la</strong> del partico<strong>la</strong>re eco del<strong>la</strong> cattedrale di Agrigento e del famoso<br />

toro di bronzo costruito da Perillo <strong>per</strong> il tiranno Fa<strong>la</strong>ride e ancora<br />

del tentativo di Me<strong>la</strong>nippo e Caritone di uccidere il tiranno Fa<strong>la</strong>ride.<br />

Lettera XX Agrigento 16 giugno<br />

Questa lettera fu scritta durante il viaggio che lo avrebbe portato a<br />

Palermo. Brydone ricorda gli ultimi giorni trascorsi ad Agrigento che aveva<br />

dedicato a delle piccole escursioni nei dintorni del<strong>la</strong> città trovando<br />

<strong>la</strong> campagna in tutto il suo splendore. Buona parte del<strong>la</strong> lettera è dedicata<br />

al racconto del pranzo a casa del vescovo, descritto con grande magnificenza.<br />

La giornata del pranzo, <strong>per</strong>ò, si chiude con un episodio poco<br />

piacevole, una gita in barca durante <strong>la</strong> quale lo sorprende una tempesta.<br />

L’es<strong>per</strong>ienza vissuta risulta così terribile da fargli decidere di raggiungere<br />

Palermo via terra.<br />

D. V. Denon (1788)<br />

Girgenti è il nome di Agrigento<br />

al tempo in cui fu visitata<br />

da Denon, gli ultimi diciotto<br />

giorni di agosto del 1788.<br />

L’arrivo del gruppetto con cui<br />

viaggia Denon avviene in tarda<br />

serata e dunque, <strong>la</strong> prima<br />

notte, viene trovato alloggio in<br />

una taverna.<br />

37


L’indomani, <strong>per</strong> intercessione<br />

del Vescovo, il gruppo<br />

trova ospitalità “dai trovatelli”:<br />

visto che il posto è vicino al<strong>la</strong><br />

Cattedrale, <strong>la</strong> visita del<strong>la</strong> città<br />

inizia proprio da lì, dove è custodito<br />

il sarcofago di Fedra<br />

che a quel tempo veniva utilizzato<br />

come fonte battesimale. I<br />

viaggiatori si spostano, poi,<br />

nel<strong>la</strong> vicina chiesa di Santa<br />

Maria dei Greci, sotto <strong>la</strong> quale,<br />

a dir loro, si trovano le rovine<br />

del tempio di Giove Polieno. Questa parte alta del<strong>la</strong> città è da loro considerata<br />

<strong>la</strong> sede del<strong>la</strong> reggia di Cocalos, re dei Sicani. Il resto del<strong>la</strong> giornata<br />

<strong>la</strong> dedicano all’esplo-razione degli ipogei.<br />

Il giorno successivo <strong>la</strong> visita comincia dal tempio di Giunone e prosegue<br />

con il tempio del<strong>la</strong> Concordia e le mura meridionali, che sono sede<br />

di tombe antiche. Dopo <strong>la</strong> visita al tempio di Escu<strong>la</strong>pio e al<strong>la</strong> tomba di<br />

Terone, è <strong>la</strong> volta del tempio di Ercole e di quello di Giove Olimpico.<br />

Il gruppo decide, poi, di fare un salto in quel<strong>la</strong> che noi consideriamo<br />

l’agorà su<strong>per</strong>iore dell’antica polis, cioè <strong>la</strong> zona dove si trovano <strong>la</strong> chiesa<br />

di S. Nico<strong>la</strong> e l’Oratorio di Fa<strong>la</strong>ride. Il giro viene chiuso con <strong>la</strong> visita al<strong>la</strong><br />

parte sud-orientale del<strong>la</strong> città dove si trovano il tempio di Castore e Polluce,<br />

<strong>la</strong> Colimbetra e il tempio di Vulcano.<br />

Il giorno seguente è dedicato<br />

alle zone <strong>per</strong>iferiche di Agrigento:<br />

<strong>la</strong> Rupe Atenea, le<br />

cave di tufo e il tempio di Demetra.<br />

Poi <strong>la</strong> carovana si sposta<br />

verso il fiume Hypsas, dove<br />

ci sono delle tombe e, ri<strong>per</strong>correndo<br />

tutta <strong>la</strong> Collina dei<br />

templi, si sofferma sugli antichi<br />

acquedotti feaci. Una tappa<br />

viene anche fatta alle Maccalube<br />

di Aragona.<br />

38


Agrigento, i Monumenti<br />

Tempio di Zeus<br />

Si tratta del più grande tempio<br />

dorico in assoluto (56,30 x 113,45<br />

metri). Per molti caratteri arcaici si ritiene<br />

che <strong>la</strong> costruzione potesse essere<br />

già iniziata verso il 500 a.C.<br />

ma, in ogni caso, <strong>la</strong> realizzazione<br />

dovette procedere con assai maggiore<br />

energia dopo <strong>la</strong> vittoria di Himera<br />

(480 a.C.).<br />

L’ammasso di rovine e il crollo, oggi visibili, sono frutto delle distruzioni<br />

dei terremoti e dell’utilizzo come cava di pietra fattone nel XVIII secolo<br />

<strong>per</strong> costruire il molo di Porto Empedocle.<br />

Il tempio sorgeva su un crepidoma di cinque gradini. Vista <strong>la</strong> debolezza<br />

strutturale del<strong>la</strong> pietra calcarenitica locale si scelse di utilizzare<br />

dimensioni contenute <strong>per</strong> i singoli blocchi e, soprattutto, di realizzare un<br />

tempio pseudo<strong>per</strong>iptero, cioè a finto colonnato <strong>per</strong>imetrale su una parete<br />

chiusa, con sette semicolonne sulle fronti e quattordici sui <strong>la</strong>ti. Gli aspetti<br />

più problematici re<strong>la</strong>tivi a questa pseudo<strong>per</strong>istasi sono essenzialmente<br />

due: l’accesso, che non potendo essere centrale, dato il numero dispari<br />

delle mezze colonne, è stato variamente posto agli angoli e al centro sul<br />

<strong>la</strong>to sud, e <strong>la</strong> struttura e posizione dei te<strong>la</strong>moni, enormi figure di giganti<br />

con funzione architettonica di sostegno: è quasi certo che essi si trovassero<br />

all’esterno del tempio, a scandire, a partire da una certa altezza, lo<br />

spazio notevole dell’intercolumnio. I Te<strong>la</strong>moni sono alti 7,65 metri e dovevano<br />

poggiare su un ingrossamento del muro del<strong>la</strong> pseudo<strong>per</strong>istasi a<br />

circa 11 metri al di sopra dello stilobate. La cel<strong>la</strong> è ripartita in naos, pronao<br />

e opistodomo; i muri <strong>per</strong>imetrali dei <strong>la</strong>ti lunghi non sono continui ma<br />

interval<strong>la</strong>ti da una serie di 12 piloni quadrango<strong>la</strong>ri distanziati 4 metri.<br />

Le dimensioni re<strong>la</strong>tivamente contenute dei blocchi, che oltretutto ne<br />

rendevano più facile e meno costoso il trasporto, portarono al<strong>la</strong> realizzazione<br />

dei capitelli con l’echino composto di due conci di pietra e l’abaco<br />

di tre, uniformati, poi, dal rivestimento di stucco. Gli architravi erano<br />

composti da tre fi<strong>la</strong>ri sia in profondità che in altezza e sporgevano di circa<br />

2 m dal<strong>la</strong> parte sottostante.<br />

A pochi metri dal<strong>la</strong> fronte orientale del tempio si trovano i resti di un<br />

enorme altare (54,5 x 17,5 metri) che poteva ospitare il sacrificio di ben<br />

cento buoi.<br />

39


Tempio di Eracle<br />

É il più antico dei templi <strong>per</strong>ipteri presenti<br />

ad Agrigento. Il nome lo ricaviamo<br />

da un passo di Cicerone (Verr. II, 4,43)<br />

che par<strong>la</strong> di un tempio dedicato ad Ercole<br />

non longe a Foro. La datazione (fine VI<br />

secolo a.C.) è stata fatta in base a motivi<br />

stilistici in considerazione del carattere<br />

delle colonne, di alcuni elementi del<strong>la</strong> trabeazione,<br />

del<strong>la</strong> forma alquanto allungata<br />

del basamento (m 67,06 x 25,08 allo stilobate)<br />

e del rapporto tra le colonne delle<br />

fronti e quelle dei <strong>la</strong>ti lunghi (6 x 15). Il<br />

tempio è dorico, esastilo e <strong>per</strong>iptero. Poiché<br />

il terreno non risulta pianeggiante esso<br />

poggia su un basamento che è nullo<br />

sul <strong>la</strong>to sud e via via più alto procedendo<br />

verso Nord e verso Ovest. Il crepidoma<br />

presenta tre gradini sui <strong>la</strong>ti ad eccezione di quello orientale che ne presenta<br />

otto <strong>per</strong> rendere l’ingresso principale più monumentale.<br />

Fino a qualche decennio fa, a causa di un terremoto, era rimasta in<br />

piedi una so<strong>la</strong> colonna (<strong>la</strong> II da ovest sul <strong>la</strong>to nord), ma negli anni 1924-<br />

1931 furono risollevate otto delle colonne del <strong>la</strong>to meridionale. La cel<strong>la</strong>,<br />

di m 47,67 x 13,90, è ripartita in pronao, cel<strong>la</strong> ed opistodomo ed ha i vani<br />

estremi in antis. Una partico<strong>la</strong>rità di questo tempio sono i piloni <strong>per</strong> le<br />

scalette collocati tra cel<strong>la</strong> e pronao che servivano <strong>per</strong> <strong>la</strong> manutenzione<br />

del tetto. Dal tetto di questo tempio provengono delle cornici a sima in<br />

calcare, con doccioni a testa di leone - esposte al Museo Archeologico -<br />

che verso <strong>la</strong> metà del V secolo a.C. sostituirono quelle originarie in terracotta.<br />

Tempio del<strong>la</strong> Concordia<br />

É uno dei templi greci meglio conservato in città. Realizzato nel<strong>la</strong> pietra<br />

calcarenitica locale, si fa risalire agli anni 440-430 a.C. Su un crepidoma<br />

di quattro gradini si erge <strong>la</strong> <strong>per</strong>istasi di 6 x 13 colonne caratterizzate<br />

da 20 sca<strong>la</strong>nature ed un’armoniosa entasi; l’epistilio presenta un fregio<br />

di triglifi e metope e una cornice a mutuli; conservati in maniera integrale<br />

sono anche i timpani. Al<strong>la</strong> cel<strong>la</strong>, preceduta da pronao in antis (come<br />

nell’opistodomo), si accede attraverso un gradino; ben conservati<br />

sono anche i piloni con le scale di accesso al tetto e, sul<strong>la</strong> sommità delle<br />

pareti del<strong>la</strong> cel<strong>la</strong> e nei blocchi del<strong>la</strong> trabeazione del<strong>la</strong> <strong>per</strong>istasi, gli incassi<br />

<strong>per</strong> <strong>la</strong> travatura lignea di co<strong>per</strong>tura.<br />

40


L’esterno e l’interno del tempio erano<br />

rivestiti di stucco con <strong>la</strong> necessaria policromia;<br />

<strong>la</strong> sima mostrava gronde con protomi<br />

leonine e <strong>la</strong> co<strong>per</strong>tura prevedeva tegole<br />

marmoree. Nel VI secolo, <strong>per</strong> volontà<br />

del Vescovo Gregorio, il tempio fu trasformato<br />

in chiesa cristiana. Ciò comportò,<br />

innanzitutto, un rovesciamento<br />

dell’orientamento antico, <strong>per</strong> cui si abbattè<br />

il muro di fondo del<strong>la</strong> cel<strong>la</strong>, si chiusero gli<br />

intercolumni e si praticarono dodici a<strong>per</strong>ture<br />

arcuate nelle pareti del<strong>la</strong> cel<strong>la</strong>, onde<br />

costituire le tre navate canoniche, le due<br />

<strong>la</strong>terali nel<strong>la</strong> <strong>per</strong>istasi e quel<strong>la</strong> centrale<br />

coincidente con <strong>la</strong> cel<strong>la</strong>; distrutto l’altare di<br />

epoca c<strong>la</strong>ssica e sistemate negli angoli ad<br />

est le sacrestie, l’edificio divenne una basilica.<br />

La restituzione dell’aspetto originario sarebbe avvenuta nel 1743.<br />

Il ritrovamento di un’iscrizione romana, menzionante <strong>la</strong> Concordia Agrigentinorum,<br />

fece ipotizzare erroneamente al Fazello <strong>la</strong> dedica al<strong>la</strong><br />

Concordia. Dopo il <strong>per</strong>iodo arabo, con l’età normanna <strong>la</strong> chiesa e <strong>la</strong> piana<br />

a sud furono dedicate a San Gregorio “delle Rape”, dal nome di uno<br />

dei due idoli pagani – Ebert e Raps – che secondo <strong>la</strong> tradizione il Vescovo<br />

avrebbe scacciato dal tempio. Da questo si è ipotizzato che i nomi<br />

fossero <strong>la</strong> corruzione delle antiche divinità Ermes ed Eracle o, trattandosi<br />

di due divinità, che il tempio fosse dedicato ai gemelli Castore e Polluce.<br />

Chiesa di Santa Maria dei Greci<br />

La Chiesa di Santa Maria dei Greci si<br />

trova nel<strong>la</strong> parte nord-orientale del<strong>la</strong> città<br />

di Agrigento, in prossimità del<strong>la</strong> Cattedrale,<br />

in quel<strong>la</strong> che viene denominata Collina<br />

di Girgenti. Quest’ultima, insieme al<strong>la</strong><br />

Rupe Atenea, forse da identificarsi con<br />

l’acropoli del<strong>la</strong> città greca, costituiva il limite<br />

settentrionale del<strong>la</strong> polis.<br />

In questa chiesa, di età medievale,<br />

sono inglobati i resti di un tempio dorico<br />

del<strong>la</strong> prima metà del V secolo a.C. L’ edificio,<br />

ancor prima di essere trasformato in<br />

Chiesa <strong>per</strong> il culto cristiano, già nel<strong>la</strong> tarda<br />

antichità era stato utilizzato come cava<br />

41


di materiale <strong>per</strong> <strong>la</strong> costruzione degli edifici circostanti.<br />

Fino a qualche anno fa, di questo tempio si conoscevano soltanto<br />

undici colonne, rispettivamente sei del<strong>la</strong> <strong>per</strong>istasi settentrionale e cinque<br />

del<strong>la</strong> <strong>per</strong>istasi meridionale, che si presentavano scana<strong>la</strong>te verso l’ esterno<br />

e sezionate a metà nel<strong>la</strong> parte rivolta verso l’interno. Erano inoltre visibili<br />

tre gradini del crepidoma settentrionale.<br />

In questi ultimissimi anni, nuove indagini archeologiche hanno riportato<br />

al<strong>la</strong> luce altri partico<strong>la</strong>ri re<strong>la</strong>tivi, soprattutto, alle fondazioni del tempio<br />

che sono oggi in <strong>la</strong>rga parte visibili.<br />

42


Siracusa<br />

P. Brydone Viaggio in Sicilia e Malta (1770)<br />

Brydone e Denon a Siracusa<br />

Lettera XII Siracusa primo giugno<br />

Il trentuno maggio ci imbarcammo su una feluca e facemmo ve<strong>la</strong> <strong>per</strong><br />

<strong>la</strong> grande Siracusa.<br />

... Poco dopo comparvero le rovine del<strong>la</strong> grande Siracusa, i cui ricordi<br />

di gloria, magnificenza ed imprese illustri sia nelle armi che nelle arti ci<br />

fecero dimenticare <strong>per</strong> un poco addirittura <strong>la</strong> tartaruga. Ma, ahimè, come<br />

son caduti in basso i potenti! La città su<strong>per</strong>ba che gareggiò con Roma<br />

stessa è ora ridotta a un mucchio di macerie... <strong>per</strong>corremmo a remi quasi<br />

tutto il giro delle mura senza vedere creatura umana, quelle stesse<br />

mura che erano state il terrore delle armi romane, e dalle quali Archimede<br />

aveva sconfitto le flotte nemiche sollevando le navi dal mare con le<br />

sue macchine e <strong>la</strong>nciandole poi contro gli scogli...<br />

Delle quattro città che componevano l’antica Siracusa, rimane soltanto<br />

Ortigia, che è di gran lunga <strong>la</strong> più picco<strong>la</strong>. La città è situata sull’ iso<strong>la</strong><br />

omonima, ha una cerchia di due miglia e <strong>la</strong> popo<strong>la</strong>zione è valutata a<br />

quattordicimi<strong>la</strong> abitanti. Si calco<strong>la</strong> che le rovine delle altre tre Tyche, Acradina<br />

e Neapolis, occupino una circonferenza di ventidue miglia. Quasi<br />

tutta quest’ area è ora rico<strong>per</strong>ta di ricchi vigneti, frutteti e campi di grano:<br />

i muri che li dividono sono fatti tutti con dei frammenti di marmo, intagliati<br />

e pieni di iscrizioni, ma <strong>per</strong> <strong>la</strong> maggior parte sfregiati e rovinati.<br />

Le rovine più importanti sono un teatro e un anfiteatro, molti sepolcri, le<br />

<strong>la</strong>tomie, le catacombe ed il famoso orecchio di Dioniso, cose che insomma<br />

era impossibile distruggere.<br />

Le <strong>la</strong>tomie formano ora un elegante giardino sprofondato sotto <strong>la</strong> su<strong>per</strong>ficie<br />

del terreno e sono senza dubbio uno dei luoghi più belli e romantici<br />

che io abbia mai veduto. Si trovano quasi <strong>per</strong> intero a circa 100<br />

piedi sottoterra, e sono incredibilmente vaste. Il giardino è tutto tagliato<br />

in una roccia dura come il marmo, composta di conglomerato di conchiglie,<br />

ghiaia e altro materiale marino. Il fondo dell’ immensa cava, da cui<br />

fu probabilmente tratta <strong>la</strong> pietra <strong>per</strong> costruire quasi tutta Siracusa è ora<br />

rico<strong>per</strong>to da un terriccio fertilissimo e siccome è un luogo assolutamente<br />

riparato dal vento, è pieno di ogni sorta di arboscelli e bellissimi alberi da<br />

frutto, rigogliosi e imponenti, mai intristiti dal<strong>la</strong> tempesta. Aranci, limoni,<br />

bergamotti, melograni, fichi, eccetera, sono tutti di notevoli dimensioni e<br />

di qualità sopraffina. Alcuni di questi alberi, in partico<strong>la</strong>re gli olivi, sorgono<br />

dal<strong>la</strong> viva roccia, senza traccia di terra ed offrono uno spettacolo insolito<br />

e assai gradito all’ occhio. Questo strano giardino presenta tutta<br />

una serie di scenari selvaggi e romantici; mentre eravamo lì in mezzo<br />

43


scorgemmo improvvisamente con grande sorpresa una figura umana<br />

sul<strong>la</strong> soglia di una delle caverne, tale che accresceva ancora <strong>la</strong> dignità e<br />

<strong>la</strong> solennità del luogo. Era un vegliardo con una lunga e fluente barba<br />

bianca che gli arrivava a metà <strong>per</strong>sona. Il vecchio volto grinzoso e le rade<br />

ciocche grigie ne facevano un <strong>per</strong>sonaggio di un’ età passata oltre<br />

che del<strong>la</strong> presente. Le mani, tutte tremanti <strong>per</strong> <strong>la</strong> paralisi, reggevano una<br />

sorta di bastone da pellegrino, e intorno al collo aveva un rosario a grossi<br />

chicchi con un crocifisso appeso in fondo. Se non fosse stato <strong>per</strong> questi<br />

segni del<strong>la</strong> sua seconda esistenza, l’ attuale, non so, ma credo che<br />

gli avrei chiesto se <strong>per</strong> caso in gioventù aveva conosciuto Teocrito e Archimede,<br />

e se si ricordava del regno del tiranno Dioniso. Ma ci trasse d’<br />

impaccio egli stesso, raccontandoci che era l’ eremita del luogo e che<br />

apparteneva ad un convento di cappuccini situato sulle rocce; che ormai<br />

aveva detto addio a questo mondo <strong>per</strong> un altro, ed era deciso a passare<br />

il resto del<strong>la</strong> vita in solitudine, pregando <strong>per</strong> i miseri mortali di quaggiù.<br />

Apparizione e scenario erano <strong>per</strong>fettamente intonati, e ne guadagnavano<br />

vicendevolmente. ( ... ) Rimanemmo incantati dalle Latomie e le <strong>la</strong>sciammo<br />

con rammarico. Sono proprio le stesse che Cicerone ha tanto<br />

decantato circa milleottocento anni fa. ( ... ) L’Orecchio di Dioniso è un<br />

monumento di <strong>per</strong>izia e magnificenza non meno che un monumento del<strong>la</strong><br />

crudeltà del tirano. É un’enorme caverna tagliata nel<strong>la</strong> roccia viva, a<br />

forma di orecchio umano. L’altezza misurata <strong>per</strong>pendico<strong>la</strong>rmente è di<br />

circa ottanta piedi, <strong>la</strong> lunghezza di questo enorme orecchio non è meno<br />

di duecentocinquanta. Si dice che <strong>la</strong> caverna fosse congegnata in modo<br />

da raccogliere e convogliare in un solo punto, come in centro focale, tutti<br />

i suoni prodotti all’interno: questo punto era chiamato timpano, ed esattamente<br />

di fronte il tiranno aveva praticato un <strong>per</strong>tugio che comunicava<br />

con un piccolo appartamento dove egli soleva nascondersi. Applicando<br />

l’orecchio al foro egli poteva sentire distintamente ogni paro<strong>la</strong> pronunciata<br />

nel<strong>la</strong> caverna sottostante. Non appena l’ appartamento fu ultimato e<br />

ne fu fatta <strong>la</strong> prova, egli fece uccidere tutti gli o<strong>per</strong>ai che avevano <strong>la</strong>vorato<br />

al<strong>la</strong> costruzione. Rinchiudeva poi lì dentro quelli che sospettava essere<br />

suoi nemici e ascoltando di nascosto i loro discorsi li giudicava a seconda<br />

di quello che dicevano, condannandoli o assolvendoli. La stanza<br />

di Dioniso è posta molto in alto sul<strong>la</strong> roccia ed è ora del tutto inaccessibile,<br />

<strong>per</strong> cui non potemmo fare una prova. ( ... ) L’eco nell’Orecchio è prodigiosa,<br />

più forte che in qualsiasi altra caverna da me vista. Ci sono ancora<br />

i buchi nel<strong>la</strong> roccia dove erano infisse le catene che tenevano legati<br />

i prigionieri, e in parecchi rimangono ancora addirittura i piombi e i ferri. (<br />

… ) Nelle vicinanze ci sono altre caverne grandissime, dove è sorta una<br />

manifattura di salnitro : questo sale si trova infatti in abbondanza sulle<br />

pareti delle grotte. (… ) Il teatro è piccolo, paragonato a quello di Taormina.<br />

(… ) La celebre fonte di Aretusa è sempre stata considerata come<br />

44


una delle maggiori curiosità di Siracusa, e puoi immaginarti come fossimo<br />

impazienti di veder<strong>la</strong>. E invero bastò che richiamassimo al<strong>la</strong> mente il<br />

passo in cui Cicerone <strong>la</strong> descrive e <strong>la</strong> scovammo subito. La fonte è ancora<br />

quel<strong>la</strong>, eccetto che <strong>per</strong> i pesci, che un tempo conteneva in gran<br />

numero e che ora sembrano aver<strong>la</strong> abbandonata.<br />

L’Aretusa era dedicata a Diana, che aveva lì presso un magnifico<br />

tempio dove ogni anno si celebravano grandi feste in suo onore. Trovammo<br />

un certo numero di ninfe immerse fino al ginocchio nel<strong>la</strong> fontana,<br />

intente a <strong>la</strong>varsi i vestiti, e paventammo <strong>la</strong> sorte di Atteone e di Alfeo;<br />

ma se appartenevano al seguito di Diana, bisogna dire che non erano<br />

certo altrettanto timide che a quei tempi, e difficilmente uno si deciderebbe<br />

a correre il rischio di essere mutato in cervo o in fiume <strong>per</strong> <strong>la</strong> più<br />

bel<strong>la</strong>.<br />

La fonte è veramente straordinaria: sgorga da terra con un filone<br />

d’acqua unico, delle proporzioni di un fiume. Le leggende poetiche che<br />

<strong>la</strong> riguardano sono troppe note <strong>per</strong>chè debba enumerarle.<br />

Molta del<strong>la</strong> gente del luogo crede ancor oggi che questo sia lo stesso<br />

fiume Aretusa che si <strong>per</strong>de sotterra nei pressi di Olimpia in Grecia e che<br />

continua il suo corso <strong>per</strong> cinque o seicento miglia sotto il mare, ricomparendo<br />

in questo punto.<br />

É incredibile che una storia come questa abbia ac<strong>qui</strong>stato tanto credito<br />

presso gli antichi : infatti non sono soltanto i poeti a par<strong>la</strong>rne, ma anche<br />

naturalisti e filosofi. ( ... ) La Siracusa, <strong>la</strong> più opulenta e potente di<br />

tutte le città greche, che con le sue sole forze fu capace in varie occasioni<br />

di tenere in scacco le forze di Cartagine e di Roma; che si narra<br />

abbia respinto ( e non vi riescono oggi gli eserciti riuniti di più nazioni )<br />

flotte di duemi<strong>la</strong> vele ed armate di duecentomi<strong>la</strong> uomini; che ospitò dentro<br />

le sue mura ( come nessuna città ha mai fatto né prima né dopo )<br />

flotte ed eserciti che erano il terrore del mondo intero; questa su<strong>per</strong>ba e<br />

magnifica città, dico, è ora ridotta come rango d’ importanza addirittura<br />

al di sotto del vil<strong>la</strong>ggio più meschino! Sic transit gloria mundi.<br />

Non sono riuscito a procurarmi nemmeno una tavo<strong>la</strong> <strong>per</strong> scrivere, e<br />

come surrogato sono stato obbligato a sistemare una panca a cavallo<br />

fra due seggiole. Alloggiammo nel più misero e sordido tugurio che tu<br />

possa immaginare; ma quel che è peggio, è che non si trova nul<strong>la</strong> da<br />

mangiare, e se non avessimo portato con noi dei polli freddi, saremmo<br />

potuti morire di fame….<br />

D. V. Denon: Voyage en Sicile (1788)<br />

Denon giunge a Siracusa da Malta. Il viaggio di ritorno non è facile: <strong>la</strong><br />

s<strong>per</strong>onara maltese, <strong>la</strong> picco<strong>la</strong> imbarcazione stretta e lunga su cui compie<br />

il viaggio, tiene male il mare e ogni volta che c’è una tempesta bisogna<br />

fermarsi e trovare riparo lungo <strong>la</strong> costa. Denon insiste nel racconto<br />

45


delle vicende drammatiche del<strong>la</strong> traversata, dei temporali e del<strong>la</strong> terribile<br />

quarantena a cui dovette sottostare, come tutti quelli che arrivavano da<br />

Malta, rinchiuso nel Lazzaretto di Siracusa. Non appena doppiato Capo<br />

Longo, apparve al<strong>la</strong> vista del nostro viaggiatore Siracusa che, benché<br />

sia <strong>la</strong> città più decaduta rispetto al suo antico splendore, conserva tuttora,<br />

<strong>per</strong> <strong>la</strong> bellezza del<strong>la</strong> sua posizione, un aspetto imponente….. Tutte le<br />

nostre idee di grandiosità e bellezza scomparvero non appena dovemmo<br />

attraccare presso una misera baracca, chiamato ufficio igiene, dove<br />

alcune <strong>per</strong>sone stupide ma piene di boria, ci vennero a proporre <strong>per</strong> <strong>la</strong>zzaretto,<br />

un terreno di dieci passi quadrati senza riparo. In questo fazzoletto<br />

di terra tirarono a riva <strong>la</strong> stessa imbarcazione e ne fecero il loro alloggio<br />

<strong>per</strong> i successivi 28 giorni mortali. Venuti fuori, rico<strong>per</strong>ti di parassiti<br />

e piaghe, con gli abiti a brandelli, furono aiutati dal vicario generale, che<br />

in assenza del vescovo A<strong>la</strong>gona al quale erano stati raccomandati, li volle<br />

gentilmente ospitare al pa<strong>la</strong>zzo episcopale. Il soggiorno a Siracusa<br />

occupa tre giorni e <strong>la</strong> visita si svolge al<strong>la</strong> ricerca dei luoghi che Denon ha<br />

già individuato, sul<strong>la</strong> scorta delle fonti antiche (Diodoro, Cicerone).<br />

Il primo giorno à dedicato<br />

ad Ortigia e al<strong>la</strong> Neapolis. Il<br />

suo primo interesse è <strong>per</strong> <strong>la</strong><br />

fontana Aretusa, che celebra<br />

<strong>la</strong> storia del<strong>la</strong> ninfa di Diana,<br />

<strong>per</strong>seguitata dal fiume Alfeo e<br />

trasformata in fontana proprio<br />

<strong>per</strong> sfuggirgli.<br />

Ma il fiume avendo ripreso<br />

<strong>la</strong> sua forma, unì le sue acque<br />

a quelle di Aretusa, <strong>per</strong>ché<br />

confondendosi con chi si ama<br />

è certamente il modo più piacevole di ritrovarsi. Grande è <strong>la</strong> delusione di<br />

Denon nello scoprire che il luogo conosciuto in tutto il mondo, oggi si è<br />

ridotto ad un’abbondante sorgente di acqua salmastra e sulfurea che<br />

scaturisce da rocce tristi e scorre in un bacino angoloso, formato da due<br />

vecchi muri nient’affatto antichi, dove è <strong>la</strong>vata <strong>la</strong> biancheria sporca di un<br />

gruppo di donne più sporche ancora che, quasi nude, <strong>per</strong> gli abiti rialzati,<br />

offrono il quadro di tutto ciò che l’impudicizia ha di maggiormente osceno.<br />

Proseguendo poi, <strong>la</strong> visita di Ortigia, va al<strong>la</strong> ricerca del tempio di Diana,<br />

di Minerva, i pa<strong>la</strong>zzi di Dionigi, i famosi bagni di Dafni, figlio di Mercurio<br />

e di una ninfa, divenuto cieco <strong>per</strong> avere prima incantato Diana e<br />

poi esserle stato infedele. Trova il tempio di Minerva, tra i meglio conservati,<br />

che è stato trasformato in Cattedrale… Si tratta dell’Athenaion,<br />

tempio dorico del V secolo a.C., adattato al culto cristiano nel VII secolo<br />

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d.C. Appare chiaro che non gli piace l’imponente facciata barocca che<br />

nel XVIII secolo fu costruita, in seguito al terremoto del 1693 - neanche<br />

una paro<strong>la</strong> viene spesa sul<strong>la</strong> facciata del<strong>la</strong> Cattedrale o <strong>per</strong> il vicino Pa<strong>la</strong>zzo<br />

Beneventano del Bosco di recente costruzione - anche se non può<br />

fare a meno di notare che<br />

proprio questa trasformazione<br />

ha salvato il tempio greco dal<strong>la</strong><br />

distruzione. Ne è prova il<br />

tempio di Diana, edificio in realtà<br />

dedicato ad Apollo, che<br />

trova ridotto in rovina. Per rintracciare<br />

questo tempio, il<br />

primo che fu innalzato a Siracusa,<br />

bisogna addirittura entrare<br />

nel<strong>la</strong> camera di un privato,<br />

dove nello spazio tra il letto<br />

e il muro, ci sono ancora due<br />

capitelli sui loro fusti.Va poi, al<br />

castello Maniace che è situato sul<strong>la</strong> punta dell’iso<strong>la</strong> di Ortigia in una posizione<br />

assai vantaggiosa, che domina e difende l’ingresso del porto. Visita<br />

<strong>la</strong> chiesa di San Filippo, dove trova un pozzo scavato nel<strong>la</strong> roccia<br />

con una sca<strong>la</strong> a chioccio<strong>la</strong> che arriva fino all’acqua … si sostiene che<br />

era un bagno ma che vantaggio offrirebbe lo scavare tanto profondamente<br />

<strong>per</strong> andare a cercare nell’oscurità un bagno di tre piedi di diametro<br />

con dell’acqua fredda come il ghiaccio? Il Denon dimostra un interesse<br />

partico<strong>la</strong>re <strong>per</strong> queste curiosità. Infine esce da Ortigia <strong>per</strong> il solo ingresso<br />

che vi conduce chi viene dal<strong>la</strong> terraferma. Questo <strong>la</strong>to famoso<br />

<strong>per</strong> le sue fortificazioni era, nel tempo, denominato <strong>la</strong> Rocca. Era <strong>qui</strong> che<br />

Dionigi aveva stabilito <strong>la</strong> sua principale dimora. Prosegue verso Acradina<br />

che descrive come il secondo quartiere del<strong>la</strong> città fatto di case di<br />

campagna, dove non si trovano vestigia antiche. Entra poi nel<strong>la</strong> Neapolis<br />

e visita l’anfiteatro che descrive<br />

di forma ovale, eretto<br />

<strong>per</strong> metà su un terreno in<br />

pendenza e <strong>per</strong> metà costruito<br />

su corridoi a volta. Nel<br />

complesso un monumento<br />

mediocre. Molto vicino ad esso<br />

ci sono le rovine di un teatro,<br />

di cui i gradini interamente<br />

tagliati nel<strong>la</strong> roccia, si sarebbero<br />

conservati se non<br />

fossero serviti come in una<br />

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cava <strong>per</strong> ricavarne pietre.<br />

Si tratta del monumento più famoso di Siracusa, uno dei massimi<br />

monumenti dell’architettura teatrale antica giunto fino a noi, dove gli<br />

spettatori godevano del<strong>la</strong> veduta<br />

del mare a<strong>per</strong>to, di Ortigia,<br />

dei due porti, del<strong>la</strong> campagna<br />

bagnata dall’Anapo e,<br />

malgrado lo stato di deterioramento,<br />

resta uno dei più bei<br />

posti del mondo. Gli acquedotti<br />

vi trasportano una grande<br />

quantità d’acqua che oggi serve<br />

a far girare un mulino, ma<br />

l’acqua è così abbondante che<br />

bagna piante di un bel verde e<br />

rende <strong>la</strong> natura intorno lussureggiante.<br />

Nelle strette vicinanze<br />

vi sono le Latomie famose nel<strong>la</strong> storia <strong>per</strong> avere rinchiuso gli Ateniesi<br />

dopo <strong>la</strong> loro disfatta nel 413 a.C. e dove i tiranni mandavano a morire<br />

i loro oppositori. Questo luogo spazioso, nato come cava, divenne in<br />

seguito un recinto tagliato a picco nel<strong>la</strong> roccia, con un dislivello di 100<br />

piedi, immenso e temibile, in cui si aprivano delle grandi grotte. Nota<br />

giustamente Denon che, mentre il tempo di solito imbruttisce tutto prima<br />

di distruggerlo, ha <strong>qui</strong> prodotto un effetto opposto, trasformando un luogo,<br />

sede di dolore e antiche<br />

atrocità in un sito ricco e pittoresco.<br />

In origine le <strong>la</strong>tomie erano<br />

state scavate da uomini liberi,<br />

in seguito si approfittò del<br />

grande spazio del loro recinto<br />

<strong>per</strong> chiudervi quel<strong>la</strong> moltitudine<br />

di prigionieri di guerra che<br />

si utilizzavano come schiavi: vi<br />

<strong>la</strong>voravano <strong>per</strong> <strong>la</strong> costruzione<br />

di edifici pubblici, vi trascorrevano<br />

tutta <strong>la</strong> vita, si sposavano,<br />

mettendo al mondo dei figli<br />

nati schiavi. Per costruirvi un riparo dalle intem<strong>per</strong>ie, si fece loro scavare<br />

delle grotte: <strong>la</strong> prima è quel<strong>la</strong> dove si fa il salnitro, l’ingresso è annerito<br />

e vomita fumo, <strong>la</strong> seconda di uno stile diverso ha un grande soffitto<br />

piatto, sostenuto da grandi pi<strong>la</strong>stri … <strong>la</strong> terza è quel<strong>la</strong> denominata Orecchio<br />

di Dionigi, appare stretta oscura e misteriosa. Il Denon descrive<br />

48


a lungo l’Orecchio di Dionigi, il<br />

cui nome è dovuto a Caravaggio<br />

che <strong>la</strong> visitò nel 1586<br />

e, che <strong>per</strong> <strong>la</strong> straordinaria<br />

proprietà di rinforzare ogni<br />

suono di cui gode, è descritta<br />

come <strong>la</strong> più celebre delle curiosità<br />

di Siracusa.<br />

Riprendendo il cammino,<br />

passando tra le <strong>la</strong>tomie ed il<br />

teatro, sale <strong>la</strong> strada antica ricavata<br />

dal<strong>la</strong> roccia, ricca di<br />

tombe e sepolture, che fiancheggia<br />

il recinto di Acradina. Continua <strong>la</strong> strada <strong>per</strong> Tyche, quartiere situato<br />

sull’altura, dove non restano che poche tracce di strade strette e<br />

tortuose, dove sarebbe impossibile immaginare una città, se non fosse<br />

<strong>per</strong> gli acquedotti che si incontrano ad ogni passo: sono tutti sotterranei<br />

tagliati nel<strong>la</strong> pietra stessa e <strong>per</strong> <strong>la</strong> maggior parte trasportano tuttora acqua<br />

abbondante: <strong>la</strong> trasportano da una distanza di tre miglia.<br />

Questi acquedotti, che si contano ancora in numero di dodici, trasportavano<br />

l’acqua sottoterra <strong>per</strong><br />

nasconder<strong>la</strong> agli occhi dei<br />

nemici e <strong>la</strong> distribuivano a tutti<br />

i quartieri con dei canali. Si arriva<br />

infine, ad un castello che<br />

delimitava Tyche e Neapolis<br />

ed univa le mura dell’una e<br />

dell’altra al<strong>la</strong> parte più elevata<br />

del<strong>la</strong> città, detta Epipoli. Qui<br />

sorge il Castello Eurialo, <strong>la</strong><br />

grande fortezza costruita da<br />

Dionigi il Vecchio, che <strong>la</strong> fece<br />

innalzare in venti giorni da sessantami<strong>la</strong> o<strong>per</strong>ai e costruire in grandi e<br />

bei blocchi che ne rendevano l’aspetto magnifico e straordinario: se ne<br />

vedono tuttora le rovine.<br />

Il secondo giorno i nostri viaggiatori si avviano verso il piccolo porto o<br />

porto Marmoreo, che non ha conservato nul<strong>la</strong> dell’antica magnificenza:<br />

ora non è più che un piccolo porto <strong>per</strong> le barche che hanno <strong>per</strong>fino difficoltà<br />

ad entrarvi. Poi entrano ad Acradina dal <strong>la</strong>to dove era il forum e il<br />

famoso pa<strong>la</strong>zzo <strong>per</strong> sessanti letti fatto costruire da Agatocle. Giungono<br />

poi, a Santa Lucia, protettrice di Siracusa, luogo dove questa fu martirizzata<br />

e sepolta. Dietro all’altare maggiore, ricorda il Denon, che è con-<br />

49


servato quello che resta di un grande quadro del Caravaggio che si dice<br />

fosse stato rovinato dall’ultimo terremoto.<br />

Andarono poi dai Cappuccini: il loro giardino, realizzato nelle antiche<br />

<strong>la</strong>tomie, emana un fascino tanto misterioso quanto pittoresco… dove i limoni<br />

e gli aranci sono piantati tra le rocce scoscese o sotto le volte tagliate….<br />

Gli abitanti di questo giardino tanto straordinario, si limitano a<br />

contare ogni giorno i loro aranci senza mai pensare ad alzare gli occhi,<br />

<strong>per</strong> control<strong>la</strong>re se <strong>la</strong> roccia sospesa possa minacciare il loro capo, o respirare<br />

il profumo del fiore d’arancio. Da <strong>qui</strong> passarono alle famose catacombe<br />

di San Giovanni, le più belle, le più grandi, le meglio conservate<br />

che abbia visto….<br />

Giunsero poi in riva al mare, di fronte ai due scogli denominati oggi i<br />

Due Fratelli, nel<strong>la</strong> zona in cui doveva trovarsi <strong>la</strong> casa di Archimede, il<br />

grande matematico, di cui non esiste più nul<strong>la</strong>. Infine ritornarono indietro,<br />

attraversando <strong>la</strong> città antica.<br />

Il terzo giorno Denon lo dedica all’escursione all’Anapo e al Ciane.<br />

Presa una picco<strong>la</strong> barca e, attraversato il grande porto, entra nel<strong>la</strong> foce<br />

del famoso fiume Anapo. Lasciata un momento <strong>la</strong> barca vicino al ponte<br />

che lo attraversa, il nostro viaggiatore si reca a vedere le rovine del celebre<br />

tempio di Giove Olimpico, di cui non restano che due colonne,<br />

l’una all’angolo sinistro del<strong>la</strong> parte orientale e l’altra all’angolo corrispondente<br />

del<strong>la</strong> parte occidentale. È questo il tempio di cui s’impadronì Imilcone,<br />

durante l’assedio di Siracusa (Diodoro). La natura del luogo è molto<br />

adatta <strong>per</strong> crearvi un accampamento e <strong>per</strong> renderlo inespugnabile;<br />

ma le due paludi che lo delimitano rendono sempre l’aria malsana e<br />

quest’aria a diverse riprese, ha salvato Siracusa, provocando delle epidemie<br />

nell’armata degli Ateniesi e <strong>la</strong> peste nel campo dei Cartaginesi.<br />

Questa volta essa fu talmente tremenda che quelli che ne erano affetti<br />

diventavano furiosi e, come narra <strong>la</strong> storia, i ma<strong>la</strong>ti essendo senza aiuto<br />

e <strong>la</strong> ma<strong>la</strong>ttia senza rimedio, i morti non furono seppelliti. Il terrore di un<br />

simile spettacolo, lo spavento e <strong>la</strong> dis<strong>per</strong>azione…. costrinsero il fiero Imilcone<br />

a mendicare e pagare 300 talenti <strong>la</strong> pietà di Dionigi e a fuggire<br />

con il favore del<strong>la</strong> notte, dopo aver abbandonato i suoi alleati e 150.000<br />

morti senza sepoltura. La consapevolezza di avere davanti agli occhi il<br />

teatro di tali avvenimenti e le immagini che offrivano al<strong>la</strong> mia mente mi<br />

facevano ancora fremere, sia pur dopo tanti secoli.<br />

Riprende <strong>la</strong> navigazione: ben presto le rive del fiume si restrinsero e<br />

ci trovammo all’ombra di canne e giunchi come in un fitto bosco. Arrivammo<br />

ad un gomito dove <strong>la</strong> sorgente di Ciane, un piccolo fiume che<br />

scorre vicino, viene a congiungersi all’Anapo. Lasciammo il fiume <strong>per</strong> <strong>la</strong><br />

sorgente che, anticamente compagna di Proserpina, subì questa metamorfosi<br />

<strong>per</strong> essersi opposta al rapimento del<strong>la</strong> principessa. …ben presto<br />

trovammo il papiro, questa piante celebre e strana che esiste al mondo<br />

50


solo nelle paludi che forma il Nilo con i suoi straripamenti e presso questa<br />

sorgente. La pianta, quasi errante, non è attaccata con le sue radici<br />

né al fondo né al<strong>la</strong> riva….<br />

Questa pianta descritta da Plinio quando par<strong>la</strong> di quelle del Nilo, è<br />

ancora chiamata dai contadini locali pam<strong>per</strong>a con <strong>la</strong> stessa pronuncia<br />

del greco Denon si rammarica che gli abitanti usino <strong>la</strong> pianta<br />

solo <strong>per</strong> legare il grano all’epoca dei raccolti.<br />

In questo luogo si fermano all’ombra e godono di una piacevole sosta<br />

<strong>per</strong> bere dell’eccellente vino “ca<strong>la</strong>brese”. In seguito riprendemmo gagliardamente<br />

<strong>la</strong> navigazione che fu meno dedicata ad osservare e rientrammo<br />

a Siracusa di notte, dopo aver passato quasi tutta <strong>la</strong> giornata a<br />

fare quattordici miglia e a muoverci attraverso una deliziosa campagna..<br />

51


52<br />

Siracusa, i Monumenti<br />

Fonte Aretusa<br />

Sorge sullo spiazzo ottenuto<br />

dall’abbattimento dell’antico<br />

bastione spagnolo, offrendo<br />

uno dei panorami più belli sul<br />

porto di Ortigia. Il bacino del<strong>la</strong><br />

fonte, che inizialmente scaturiva<br />

entro una grotta, a diretto<br />

contatto col mare da cui era<br />

separata da un molo di massi<br />

(Cicerone ), ha subito nel<br />

tempo notevoli trasformazioni.<br />

Oggi appare al centro di un<br />

invaso, ricco di papiri, anatre e pesci, circondato da un alto muro semicirco<strong>la</strong>re,<br />

che è frutto di una sistemazione ottocentesca dell’area.<br />

Il sito consacra il mito di Alfeo e Aretusa, così come ci viene raccontato<br />

da Ovidio. La ninfa Aretusa, compagna di Diana, <strong>per</strong> sfuggire<br />

all’amore del fiume Alfeo, dal<strong>la</strong> dea fu trasformata in fontana e sgorgò in<br />

Ortigia. Ma il fiume correndo sotto il mare, dal<strong>la</strong> Grecia <strong>la</strong> raggiunse a<br />

Siracusa, unendo le sue acque a quelle del<strong>la</strong> fontana Il mito, celebrato<br />

fin dall’antichità, sottolinea i legami di Siracusa con <strong>la</strong> Grecia ed è oggi<br />

uno dei simboli del<strong>la</strong> città. Esso ha trovato espressione anche nelle monete<br />

di Siracusa dei grandi maestri incisori del V secolo a.C., come<br />

Euanetos.<br />

Le Latomie<br />

Le Latomie erano antiche<br />

cave di pietra che, in alcuni<br />

punti, raggiungono anche <strong>la</strong><br />

profondità di 45m. Nate in<br />

conseguenza di un immane<br />

<strong>la</strong>voro manuale, – furono estratti<br />

da esse quasi<br />

5.000.000 metri cubi di pietra -<br />

in età storica, con il fenomeno<br />

del<strong>la</strong> colonizzazione greca,<br />

quando viene avviata <strong>la</strong> costruzione<br />

delle città e c’è<br />

l’esigenza di costruire con conci di pietra accostati senza malta, esplode<br />

l’uso industriale del<strong>la</strong> <strong>la</strong>tomia. Ciò avviene già nel corso dell’età arcaica<br />

greca, anche se, al momento, non abbiamo <strong>la</strong> possibilità di datare con


precisione le <strong>la</strong>tomie siracusane, non essendo approfonditi gli studi re<strong>la</strong>tivi<br />

alle tecniche di estrazione nelle varie epoche e solo di recente il metodo<br />

stratigrafico applicato allo studio delle <strong>la</strong>tomie incomincia a dare i<br />

primi frutti. Si sa comunque, che le più antiche cave di Siracusa (fine<br />

VIII, inizio VII a.C. ) stavano in Ortigia.<br />

Tucidide ci offre il primo indizio cronologico certo, <strong>la</strong>ddove le cita<br />

come luogo in cui furono rinchiusi i prigionieri ateniesi dopo <strong>la</strong> sconfitta<br />

del 413 a.C. e Cicerone definisce le <strong>la</strong>tomie: luogo sicuro contro ogni<br />

tentativo di evasione.<br />

Dopo i secoli di mezzo in cui l’abbandono, i crolli <strong>per</strong> terremoto delle<br />

gigantesche pareti, fanno quasi <strong>per</strong>dere <strong>la</strong> memoria di questi luoghi,<br />

nell’età moderna l’uomo vi torna con l’attività dei mulini e delle<br />

coltivazioni fino al<strong>la</strong> risco<strong>per</strong>ta settecentesca dei viaggiatori stranieri, che<br />

li ripropone all’attenzione, come attrazione ingentilita, con una<br />

sistemazione a giardino. Solo negli anni ’50 si comincia a guardare alle<br />

<strong>la</strong>tomie <strong>per</strong> quello che sono state nell’antichità e, ac<strong>qui</strong>site al pubblico<br />

demanio, esse rappresentano oggi il cuore del parco archeologico del<strong>la</strong><br />

Neapolis. Il complesso monumentale delle <strong>la</strong>tomie siracusane si estende <strong>per</strong><br />

circa 1,5 km., secondo una linea curva che segue il margine del<strong>la</strong> terrazza<br />

calcarea che domina <strong>la</strong> pianura costiera verso Ortigia. Così da<br />

ovest verso est abbiamo, partendo dalle immediate vicinanze del teatro,<br />

<strong>la</strong> <strong>la</strong>tomia del Paradiso con il c.d. Orecchio di Dioniso, <strong>la</strong> grotta dei Cordari<br />

e <strong>la</strong> grotta del Salnitro a cui seguono <strong>la</strong> <strong>la</strong>tomia dell’Intagliatel<strong>la</strong> e<br />

poi, quel<strong>la</strong> di S.Venera. ad una certa distanza verso est, seguono le <strong>la</strong>tomie<br />

dette Broggi e del Casale e chiude l’arco, quel<strong>la</strong> detta dei Cappuccini.<br />

La <strong>la</strong>tomia del Paradiso<br />

Scendendo <strong>la</strong> collina del teatro, sul<strong>la</strong> sinistra si trova <strong>la</strong> <strong>la</strong>tomia del<br />

Paradiso, che è stata <strong>per</strong> anni interessata da <strong>la</strong>vori di consolidamento<br />

lungo il suo <strong>per</strong>imetro nord-orientale. L’estrazione in queste cave avveniva<br />

a cielo a<strong>per</strong>to, ma <strong>per</strong> raggiungere gli strati rocciosi più compatti ci<br />

si spingeva in profondità - questo spiega <strong>per</strong>ché le pareti su<strong>per</strong>ano i 40<br />

m. di altezza- e, <strong>per</strong> sostenere gli strati su<strong>per</strong>ficiali, si <strong>la</strong>sciavano enormi<br />

pi<strong>la</strong>stri risparmiati nel<strong>la</strong> roccia.<br />

Scavato sul fianco del<strong>la</strong> collina, si trova l’Orecchio di Dioniso,<br />

un’enorme grotta artificiale alta 23m. con <strong>la</strong> sua singo<strong>la</strong>re forma che si<br />

sviluppa in profondità 65 metri, con un andamento ad S e con sinuose<br />

pareti che convergono in alto in un sesto acuto, resa ancora più partico<strong>la</strong>re<br />

dalle sue risonanze acustiche.<br />

53


Queste caratteristiche, che<br />

non sembrano quelle di una<br />

cava di pietra ma di un antro,<br />

indussero Miche<strong>la</strong>ngelo Merisi<br />

da Caravaggio, che visitò Siracusa<br />

nel 1608, a denominare<br />

<strong>la</strong> grotta , dando forza al<strong>la</strong><br />

leggenda secondo cui il tiranno<br />

Dioniso l’avrebbe usata <strong>per</strong><br />

ascoltare i discorsi dei prigionieri<br />

che vi faceva rinchiudere,<br />

le cui parole venivano ingigantite<br />

dall’eco. Qualcuno ha pure<br />

supposto che fosse stato scavato<br />

<strong>per</strong> creare una sorta di<br />

grande cassa di risonanza al<br />

teatro, ma <strong>la</strong> sua funzione resta<br />

comunque misteriosa. Storico<br />

è invece il fatto che le <strong>la</strong>tomie<br />

furono usate come carceri<br />

o meglio, campi di concentramento.<br />

Vi furono infatti rinchiusi almeno settemi<strong>la</strong> prigionieri ateniesi,<br />

catturati durante <strong>la</strong> sfortunata spedizione contro Siracusa del 413<br />

e <strong>la</strong>sciati senza riparo <strong>per</strong> diversi mesi, in mezzo a ma<strong>la</strong>ti e morti. Secondo<br />

Tucidide ogni prigioniero riceveva come scorta alimentare mensile,<br />

una cioto<strong>la</strong> d’acqua e due misure di grano. La forma del<strong>la</strong> grotta è<br />

dovuta al fatto che lo scavo iniziò dall’alto seguendo il piano di fondo di<br />

un acquedotto serpeggiante ed andò sempre più sprofondando, essendosi<br />

rinvenuta un’ottima qualità di roccia. I segni dei cavatori di pietra<br />

sulle pareti, indicano in senso orizzontale, i piani di stacco dei blocchi<br />

estratti.<br />

Poco lontano, in direzione Est, si trova <strong>la</strong> Grotta dei Cordari, un’altra<br />

cava adibita in epoca moderna, al<strong>la</strong> fabbricazione di corde.<br />

Notevoli in questa grotta, i segni dell’estrazione del<strong>la</strong> pietra: sulle pareti<br />

e sui soffitti<br />

dalle tinte variopinte<br />

dovute agli<br />

affioramenti dei<br />

contenuti chimici<br />

delle acque<br />

che attraversano<br />

le rocce, si<br />

osservano <strong>la</strong><br />

54


successione dei piani di stacco dei blocchi secondo moduli rego<strong>la</strong>ri ed i<br />

segni del<strong>la</strong> punta dello strumento di <strong>la</strong>voro <strong>la</strong>sciati dal picconiere antico.<br />

La terza grotta del<strong>la</strong> <strong>la</strong>tomia del Paradiso è nota come Grotta del Salnitro,<br />

nome derivato dall’attività che vi si svolgeva: l’ingresso è annerito<br />

e vomita fumo (Denon). L’imbocco oggi, appare co<strong>per</strong>to da un enorme<br />

masso del<strong>la</strong> volta crol<strong>la</strong>to, sul quale sono visibili i vari piani di stacco dei<br />

blocchi calcarei.<br />

Latomie dei Cappuccini<br />

Chiude l’arco delle <strong>la</strong>tomie siracusane verso est, <strong>la</strong> <strong>la</strong>tomia detta dei<br />

Cappuccini. Essa è molto vasta, caratterizzata da alte pareti rocciose,<br />

ricca di vegetazione, che conserva piloni dalle forme bizzarre, grandi<br />

ponti a volta, i più diversi tagli nel<strong>la</strong> roccia, uno dei quali riproduce<br />

l’Orecchio di Dionisio ma, forse <strong>per</strong>chè a<strong>per</strong>to nel fondo, non presenta<br />

fenomeni acustici. Celebrata negli scritti ottocenteschi <strong>per</strong> <strong>la</strong> sua grandiosità<br />

e <strong>la</strong> scenografia delle sue pareti, è stata costantemente vista in<br />

connessione con l’antico convento dei frati Cappuccini, ultimato nel<br />

1583, costruito in un punto centrale del suo sviluppo, che pende dall’alto<br />

del<strong>la</strong> rupe (Serradifalco).<br />

Teatro greco<br />

L’importanza<br />

del teatro di Siracusa<br />

è nota dalle<br />

fonti. La prima<br />

menzione risale<br />

al<strong>la</strong> seconda metà<br />

V secolo: SO-<br />

FRONE, autore<br />

di mimi, ci tramanda<br />

il nome dell’architetto che lo realizzò, che fu detto Miryl<strong>la</strong> (da<br />

myroi) <strong>per</strong> aver fatto spargere unguenti, al momento dell’inaugurazione.<br />

Sempre le fonti ci dicono del importante ruolo rico<strong>per</strong>to dall’edificio<br />

nel<strong>la</strong> vita civile del<strong>la</strong> città.<br />

PLUTARCO riferisce come, durante un’assemblea del popolo (355<br />

a.C.), nel teatro irrompesse un toro infuriato. Lo stesso autore dice di<br />

Mamerco, tiranno di Catania, giudicato dal popolo nel teatro. Ed ancora,<br />

come Timoleonte vecchio (336a.C.) giungesse in carro al teatro, dove il<br />

popolo era riunito in assemblea.<br />

Sappiamo anche dell’influenza del teatro nel<strong>la</strong> vita religiosa di Siracusa:<br />

CICERONE, nelle Verrine dice dei templi di Demetra e Core sul<strong>la</strong><br />

sommità del monumento, presso il quale esisteva anche un santuario<br />

delle Muse.<br />

55


Il teatro inoltre, doveva godere di un notevole prestigio internazionale<br />

se un grande tragediografo come Eschilo vi volle rappresentare <strong>la</strong> prima<br />

delle Etnee nel 476 a.C. e forse, anche I Persiani.<br />

Oggi del teatro, restano soltanto le strutture ricavata nel<strong>la</strong> roccia,<br />

mentre <strong>la</strong> parte sommitale del<strong>la</strong> cavea, come tutto l’edificio scenico, fu<br />

smontata <strong>per</strong> essere riutilizzata nelle fortificazioni di Carlo V (1520-<br />

1531). Ulteriori danni alle strutture del teatro furono arrecati, nel corso<br />

del XVI secolo, dall’impianto, ad o<strong>per</strong>a del marchese Gaetani, di alcuni<br />

mulini collegati con il canale Galermi di età greca.<br />

Gli scavi iniziarono tra <strong>la</strong> fine del ‘700 ed il primo ‘800 ad o<strong>per</strong>a di<br />

C.Gaetani, di F.S.Landolina, di F.Caval<strong>la</strong>ri che si occuparono soprattutto<br />

di liberare il monumento dagli strati terrosi che lo ricoprivano e dai mulini.<br />

L’unica costruzione sopravvissuta di età moderna è a una sorta di torre<br />

di età cinquecentesca, detta anche “casina dei mugnai”.<br />

Seguì l’o<strong>per</strong>a di esplorazioni eseguita da P.Orsi all’inizio del ‘900 che<br />

consentì a G.E.Rizzo di realizzare nel 1923, <strong>la</strong> prima vera edizione<br />

scientifica del monumento.<br />

C.Anti eseguì indagini tra il 1946 e 1949 cui seguirono, tra il 1950 e<br />

1954 quelle di D. Adamesteanu, G.V.Gentili e S.Stucchi che o<strong>per</strong>arono<br />

sull’edificio scenico e nell’area del santuario di Apollo Temenite.<br />

Del 1967 è <strong>la</strong> pubblicazione di L.BernabòBrea “Studi sul teatro greco<br />

di Siracusa”. Tra gli anni ’70 e ’80 L.Po<strong>la</strong>cco ha eseguito interventi<br />

nell’area sovrastante al ninfeo ed ha curato <strong>la</strong> più recente edizione del<br />

monumento.<br />

Sistematici <strong>la</strong>vori di esplorazione dal 1988 sono condotti dal<strong>la</strong> Soprintendenza<br />

di Siracusa ad o<strong>per</strong>a di G.Voza su tutto il pianoro dominante il<br />

teatro e le <strong>la</strong>tomie.<br />

Il teatro, così come ci appare oggi, è il frutto di un grande intervento<br />

architettonico o<strong>per</strong>ato da Ierone II nel III secolo a.C. La costruzione si<br />

adattava al<strong>la</strong> forma naturale del colle Temenite, con <strong>la</strong> cavea scolpita<br />

nel pendio roccioso. Il diametro max. di 140m. con 67 ordini di gradini,<br />

appare diviso in 9 settori da 8 scalette. Il diazoma o ambu<strong>la</strong>cro, a metà<br />

cavea, reca incise sul<strong>la</strong> parete, le iscrizioni di dedica in greco, eseguite<br />

in corrispondenza di ogni cuneo. Di fronte a quello centrale era inciso il<br />

nome di Zeus Olimpio e ad est, di Eracle e di Demetra. Ad ovest si leggono<br />

i nomi di Ierone II, del<strong>la</strong> regina Filistides, di Nereide, moglie di Gelone<br />

II, figlio di Ierone II che sposò nel 238 a.C., <strong>per</strong> ultimo il nome di<br />

Gelone II. E tra il 238 ed il 215 a.C. (anno del<strong>la</strong> morte di Ierone II), si data<br />

il teatro, come ci appare oggi.<br />

La summa cavea è priva di gradinate; <strong>la</strong> ima cavea ha un ambu<strong>la</strong>cro<br />

minore tra il 7° e l’8° sedile, dove i sedili del livello inferiore appaiono ribassati<br />

<strong>per</strong>ché andavano rivestiti; tra il 4° e 6° sedile andava posta <strong>la</strong><br />

“tribuna d’onore” destinata alle massime autorità.<br />

56


L’orchestra, ovvero lo spazio semicirco<strong>la</strong>re che sta al<strong>la</strong> base del<strong>la</strong> cavea,<br />

su cui c’era in origine l’altare di Dioniso, appare delimitato da 2 canali<br />

<strong>per</strong> lo smaltimento delle acque meteoriche: uno più antico, <strong>la</strong>rgo 1m.<br />

ed un altro successivo, di soli 30 cm., in conseguenza del quale venne<br />

ad ampliarsi lo spazio utile dell’orchestra da 16 a 21m. Un terzo taglio<br />

nel<strong>la</strong> roccia, esterno ai primi due, ha un andamento rettilineo ed è stato<br />

ritenuto come il più antico e variamente interpretato o riconducibile ad<br />

una cavea rettilinea oppure l’elemento che ci dice dell’adattamento<br />

dell’orchestra a colymbetra <strong>per</strong> gli spettacoli acquatici.<br />

In una fase iniziale, l’accesso all’orchestra avveniva attraverso due<br />

passaggi <strong>la</strong>terali (Parodoi) al<strong>la</strong> scena. Successivamente pàrodoi più<br />

ampie furono ritagliate arretrando il muro di contenimento del<strong>la</strong> cavea<br />

(anàlemma) che, <strong>per</strong> questa o<strong>per</strong>azione risultò essere parallelo al<strong>la</strong><br />

scena e non obliquo, come era di solito.<br />

Lo spazio destinato all’edificio scenico è co<strong>per</strong>to di tracce come tagli,<br />

fori ect. che costituiscono una serie di fasi che dimostrano le sue numerose<br />

vicende. Sull’asse mediano del teatro, è stato rinvenuto l’impianto<br />

delle scale carontee da dove avveniva l’improvvisa apparizione di <strong>per</strong>sonaggi<br />

dell’oltretomba, ovvero un canale co<strong>per</strong>to in senso N/S, che da<br />

una sca<strong>la</strong> al centro del palcoscenico, l’attraversa fino a raggiungere il<br />

centro dell’orchestra, dove s’immetteva in una stanza quadrata.<br />

In senso trasversale va ricordata <strong>la</strong> fossa che lungo <strong>la</strong> parete meridionale,<br />

ad intervalli rego<strong>la</strong>ri, presenta degli incavi a coda di rondine.<br />

Questa fossa ed il fi<strong>la</strong>re antistante con impronte <strong>per</strong> supportare elementi<br />

verticali dovevano servire <strong>per</strong> l’impianto di scene mobili re<strong>la</strong>tivo a rappresentazione<br />

di spettacoli fliacici.<br />

Del<strong>la</strong> scena romana facevano parte i due piloni quadrango<strong>la</strong>ri ricavati<br />

dal banco roccioso, in conseguenza del<strong>la</strong> costruzione delle “parodoi ad<br />

L”.<br />

In età romana l’edificio scenico assume una monumentalità senza<br />

precedenti ed il palcoscenico arriva a contatto con <strong>la</strong> cavea, interrompendo<br />

gli sbocchi delle parodoi a L. Per ovviare a questo inconveniente<br />

si crearono due gallerie sotto <strong>la</strong> cavea, alle estremità est e ovest del suo<br />

sviluppo. Si danneggiarono i due cunei esterni di essa, ma si realizzarono<br />

sopra le gallerie, due <strong>per</strong> le autorità nel teatro.<br />

In età tardo im<strong>per</strong>iale il teatro fu adattato <strong>per</strong> <strong>la</strong> realizzazione di giochi<br />

d’acqua. Gli ultimi <strong>la</strong>vori di rifacimento re<strong>la</strong>tivi al<strong>la</strong> scena, di cui si ha notizia<br />

da fonti epigrafiche, risalgono a V secolo d.C.<br />

Il settore settentrionale del<strong>la</strong> cavea del teatro è dominato da una terrazza<br />

ricavata dal<strong>la</strong> roccia, dove si trovava il Museo o sede del<strong>la</strong> corporazione<br />

degli attori e su cui era impiantato un grande portico a L, provvisto<br />

di un colonnato. Al centro del<strong>la</strong> parete rocciosa vi è una grande grotta<br />

artificiale con soffitto a volta e bacino rettango<strong>la</strong>re in cui sboccano le<br />

57


acque di un ramo dell’acquedotto Galermi. Ai <strong>la</strong>ti del<strong>la</strong> grotta, quattro<br />

nicchie, successivamente trasformate in sepolcri.<br />

Malta<br />

58<br />

Brydone e Denon a Malta<br />

Viaggio di Brydone a Malta<br />

Brydone sbarca a Malta, nel porto de La Valletta, il 6 Giugno del 1767<br />

dopo una lunga ma entusiasmante traversata che, dalle coste di Capo<br />

Passero in Sicilia, lo conduce all’altra ben più picco<strong>la</strong> iso<strong>la</strong>. Con il ricordo<br />

ancora vivo di una terra siciliana lussureggiante e di un popolo ricco di<br />

tradizioni ma che tradisce “cattiva salute e miseria”, Brydone si addentra<br />

nel maestoso porto del La Valletta tra due imponenti fortificazioni e <strong>la</strong><br />

prima impressione, toccata terra, è di un altro mondo che vanta opulenza<br />

e salute.<br />

Le fatiche di un viaggio disagiato vengono presto ricompensate da<br />

una calda accoglienza presso uno degli alberghi più fastosi del<strong>la</strong> città:<br />

sarà <strong>qui</strong> che il nostro troverà ristoro e sarà questo l’ambiente ideale nel<br />

quale scrivere e raccontare le sue <strong>per</strong>sonali considerazioni sul suolo di<br />

Malta. Lo sguardo di Brydone è curioso e attento ai dettagli; lo catturano<br />

aneddoti, usanze popo<strong>la</strong>ri e feste ma riferisce con uguale partecipazione<br />

di luoghi e cose, <strong>per</strong>mettendo così al lettore di immaginare i paesaggi<br />

descritti nel<strong>la</strong> loro essenza: <strong>la</strong> luce e i colori. Le fortificazioni, il porto e <strong>la</strong><br />

luce accecante riflessa dalle strade bianche <strong>la</strong>stricate del<strong>la</strong> città di Valletta<br />

lo avvincono più di qualunque altra cosa. Ci racconta dei due grandi<br />

porti inespugnabili: quello a Nord <strong>per</strong> i pescherecci e quello a Sud, <strong>per</strong> le<br />

imbarcazioni militari, organizzato in cinque anse, cinque porti sicuri dai<br />

quali è agevole <strong>la</strong> manovra e lo sbarco; l’altro versante dell’iso<strong>la</strong> si presenta<br />

anch’esso naturalmente inespugnabile: <strong>qui</strong>, infatti, un’alta parete<br />

rocciosa a strapiombo sul mare difende le città da eventuali incursioni<br />

nemiche.<br />

Il territorio dell’iso<strong>la</strong> gli si presenta come un solo blocco di pietra bianca<br />

arsa dal sole cocente, scandito da frequentissimi muretti a secco che<br />

delimitano piccoli appezzamenti di terra, l’uno accanto all’altro ad evitare<br />

che le piogge primaverili trascinino via il terreno faticosamente portato lì<br />

dal<strong>la</strong> Sicilia. Il nostro viaggiatore è sorpreso dall’abbondanza dei raccolti<br />

(grano, arance, canna da zucchero ma soprattutto cotone) giustificata<br />

dai maltesi come frutto dell’abbondante rugiada primaverile assorbita<br />

dal<strong>la</strong> roccia.<br />

I primi giorni di <strong>per</strong>manenza Brydone li dedica al<strong>la</strong> città brulicante di<br />

<strong>per</strong>sone ben vestite; visita i pa<strong>la</strong>zzi (il pa<strong>la</strong>zzo del Gran maestro,<br />

l’ospedale, l’arsenale, etc.) ma resta colpito soprattutto dal<strong>la</strong> magnifica<br />

chiesa di San Giovanni, ricca di marmi pregiati e pietre e abbellita con


affinatissima tecnica scultorea. Il 6 giugno partecipa al<strong>la</strong> giornata del<br />

ringraziamento in cui si ricorda <strong>la</strong> congiura - sventata da un ebreo - ordita<br />

dagli schiavi turchi contro l’intero Ordine di Malta; una grande parata<br />

si protrae fino a tarda notte e Brydone vi partecipa, insieme al<strong>la</strong> popo<strong>la</strong>zione<br />

maltese, a bordo di un’imbarcazione. Il giro dell’iso<strong>la</strong>, su carrozze<br />

trainate da muli e guidate da arabi lo conduce, il 7 giugno, presso <strong>la</strong> picco<strong>la</strong><br />

città fortificata di Melita, l’odierna Mdina, un luogo alto dal quale <strong>la</strong><br />

vista domina libera fino all’orizzonte lontano. Brydone visita il pa<strong>la</strong>zzo<br />

vecchio ma lo colpisce, soprattutto, <strong>la</strong> splendida cattedrale interamente<br />

tappezzata di damasco e decorata d’oro; lo lusingano le attenzioni rivoltegli<br />

dal Gran Maestro ma ancora una volta sono le leggende a catturare<br />

<strong>la</strong> sua attenzione: <strong>la</strong> leggenda del miracolo di San Paolo grazie al quale<br />

a Malta non esistono animali velenosi e quel<strong>la</strong> del<strong>la</strong> grotta, in cui il santo<br />

sarebbe stato imprigionato, dal<strong>la</strong> quale si estrae un’inesauribile e prodigiosa<br />

polvere bianca.<br />

Il viaggiatore inglese non può non essere colpito dal sistema giuridico<br />

e politico che vige a Malta che, essendo incentrato sui principi del<strong>la</strong> cavalleria,<br />

oltre ad imporre a tutta <strong>la</strong> popo<strong>la</strong>zione una condotta inappuntabile<br />

nei discorsi e nelle azioni, ammette – unico in Europa - il duello e<br />

punisce con <strong>la</strong> galera il diniego al<strong>la</strong> contesa. Ciò nonostante, si evince<br />

una certa tolleranza nel<strong>la</strong> convivenza tra le varie etnie presenti, dimostrata<br />

anche dal<strong>la</strong> costruzione di una moschea <strong>per</strong> gli schiavi turchi.<br />

Ospitato dal Gran Maestro dei Cavalieri di Malta al<strong>la</strong> Valletta, Brydone<br />

ha modo di conoscere meglio <strong>la</strong> struttura gerarchica e<br />

l’organizzazione dell’Ordine (che egli definisce “uno strano miscuglio di<br />

militare ed ecclesiastico”) che vanta una delle flotte più potenti d’Europa<br />

- fondamentale nelle guerre contro gli infedeli - e grandi ricchezze disseminate<br />

in gran parte dei paesi cattolici.<br />

Il soggiorno di Brydone a Malta si protrae fino all’11 giugno; non<br />

mancano le visite, <strong>per</strong>altro deludenti, all’iso<strong>la</strong> di Gozo e all’isoletta di<br />

Comino, ultime tappe di un viaggio partito dal<strong>la</strong> Sicilia orientale e diretto<br />

ora a quel<strong>la</strong> occidentale, all’insegna del forte legame che ancora oggi<br />

lega inesorabilmente le due isole del Mediterraneo centrale.<br />

Viaggio di Denon a Malta<br />

Dominique Vivant Denon giunse a Malta il 4 settembre del 1778, a<br />

bordo di una picco<strong>la</strong> imbarcazione con sei uomini d’e<strong>qui</strong>paggio ed altri<br />

sei passeggeri.<br />

Lasciata Licata e <strong>la</strong> Sicilia, il viaggio si presentò duro ed estenuante:<br />

nel poco spazio a disposizione le condizioni erano tutto altro che confortevoli,<br />

né l’arrivo fu più comodo. Il gruppo, infatti, approdò nel<strong>la</strong> notte<br />

sull’iso<strong>la</strong> di Gozo ma dovette precipitosamente abbandonar<strong>la</strong> - a causa<br />

del<strong>la</strong> quarantena imposta <strong>per</strong> <strong>la</strong> peste - e proseguire costeggiando Malta<br />

59


e le sue innumerevoli cale fino a raggiungere, nelle prime ore del mattino,<br />

il porto di La Valletta. La maestosità del<strong>la</strong> città tra i due porti fortificati<br />

offrì subito uno spettacolo mai visto che ripagò il viaggiatore dei disagi di<br />

un viaggio avvilente.<br />

Il diario di viaggio tenuto da Denon, manifesta immediatamente<br />

un’attenzione partico<strong>la</strong>re <strong>per</strong> gli aspetti storico-archeologici dei siti visitati<br />

piuttosto che <strong>per</strong> gli usi e i costumi dei popoli che li abitano. Egli si rive<strong>la</strong><br />

un osservatore avveduto, capace di leggere i segni del<strong>la</strong> storia al<strong>la</strong> luce<br />

del<strong>la</strong> sua formazione c<strong>la</strong>ssica.<br />

Il racconto divaga sulle caratteristiche somatiche e le peculiarità degli<br />

uomini e delle donne maltesi e si sofferma, piuttosto, sul partico<strong>la</strong>re che<br />

accomuna le osservazioni di tutti i viaggiatori che, <strong>la</strong>sciata <strong>la</strong> Sicilia, approdano<br />

a Malta: l’enorme contrasto tra <strong>la</strong> realtà siciliana e quel<strong>la</strong> maltese.<br />

Perfino uno studioso come Denon, attento all’aspetto esclusivamente<br />

storico dei luoghi che visita, non può tacere l’opposizione stridente tra <strong>la</strong><br />

Sicilia lussureggiante e terribilmente povera e Malta, arida ma opulenta.<br />

Alloggiato presso una delle due locande de La Valletta, “I tre re”, Denon<br />

e i suoi vengono accolti al<strong>la</strong> corte del Gran Maestro e questa occasione<br />

gli fornisce il pretesto <strong>per</strong> poter descrivere dettagliatamente il ruolo<br />

politico di Malta in Europa, nonché le caratteristiche dell’autorità del<br />

Gran Maestro.<br />

La trasferta maltese lo<br />

conduce presso le innumerevoli<br />

e inespugnabili fortificazioni<br />

(il forte di S. Elmo, <strong>la</strong> Floriana,<br />

il forte di S. Michele),<br />

presso i porti, lungo le strade<br />

<strong>la</strong>stricate de La Valletta fino<br />

al<strong>la</strong> vil<strong>la</strong> in campagna del<br />

Gran Maestro e al Boschetto<br />

popo<strong>la</strong>to da gazzelle.<br />

L’escursione prosegue verso<br />

Mdina, <strong>la</strong> città vecchia, e si concentra sulle catacombe che rappresentano<br />

un avvincente esempio di architettura sotterranea, adibita non<br />

soltanto al<strong>la</strong> sepoltura dei cristiani ma, secondo Denon, anche e soprattutto<br />

a rifugio <strong>per</strong> le popo<strong>la</strong>zioni locali durante le incursioni saracene.<br />

Dal ritrovamento di alcune medaglie, di origine presumibilmente romana,<br />

Denon prende spunto <strong>per</strong> riassumere brevemente <strong>la</strong> storia delle<br />

dominazioni a Malta, dal<strong>la</strong> quale si evince l’importanza strategica e<br />

commerciale dell’Iso<strong>la</strong> e il suo ruolo nel Mediterraneo. La prima dominazione<br />

fu quel<strong>la</strong> dei Fenici che occuparono le isole utilizzandole come basi<br />

<strong>per</strong> i propri traffici marittimi; seguirono i Greci e <strong>qui</strong>ndi i Cartaginesi. I<br />

60


Romani ne apprezzarono le<br />

bellezze - poiché non pochi<br />

sono i resti del<strong>la</strong> loro presenza<br />

- e vi coniarono monete con iscrizioni<br />

greche e <strong>la</strong>tine. Al<strong>la</strong><br />

caduta dell’im<strong>per</strong>o romano<br />

d’occidente, Malta passò agli<br />

im<strong>per</strong>atori d’oriente prima, ai<br />

Saraceni poi e infine ai Normanni<br />

e ai re di Sicilia fino al<strong>la</strong><br />

consegna, da parte del re Carlo<br />

V, ai cavalieri di Gerusalemme.<br />

I resti, le monete e le statue ritrovate non sembrano <strong>per</strong>ò al nostro<br />

viaggiatore degni di alcuna nota, eccezion fatta <strong>per</strong> due “frammenti di<br />

cande<strong>la</strong>bri in marmo” (in realtà <strong>la</strong> base di due cippi) con iscrizioni in greco<br />

e in fenicio ritrovati in fondo al grande porto.<br />

Giunto sull’iso<strong>la</strong> al<strong>la</strong> vigilia dell’anniversario del<strong>la</strong> fine del Grande Assedio<br />

del 1565, Denon partecipa alle cerimonie in memoria dei cavalieri<br />

morti nell’assedio e visita <strong>la</strong> famosa Chiesa di San Giovanni <strong>la</strong> cui architettura<br />

gli appare modesta, mentre assai interessanti reputa i dipinti di<br />

Mattia Preti, detto “il Ca<strong>la</strong>brese”, che narrano <strong>la</strong> storia del santo e “tanto<br />

semplice quanto impressionante” trova il dipinto del Caravaggio che<br />

rappresenta <strong>la</strong> decol<strong>la</strong>zione di San Giovanni.<br />

Al<strong>la</strong> ricerca del<strong>la</strong> dimora<br />

del<strong>la</strong> dea Calipso, il cui mito si<br />

vuole ambientato a Malta, Denon<br />

attraversa tutta l’Iso<strong>la</strong> e<br />

giunge al porto di La Melleha;<br />

salendo <strong>per</strong> delle rampe, costruite<br />

contro una roccia a picco<br />

che domina il porto, il nostro<br />

viaggiatore si addentra in<br />

alcuni vani scavati nel<strong>la</strong> roccia<br />

che ricordano più delle grotte<br />

di eremiti che non <strong>la</strong> dimora di<br />

una dea: il famoso “cabinet de toilette” di Calipso “ha più l’aria di una<br />

prigione che di un salottino destinato ad una ninfa”.<br />

Dovendo rinunziare al<strong>la</strong> programmata escursione all’iso<strong>la</strong> di Gozo, a<br />

causa del<strong>la</strong> peste e del<strong>la</strong> quarantena imposta ai visitatori, Denon rimpiange<br />

di non aver potuto vedere una muraglia – <strong>la</strong> “roccia ai Fongus” –<br />

che si dice di costruzione fenicia, e una cava di a<strong>la</strong>bastro, che “rassomiglia<br />

a quello orientale” e che viene <strong>la</strong>vorato a Malta.<br />

61


Un inconveniente – l’arrivo in porto di una “s<strong>per</strong>onara” inseguita da<br />

una “feluca barbaresca” – fa rinviare di un giorno il momento del<strong>la</strong> partenza<br />

da Malta: il diciassette settembre Denon si imbarca su una nave<br />

maltese <strong>per</strong> tornare in Sicilia.<br />

62


Malta, i Monumenti<br />

Non si può par<strong>la</strong>re del<strong>la</strong> città di La Valletta senza prima fare un accenno<br />

al <strong>per</strong>iodo e agli eventi storici che ne determinarono <strong>la</strong> nascita e<br />

che si esprimono nelle sue architetture.<br />

La città lega le sue origini a quei 180 Cavalieri scampati al massacro<br />

<strong>per</strong>petrato dai Turchi di Solimano e da lui costretti al<strong>la</strong> fuga dall’iso<strong>la</strong> di<br />

Rodi nel 1522. Dopo alcuni anni di vagabondaggio, sotto <strong>la</strong> guida del<br />

Gran Maestro Villiers dell’Isle-Adam, nel 1530 sbarcarono a Malta. I Cavalieri<br />

di San Giovanni di Gerusalemme, che su quell’iso<strong>la</strong> sassosa rimasero<br />

<strong>per</strong> circa trecento anni, non potevano scegliere una base più<br />

adatta <strong>per</strong> <strong>la</strong> lotta che essi conducevano contro l’avanzata del<strong>la</strong> marea<br />

is<strong>la</strong>mica. L’arcipe<strong>la</strong>go di Malta, punto nevralgico del Mediterraneo e cerniera<br />

tra l’Europa e l’Africa musulmana, sarebbe stato <strong>per</strong> secoli<br />

l’avamposto del cattolicesimo militante.<br />

Trentacinque anni dopo il loro arrivo, i Cavalieri dovettero resistere<br />

all’assedio più duro che Malta abbia mai subito nel corso del<strong>la</strong> sua storia<br />

tormentata. Dopo quattro mesi di accaniti combattimenti, gli assediati,<br />

galvanizzati dal<strong>la</strong> forza d’animo del loro Gran Maestro Giovanni Parisot<br />

di La Vallette, riuscirono a respingere l’assedio dei Turchi e dei loro barbareschi,<br />

che pure erano cinque volte più numerosi di loro.<br />

La capitale di Malta, <strong>la</strong> città di La Valletta, è sorta in seguito a queste<br />

drammatiche vicissitudini, <strong>per</strong> iniziativa del Gran Maestro de <strong>la</strong> Vallette<br />

dal quale prese anche il nome nel 1566. Quando i Cavalieri arrivarono a<br />

Malta nel 1530 si stanziarono nel piccolo vil<strong>la</strong>ggio di Birgu (Vittoriosa)<br />

che era protetto da Forte Sant’Angelo<br />

Essi decisero di ampliare <strong>la</strong> vecchia torre di vedetta di S. Elmo spostando<strong>la</strong><br />

sul<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong> di Sciberras, dall’altra parte del porto, in posizione<br />

geograficamente strategica ma dove le difese erano più deboli.<br />

I piani <strong>per</strong> <strong>la</strong> costruzione di Valletta erano stati e<strong>la</strong>borati già prima<br />

dell’assedio, ma non si erano realizzati a causa del<strong>la</strong> mancanza di fondi<br />

e di tempo: fu in seguito che si manifestarono le condizioni <strong>per</strong> <strong>la</strong> realizzazione<br />

delle o<strong>per</strong>e. Dopo l’assedio, Papa Pio V e il re Filippo di Spagna,<br />

infatti, aiutarono i Cavalieri nel portare a termine il progetto affidandolo<br />

ad un ingegnere militare italiano di loro fiducia, Francesco Laparelli,<br />

il quale ebbe l’opportunità di pianificare il sito secondo lo schema del<strong>la</strong><br />

città <strong>per</strong>fetta in cui l’insediamento urbano è ideato seguendo un progetto<br />

urbanistico razionale e un metodo scientifico. Egli <strong>la</strong> concepì in modo<br />

che l’acqua potabile fosse sempre disponibile e che gli standard sanitari<br />

fossero all’avanguardia <strong>per</strong> l’epoca. La griglia di strade <strong>per</strong>metteva<br />

un’ottima circo<strong>la</strong>zione dell’aria da un porto all’altro poiché consentiva un<br />

ricircolo di correnti fresche all’interno delle mura, onde garantire condizioni<br />

ambientali più confortevoli anche nel<strong>la</strong> stagione estiva.<br />

63


Al visitatore, <strong>la</strong> città progettata da Laparelli offre ancora oggi scorci di<br />

grande bellezza: l’inespugnabile cittadel<strong>la</strong>, il Forte Sant’Elmo, che simile<br />

a una prua si erge <strong>per</strong> più di 60 metri sopra il livello del mare, le gigantesche<br />

fortificazioni e <strong>la</strong> piazza d’armi, certamente <strong>la</strong> più vasta d’Europa,<br />

occupano tutta <strong>la</strong> peniso<strong>la</strong> di Sciberras, tra le due rade naturali di Marsamxett<br />

a nord e di Porto Grande a sud. Un succedersi di mura immense,<br />

di fossati vertiginosi, di torri, di bastioni costruiscono l’immagine di<br />

una temibile potenza guerresca.<br />

L’ingegnere italiano <strong>la</strong>sciò Malta nel 1570 e il <strong>la</strong>voro venne continuato<br />

dall’architetto maltese Gero<strong>la</strong>mo Cassar. I primi edifici ad essere costruiti<br />

furono le Auberge cioè gli Alberghi delle varie lingue dell’Ordine, tra<br />

questi l’Albergo d’Italia, oggi sede dei Tribunali, è il più notevole e severo.<br />

Il Cassar, prima di accingersi ad eseguire questi ingenti progetti, fu<br />

invitato dai Cavalieri ad eseguire un viaggio di studio in Italia onde poter<br />

vedere da vicino cosa maturava nel campo dell’architettura a Napoli,<br />

Roma e Firenze. Al suo ritorno a Malta egli, ormai “Maestro delle O<strong>per</strong>e”,<br />

progettò ed eseguì, oltre le Albergie delle otto lingue dell’Ordine, le<br />

chiese delle varie famiglie religiose, i Forni del<strong>la</strong> Religione che allora occupavano<br />

tutto un iso<strong>la</strong>to, una parte del Pa<strong>la</strong>zzo Magistrale e <strong>la</strong> grandiosa<br />

chiesa conventuale dell’Ordine che, nel 1816, sarebbe diventata <strong>la</strong><br />

Cattedrale di San Giovanni. Quest’ultima, oggi il più insigne monumento<br />

del<strong>la</strong> città, è stata consacrata nel 1578 dall’arcivescovo di Monreale Ludovico<br />

De Torres, ed è stato oggetto di ampliamenti nel 1598 con <strong>la</strong> costruzione<br />

del<strong>la</strong> sacrestia e nel 1736 con quel<strong>la</strong> del<strong>la</strong> loggia.<br />

La famosa Cattedrale presenta una costruzione grandiosa ed austera,<br />

straordinariamente ricca all’interno di sculture, arazzi, mosaici e dipinti<br />

che decorano le cappelle dei Gran Maestri dell’Ordine. La facciata,<br />

piuttosto semplice, è in stile rinascimentale e riflette nel<strong>la</strong> sua essenzialità<br />

<strong>la</strong> vocazione religiosa e militare dei cavalieri. La pianta dell’edificio, a<br />

navata unica, priva di transetto, con cinque cappelle <strong>la</strong>terali <strong>per</strong> <strong>la</strong>to comunicanti<br />

tra loro, è un vero trionfo di materiali pregiati, di colori e di stili<br />

che, col passare del tempo, si sono sovrapposti e integrati al<strong>la</strong> <strong>per</strong>fezione.<br />

Fra le numerose o<strong>per</strong>e di artisti italiani, spiccano le tele di Mattia Preti<br />

(pittore ca<strong>la</strong>brese attivo a Malta tra il 1661 e il 1699) e, soprattutto, “La<br />

decol<strong>la</strong>zione di San Giovanni”, dipinta nel 1608 dal Caravaggio ed esposta<br />

nell’oratorio. Notevole è, inoltre, <strong>la</strong> pavimentazione del<strong>la</strong> navata, costituita<br />

interamente da oltre 360 pietre tombali rivestite di un pregevole<br />

intarsio di marmi policromi.<br />

Altre o<strong>per</strong>e di pittori italiani si trovano nelle chiese barocche del Gesù<br />

(1592-1600), di San Francesco (1681), di San Giacomo (1612), di Santa<br />

Caterina (1580). Del<strong>la</strong> seconda metà del ‘500 è il sobrio Pa<strong>la</strong>zzo del<br />

64


Gran Maestro (oggi pa<strong>la</strong>zzo del Governo) i cui <strong>la</strong>vori Gero<strong>la</strong>mo Cassar<br />

iniziò nel 1571 sul corpo preesistente di una casa del 1569; al suo interno<br />

molti saloni custodiscono quadri, ceramiche, mobili intarsiati e preziosi<br />

arazzi. Ricchissima è <strong>la</strong> Sa<strong>la</strong> dell’Armeria, con rari esemp<strong>la</strong>ri di armi<br />

di ogni epoca (anche dell’età neolitica) e molte armature complete tra<br />

cui quelle usate dai Cavalieri e dai Turchi durante il Grande Assedio.<br />

L’edificio nel quale è ospitata attualmente <strong>la</strong> Biblioteca è stato completato<br />

dal catanese Stefano Ittar nel 1796; esso con il suo preziosismo<br />

decorativo prelude allo stile neoc<strong>la</strong>ssico.<br />

Elementi ricorrenti che caratterizzano l’edilizia maltese sono le sporgenti<br />

“gallerie” di gusto orientale, importate dai Cavalieri e usate <strong>qui</strong> su<br />

moduli italiani anche se, all’interno delle mura del<strong>la</strong> città, le strette strade<br />

rettilinee che si incrociano ad angolo retto, le case con le altane e le gelosie,<br />

le scale a <strong>la</strong>rghi gradini e gli archi, non mancano di colore locale.<br />

L’attuale capitale dell’iso<strong>la</strong>,“Il Belt” (La città) come affettuosamente <strong>la</strong><br />

chiamano i Maltesi, non è soltanto centro amministrativo, finanziario ed<br />

universitario del<strong>la</strong> Repubblica ma anche città d’arte, di architettura e di<br />

antiche tradizioni storiche; essa fu definita dallo scrittore Walter Scott<br />

“una splendida città simile a un sogno” e dall’ uomo politico inglese Disraeli<br />

“<strong>la</strong> città dei pa<strong>la</strong>zzi”.<br />

Al<strong>la</strong> luce di tutte queste considerazioni e <strong>per</strong> il valore storico artistico<br />

dei pochi monumenti citati rispetto ad un totale di quasi 320 presenti<br />

all’interno del<strong>la</strong> cinta muraria, La Valletta si può beneintendere una delle<br />

città fortificate più belle del mondo, o<strong>per</strong>a d’arte del barocco: ciò le è<br />

valso, nel 1980, il titolo di patrimonio d’arte dell’umanità assegnatole<br />

dall’UNESCO.<br />

Cattedrale di S. Paolo - Mdina<br />

La storia di Mdina e dell’adiacente Rabat è alterna e antica quanto <strong>la</strong><br />

storia stessa di Malta: le sue origini risalgono a 4.000 anni fa. Nota come<br />

<strong>la</strong> Città Silente o Città Vecchia, in contrapposizione a La Valletta, evidente<br />

città nuova, Mdina fu l’antica capitale di Malta fino al 1571. Entro<br />

le sue mura, lungo deserte e silenziose viuzze, si scoprono non pochi<br />

pa<strong>la</strong>zzi medievali che testimoniano un <strong>per</strong>iodo di splendore iniziato in<br />

epoca romana. Qui risiedeva il governatore romano Publio, che fece arrestare<br />

San Paolo e che poi, convertitosi al cristianesimo in seguito al<strong>la</strong><br />

guarigione del padre ad o<strong>per</strong>a del Santo, trasformò <strong>la</strong> propria casa in<br />

una cappel<strong>la</strong> cristiana. Ricostruito molte volte, il sito è oggi occupato dal<strong>la</strong><br />

Cattedrale di San Paolo.<br />

Nel 1682 i Cavalieri decisero di riammodernare <strong>la</strong> vecchia Cattedrale<br />

normanna i cui ultimi <strong>la</strong>vori risalivano all’anno 1419, conferendole l’ aspetto<br />

tipico dell’architettura barocca, sintesi delle influenze romane, siciliane<br />

e rinascimentali d’Italia. Complice il terremoto del 1693, che molti<br />

65


danni ebbe a causare anche nel<strong>la</strong> Sicilia sud-orientale, venne intrapresa<br />

l’o<strong>per</strong>a di ricostruzione ad o<strong>per</strong>a dall’architetto maltese Lorenzo Gafà. La<br />

nuova chiesa venne consacrata nel 1702 dal Vescovo Cocco Calmieri e<br />

in questa occasione sul portale principale vennero sistemati gli stemmi,<br />

ancora oggi visibili, del<strong>la</strong> città di Mdina, del vescovo e del Gran Maestro<br />

in carica, Fra Ramon Perellos (1697-1720).<br />

La costruzione manifesta un grande e<strong>qui</strong>librio formale; essa presenta<br />

due ordini di lesene corinzie e termina in alto con un timpano affiancato<br />

da due torri campanarie; nel<strong>la</strong> parte interna del sagrato sono alloggiati<br />

due cannoni (cosa comune a molte altre chiese maltesi), uno di fabbricazione<br />

o<strong>la</strong>ndese (1681), l’altro donato all’Ordine dal duca di Savoia <strong>per</strong><br />

commemorare <strong>la</strong> difesa di Rodi.<br />

L’edificio è sovrastato da una cupo<strong>la</strong> di raffinate proporzioni che è<br />

probabilmente uno dei più grandi successi del Gafà, e anche se molti<br />

pittori nel tempo si sono ado<strong>per</strong>ati ad abbellirne l’intradosso, gli affreschi<br />

oggi visibili risalgono agli anni ’50. L’impianto p<strong>la</strong>nimetrico del<strong>la</strong> basilica<br />

è a croce <strong>la</strong>tina con tre navate e due cappelle <strong>la</strong>terali al coro; così come<br />

nel<strong>la</strong> co-cattedrale di La Valletta, il pavimento ospita tombe di nobili maltesi<br />

e religiosi. Di pregio è il fonte battesimale in marmo siciliano, nonché<br />

le statue, o<strong>per</strong>a di Giuseppe Valenti (l’artista autore del<strong>la</strong> statua del<strong>la</strong><br />

regina Vittoria in La Valletta), raffiguranti San Publio, San Luca e San<br />

Giovanni, così come anche i dipinti di Mattia Preti nelle cappelle e le<br />

preziose cancel<strong>la</strong>te di Francesco Zahra. Negli affreschi sono ricorrenti i<br />

temi legati al<strong>la</strong> vita di San Paolo: così è nel caso del<strong>la</strong> su<strong>per</strong>ba pa<strong>la</strong><br />

dell’altare maggiore che rappresenta <strong>la</strong> “Con<strong>versione</strong> di San Paolo” di<br />

Mattia Preti, e negli affreschi del coro fortunatamente sopravvissuti al<br />

terremoto del 1693.<br />

Un altro prezioso cimelio del<strong>la</strong> cattedrale è rappresentato dal<strong>la</strong> bel<strong>la</strong><br />

croce d’argento che i Cavalieri portarono con sé <strong>la</strong>sciando Rodi; <strong>la</strong> tradizione<br />

vuole sia <strong>la</strong> stessa croce innalzata da Goffredo di Buglione al momento<br />

di entrare a Gerusalemme, al<strong>la</strong> testa dei Crociati.<br />

Catacombe di S. Paolo - Rabat<br />

L’arcipe<strong>la</strong>go di Malta lega gran parte del<strong>la</strong> sua storia culturale e religiosa,<br />

oltre che a San Giovanni, anche ad un’altra figura di santo: San<br />

Paolo. Egli raggiunse l’iso<strong>la</strong> maggiore in seguito ad un naufragio durante<br />

il suo trasferimento da Gerusalemme a Roma, dove doveva essere processato.<br />

Il naufragio avvenne nell’anno 60 d.C. sul<strong>la</strong> costa settentrionale di<br />

Malta, presso <strong>la</strong> baia che oggi porta il nome del Santo. Gli Atti degli Apostoli<br />

raccontano: “L’iso<strong>la</strong> si chiamava Malta. Gli indigeni ci trattarono<br />

con una rara umanità; ci accolsero tutti attorno a un gran fuoco che avevano<br />

acceso <strong>per</strong>ché era sopraggiunta <strong>la</strong> pioggia ed era freddo” (At 28,<br />

66


1-2).<br />

Una tradizione vuole che S. Paolo si sia rifugiato in una grotta<br />

all’interno dell’iso<strong>la</strong> (<strong>la</strong> Grotta di San Paolo a Rabat) e che vi abbia trascorso<br />

tre mesi; secondo un’altra diffusa tradizione questa grotta era<br />

collegata, attraverso cunicoli sotterranei, alle non distanti catacombe<br />

che, <strong>per</strong> tale ragione, vennero dette anch’esse di San Paolo.<br />

Le catacombe sono un esempio di cimitero cristiano sotterraneo tipico<br />

del IV secolo, sebbene <strong>per</strong> il viaggiatore francese del XVIII secolo Vivant<br />

Denon, che nel 1778 visitò l’arcipe<strong>la</strong>go maltese, esse rappresentino<br />

un avvincente esempio di architettura sotterranea adibita non soltanto<br />

al<strong>la</strong> sepoltura dei cristiani ma anche e soprattutto a rifugio <strong>per</strong> le popo<strong>la</strong>zioni<br />

locali durante le incursioni saracene. Essendo state utilizzate dal III<br />

al IV secolo, queste catacombe rappresentano <strong>la</strong> prova archeologica più<br />

antica ed estesa del<strong>la</strong> cristianità maltese. Esse costituiscono un suggestivo<br />

<strong>la</strong>birinto di circa 2.200 metri e potevano accogliere un migliaio di<br />

corpi. Da un’imponente sa<strong>la</strong> centrale si diramano, in diverse direzioni, i<br />

vari passaggi che conducono alle gallerie con tombe ad arcosolio.<br />

Le poche decorazioni murali conservate sono estremamente importanti<br />

in quanto rappresentano l’ultimo re<strong>per</strong>to di pittura risalente al <strong>per</strong>iodo<br />

tardo romanico e al primo medioevo. All’interno delle catacombe sono<br />

presenti delle tavole rotonde ricavate nel<strong>la</strong> roccia, dette “Tavole<br />

dell’Agape”, intorno alle quali si radunavano, con ogni probabilità, i parenti<br />

del defunto <strong>per</strong> consumare il banchetto funebre.<br />

Monete<br />

L’iso<strong>la</strong> di Gaulos (Gozo), che fa parte dell’arcipe<strong>la</strong>go maltese, fu abitata<br />

fin dal<strong>la</strong> preistoria.<br />

Occupata dai Fenici e poi dai Cartaginesi, si arrese ai romani durante<br />

<strong>la</strong> seconda guerra punica e fu unita al<strong>la</strong> Sicilia come municipio. Le emissioni<br />

di Gozo sono di epoca romana; i tipi delle monete richiamano un<br />

culto di origine cartaginese e un presidio di mercenari.<br />

La moneta descritta da Denon nel suo "Viaggio a Malta" é un bronzo<br />

punico databile fra il 218 e il 175 a. C. La monetazione dell'antica Melita<br />

presenta iconografie di tipo egittizzante – come quelle di Kossura (Pantelleria)<br />

- che si ispirerebbero sia alle monete palestinesi di Gaza di età<br />

ellenistica, sia ad altre categorie di oggetti fenici come le coppe ed i sigilli<br />

e si spiegherebbero con <strong>la</strong> volontà dell'iso<strong>la</strong> di mostrare sentimenti filotolemaici<br />

in un momento ( 153-146 a.C.) di grande espansione del<strong>la</strong><br />

monarchia alessandrina. Il toponimo 'nn, attestato sulle emissioni di Malta<br />

a leggenda punica, é interpretato come il nome punico dell'iso<strong>la</strong> e, secondo<br />

Coleiro si trascriverebbe come GHONAN cioè “nave”, con una<br />

chiara allusione al fatto che, viste da lontano, le piccole isole maltesi<br />

sembrano una serie di piccole navi ormeggiate in mezzo al mare.<br />

67


A Sinistra: sul fronte testa galeata a destra; lettera V; sotto, grande mezzaluna;<br />

sul retro, globetto; . contorno <strong>per</strong>linato. A destra: sul fronte guerriero<br />

galeato avanzante a destra, con scudo e <strong>la</strong>ncia; astro; contorno lineare.<br />

Periodo romano.<br />

68


Il Patrimonio dell’Umanità: i siti UNESCO<br />

L’UNESCO<br />

Il sistema del<strong>la</strong> Organizzazione del<strong>la</strong> Nazioni Unite (ONU), che si occupa<br />

soprattutto del mantenimento del<strong>la</strong> pace nel mondo, si artico<strong>la</strong> in<br />

diverse istituzioni intergovernative, ognuna preposta ad un settore specifico,<br />

tutte volte a considerare i problemi da un punto di vista universale.<br />

L’Unesco è una di queste istituzioni specializzate, che fu creata ufficialmente<br />

il 4 novembre 1946, a Parigi dove, oggi, è <strong>la</strong> sua sede autorevole.<br />

Poiché una pace durevole non può basarsi soltanto su accordi economici<br />

e politici, l’Unesco si propone di contribuire al mantenimento del<strong>la</strong><br />

pace, favorendo <strong>la</strong> col<strong>la</strong>borazione tra Nazioni, tramite l’Educazione, <strong>la</strong><br />

Scienza e <strong>la</strong> Cultura, al fine di assicurare il rispetto universale del<strong>la</strong> giustizia,<br />

dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, che <strong>la</strong> Carta delle<br />

Nazioni Unite riconosce a tutti i popoli. In tale ottica diviene assai importante<br />

definire un patrimonio mondiale ai fini del mantenimento del<strong>la</strong> pace,<br />

<strong>per</strong>ché, nel rispetto e consapevolezza delle proprie tradizioni, memorie<br />

storiche e culturali, si può meglio contribuire al rispetto di quelle di altri<br />

paesi. In altri termini, <strong>la</strong> costruzione delle “difese del<strong>la</strong> pace” in una visione<br />

del mondo più democratica, deve essere a<strong>per</strong>ta alle diversità e alle<br />

culture ”altre”.<br />

Nel 2001, <strong>la</strong> Dichiarazione Universale dell’Unesco sul<strong>la</strong> Diversità Culturale<br />

ha ribadito <strong>la</strong> convinzione che <strong>la</strong> migliore garanzia <strong>per</strong> lo sviluppo<br />

e <strong>la</strong> pace sia proprio il rispetto delle “diversità culturali”. Si è giunti così,<br />

al<strong>la</strong> definizione di un Patrimonio Mondiale che comprende oggi 830 siti<br />

(644 Beni culturali, 162 Beni naturali, 24 Beni misti).<br />

La Commissione Nazionale Italiana <strong>per</strong> l’Unesco è nata nel 1950 e si<br />

occupa del<strong>la</strong> promozione, collegamento, informazione ed esecuzione<br />

dei Programmi Unesco. Essa o<strong>per</strong>a attraverso 7 Comitati: Comunicazione,<br />

Cultura, Diritti umani, Educazione, Patrimoni, Scienze naturali,<br />

Scienze sociali.<br />

I criteri di selezione<br />

Per essere inseriti nel World Heritage List, i luoghi devono avere un<br />

valore universale rilevante e al contempo soddisfare almeno uno tra dieci<br />

criteri di selezione. I criteri sono definiti nel<strong>la</strong> guida di riferimento o<strong>per</strong>ativa<br />

che, oltre al testo del<strong>la</strong> Convenzione sul<strong>la</strong> Protezione del Patrimonio<br />

Mondiale, Culturale e Naturale dell'Umanità (1972), rappresenta il<br />

principale documento di riferimento <strong>per</strong> il World Heritage.<br />

Fino al<strong>la</strong> fine di 2004, i luoghi patrimonio dell’umanità sono stati sele-<br />

69


zionati in base a sei criteri culturali e quattro naturali. Con l'approvazione<br />

del<strong>la</strong> guida di riferimento o<strong>per</strong>ativa modificata nel 2005, esiste un solo<br />

insieme di dieci criteri:<br />

(i) rappresentare un capo<strong>la</strong>voro del genio creativo dell'uomo<br />

(ii) aver esercitato un'influenza considerevole in un dato <strong>per</strong>iodo o in<br />

un'area culturale determinata, sullo sviluppo dell'architettura, delle<br />

arti monumentali, del<strong>la</strong> pianificazione urbana o del<strong>la</strong> creazione di<br />

paesaggi<br />

(iii) costituire testimonianza unica o quantomeno eccezionale di una civiltà<br />

o di una tradizione culturale scomparsa<br />

(iv) offrire esempio eminente di un tipo di costruzione o di complesso<br />

architettonico o di paesaggio che illustri un <strong>per</strong>iodo significativo del<strong>la</strong><br />

storia umana<br />

(v) costituire un esempio eminente di insediamento umano o d'occupazione<br />

del territorio tradizionale, rappresentativi di una culturale (o<br />

di culture) soprattutto quando esso diviene vulnerabile <strong>per</strong> effetto di<br />

mutazioni irreversibili<br />

(vi) essere direttamente o materialmente associato ad avvenimenti o<br />

tradizioni viventi, idee credenze o o<strong>per</strong>e artistiche e letterarie con<br />

una significanza universale eccezionale (criterio da applicare solo<br />

in circostanze eccezionali o in concomitanza con altri criteri)<br />

(vii) contenere fenomeni naturali su<strong>per</strong><strong>la</strong>tivi o aree di bellezza naturale<br />

eccezionale e di importanza estetica<br />

(viii) rappresentare esempi eccezionali degli stadi principali del<strong>la</strong> storia<br />

del<strong>la</strong> terra, compresa <strong>la</strong> presenza di vita, processi geologici significativi<br />

in atto <strong>per</strong> lo sviluppo del<strong>la</strong> forma del territorio o caratteristiche<br />

geomorfiche o fisiografiche significative<br />

(ix) essere un esempio eccezionale di processi ecologici e biologici in<br />

essere nello sviluppo e nell’evoluzione degli ecosistemi terrestri,<br />

delle acque dolci, costali e marini e delle comunità di piante ed animali,<br />

(x) contenere gli habitat più importanti e significativi <strong>per</strong> <strong>la</strong> conservazione<br />

in situ delle diversità biologiche, comprese quelle contenenti<br />

specie minacciate di eccezionale valore universale dal punto di vista<br />

scientifico o del<strong>la</strong> conservazione<br />

70<br />

Il piano di gestione<br />

I soggetti istituzionali che hanno portato a compimento lo sforzo di<br />

chiedere ed ottenere il riconoscimento dei siti quale “Patrimonio<br />

dell’Umanità” hanno assunto l’obbligo “morale” di adottare tutti gli strumenti<br />

necessari <strong>per</strong> garantirne tute<strong>la</strong> e valorizzazione.<br />

L’iscrizione al World Heritage List assume <strong>qui</strong>ndi il rilievo di onere, ol-


tre che di onore.<br />

L’impostazione stessa dei problemi di conservazione e di valorizzazione<br />

parte proprio dal riconoscimento del<strong>la</strong> ricchezza di valori rappresentata<br />

dai siti dell’UNESCO. Il patrimonio culturale non si caratterizza<br />

solo <strong>per</strong> <strong>la</strong> presenza di evidenze monumentali di eccezionale importanza,<br />

ma anche di beni ambientali e paesaggistici di grande varietà e bellezza.<br />

Oltre a numerosi edifici di valore storico architettonico sono presenti<br />

paesaggi di grande valore <strong>per</strong>cettivo e naturalistico, biotopi di partico<strong>la</strong>re<br />

interesse, geositi, sistemi colturali tipici ancorché residuali, ecc....<br />

Il piano di gestione rappresenta lo strumento fondamentale <strong>per</strong> gestire,<br />

all’interno del sito UNESCO, le politiche di conservazione e di valorizzazione<br />

dei beni patrimonio dell’umanità. È un e<strong>la</strong>borato tecnico che<br />

costituisce lo strumento necessario <strong>per</strong> definire e rendere o<strong>per</strong>ativo un<br />

processo di tute<strong>la</strong> e di sviluppo, condiviso da più soggetti e formalizzato<br />

attraverso un accordo tra le parti.<br />

Questo strumento tende a contem<strong>per</strong>are le opposte esigenze del<strong>la</strong><br />

conservazione e dello sviluppo. Attraverso <strong>la</strong> valorizzazione del patrimonio<br />

materiale ed immateriale del territorio, il piano ne promuove lo sviluppo<br />

culturale e socio-economico.<br />

Se <strong>la</strong> <strong>per</strong>imetrazione di un sito può essere determinata sotto diversi<br />

aspetti (ad esempio amministrativamente), l’identificazione del territorio<br />

che può beneficiare dei processi di sviluppo locale incardinati sul<strong>la</strong> presenza<br />

del sito UNESCO (oltre che contribuire con i suoi “valori” al processo<br />

di sviluppo), non risulta definibile a priori, come un dato esogeno,<br />

ma si tratta di un costrutto i cui confini sono tracciabili e suscettibili di<br />

modifiche durante il corso dell’azione, sul<strong>la</strong> base delle scelte progettuali<br />

maturate nel<strong>la</strong> costruzione del Piano e del loro grado di adesione e condivisione<br />

sociopolitica.<br />

Proprio <strong>per</strong> il suo obiettivo di promuovere il coordinamento e <strong>la</strong> sinergia<br />

delle attività dei vari soggetti istituzionali preposti al<strong>la</strong> programmazione<br />

dello sviluppo locale e coinvolti nel<strong>la</strong> tute<strong>la</strong> e valorizzazione dei siti,<br />

il Piano di Gestione assume il valore di “piano strategico” in cui individuare<br />

le finalità prioritarie che declinano il modello di sviluppo locale incentrato<br />

sui beni culturali:<br />

a) tute<strong>la</strong>re e valorizzare il patrimonio culturale materiale ed immateriale<br />

(archeologico, paesaggistico, naturalistico, enogastronomico,<br />

le tradizioni ed i “sa<strong>per</strong>i”, etc.) di un’area Patrimonio dell’Umanità e<br />

del territorio esteso ad essa connesso;<br />

b) rendere fruibile il sito ed il patrimonio culturale al<strong>la</strong> comunità mondiale<br />

migliorandone l’accessibilità, <strong>la</strong> visitabilità e l’interre<strong>la</strong>zione<br />

con i circuiti turistici provinciali, regionali, nazionali ed internazionali;<br />

71


c) fare assurgere al sito il ruolo attivo di motore dello sviluppo economico<br />

del territorio, epicentro di nuovi servizi, nuovi <strong>per</strong>corsi integrati<br />

che includano le risorse culturali e le opportunità del territorio.<br />

Le tematiche di interesse strategico <strong>per</strong> <strong>la</strong> redazione e <strong>la</strong> gestione del<br />

piano sono riconducibili, in sintesi, alle seguenti aree:<br />

conservazione dei monumenti e del patrimonio culturale<br />

accessibilità<br />

sviluppo locale, turismo culturale e base economica<br />

politiche e strumenti <strong>per</strong> il governo del territorio, <strong>la</strong> conservazione<br />

e valorizzazione del sito e del territorio esteso.<br />

Infine il Piano di gestione prevede un sistema di indicatori fisici <strong>per</strong> il<br />

monitoraggio del<strong>la</strong> fase attuativa, con lo scopo di verificare il funzionamento<br />

del piano di gestione e definire <strong>per</strong>iodicamente le eventuali azioni<br />

correttive, nonché di valutarne gli impatti sul sistema locale al fine di ac<strong>qui</strong>sire<br />

i feedback necessari all’e<strong>la</strong>borazione del nuovo Piano di Gestione.<br />

72<br />

I siti Unesco a Siracusa, Agrigento e Malta<br />

Siracusa e le necropoli rupestri di Pantalica (2005)<br />

Criteri: (ii) (iii) (iv) (vi)<br />

Il sito è composto di due elementi distinti, contenenti notevoli vestigia<br />

risalenti ai tempi dei greci e dei romani: <strong>la</strong> Necropoli di Pantalica contiene<br />

più di 500 tombe tagliate nel<strong>la</strong> roccia vicino ad una cava di pietre,<br />

molte delle quali vengono datate dal XIII al VII sec. a.C.<br />

Nell'area ci sono anche vestigia di epoca bizantina, nel<strong>la</strong> fattispecie le<br />

fondazioni dell'anaktoron (Pa<strong>la</strong>zzo del Principe).<br />

L'altra parte del patrimonio, l'antica Siracusa, include il nucleo del<strong>la</strong><br />

fondazione del<strong>la</strong> città come Ortygia, fondata da coloni greci di Corinto<br />

nell'VIII sec. a.C.<br />

Il sito del<strong>la</strong> città, che Cicerone descrisse come "<strong>la</strong> più grande città<br />

greca e <strong>la</strong> più bel<strong>la</strong> di tutte", conserva le vestigia come del tempio di Atena<br />

(V sec. a.C., più tardi trasformato <strong>per</strong> essere utilizzato come cattedrale),<br />

un teatro greco, un anfiteatro romano, un forte e altro ancora.<br />

Molti resti sono testimonianza del<strong>la</strong> tormentata storia del<strong>la</strong> Sicilia, dai bizantini<br />

ai borboni con l'intermezzo arabo-musulmano, dei normanni, di<br />

Federico II, degli aragonesi e del Regno delle due Sicilie. La Siracusa<br />

storica offre una testimonianza unica dello sviluppo del<strong>la</strong> civiltà mediterranea<br />

attraverso tre millenni.<br />

Attore principale del<strong>la</strong> gestione del sito UNESCO è <strong>la</strong> Soprintendenza<br />

ai BB.CC.AA. di Siracusa.


Area archeologica di Agrigento (1997)<br />

Criteri: (i) (ii) (iii) (iv)<br />

Costituisce <strong>la</strong> su<strong>per</strong>ba testimonianza dello splendore di una delle più<br />

importanti colonie greche d'occidente. L'antica città si estendeva su di<br />

una vasta area, ed è oggi conosciuta come Valle dei Templi dal numero<br />

degli edifici religiosi che ospita e che documentano <strong>la</strong> ricchezza e lo sviluppo<br />

culturale sino al IV secolo d.C.<br />

Con l'incredibile scenario naturale che tuttora <strong>la</strong> circonda, fu sede dell'attività<br />

e fonte di ispirazione <strong>per</strong> poeti e filosofi come Pindaro ed Empedocle.<br />

La gestione dell’Area archeologica è affidata al Parco Archeologico e<br />

Paesaggistico del<strong>la</strong> Valle dei Templi di Agrigento, istituito dal<strong>la</strong> Regione<br />

Sicilia nel 2000.<br />

La città del<strong>la</strong> Valletta (1980)<br />

Criteri: (i) (vi)<br />

La capitale di Malta è il principale centro politico, culturale, ed economico<br />

dell’arcipe<strong>la</strong>go. Si erge su un promontorio roccioso proteso fra le<br />

due ramificate insenature del<strong>la</strong> costa nord-orientale dell’iso<strong>la</strong> maggiore:<br />

Grand Harbour e Marsamxett. La Valletta è disposta in modo che sembra<br />

emergere direttamente dalle acque con le sue possenti fortificazioni<br />

e con tutte le estrose prospettive del<strong>la</strong> sua fisionomia urbanistica di<br />

stampo ippodameo.<br />

La sua storia è fortemente legata a quel<strong>la</strong> dell’Ordine Militare e Caritatevole<br />

di San Giovanni di Gerusalemme (noto anche con il nome di<br />

Ordine dei Cavalieri di Malta). Essa fu infatti fondata nel 1566, in seguito<br />

al Grande Assedio, <strong>per</strong> volere del Gran Maestro Jean Parisot de La Vallette,<br />

<strong>per</strong> fronteggiare possibili nuove incursioni dei Turchi Ottomani. Fino<br />

ad allora è stata oggetto di dominazione dei É stata dominata da Fenici,<br />

Greci, Cartaginesi, Romani, Bizantini, Arabi.<br />

I circa 320 monumenti, tutti dentro un’area di 55 ha, ne fanno l’area a<br />

più alta concentrazione di edifici storici nel mondo.<br />

L’Ipogeo di Hal Saflieni (1980)<br />

Criteri: (iii)<br />

Situato a Pao<strong>la</strong>, a pochi Km da Cospicua, sull’iso<strong>la</strong> di Malta, Hal Saflieni<br />

consiste in una necropoli sotterranea sco<strong>per</strong>ta nel 1902. Il completamento<br />

dello straordinario complesso funerario dell’ipogeo data attorno<br />

al 2400 a.C. Esso si compone di tre piani, scavati nel<strong>la</strong> roccia viva con<br />

un susseguirsi di stanze ellittiche, corridoi, scalinate e cunicoli incisi da<br />

graffiti che rappresentano segni e figure di vario genere. Il piano inferiore<br />

(quaranta metri sotto il livello del suolo) racchiude alcune tombe circo<strong>la</strong>ri<br />

che risalgono al 1800 – 1500 a.C. Degli oggetti rinvenuti nel tempio, visi-<br />

73


tabili al Museo Nazionale di La Valletta, è celebre <strong>la</strong> statuetta femminile,<br />

simbolo di Malta, raffigurante <strong>la</strong> dea del<strong>la</strong> fertilità.<br />

Unico tra i templi preistorici di Malta e Gozo e dei monumenti megalitici<br />

europei e mediterranei, è interamente scavato nel<strong>la</strong> roccia su più livelli<br />

e rispetto ad essi presenta una maggiore <strong>per</strong>fezione di esecuzione<br />

e accuratezza nei dettagli. In tal modo si può considerare come il migliore<br />

esempio di abilità e senso estetico di quegli uomini preistorici che lo<br />

hanno scavato nel<strong>la</strong> roccia senza nemmeno usare strumenti di metallo.<br />

I Templi Megalitici di Malta (1980-1992)<br />

Criteri: (iv)<br />

I templi così definiti appartengono a sette siti di interesse archeologico<br />

dei quali uno, Ggantija (oggetto del primo riconoscimento del 1980),<br />

sull’iso<strong>la</strong> di Gozo; gli altri sei, invece, sono ubicati sul<strong>la</strong> più grande iso<strong>la</strong><br />

di Malta: Hagar Qin, Mnajdra, Tarxien, Ta ‘Hagrat e Skorba. Tutti risalgono<br />

al <strong>per</strong>iodo neolitico che gli studiosi hanno diviso in varie fasi attribuendo<br />

loro i nomi delle località in cui si trovano i loro ruderi.<br />

Il fascino di questi monumenti, costruiti con enormi blocchi di pietra<br />

calcarea, è accresciuto dai fregi di vario genere che li decorano e dagli<br />

oggetti che vi sono stati rinvenuti: statuette di idoli, figure femminili, ceramiche,<br />

strumenti in pietra e altri prodotti artigianali che denotano una<br />

notevole sensibilità artistica.<br />

I complessi archeologici in questione, in ottimo stato di conservazione<br />

dei materiali, sono tra i più importanti monumenti dell’età del bronzo maltese<br />

e rappresentano un’eccellente testimonianza di arte megalitica<br />

preistorica con caratteri di unicità rispetto alle contemporanee costruzioni<br />

megalitiche europee e mediterranee.<br />

74<br />

UNESCO e il mondo del<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong><br />

L’UNESCO svolge un ruolo attivo nel<strong>la</strong> promozione del<strong>la</strong> “conoscenza”<br />

del Patrimonio dell’Umanità.<br />

Attraverso il Progetto Scuole Associate Unesco <strong>per</strong>segue l’obiettivo<br />

prioritario del<strong>la</strong> formazione di un allievo partecipe del<strong>la</strong> propria crescita<br />

culturale, consapevole del suo futuro ruolo di cittadino del mondo.<br />

In questo processo, il compito dell’insegnante è determinante, in<br />

quanto non soltanto trasmettitore di sa<strong>per</strong>e ma anello di congiunzione<br />

tra le attività sco<strong>la</strong>stiche ed il mondo culturale esterno.<br />

Le scuole associate all’Unesco formano una rete costituita da circa<br />

7400 scuole di ogni ordine e grado appartenenti a 170 paesi. Ogni paese<br />

è libero di organizzare a suo modo le scuole associate che, <strong>per</strong>ò, devono<br />

rispettare delle regole comuni.<br />

Entrare a far parte di questa rete internazionale, il cui inserimento av-


viene <strong>per</strong> il tramite del<strong>la</strong> Commissione Nazionale del proprio Paese, offre<br />

varie opportunità di carattere culturale e <strong>la</strong> possibilità di entrare in<br />

comunicazione con scuole e studenti di altri continenti e di sentirsi <strong>qui</strong>ndi,<br />

cittadini del mondo di domani.<br />

75


I Sapori<br />

Introduzione<br />

Che il cibo sia considerato un ingrediente basi<strong>la</strong>re dell’identità di un<br />

popolo è postu<strong>la</strong>to che non richiede ulteriore dimostrazione.<br />

Accade anzi che al cibo venga spontaneamente riconosciuta una valenza<br />

a tal punto rappresentativa dell’intera identità culturale di un’area,<br />

da consentire d’assegnargli un ruolo emblematico, quasi avesse il potere<br />

di condensare in sé i tratti salienti e riconoscibili di un luogo e del<strong>la</strong><br />

sua tradizione storica.<br />

Nel caso dell’Italia, poi, il procedimento è giunto alle soglie del parossismo,<br />

generando negli ambiti più vari bizzarre nomenc<strong>la</strong>ture: si par<strong>la</strong><br />

così di “spaghetti-western” , di <strong>la</strong>tino maccheronico o di “Pizza<br />

connection”, <strong>per</strong>ché il cibo, si sa, è da sempre ambasciatore riconosciuto,<br />

nel bene e nel male, del Bel Paese.<br />

Ecco <strong>per</strong>ché <strong>la</strong> ricerca sui “sapori” ha richiesto un’attenzione specifica<br />

all’interno di un progetto che intende scandagliare a tutto campo i rapporti<br />

che sono intercorsi ed intercorrono fra Malta, Siracusa ed Agrigento:<br />

tre luoghi di frontiera dell’Unione Europea <strong>per</strong> i quali il Mediterraneo<br />

ha costituito di volta in volta un agevole ponte di collegamento o una <strong>per</strong>igliosa<br />

distesa di separazione. Accade così che anche le tradizioni enogastronomiche<br />

riflettano questa profonda duplicità.<br />

La comune appartenenza al bacino mediterraneo e <strong>la</strong> sostanziale<br />

corrispondenza del<strong>la</strong> fitta stratificazione storica e culturale riscontrabile<br />

nelle tre aree, si manifesta ine<strong>qui</strong>vocabilmente nel<strong>la</strong> presenza di prodotti<br />

e ricette comuni, le cui differenze sono riconducibili entro l’alveo delle<br />

ordinarie varianti, presenti tra l’altro pure all’interno delle singole zone<br />

prese in esame.<br />

I punti di contatto fra le tre aree sono ovviamente molteplici: basti<br />

confrontare le ricette tipiche di cui è corredata <strong>la</strong> ricerca, <strong>per</strong> avere un riscontro<br />

immediato dell’indiscutibile legame che unisce profondamente le<br />

tradizioni culinarie delle tre comunità. La stessa denominazione dei piatti<br />

tradisce <strong>la</strong> comune ascendenza da un’unica tradizione. Eppure, prima di<br />

addentrarci in questa comparazione delle tre tavole imbandite, è necessario<br />

avanzare preliminarmente un’osservazione che riguarda non le ricette,<br />

ma i prodotti delle tre aree esaminate: mentre il territorio aretuseo<br />

e quello agrigentino possono vantare l’assegnazione di marchi DOP e<br />

IGP a tute<strong>la</strong> del<strong>la</strong> autentica “tipicità” di alcuni loro prodotti agroalimentari,<br />

nonché il conferimento del<strong>la</strong> DOC e dell’IGT a molti vini del loro territorio<br />

provinciale, Malta non può esibire marchi di garanzia, attestanti <strong>la</strong> tipicità<br />

dei propri prodotti di qualità. Ciò è il risultato di due distinte ragioni: da<br />

un <strong>la</strong>to, l’adesione all’Unione Europea che <strong>per</strong> Malta data solo dal 2004,<br />

data ancora troppo recente <strong>per</strong> consentire a questo Paese di avviare<br />

76


quei processi che altrove hanno <strong>per</strong>messo di utilizzare bene e a fondo<br />

gli strumenti comunitari, destinati a disciplinare i vari sistemi di riconoscimento<br />

delle tipicità agroalimentari e vinicole; d’altro canto va comunque<br />

rilevato che Malta, <strong>per</strong> ragioni sia di carattere storico sia di natura<br />

ambientale, ha sviluppato una propria tradizione e una identità enogastronomica<br />

soprattutto in cucina, ossia nel<strong>la</strong> preparazione dei cibi, piuttosto<br />

che nel<strong>la</strong> diretta produzione agroalimentare o vinico<strong>la</strong>. Non è un<br />

caso che l’approvvigionamento dei prodotti destinati al consumo sia in<br />

<strong>per</strong>centuale rilevante affidato, e non da oggi, all’importazione dall’estero.<br />

Per quanto concerne Agrigento e Siracusa, è dato invece osservare<br />

che il paniere dei prodotti identificati con marchio di qualità si presenta<br />

ricco e vario; vi troviamo <strong>la</strong> produzione di formaggi (Pecorino siciliano,<br />

Vastedda del Belìce e Ragusano DOP), segno riconoscibile di un’antica<br />

tradizione casearia di matrice ellenica, comune alle due aree; di partico<strong>la</strong>re<br />

rilievo, soprattutto nell’area agrigentina, <strong>la</strong> produzione di vini DOC<br />

con ben 6 marchi riconosciuti, a conferma del<strong>la</strong> attendibilità di<br />

quell’immagine dionisiaca di una città dove il vino scorre a fiumi, di cui ci<br />

par<strong>la</strong> Diodoro Siculo nelle sue pagine dedicate all’antica Akragas; e se<br />

di vino si par<strong>la</strong>, Siracusa contribuisce a diversificare le varietà disponibili,<br />

arricchendo <strong>la</strong> tavo<strong>la</strong> coi suoi vini da dessert, quali appunto il Moscato di<br />

Noto e il Moscato di Siracusa, che studi ampelografici dell’Ottocento<br />

hanno tentato di identificare con il vino Biblino o Pollio delle antiche fonti<br />

greche.<br />

Ma è il paesaggio agrario ad indicare visibilmente i caratteri comuni<br />

dell’area su cui si è accentrata <strong>la</strong> nostra ricerca. Ben oltre le specificità<br />

che i “sapori” consentono di identificare al suo interno, il Mediterraneo<br />

costituisce uno spazio storico e culturale segnato da interni confini che<br />

coincidono con colture e piante, <strong>la</strong> cui presenza è frutto in buona misura<br />

dell’azione dei popoli che l’hanno attraversato.<br />

Una vasta letteratura sancisce il privilegio del<strong>la</strong> Sicilia di essere stata<br />

con ogni probabilità <strong>la</strong> prima regione in cui si è diffusa, <strong>per</strong> o<strong>per</strong>a dei fenici<br />

e dei greci, <strong>la</strong> coltivazione dell’ulivo. Ed è proprio ai fenici ed ai greci<br />

che va <strong>per</strong>altro riconosciuta <strong>la</strong> sapiente organizzazione di una fitta rete<br />

di trasporto e commercio d’olio sulle frequentatissime rotte del Mediterraneo,<br />

con navi attrezzate in modo da poter contenere il maggior numero<br />

di anfore possibile. L’ulivo è l’immagine stessa del Mediterraneo e<br />

l’olio, ben lungi dall’essere solo un alimento, è un ingrediente insostituibile<br />

del rituale che ha accompagnato lungo i secoli <strong>la</strong> vita delle popo<strong>la</strong>zioni<br />

di ieri e di oggi stanziatesi lungo le sponde di questo mare di civiltà.<br />

All’iconografia cristiana ci riporta pure il frutto del mandorlo: una<br />

grande aureo<strong>la</strong> a forma di mandor<strong>la</strong> circonda l’immagine del Cristo nel<br />

Giudizio Universale e <strong>la</strong> Vergine dell’Annunciazione, <strong>per</strong>ché il mandorlo<br />

rappresenta <strong>la</strong> luce ed evoca il sole.<br />

77


Ad Agrigento il mandorlo non è solo una pianta, da cui ricavare<br />

l’ingrediente di base del<strong>la</strong> pasticceria locale: <strong>la</strong> “Festa del mandorlo in<br />

fiore”, che saluta <strong>la</strong> precoce primavera agrigentina, sancisce il profondo<br />

del legame tra paesaggio, cibo e cultura, esportando nel mondo<br />

l’immagine di una identità riconoscibile.<br />

Così gli aranci e i limoni che illuminano di colore e profumano di zagara<br />

le pianure e le cave del territorio aretuseo, affondano le loro radici<br />

nel<strong>la</strong> con<strong>qui</strong>sta araba del<strong>la</strong> Sicilia, divenendo col tempo immagine simbolo<br />

di un’intera regione. Ma è <strong>la</strong> presenza dell’acqua a rendere rigogliose<br />

queste piante. Il territorio siracusano è fortemente segnato dal<strong>la</strong><br />

ricca presenza dell’acqua che ha scavato sul tavo<strong>la</strong>to ibleo, sino allo<br />

sbocco a mare una serie infinita di cave che ancora oggi custodiscono i<br />

segni di antiche civiltà.<br />

Già praticata in epoca greca, <strong>la</strong> coltivazione del carrubo si sviluppò<br />

durante <strong>la</strong> dominazione araba. Gli Arabi utilizzavano i semi di carrubo<br />

come unità di peso dell’oro e delle pietre preziose, in virtù del<strong>la</strong> proprietà<br />

che ciascun seme possiede di pesare invariabilmente 0,2 grammi (<strong>la</strong> paro<strong>la</strong><br />

“carato” deriva dall’arabo <strong>qui</strong>rat, che indica appunto il seme del carrubo).<br />

L’ulivo, il mandorlo, l’arancio, il limone, il carrubo: piante del Mediterraneo<br />

i cui frutti, con o senza riconoscimenti di qualità, raccontano una<br />

storia comune, attraversata da mille rivoli che ne segnano le differenze.<br />

Anche il mare, come <strong>la</strong> terra, conosce messe e vendemmie: gli uomini<br />

del<strong>la</strong> costa hanno cercato di recintarlo come hanno fatto sul<strong>la</strong> terra;<br />

<strong>per</strong> questo non si sa bene se i <strong>la</strong>voratori delle saline siano marinai o<br />

contadini. Il commercio del sale nel<strong>la</strong> storia del Mediterraneo ha carattere<br />

strategico: non a caso i Cavalieri di Malta ne detennero a lungo il monopolio.<br />

Nel territorio siracusano ricadono i “resti” di numerosi impianti<br />

<strong>per</strong> <strong>la</strong> coltivazione del sale, che hanno costituito a lungo una importante<br />

risorsa economica <strong>per</strong> l’intera provincia. Ad Agrigento, invece, il sale si<br />

ricava dalle miniere scavate intorno al bacino del fiume P<strong>la</strong>tani, un fiume<br />

“sa<strong>la</strong>to”, <strong>per</strong> via delle acque che in un suo tratto s’impregnano di salgemma.<br />

L’uso del sale in cucina ha origini antichissime. Un legame profondo<br />

lo unisce al pane, al vino e all’olio. L’olio, il pane, il vino e il sale:<br />

sono forse i sapori archetipici del Mediterraneo. Su di essi si è costruita<br />

<strong>la</strong> ricca varietà di cibi e ricette.<br />

Ma non è soltanto <strong>la</strong> natura del paesaggio a dettare le condizioni su<br />

cui e<strong>la</strong>borare piatti e pietanze, vi sono poi gli innesti molteplici del<strong>la</strong> storia<br />

che hanno condotto popoli e tradizioni a mesco<strong>la</strong>rsi senza sosta lungo<br />

le rotte del Mediterraneo.<br />

Molti i tratti comuni alle tradizioni enogastronomiche del triangolo Malta-Agrigento-Siracusa:<br />

le tre cucine ce<strong>la</strong>no due grandi anime, spesso<br />

contrapposte. Da un <strong>la</strong>to una tradizione semplice, popo<strong>la</strong>re, di chiara<br />

78


ascendenza contadina o marinara, che ha dato origine a ricette di facile<br />

esecuzione, legate ai consumi quotidiani; dall’altro una cucina aristocratica,<br />

ricercata, che presuppone un approccio professionale funzionalmente<br />

volto a stupire se non anche ad ostentare il benessere<br />

dell’abbondanza in chiave manifestamente barocca.<br />

Il cibo dunque come fatto sociale, destinato non solo a marcare appartenenze<br />

e stratificazioni, ma intimamente connesso alle fasi del<strong>la</strong> vita<br />

umana e al calendario liturgico; l’anno è cadenzato dai sapori che si alternano<br />

con rego<strong>la</strong>rità “naturale” sul<strong>la</strong> tavo<strong>la</strong> imbandita. La nascita, il<br />

matrimonio e <strong>la</strong> morte si manifestano ciascuno col proprio rito<br />

d’accompagnamento che sacralizza l’evento e lo celebra nel gesto condiviso<br />

del nutrirsi e del gustare. Il pane e i dolci sono il segno visibile del<strong>la</strong><br />

festa: <strong>la</strong> loro forma richiama antiche simbologie religiose che ne trasformano<br />

il consumo in rito collettivo.<br />

Il legame profondo tra le tre diverse tradizioni è fortemente condizionato<br />

dal<strong>la</strong> storia e dalle evidenti influenze greche ed arabe ancora riconoscibili<br />

nelle cucine locali.<br />

La comune matrice greca è evidente ad esempio nel diffuso consumo<br />

di carne d’agnello, nel<strong>la</strong> preparazione del<strong>la</strong> ricotta, nel<strong>la</strong> onnipresenza<br />

del vino che s’accompagna ad ogni pietanza e non fa distinzione tra tavo<strong>la</strong><br />

“ricca” e tavo<strong>la</strong> “povera” (anche se a Malta, va notato, che <strong>la</strong> cultura<br />

del vino è fenomeno di più recente radicamento, poiché da sempre poco<br />

diffusa è nell’iso<strong>la</strong> <strong>la</strong> coltura del<strong>la</strong> vite); e ancora, ai Greci si deve <strong>la</strong> diffusione<br />

dell’arte di produrre il miele, ingrediente insostituibile di una estesa<br />

e varia tradizione dolciaria (e non solo). Ma <strong>la</strong> straordinaria pasticceria<br />

di cui può godere il pa<strong>la</strong>to contrae <strong>qui</strong> debiti di riconoscenza anche<br />

con l’antica cultura araba. Coi dolci si celebra il trionfo del<strong>la</strong> go<strong>la</strong> che<br />

non trova facilmente santi disponibili al<strong>la</strong> rinuncia. Si andrà poi in confessione<br />

a purificare almeno l’anima; in quanto al corpo, smaltire gli zuccheri<br />

sarà di certo meno semplice! Ma vi sono dolci dal<strong>la</strong> costituzione<br />

meno aggressiva, come quelli cosiddetti da credenza, di tipo secco, facili<br />

da conservare, pronti <strong>per</strong> essere offerti insieme ad un immancabile bicchierino<br />

di rosolio, ad amici abituali o ad ospiti occasionali.<br />

Ricercare le ricette tipiche di un territorio significa dunque, molto<br />

spesso, ricostruire un contatto con <strong>la</strong> cucina popo<strong>la</strong>re, fatta di alimenti<br />

semplici, di ingredienti comuni e disponibili in quanto prodotti o coltivati<br />

nel<strong>la</strong> stessa area di consumo. É <strong>la</strong> cucina del<strong>la</strong> povera gente quel<strong>la</strong> che<br />

ha le radici più profonde. Ciò accade anche quando <strong>la</strong> pietanza offerta in<br />

tavo<strong>la</strong> si presenta con un abito scintil<strong>la</strong>nte e cerimonioso, come avviene<br />

nei giorni di festa.<br />

Ma è <strong>la</strong> cucina di ogni giorno a custodire i sapori marcatamente tipici<br />

di un luogo. La cucina dei cibi semplici, preparati con gli alimenti disponibili<br />

a cui si deve il proprio sostentamento.<br />

79


Le popo<strong>la</strong>zioni che hanno abitato nei secoli le coste del siracusano,<br />

dell’agrigentino e delle isole maltesi hanno così trovato nel<strong>la</strong> pesca un<br />

elemento irrinunciabile del<strong>la</strong> loro dieta ordinaria. Il pesce ha costituito<br />

<strong>per</strong> queste comunità uno degli alimenti di base del pasto giornaliero; più<br />

che <strong>la</strong> carne. Per secoli il pesce è stato il cibo dei poveri, mentre il consumo<br />

di carne è segno distintivo del<strong>la</strong> tavo<strong>la</strong> delle c<strong>la</strong>ssi agiate; <strong>la</strong> carne<br />

è stata a lungo il cibo del<strong>la</strong> festa. A Malta, ad esempio, il dominio dei<br />

Cavalieri di San Giovanni, iniziato nel XVI secolo, determina grandi trasformazioni<br />

nelle abitudini alimentari locali: il consumo di pol<strong>la</strong>me aumenta<br />

vertiginosamente nelle case delle famiglie più facoltose; non a<br />

caso il pollo o il brodo di pollo sono anche il cibo degli infermi e dei convalescenti,<br />

a cui si riserva un trattamento privilegiato, affinché possano<br />

riprendere le forze.<br />

Tra le antiche tradizioni comuni alle tre aree costiere vi è quel<strong>la</strong> legata<br />

al<strong>la</strong> pesca del tonno, al<strong>la</strong> sua <strong>la</strong>vorazione e, non ultimo, al suo consumo.<br />

Le coste delle isole maltesi, dell’agrigentino e del siracusano sono<br />

punteggiate oggi dalle “rovine” di antiche tonnare cadute in disuso,<br />

ma il tonno ha ancora oggi un posto d’onore sul<strong>la</strong> tavo<strong>la</strong> delle tre comunità.<br />

Tra le tonnare “regine” del<strong>la</strong> Sicilia vi è senz’altro quel<strong>la</strong> del<strong>la</strong> Marina<br />

di Siculiana, situata sul litorale che va da Sciacca a Licata, e agli antichi<br />

tonnaroti di Siculiana si deve l’e<strong>la</strong>borazione di ricette che un tempo<br />

arricchivano di sapore le tavole dei pescatori e del<strong>la</strong> gente umile che faticava<br />

a vivere in quei borghi, mentre oggi è un cibo ricercato e raffinato<br />

di cui si custodisce e si tramanda <strong>la</strong> tradizione.<br />

Ciò che <strong>la</strong> storia ci insegna, anche attraverso le colture, i cibi e i sapori<br />

di un territorio è che <strong>la</strong> pretesa identità di un luogo altro non è che <strong>la</strong><br />

sintesi di una pluralità di elementi coniugatisi nel tempo. Non esiste alcuna<br />

identità statica, <strong>per</strong>ché <strong>la</strong> storia è un flusso ininterrotto, come <strong>la</strong> vita<br />

di ciascuno. E questo flusso può addirittura trasformarsi in vortice se il<br />

luogo in cui scorre è un mare chiuso tra le terre, che si offre ad essere<br />

instancabilmente solcato dai legni degli uomini che cercano altrove il loro<br />

futuro. Per tale ragione quel<strong>la</strong> mediterranea è una tavo<strong>la</strong> “tollerante”,<br />

disposta all’accoglienza, pronta ad assorbire e rie<strong>la</strong>borare i sapori e le<br />

tradizioni dei popoli che hanno aggiunto un posto al<strong>la</strong> sua mensa. In ogni<br />

piatto ci sono allora segni molteplici dell’umana storia, che il pa<strong>la</strong>to si<br />

dispone ad assaporare, dimentico <strong>per</strong> una volta dei mali a cui quel<strong>la</strong><br />

stessa storia spesso s’accompagna. Ed è <strong>per</strong> questo, grato agli dei.<br />

80


Siracusa: i prodotti<br />

OLIO EXTRA VERGINE DI OLIVA “MONTI IBLEI”<br />

Riconoscimento: Denominazione di Origine Protetta (DOP) – Reg. CE<br />

n. 2325/97<br />

Luogo di produzione: le condizioni ambientali e di coltura degli oliveti<br />

destinati al<strong>la</strong> produzione dell’olio extravergine di oliva con denominazione<br />

di origine control<strong>la</strong>ta “Monti Iblei” devono essere quelle tradizionali e<br />

caratteristiche del<strong>la</strong> zona. Vengono ritenuti idonei gli oliveti situati a una<br />

altitudine compresa tra 80 e 700 metri s.l.m. e ricadenti nell’areale di<br />

produzione delle valli, dette localmente “cave”, che si alternano agli altipiani<br />

del massiccio dei Monti Iblei, i cui terreni sono di origine calcarea,<br />

risalente al Miocene (dall’art. 4 del disciplinare di produzione).<br />

Nel territorio ricadente in provincia di Siracusa, vengono distinte le<br />

seguenti menzioni geografiche:<br />

A) “Monte Lauro”, riservata all’olio extra vergine di oliva ottenuto, almeno<br />

<strong>per</strong> il 90%, dal<strong>la</strong> varietà di olivo “Tonda Iblea”. Comprende i comuni<br />

di Buccheri, Buscemi, Cassaro e Fer<strong>la</strong>;<br />

B) “Val d’Anapo”, riservata all’olio extra vergine di oliva ottenuto, almeno<br />

<strong>per</strong> il 60%, dal<strong>la</strong> varietà di olivo “Tonda Iblea”. Comprende i comuni<br />

di Sortino, Pa<strong>la</strong>zzolo Acreide, Canicattini Bagni, Siracusa, Floridia,<br />

So<strong>la</strong>rino e Noto;<br />

C) “Val Tel<strong>la</strong>ro”, riservata all’olio extra vergine di oliva ottenuto, almeno<br />

<strong>per</strong> il 70%, dal<strong>la</strong> varietà di olivo “Moresca”. Comprende i comuni di<br />

Rosolini, Noto e Pachino;<br />

D) “Frigintini”, riservata all’olio extra vergine di oliva ottenuto, almeno<br />

<strong>per</strong> il 60%, dal<strong>la</strong> varietà di olivo “Moresca”. Comprende il comune di<br />

Rosolini.<br />

E) “Trigona-Pancali”, riservata all’olio extra vergine di oliva ottenuto,<br />

almeno <strong>per</strong> il 60%, dal<strong>la</strong> varietà di olivo “Nocel<strong>la</strong>ra”. Comprende i<br />

comuni di Francofonte, Lentini, Carlentini e Melilli.<br />

Il <strong>per</strong>iodo di raccolta <strong>per</strong> le menzioni geografiche “Val Tel<strong>la</strong>ro” e “Trigona-Pancali”<br />

è fissato dal 20 settembre al 30 ottobre; <strong>per</strong> le menzioni<br />

geografiche “Frigintini”, “Monte Lauro” e “Val d’Anapo”, dal 20 ottobre al<br />

15 gennaio.<br />

Caratteristiche: all’atto dell’immissione al consumo l’olio extravergine<br />

d’oliva D.O.C. “Monti Iblei” deve rispondere a delle caratteristiche che<br />

variano in re<strong>la</strong>zione al<strong>la</strong> diversa menzione geografica, pur avendo in<br />

comune i seguenti indicatori: colore verde; odore di fruttato medio con<br />

sensazione di erbe; sapore fruttato con sensazione media di piccante;<br />

acidità massima totale espressa in acido oleico, in peso, non su<strong>per</strong>iore a<br />

81


grammi 0,5 <strong>per</strong> 100 grammi di olio. (art. 6 del disciplinare di produzione)<br />

Note storiche: L’oro verde - Una vasta letteratura sancisce <strong>la</strong> fortuna<br />

oliando<strong>la</strong> del<strong>la</strong> Sicilia e soprattutto il privilegio di essere stata probabilmente<br />

<strong>la</strong> prima regione in cui si è sistematicamente diffusa <strong>la</strong> coltivazione<br />

dell’olivo ad o<strong>per</strong>a dei fenici e dei greci. Lo testimoniano le note documentali<br />

di prestigiosi autori dell’antichità c<strong>la</strong>ssica, da Aristofane a Teofrasto,<br />

da Plinio a Polluce. Ed è proprio ai fenici e ai greci che va <strong>per</strong>altro<br />

riconosciuta <strong>la</strong> sapiente organizzazione di una fitta rete di trasporto e<br />

commercio d’olio sulle frequentatissime rotte del Mediterraneo, con navi<br />

attrezzate in modo da poter contenere il maggior numero di anfore possibile.<br />

Sono stati i romani a istituire <strong>la</strong> prima borsa dell’olio, <strong>la</strong> cosiddetta<br />

arca olearia, in cui si fissavano i prezzi del più pregiato e naturale tra i<br />

grassi. Malgrado ciò, fino al<strong>la</strong> caduta dell’im<strong>per</strong>o romano, <strong>la</strong> coltivazione<br />

del<strong>la</strong> pianta andò declinando un pò ovunque ad eccezione tuttavia del<strong>la</strong><br />

so<strong>la</strong> Sicilia che ne proseguì <strong>la</strong> coltura con grande impegno. Nel XV secolo,<br />

ad o<strong>per</strong>a di Alfonso il Magnanimo, si procedette ad una ulteriore riqualificazione<br />

del territorio e delle colture agricole e l’olio siciliano, attraverso<br />

l’o<strong>per</strong>a instancabile degli abili mercanti veneziani e genovesi, conobbe<br />

<strong>per</strong>iodi di grande fortuna commerciale soprattutto nell’Europa del<br />

nord. Ma i successi non sono mai stati continui e ripetuti: nel susseguirsi<br />

dei secoli si è assistito infatti a <strong>per</strong>iodi di forti crisi e di drammatici declini.<br />

(…) Oggi <strong>la</strong> Sicilia si distingue <strong>per</strong> un impegno a tutto campo, che interessa<br />

l’intera filiera produttiva, dall’olivicoltore al frantoiano, nel <strong>per</strong>corso<br />

diretto verso il conseguimento di una qualità sempre più alta degli oli ricavati(…).<br />

(Fonte: “Sicilia da mangiare”, Regione Siciliana – Assessorato<br />

Agricolture e Foreste, giugno 2001)<br />

FORMAGGIO “RAGUSANO” (DOP)<br />

Riconoscimento: Denominazione di Origine Protetta (DOP) - Reg. CE<br />

n. 1263/96<br />

Luogo di produzione: nel<strong>la</strong> provincia di Siracusa i comuni interessati<br />

sono Noto, Pa<strong>la</strong>zzolo Acreide e Rosolini.<br />

Caratteristiche: formaggio a pasta fi<strong>la</strong>ta, anche affumicato, di forma parallelepipeda<br />

a sezione quadrata con gli angoli smussati; sul<strong>la</strong> sua su<strong>per</strong>ficie<br />

sono presenti delle leggere insenature, causate dal passaggio<br />

delle corde di sostegno utilizzate <strong>per</strong> <strong>la</strong> stagionatura; <strong>la</strong> crosta è liscia,<br />

sottile e compatta, di colore giallo dorato; può presentarsi paglierina tendente<br />

al marrone <strong>per</strong> i formaggi da grattugia, quando <strong>la</strong> stagionatura è<br />

più prolungata.<br />

Metodo di produzione: si <strong>la</strong>scia inacidire naturalmente il <strong>la</strong>tte di razza<br />

82


modicana; in seguito, con l’aggiunta di caglio di vitello, verrà fatto coagu<strong>la</strong>re.<br />

Si passa <strong>qui</strong>ndi al<strong>la</strong> rottura del<strong>la</strong> cagliata che viene poi cotta in acqua<br />

calda <strong>per</strong> procedere al<strong>la</strong> <strong>la</strong>vorazione del<strong>la</strong> pasta. Questa fase consiste<br />

nel portare <strong>la</strong> pasta a sfogliatel<strong>la</strong>, <strong>per</strong> ottenere una consistenza<br />

gommosa di forma sferica con <strong>la</strong> su<strong>per</strong>ficie esterna liscia, senza smagliature<br />

e saldata da un polo. Infine <strong>la</strong> massa viene model<strong>la</strong>ta <strong>per</strong> ottenere<br />

<strong>la</strong> caratteristica forma parallelepipeda a sezione quadrata. La sa<strong>la</strong>tura<br />

si effettua in sa<strong>la</strong>moia. La stagionatura avviene in locali a 14/16<br />

gradi, legando le forme a coppia con sottili funi e appendendole a cavallo<br />

di appositi sostegni <strong>per</strong> garantire una <strong>per</strong>fetta aerazione dell’intera<br />

su<strong>per</strong>ficie del<strong>la</strong> forma.<br />

Note storiche: Il mito vuole che <strong>la</strong> Sicilia sia <strong>la</strong> terra popo<strong>la</strong>ta dal<strong>la</strong> stirpe<br />

dei Ciclopi, i mostruosi giganti dediti al<strong>la</strong> pastorizia; <strong>per</strong> questo il formaggio<br />

non manca nel<strong>la</strong> grotta di Polifemo. Nel<strong>la</strong> Sicilia greca il formaggio<br />

era sicuramente il prodotto <strong>per</strong> cui l’iso<strong>la</strong> andava più famosa. Considerato<br />

una specialità, era rinomato a tal punto da diventare proverbiale<br />

in tutto il mondo c<strong>la</strong>ssico, dove veniva esportato insieme al grano, al vino<br />

e al miele dei monti Iblei.<br />

Da Aristotele sappiamo che si produceva mesco<strong>la</strong>ndo <strong>la</strong>tte di pecora e<br />

capra, e il commediografo Filemone par<strong>la</strong> anche dell’esistenza di un tipo<br />

di formaggio fresco, dal<strong>la</strong> consistenza cremosa. In epoca romana è ancora<br />

Plinio a ricordare l’eccellenza dei formaggi siciliani, i caprini di Agrigento<br />

fra tutti; ma noti e pregiati erano anche quelli che si producevano<br />

attorno a messina e Siracusa. Il termine formaggio deriva dal <strong>la</strong>tino popo<strong>la</strong>re<br />

“formaticum”, cioè <strong>la</strong>tte coagu<strong>la</strong>to dentro una forma. Storicamente<br />

conosciuto come “caciocavallo”, il Ragusano è uno dei formaggi più antichi<br />

del<strong>la</strong> Sicilia. Si pensa che il nome derivi dall’antico metodo di asciugatura<br />

delle forme, cioè a callo (a cavaddu( di un asse. Questo formaggio<br />

dal sapore amabile è stato oggetto sin dal XIV secolo di un fiorente<br />

commercio come ci ricorda Carmelo Traselli nel<strong>la</strong> sua o<strong>per</strong>a del 1515,<br />

intito<strong>la</strong>ta “Ferdinando il Cattolico e Carlo V, l’es<strong>per</strong>ienza siciliana”.<br />

ARANCIA ROSSA<br />

Riconoscimento: Indicazione Geografica Protetta (IGP) - Reg. CE n.<br />

1107/96<br />

Luogo di produzione: l’area di produzione dell’Arancia Rossa di Sicilia<br />

è situata in alcuni comuni delle province di Catania, Siracusa e Enna.<br />

Caratteristiche: <strong>la</strong> Indicazione Geografica Protetta “Arancia Rossa” di<br />

Sicilia è riservata alle varietà Tarocco, Moro e Sanguinello, caratterizzata<br />

da colorazione accentuata dell’endocarpo <strong>per</strong> <strong>la</strong> presenza di pigmenti<br />

83


antociani, da un aspetto colorito visibilmente assai piacevole e dal sapore<br />

dolce e caratteristico.<br />

La forma è obovata-globosa e ovoidale, del calibro minimo di 10, pari<br />

a 60/68 mm di diametro.<br />

Gli aranci sono coltivati, negli impianti tradizionali, ad una densità<br />

massima di 230-420 <strong>per</strong> ettaro, negli impianti ad alta densità le piante ad<br />

ettaro sono invece comprese tra 600 e 840.<br />

L’Arancia Rossa di Sicilia rappresenta un evidentissimo esempio di<br />

stretto legame dei fattori climatici con le caratteristiche del prodotto. Infatti,<br />

le stesse varietà di arancia coltivate in altri climi non presentano il<br />

partico<strong>la</strong>re colore e le specifiche caratteristiche organolettiche che le ha<br />

rese famose nel mondo.<br />

I frutti sono raccolti con forbici partico<strong>la</strong>ri che tagliano il frutto al<strong>la</strong> base<br />

<strong>per</strong> non recare alcun danno al<strong>la</strong> pianta e al frutto.<br />

Le arance fanno parte degli “alimenti mediterranei” giudicati benefici<br />

<strong>per</strong> <strong>la</strong> salute; le arance rosse di Sicilia contengono le antocianine, pigmenti<br />

rossi appartenenti al<strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse dei f<strong>la</strong>vonoidi, sostanze con proprietà<br />

antiallergiche, antinfiammatorie e antivirali: In questo frutto partico<strong>la</strong>rmete<br />

rilevante è il contenuto di vitamina C: due arance rosse di media<br />

grandezza spremute assicurano il fabbisogno giornaliero necessario <strong>per</strong><br />

proteggere l’organismo dalle ma<strong>la</strong>ttie infettive (Fonte: “Sicilia da mangiare”,<br />

cit.).<br />

L’ovale di Sicilia e l’ovale messinese, prodotte rispettivamente nei<br />

comuni di Siracusa, Floridia e Pa<strong>la</strong>zzolo Acreide del siracusano e nei<br />

comuni di Naso e San Salvatore di Fitalia del messinese non risultano<br />

riconosciute dal<strong>la</strong> vigente normativa.<br />

Note storiche: Gli agrumi fin dai tempi più antichi erano diffusi in tutto il<br />

bacino del Mediterraneo ma l’impiego degli agrumi rimase esclusivamente<br />

ornamentale o al massimo religioso fino al<strong>la</strong> con<strong>qui</strong>sta araba<br />

dell’Italia Meridionale, <strong>per</strong>iodo a partire dal quale il consumo di arance si<br />

è diffuso anche a livello popo<strong>la</strong>re.<br />

“La pianta d’arancio è oro e sangue, che secondo il linguaggio di mastro<br />

don Gesualdo nel Verga sono <strong>la</strong> stessa cosa(…) Il giardino d’agrumi siciliano<br />

dà il piacere che portano le cose belle ed industriose (…) Il giardino<br />

d’aranci s’attacca, si incarna nell’uomo, e diviene una specie<br />

d’assillo indispensabile; <strong>per</strong> <strong>la</strong> sua qualità di <strong>per</strong>sona vivente, e anche<br />

<strong>per</strong>ché, nel tempo stesso, ha qualcosa del salvadanaio in cui si ripone<br />

l’oro”. (da “Viaggio in Italia” di Guido Piovene).<br />

POMODORO DI PACHINO<br />

Riconoscimento: Indicazione Geografica Protetta (IGP) - Reg. CE n.<br />

84


617/2003<br />

Luogo di produzione: <strong>la</strong> zona di produzione del "Pomodoro di Pachino"<br />

comprende l'intero territorio comunale di Pachino e Portopalo di Capo<br />

Passero e parte dei territori comunali di Noto (SR) ed Ispica (RG), ricadenti<br />

nel<strong>la</strong> parte sud orientale del<strong>la</strong> Sicilia.<br />

Caratteristiche: lungo <strong>la</strong> fascia costiera, <strong>la</strong> giacitura dei suoli è pianeggiante<br />

o leggermente ondu<strong>la</strong>ta con punte altimetriche non su<strong>per</strong>iori ai 50<br />

m., i terreni sono tendenzialmente sabbiosi. Nel<strong>la</strong> zona centrale <strong>la</strong> giacitura<br />

è simile a quel<strong>la</strong> costiera, i suoli d'origine alluvionale sono più ricchi<br />

d'argil<strong>la</strong> e limo ma a tessitura franca. A nord del territorio i suoli hanno<br />

giacitura abbastanza ondu<strong>la</strong>ta con punte altimetriche di 150 m, sviluppatisi<br />

su rocce calcaree e sono molto simili alle terre rosse; in gran parte<br />

del territorio l'orticoltura protetta predomina sugli altri comparti agricoli<br />

ma cede il passo al<strong>la</strong> viticoltura man mano che ci spostiamo verso nord.<br />

Larghi tratti di terreni incolti s'intrecciano ovunque con quelli coltivati.<br />

Il clima tem<strong>per</strong>ato-arido tipicamente mediterraneo è caratterizzato da<br />

lunghe estati calde e siccitose ed inverni miti.<br />

Le tem<strong>per</strong>ature minime raramente scendono sotto i +5 °C e sono le<br />

più alte di tutta <strong>la</strong> Sicilia. L'andamento delle precipitazioni è tipico delle<br />

aree mediterranee con concentrazioni di saltuarie piogge nel <strong>per</strong>iodo autunno-inverno<br />

e prolungata siccità in quello primaverile-estivo, il valore<br />

medio delle precipitazioni si attesta sui 443 mm di pioggia <strong>per</strong> anno. Dal<br />

rapporto dell'Enea "<strong>la</strong> radiazione totale al suolo" stimata e<strong>la</strong>borando le<br />

immagini del satellite Meteosat <strong>per</strong> 1.614 comuni italiani emerge che<br />

Pachino è il comune più asso<strong>la</strong>to d'Italia (Mj/mq 6.043). L’esposizione<br />

dei suoli raggiunge i livelli d’intensità e di durata più elevati in Europa.<br />

Nel territorio l'unica risorsa idrica <strong>per</strong> fini irrigui è rappresentata dalle acque<br />

di falde sotterranee, queste grazie al<strong>la</strong> <strong>per</strong>meabilità dei terreni sono<br />

rimpinguate ogni anno dalle acque piovane.<br />

Le falde sono sfruttate individualmente da ogni azienda con pozzi<br />

scavati, <strong>la</strong> cui profondità varia da 5 a 200 m in funzione del<strong>la</strong> distanza<br />

dal mare e del<strong>la</strong> quota altimetrica. La qualità dell'acqua è generalmente<br />

buona <strong>per</strong> quanto attiene i parametri chimici e fisici, ad eccezione del<strong>la</strong><br />

salinità che passa da 1.500 a 12.000 microsiemens 2 man mano che ci si<br />

sposta dall'entroterra verso <strong>la</strong> costa.<br />

Il sistema d'approvvigionamento dell'acqua e <strong>la</strong> sua salinità ha determinato<br />

l'attuale quadro agricolo del<strong>la</strong> zona, trovandosi l'agricoltore<br />

spesso di fronte a scelte colturali obbligate, grazie ai moderni sistemi di<br />

microirrigazione oggi queste acque possono essere utilizzate meglio che<br />

nel passato.<br />

La qualità <strong>qui</strong>ndi è corre<strong>la</strong>ta ad un certo grado di salinità che determi-<br />

85


na una riduzione del<strong>la</strong> pezzatura dei frutti al<strong>la</strong> quale fa, <strong>per</strong> così dire, da<br />

contrappeso un aumento del gusto organolettico. In effetti, il pomodoro<br />

coltivato con l’irrigazione d’acqua di falda salina subisce dei miglioramenti<br />

organolettici evidenti verificabili attraverso alcuni parametri specifici<br />

come il residuo ortico, l’acidità tito<strong>la</strong>bile, il contenuto in zuccheri riduttori<br />

che sono tutti fattori corre<strong>la</strong>bili col gusto.<br />

La reputazione che il pomodoro di Pachino si è con<strong>qui</strong>stata su tutti i<br />

mercati è dovuta ai seguenti fattori: sapore, consistenza del<strong>la</strong> polpa, lucentezza<br />

del frutto, lunga durata post-raccolta, elevato contenuto in vitamine<br />

(vit. C) e antiossidanti (licopene).<br />

Le varietà del pomodoro IGP Pachino:<br />

Ciliegino: caratteristico <strong>per</strong> l’aspetto a ciliegia su un grappolo a spina<br />

di pesce con frutti tondi, piccoli, dal colore eccellente ed il grado<br />

brix assai elevato. Viene apprezzato da fasce sempre più <strong>la</strong>rghe di<br />

consumatori;<br />

Tondo liscio: piccolo e rotondo di colore verde scuro, inconfondibile<br />

<strong>per</strong> il gusto molto marcato. È molto apprezzato dai consumatori<br />

d’oltre alpe. I suoi frutti sono di consistenza ineguagliabile;<br />

A grappolo o snoccio<strong>la</strong>to: può essere verde o rosso. tondo o liscio,<br />

dal colore bril<strong>la</strong>nte ed attraente, con il coletto verde molto scuro. Il<br />

suo peso varia in base al<strong>la</strong> salinità del terreno di coltivazione.<br />

Note storiche: il pomodoro è il prodotto tipico dell’orticoltura pachinese.<br />

Le prime coltivazioni risalgono al 1925 localizzate lungo <strong>la</strong> fascia costiera<br />

in quelle aziende che disponevano d’acqua d’irrigazione da pozzi freatici.<br />

Da queste prime es<strong>per</strong>ienze si constatò che l'ortaggio coltivato in<br />

tale area entrava in produzione con un anticipo di circa 15-20 giorni rispetto<br />

ad altre zone di produzione. Tuttavia, l'interesse verso tale coltivazione<br />

era limitato dal<strong>la</strong> diffusa coltivazione del<strong>la</strong> vite, ma intorno agli<br />

anni '50, le coltivazioni di pomodoro si estesero su più ampie su<strong>per</strong>fici<br />

localizzate sempre lungo <strong>la</strong> fascia costiera, utilizzando delle tecniche di<br />

forzatura e di difesa del<strong>la</strong> coltura allo stato primordiale.<br />

LIMONE DI SIRACUSA<br />

Riconoscimento: Indicazione Geografica Protetta (IGP) riconosciuta in<br />

Italia, in corso di riconoscimento in sede di Unione Europea.<br />

Luogo di produzione: è circoscritto al<strong>la</strong> so<strong>la</strong> provincia di Siracusa dove<br />

è presente nei comuni di Noto, Floridia, Siracusa e Pa<strong>la</strong>zzolo Acreide.<br />

Caratteristiche: succosità su<strong>per</strong>iore al 30%, ricchezza e buona qualità<br />

degli olii essenziali, alto contenuto di acido citrico e vitamina C, un pro-<br />

86


fumo inebriante, sono alcune delle caratteristiche del Limone di Siracusa.<br />

Note storiche: <strong>la</strong> coltivazione degli agrumi in Sicilia è un <strong>la</strong>scito<br />

dell’antica dominazione araba. Da allora gli aranci e i limoni non hanno<br />

più abbandonato il suolo dell’Iso<strong>la</strong>, divenendo un tratto distintivo del<strong>la</strong><br />

campagna siciliana. L’agrumeto in Sicilia è “ù jardinu”: il giardino <strong>per</strong> eccellenza,<br />

luogo di delizie, trionfo di colori e profumi. Il termine “lumìe”,<br />

che designa in dialetto il frutto dei limoni, è di derivazione normanna.<br />

Potrai vedere le lumie adatte <strong>per</strong> <strong>la</strong> loro agrezza a dare sapore alle pietanze,<br />

e le arance dense, all’interno di un succo meno aspro, le quali deliziano<br />

<strong>la</strong> vista con <strong>la</strong> loro bellezza più di quanto non sembrino utili ad altro.<br />

E queste poi quando saranno maturate, difficilmente si staccheranno<br />

dall’albero e il precedente frutto disdegnerà di cedere il posto al<strong>la</strong> nuova<br />

produzione (…) D’altronde questa pianta, feconda <strong>per</strong> indizi di costante<br />

giovinezza, né d’inverno avvizzisce <strong>per</strong> sterile vecchiaia, né si spoglia di<br />

fronde <strong>per</strong> il rigore del freddo che l’aggredisce, ma rievoca, sempre verdeggiante<br />

di foglie, il clima del<strong>la</strong> primavera. (dal<strong>la</strong> “Lettera a un tesoriere<br />

di Palermo”, scritta probabilmente da Ugo Falcando; <strong>la</strong> citazione è tratta<br />

dal volumetto “Appunti <strong>per</strong> una storia del limone di Siracusa”, Regione<br />

Siciliana – Assessorato Agricoltura e Foreste- Sez. O<strong>per</strong>ativa 30 di Siracusa,<br />

testi di Annalena Lippi Guidi, 1999).<br />

MANDORLA PIZZUTA<br />

Riconoscimento: tipicità non riconosciuta; esiste oggi un consorzio <strong>per</strong><br />

<strong>la</strong> tute<strong>la</strong> e miglioramento del<strong>la</strong> filiera.<br />

Luogo di produzione: Sicilia sud-orientale, da sempre terra d'elezione<br />

<strong>per</strong> <strong>la</strong> coltura del mandorlo, concentrata in special modo nel<strong>la</strong> fascia costiera<br />

che va dal mare al<strong>la</strong> prima collina. Dalle asso<strong>la</strong>te campagne siciliane<br />

provengono infatti le mandorle più rinomate dell'intero bacino del<br />

Mediterraneo.<br />

Se in tutta <strong>la</strong> regione se ne contano circa 300 diverse varietà, le più richieste<br />

pros<strong>per</strong>ano nel siracusano, precisamente nei territori di Avo<strong>la</strong> e<br />

Noto.<br />

Caratteristiche: forma ovoidale <strong>per</strong>fettamente rego<strong>la</strong>re, guscio spesso<br />

e durissimo. Le mandorle sono frutti profumati e ricchi di oli essenziali,<br />

sono partico<strong>la</strong>rmente adatte al<strong>la</strong> conservazione <strong>per</strong>chè hanno un guscio<br />

spesso e durissimo che trattiene le sostanze grasse e mantiene inalterato<br />

il patrimonio aromatico <strong>per</strong> almeno un anno.<br />

Note storiche: <strong>la</strong> mandor<strong>la</strong> di Avo<strong>la</strong> è protagonista indiscussa di straor-<br />

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dinari dolci come <strong>la</strong> granita, i torroni, i "geli", e soprattutto <strong>la</strong> famosa pasta<br />

martorana , che è poi l'elemento base del<strong>la</strong> sontuosa pasticceria siciliana<br />

e del<strong>la</strong> sua specialità simbolo: <strong>la</strong> cassata. Mi pare sia stato Paolo<br />

Balsamo ad annotare come <strong>la</strong> campagna di Avo<strong>la</strong>, pingue iso<strong>la</strong> di albereti<br />

nelle sue quasi quattromi<strong>la</strong> salme di territorio, somigliasse al<strong>la</strong> campagna<br />

toscana che al<strong>la</strong> siciliana. E forse l'impressione gli veniva anche<br />

da quelle duecento salme e più di vigneti consociati ad albereti, come<br />

appunto in Toscana e in Sicilia rari.<br />

La cultura arborea che prevale ad Avo<strong>la</strong> è quel<strong>la</strong> dei mandorli: e se ne<br />

produce un tipo di mandor<strong>la</strong> che in ogni parte del<strong>la</strong> Sicilia è chiamata col<br />

nome del paese ed ha spicchio meno asciutto delle altre, più pieno, di<br />

miglior resa nel peso; e di ovale <strong>per</strong>fetto, da far pensare ai volti femminili<br />

di Antonello (Leonardo Sciascia)<br />

CAROTA NOVELLA<br />

Riconoscimento: proposta di riconoscimento del<strong>la</strong> Indicazione Geografica<br />

Protetta (IGP) “Carota Novel<strong>la</strong> di Ispica”<br />

Luogo di produzione: provincia di Siracusa, comuni di Noto (in parte),<br />

Pachino, Portopalo di Capo Passero, Rosolini.<br />

Caratteristiche: <strong>la</strong> “Carota Novel<strong>la</strong> di Ispica” é il prodotto del<strong>la</strong> coltivazione<br />

del<strong>la</strong> specie Daucus carota L. subspecie Sativus Arcangeli, le varietà<br />

utilizzate derivano dal gruppo di varietà carota rossa semilunga<br />

nantese e all'atto del<strong>la</strong> sua immissione al consumo presenta i seguenti<br />

parametri qualitativi:<br />

1) Morfologici: forma cilindrica-conica; assenza di radichette secondarie<br />

e radice apicale; aspetto lucido dell'epidermide; uniformità di colore; assenza<br />

di fessurazioni del fittone; calibro minimo: diametro 15 mm - peso<br />

50 g; calibro massimo: diametro 40 mm - peso 150 g.<br />

2) Fisici: polpa tenera, consistente e croccante; cuore poco fibroso.<br />

3) Chimici-nutrizionali: contenuto in glucidi elevato: > 5% del peso fresco;<br />

contenuto in beta-carotene, in considerazione dell'epoca di<br />

produzione: > 4 mg/100 g di prodotto fresco.<br />

4) Organolettici: colore arancione, intenso e uniforme (nel cilindro centrale<br />

e corticale); profumo intenso tipico; aroma forte con note di erbaceo<br />

e fruttato; consistenza tenera croccante.<br />

Note storiche: al<strong>la</strong> “Carota Novel<strong>la</strong> di Ispica” é attribuibile anche un valore<br />

storico in quanto presente nel territorio sin dagli anni '50, quando i<br />

fratelli Caia e <strong>la</strong> ditta Peviani, che già o<strong>per</strong>avano nel settore del<strong>la</strong> carota<br />

ed altre ortive nel<strong>la</strong> provincia di Siracusa, si spostarono nei territori di Ispica<br />

<strong>per</strong> iniziare prove di coltivazione in quell'area che risultava partico-<br />

88


<strong>la</strong>rmente vocata <strong>per</strong> <strong>la</strong> coltivazione del<strong>la</strong> “Carota Novel<strong>la</strong> di Ispica” (Proposta<br />

di disciplinare di produzione del<strong>la</strong> indicazione geografica protetta<br />

“carota novel<strong>la</strong> di ispica” art 6).<br />

Secondo alcuni autori <strong>la</strong> varietà di carota oggi coltivata (Daucus carota)<br />

deriverebbe da sottospecie indigene del bacino del Mediterraneo, anche<br />

se ricerche più recenti indicano nell'Afghanistan <strong>la</strong> probabile zona di origine<br />

di questa specie ortico<strong>la</strong>.<br />

La carota era già conosciuta da Greci e Romani, che <strong>la</strong> utilizzavano più<br />

<strong>per</strong> scopi medicinali che a fini alimentari. Le prime notizie certe sul<strong>la</strong> carota<br />

a radice arancione, ricca di carotene ed a forma conica, risalgono al<br />

XVII secolo. Soltanto nel secolo scorso furono descritte in Francia le<br />

prime varietà.<br />

MELONE DI PACHINO<br />

Riconoscimento: fase di istruttoria <strong>per</strong> il riconoscimento di Indicazione<br />

Geografica Protetta (IGP).<br />

Luogo di produzione: il melone di Pachino interessa le province di Ragusa<br />

(Ispica) e di Siracusa (Noto, Portopalo di Capo Passero e Pachino).<br />

Caratteristiche: Il melone di Pachino si caratterizza <strong>per</strong> una polpa fibrosa.<br />

Qualità assai apprezzata dagli chef in fase di e<strong>la</strong>borazione delle proprie<br />

ricette, dove il melone di Pachino rive<strong>la</strong> una tenuta al<strong>la</strong> manipo<strong>la</strong>zione<br />

decisamente su<strong>per</strong>iore agli altri. Di forma leggermente ovalizzata ,<br />

caratterizzato da una retatura molto accentuata e da una buccia resistente,<br />

che ne preserva <strong>la</strong> durata post raccolta.<br />

Riconoscimento: Tipicità non riconosciuta<br />

Luogo di produzione: Siracusa e provincia<br />

MIELI DEGLI IBLEI<br />

Caratteristiche: il miele è un alimento naturale, ricco di enzimi e sali<br />

minerali, vitamine, zuccheri semplici di pronta assimi<strong>la</strong>zione. A seconda<br />

dei fiori che l'ape visita si ottengono diversi tipi di miele: dagli ambrati ai<br />

più chiari, Carrubbo, Eucalypto, Timo, Millefiori, Cardo, Agrumi con gusti<br />

ed aromi diversi.<br />

Note storiche: i Greci ci forniscono numerosissime notizie sul miele; già<br />

Omero ci par<strong>la</strong> del<strong>la</strong> raccolta del miele selvatico e del<strong>la</strong> sua conservazione<br />

in anfore; il grande filosofo e matematico greco Pitagora esortava i<br />

propri seguaci a cibarsi, praticamente di pane e miele, garantendo loro<br />

89


lunga vita.<br />

I Greci, <strong>per</strong>lomeno fino ad Aristotele, non dovevano sconoscere l'apicoltura<br />

se, come ci narra il grande filosofo nelle sue o<strong>per</strong>e dedicate al<strong>la</strong> vita<br />

degli animali, essi ritenevano che il nettare con cui le api producono il<br />

miele cadesse dal cielo. Per i Greci il miele ebbe anche una funzione religiosa<br />

fondamentale, stando al<strong>la</strong> leggenda che lo considerava "cibo degli<br />

dei", e rappresentava <strong>qui</strong>ndi una delle offerte fondamentali tributate<br />

agli dei, una componente pressoché costante delle cerimonie religiose e<br />

nel<strong>la</strong> preparazione di cibi naturali.<br />

Il nome del<strong>la</strong> cittadina Melilli (SR) deriva probabilmente dal siciliano mili<br />

(melo), anche se alcuni autori ritengono che l'origine del nome medievale<br />

(Melillis), significhi miele ibleo, cioè miele di Ib<strong>la</strong>, antica città del<strong>la</strong> Sicilia.<br />

A Sortino (SR) nel<strong>la</strong> prima domenica di ottobre (tradizionalmente) si<br />

svolge <strong>la</strong> Sagra del Miele, importante manifestazione che tende a valorizzare<br />

il prodotto principale dell'economia sortinese. Già Virgilio par<strong>la</strong><br />

del "miele ibleo" e <strong>la</strong> lunga tradizione mie<strong>la</strong>ia delle genti sortinesi succedutesi<br />

nele varie generazioni ha portato al<strong>la</strong> produzione di mieli caratteristici,<br />

quali quello di timo, di eucalipto, di zagara oltre che all'onnipresente<br />

millefiori.<br />

PATATA NOVELLA DI SIRACUSA<br />

Riconoscimento: marchio registrato consorzio "Patata Tipica di Siracusa"<br />

(1997).<br />

Luogo di produzione: le aree interessate ed a più alta vocazione sono<br />

quelle costiere, da Augusta a Siracusa, Avo<strong>la</strong>, Noto fino a Pachino. II<br />

65% del<strong>la</strong> produzione provinciale è concentrato nel territorio del capoluogo,<br />

in primo luogo nell'agro di Cassibile.<br />

Caratteristiche: tale produzione è detta "novel<strong>la</strong>" ed è determinata da<br />

condizioni ambientali favorevoli quali <strong>la</strong> terra rossa e le tem<strong>per</strong>ature invernali<br />

miti, che consentono <strong>la</strong> differenziazione dei tuberi ancor prima<br />

del<strong>la</strong> fioritura diversamente dal<strong>la</strong> coltura ordinaria. C'è inoltre da sottolineare<br />

che <strong>la</strong> semina viene effettuata con semi certificati non manipo<strong>la</strong>ti<br />

geneticamente, in prevalenza di provenienza o<strong>la</strong>ndese, e che vengono<br />

impiegate un numero ristretto di varietà col risultato di ben caratterizzare<br />

<strong>la</strong> patata di Siracusa. I tuberi si presentano di forma ovale allungata e di<br />

dimensione medio grossa, mentre <strong>la</strong> buccia è liscia, sottile e di colore<br />

giallo così come <strong>la</strong> pasta. La produzione e <strong>la</strong> commercializzazione del<strong>la</strong><br />

patata novel<strong>la</strong> di Siracusa ha inizio a marzo e si conclude a fine giugno.<br />

Grazie alle sue caratteristiche di precocità è molto richiesta dai mercati<br />

nazionali ed europei dove arriva in un <strong>per</strong>iodo in cui manca il prodotto<br />

90


locale fresco. Distinguendosi nettamente dal<strong>la</strong> patata conservata, è altresì<br />

apprezzata <strong>per</strong> <strong>la</strong> freschezza, <strong>la</strong> fragranza, <strong>la</strong> resistenza al<strong>la</strong> cottura<br />

in quanto debolmente farinosa e a basso contenuto di sostanza secca.<br />

Note storiche: pianta erbacea delle so<strong>la</strong>nacee a radice carnosa originaria<br />

dell'America meridionale, <strong>la</strong> patata venne importata in Europa nel<br />

1500 cominciando <strong>per</strong>ò a diffondersi solo nel XVIII secolo.<br />

Ancora più lenta l'introduzione del<strong>la</strong> coltivazione in Sicilia risalente al<strong>la</strong><br />

seconda metà del 1800, con risultati che allora non ne incoraggiarono<br />

l'estensione. Lo sviluppo nell'iso<strong>la</strong> di questa coltura è <strong>qui</strong>ndi re<strong>la</strong>tivamente<br />

recente, e in partico<strong>la</strong>r modo rilevante nel comparto di Siracusa dove<br />

occupa da diversi decenni un ruolo di primo piano.<br />

Per <strong>la</strong> provincia di Siracusa rappresenta <strong>la</strong> più importante coltura ortico<strong>la</strong><br />

di pieno campo, coprendo il 50% del<strong>la</strong> su<strong>per</strong>ficie complessiva patatico<strong>la</strong><br />

regionale. Dalle ultime stime fornite dall' Istat re<strong>la</strong>tive all'annata agraria<br />

2001, l'estensione delle coltivazioni nel<strong>la</strong> zona di Siracusa ammonta a<br />

4790 ettari, con una produzione su<strong>per</strong>iore a un milione di <strong>qui</strong>ntali ed un<br />

fatturato di circa 50 miliardi.<br />

Riconoscimento: Tipicità non riconosciuta.<br />

SALE MARINO<br />

Luogo di produzione: saline di Siracusa, Augusta, Priolo, Vendicari,<br />

Marzamemi e Pachino.<br />

Caratteristiche: sale siciliano prodotto secondo metodi tradizionali in<br />

uso sin dai tempi dei Fenici, è ricco di iodio e di altri preziosi oligoelementi,<br />

asciugato in maniera naturale e confezionato senza ulteriori trattamenti.<br />

Il sale marino artigianale non viveniva sottoposto, in partico<strong>la</strong>r<br />

modo, al <strong>la</strong>vaggio: ciò <strong>per</strong>metteva al sale di mantenere inalterato il suo<br />

naturale contenuto di oligominerali quali ad esempio lo iodio, il potassio<br />

e il magnesio, essenziali <strong>per</strong> il benessere e <strong>la</strong> salute dell'organismo umano<br />

Il sale marino artigianale si differenzia da quello da miniera e anche<br />

dal sale marino industriale poiché questi ultimi risultano composti<br />

<strong>per</strong> il 99% da cloruro di sodio.<br />

Note storiche: “il Barone Giuseppe Bonanni nel 1610 fondava le saline<br />

in su <strong>la</strong> spiaggia del porto grande poco lungi dall’Anapo.” (S. Privitera,<br />

Storia di Siracusa).<br />

Le saline, le principali fonti di produzione del sale sin dall’antichità più<br />

remota, erano cantieri tra acqua e terra, dove i braccianti stagionali faticavano<br />

sotto <strong>la</strong> canico<strong>la</strong> <strong>per</strong> convertire il mare in un prodotto commer-<br />

91


ciabile.<br />

Il mare veniva intrappo<strong>la</strong>to e travasato in vasche “caselle” (nel gergo dei<br />

salinari), ben delimitate l’una dall’altra, dove l’acqua si concentrava <strong>per</strong><br />

evaporazione.<br />

Nelle “salinelle”, le vasche più interne, durante <strong>la</strong> precipitazione del sale<br />

l’acqua già concentrata formava uno strato bianco che veniva frantumato<br />

dalle pale dei salinari con gesti rituali compiuti da secoli, Adunato in<br />

piramidi scintil<strong>la</strong>nti e trasportato in cesti veniva raccolto fino ad assumere<br />

<strong>la</strong> forma di una casa dal tetto a capanna, poi co<strong>per</strong>to da tegole a riparo<br />

dal sole e dal<strong>la</strong> pioggia.<br />

Il <strong>la</strong>voro di raccolta del sale, spesso integrativo, era precario <strong>per</strong>ché<br />

condizionato dai capricci del mare. Perfino i proprietari si trovavano a<br />

mal partito durante le stagioni cattive e tentavano di ottenere l’esenzione<br />

del<strong>la</strong> tassa fondiaria.<br />

La vicinanza delle saline agli impianti di pesca creava delle strutture dalle<br />

attività integrate, favorendo <strong>la</strong> produzione dei cosiddetti salumi di tonno,<br />

utilizzati non solo <strong>per</strong> il consumo invernale, ma anche esportati poiché<br />

consumati durante le lunghe traversate marine nei porti del mediterraneo,<br />

da parte di mercanti e pellegrini.<br />

Il sale, prodotto di prima necessità, veniva usato non solo <strong>per</strong> cucinare,<br />

ma anche <strong>per</strong> conservare gli alimenti, in partico<strong>la</strong>re <strong>la</strong> carne e il pesce.<br />

Durante le campagne di pesca delle tonnare, le richieste di sale aumentavano<br />

poiché ne occorreva una quantità quasi pari al tonno da conservare.<br />

Idrisi, autore del “Libro di re Ruggero” ( metà del XII sec.) individua in un<br />

assetto toponomastico ancora arabo le saline esistenti in Sicilia, tra cui<br />

quelle nei pressi di Siracusa. Nel <strong>per</strong>iodo svevo gli impianti di saline registrano<br />

un considerevole aumento, in corrispondenza dell’imposizione<br />

del monopolio sul<strong>la</strong> produzione e <strong>la</strong> vendita del sale posto<br />

dall’im<strong>per</strong>atore Federico II.<br />

In territorio siracusano ricadono numerosi impianti <strong>per</strong> <strong>la</strong> coltivazione del<br />

sale, che hanno costituito <strong>per</strong> lungo tempo una importante risorsa economica<br />

<strong>per</strong> l’intera provincia.<br />

Da nord a sud sono individuabili: le saline di augusta, <strong>la</strong> salina “delli Magnisi,<br />

le saline di Priolo, le saline Calderini, <strong>la</strong> salina del Pantano Grande<br />

di Vendicari. (Da “Saline, stagni, <strong>la</strong>ghi, pantani e ac<strong>qui</strong>trini” a cura di<br />

Giuseppe Piazzese, Regione Siciliana, Assessorato Agricoltura e Foreste).<br />

Riconoscimento: Tipicità non riconosciuta.<br />

Luogo di produzione: Siracusa (Tremi<strong>la</strong>), Cassibile.<br />

92<br />

FRAGOLA


Caratteristiche: i punti di forza delle fragole prodotte a Siracusa sono<br />

essenzialmente <strong>la</strong> naturale fertilità del terreno, l'acqua utilizzata <strong>per</strong> irrigare<br />

le serre e le coltivazioni, oltre al microclima.<br />

In quel<strong>la</strong> zona i terreni sono resi fertili dagli affioramenti delle vulcaniti<br />

cretaceecon prevalenza di vulcanoc<strong>la</strong>stiti bruno gial<strong>la</strong>stre a grana fine,<br />

da brecce e da filoni basaltici massivi nerastri che si trovavano originariamente<br />

sotto uno spesso strato di calcareniti e calcari bianchi, coralli e<br />

alghe calcaree.<br />

Il terreno viene sterilizzato d'estate utilizzando il calore prodotto dai raggi<br />

del sole sul terreno bagnato e co<strong>per</strong>to con un telo di polietilene trasparente.<br />

Successivamente viene preparato con solchi alti co<strong>per</strong>ti con pacciamatura<br />

di polietilene e file binarie di piantine, in modo che i frutti non vengano<br />

in contatto con <strong>la</strong> terra. Sotto lo strato di polietilene vengono collocati<br />

i tubi <strong>per</strong> l’irrigazione, collegati a una centralina che rego<strong>la</strong> automaticamente<br />

<strong>la</strong> somministrazione dell’acqua. Al<strong>la</strong> fine di questo procedimento,<br />

il risultato non può che essere una frago<strong>la</strong> insu<strong>per</strong>abile sia dal punto<br />

di vista qualitativo che organolettico, dal sapore unico.<br />

Note storiche: La frago<strong>la</strong> era conosciuta e apprezzata fin dai tempi antichissimi.<br />

Da re<strong>per</strong>ti archeologici dell'epoca Preistorica sappiamo che<br />

già se ne cibavano le tribù primitive. Nei poemi come nel<strong>la</strong> Bibbia, nelle<br />

favole mitologiche nei più antichi trattati di medicina e botanica, si trovano<br />

elogi e menzioni di questo frutto. Virgilio le elogia in una sua celebre<br />

egloga, in cui invita i golosi fanciulli a guardarsi dai serpenti nascosti nell'erba,<br />

quando vanno nei boschi a raccogliere le "nascentia fragra".<br />

Shakespeare, che ne era golosissimo, lo definisce "cibo da fate". Nel<strong>la</strong><br />

storia sacra si par<strong>la</strong> spesso del<strong>la</strong> frago<strong>la</strong> come alimento benefico e incomparabile<br />

dono di Dio. Si sa che era un cibo prediletto da San Giovanni<br />

Battista, convinto vegetariano, che si nutriva quasi esclusivamente<br />

di frutta, ma anche dall'austero San Francesco di Sales, che ne lodava<br />

<strong>la</strong> fresca innocenza e il meraviglioso sapore.<br />

La frago<strong>la</strong> ha avuto riconoscimenti da parte di medici,erboristi e naturalisti<br />

di ogni tempo.<br />

Plinio ne par<strong>la</strong> come di prezioso frutto del bosco da amare ed apprezzare;<br />

il grande Linneo, fondatore del<strong>la</strong> moderna botanica, ma anche valente<br />

medico ed erborista, <strong>la</strong> definisce "bene di Dio", affermando che, secondo<br />

<strong>la</strong> sua diretta es<strong>per</strong>ienza, <strong>la</strong> frago<strong>la</strong> è incomparabile rimedio contro<br />

<strong>la</strong> gotta. Sembra che anche gli antichi romani conoscevano e apprezzavano<br />

questo frutto selvatico, che nel Medioevo, di venne addirittura<br />

il simbolo del<strong>la</strong> tentazione.<br />

Le dame francesi di quell'epoca si procuravano le fragole dai contadini e<br />

93


si deliziavano nel mangiarle con zucchero e panna. Anche Luigi XVI, il<br />

re Sole, aveva una vera passione <strong>per</strong> le fragole, al punto da farle coltivare<br />

nei giardini di Versailies. Se è vero che <strong>la</strong> frago<strong>la</strong> era conosciuta fin<br />

dai tempi antichi, è anche vero che i tipi di fragole che sono oggi in<br />

commercio hanno un'origine abbastanza recente. Infatti fino al 1400 l'unico<br />

tipo di frago<strong>la</strong> esistente era quel<strong>la</strong> selvatica; sembra che i primi tentativi<br />

di coltivazione risalgono proprio a quel <strong>per</strong>iodo in Inghilterra, paese<br />

dove il frutto selvatico era partico<strong>la</strong>rmente diffuso. Da notare che gli inglesi<br />

<strong>per</strong> tradizione sono golosissimi di fragole; le hanno anche nobilitate<br />

inserendo delle piante di fragole come ornamento in molte corone duttili.<br />

Dobbiamo <strong>per</strong>ò arrivare al '700 <strong>per</strong> trovare negli orti e nei giardini questo<br />

frutto, ingrediente prezioso e prelibato nelle preparazioni tipiche del<strong>la</strong><br />

cucina di quel tempo. La frago<strong>la</strong> moderna ebbe infatti origine in Francia,<br />

nel 1766, come incrocio tra due qualità selvatiche americane, <strong>la</strong> "Fragaria<br />

Virginiana" degli Stati Uniti orientali e <strong>la</strong> "Fragaria Chiloensis" del<strong>la</strong><br />

costa dei Pacifico.<br />

Il primo ibrido ("Frago<strong>la</strong> Ananassa"), più grande e più gustoso delle due<br />

piante madri, venne in seguito ibridato e reibridato. Nel 1892 Thomas<br />

Laxton, un coltivatore inglese, produsse da questa specie <strong>la</strong> s<strong>qui</strong>sita<br />

"Royal Sovereign", ancora considerata <strong>la</strong> frago<strong>la</strong> dal sapore migliore. I<br />

nuovi cultivar che vengono continuamente prodotti, subiscono continui<br />

miglioramenti, sia <strong>per</strong> quanto riguarda le dimensioni che <strong>per</strong> quanto riguarda<br />

<strong>la</strong> resistenza alle ma<strong>la</strong>ttie.<br />

CANNA DA ZUCCHERO O “CANNAMELI”<br />

Riconoscimento: Tipicità non riconosciuta<br />

Luogo di produzione: tra Avo<strong>la</strong> e Noto.<br />

Caratteristiche: è una pianta simile al<strong>la</strong> canna comune (Arundo donax).<br />

Il midollo è molto dolce e succoso. Si moltiplica <strong>per</strong> talea: <strong>per</strong> questa ragione<br />

i fiori hanno poca importanza e i frutti molto rari. Le foglie sono<br />

molto lunghe, lineari e scabre.<br />

Il fusto principale è un rizoma sotterraneo dal quale partono più fusti aerei,<br />

cilindrici, nodosi e flessibili, alti fino a 3 o 6 m, con diametro di 2-7<br />

cm. Hanno epidermide molto dura, ricca di silice, co<strong>per</strong>ta presso i nodi<br />

da un sottile strato di cera. I fusti presentano articoli pieni di parenchima.<br />

Note storiche: Le prime coltivazioni di canna da zucchero furono in Asia<br />

e nel<strong>la</strong> Nuova Guinea, alcuni millenni a.C. La sua zona di coltivazione<br />

si al<strong>la</strong>rgò a Filippine, India, Indonesia e Oceania.<br />

Prima dell'era cristiana avanzata, si hanno cenni di utilizzo dello zucchero<br />

solo nel<strong>la</strong> letteratura indiana del 400 a.C.<br />

94


Neardo, generale di Alessandro Magno, scrisse "Vi è un giunco in India<br />

che stil<strong>la</strong> senza bisogno di api e dal quale si estrae una bevanda inebriante<br />

nonostante non produca frutti" (327 a.C.).<br />

In Europa giunse nel 1100, seguendo l'espansione araba nell'Europa<br />

meridionale: fu coltivata a Creta, Cipro e in Marocco, <strong>qui</strong>ndi in piccole<br />

quantità anche in Sicilia e nel<strong>la</strong> Spagna meridionale.<br />

“Tre miglia più lontano, scorgemmo sulle rive del mare dei campi grandi<br />

e di un verde tenero e fresco; erano le piantagioni di zucchero del Principe<br />

di Monte Leone, il solo che pratichi, <strong>per</strong> proprio gusto e piacere,<br />

questa coltura in Sicilia, dove era nota e praticata dal<strong>la</strong> più remota antichità<br />

e fino al tempo in cui il suolo americano, così adatto a questa pianta,<br />

ne fece abbandonare <strong>la</strong> coltura in tutte le altre parti dell'universo. La<br />

pianta è sottile e raggiunge l'altezza di solo sette piedi. Cresce a ciuffi<br />

separati, somiglia al giunco <strong>per</strong> <strong>la</strong> foglia ed al<strong>la</strong> canna <strong>per</strong> il germoglio. I<br />

nodi si allontanano gli uni dagli altri, ma mano che il germoglio si allontana<br />

dal<strong>la</strong> terra. Ogni cespo deve essere continuamente bagnato come il<br />

riso. Lavorando il terreno, si rialza <strong>la</strong> terra tutt'intorno al<strong>la</strong> pianta, ciò che<br />

<strong>la</strong> rinforza, sviluppa le gemme dei primi nodi e produce nuovi polloni.<br />

Comincia a crescere nel mese di febbraio e non si raccoglie che nel mese<br />

di dicembre ed è poco prima di Natale che si taglia <strong>la</strong> canna a quattro<br />

pollici da terra. Per riprodurre <strong>la</strong> pianta, si staccano dal ciuffo i giovani<br />

germogli che si trapiantano senza radici, come un pezzo di legno che si<br />

affondasse nel terreno. Benché le canne non fossero giunte a maturazione<br />

<strong>per</strong>fetta, ne masticammo alcune con piacere. La parte su<strong>per</strong>iore<br />

ha un gusto acido che risponde ben poco al<strong>la</strong> natura del<strong>la</strong> pianta: <strong>la</strong> si<br />

taglia e <strong>la</strong> si dà agli animali che l'amano molto. Tutta <strong>la</strong> parte vicina al<strong>la</strong><br />

terra è legnosa e non ha quasi gusto. Nel fusto del<strong>la</strong> pianta è contenuto,<br />

in una sostanza morbida, un li<strong>qui</strong>do mie<strong>la</strong>to e glutinoso, di un gusto gradevole,<br />

da cui si ottiene lo zucchero con <strong>la</strong> macinazione, <strong>la</strong> cottura e <strong>la</strong><br />

depurazione. Il fabbricato dove era <strong>la</strong>vorato lo zucchero era abbandonato<br />

e non trovammo nessuno <strong>per</strong> farci <strong>aprire</strong> i <strong>la</strong>boratori” (Vivant Denon,<br />

1788, “Voyage in Sicile”)<br />

Pochi oggi capiscono il senso di questa espressione: "Vatinni piezzu i<br />

cannamè<strong>la</strong>", l'espressione era usata <strong>per</strong> indicare una <strong>per</strong>sona secca e<br />

alta e un pò stupida. La si paragonava ad una canna da zucchero alta<br />

ed esposta ai venti. Oggi <strong>la</strong> cultura del<strong>la</strong> canna si è <strong>per</strong>duta; un tempo e<br />

fino a un secolo fa era fiorente nell'agro Avolese e a Melilli. Cosi ne par<strong>la</strong><br />

il barone Von Riedesel in un viaggio in Sicilia compiuto nel 1767: "Da<br />

Marzamemi mi inoltrai <strong>per</strong> otto miglia <strong>per</strong> vedere il paesaggio di Avo<strong>la</strong><br />

nell'entroterra. É una picco<strong>la</strong> città ben costruita e le sue piantagioni e<br />

raffinerie di zucchero meritano di essere viste. Prima che gli o<strong>la</strong>ndesi<br />

trovassero il sistema di fabbricare lo zucchero con poca spesa si coltiva-<br />

95


va <strong>qui</strong>, a Melilli ed in altre località di questa costa molta canna da zucchero<br />

e se ne poteva rifornire tutta l'iso<strong>la</strong>. La canna da zucchero si taglia<br />

a settembre e viene pressata in un mulino e il succo che se ne ricava si<br />

cuoce a diverse riprese in differenti recipienti e a diversi gradi di calore.<br />

Il succo di Sicilia è il più dolce di tutti, ma non raggiunge un alto grado di<br />

bianchezza. Dubito che gli antichi conoscessero lo zucchero, visto che<br />

non viene menzionato da nessun autore; tuttavia <strong>la</strong> denominazione canna<br />

basia che designa <strong>la</strong> vera canna da zucchero, chiamata dai siciliani<br />

cannameli, sembra far presupporre una origine greca".<br />

“Il Vescovo Giuseppe Sa<strong>la</strong>dino nel 1607 piantava nel<strong>la</strong> vil<strong>la</strong> Tremi<strong>la</strong> un<br />

folto canneto di canne da zucchero, di cui il prodotto facea a quei tempi<br />

un capo importantissimo di commercio Siciliano.” (S. Privitera, Storia di<br />

Siracusa)<br />

CARRUBA (ALBERO DEL PANE DI S. GIOVANNI)<br />

Riconoscimento: Tipicità non riconosciuta<br />

Luogo di produzione: <strong>la</strong> sua presenza è diffusa nel ragusano e nel<strong>la</strong><br />

zona sud del<strong>la</strong> provincia di Siracusa.<br />

Caratteristiche: pianta sempreverde, longeva ma lenta a crescere; si<br />

moltiplica <strong>per</strong> seme e successivo innesto. A quattro anni dall’innesto può<br />

cominciare a dare qualche frutto, poi si ottiene un raccolto crescente.<br />

La pianta adulta, vale a dire dopo i venti anni, è molto produttiva: nelle<br />

annate di carica è facile su<strong>per</strong>are il <strong>qui</strong>ntale di carrube, ma si possono<br />

anche su<strong>per</strong>are i tre <strong>qui</strong>ntali <strong>per</strong> soggetto. Ogni carrubo è un vero e proprio<br />

“zuccherificio”, in quanto il tenore di saccarosio + glucosio si aggira<br />

intorno al 50%. Fino agli anni ’70 i frutti venivano utilizzati <strong>per</strong> <strong>la</strong> distil<strong>la</strong>zione<br />

e <strong>la</strong> produzione di alcool. La raccolta avviene in settembre/ottobre,<br />

quando i frutti cominciano a cadere spontaneamente. L’utilizzazione<br />

prevalente tuttavia è stata sempre quel<strong>la</strong> del<strong>la</strong> nutrizione zootecnica.<br />

Frantumando le carrube si estraggono i semi; da questi si ottiene una farina<br />

solubile in acqua, capace di formare soluzioni ad alta viscosità con<br />

potere legante, addensante e stabilizzante. Quest’ultimo consente di utilizzare<br />

<strong>la</strong> farina di semi di carruba <strong>per</strong> <strong>la</strong> preparazione di ge<strong>la</strong>ti, salse,<br />

creme, prodotti dolciari e derivati del <strong>la</strong>tte. Le antiche caramelle siciliane<br />

di carruba si facevano in casa con lo sciroppo di carruba. Dal<strong>la</strong> polpa di<br />

carruba, con un procedimento di tostatura, si può estrarre un altro prodotto<br />

<strong>per</strong> uso alimentare umano: le sue caratteristiche di base ne fanno<br />

un surrogato del<strong>la</strong> polvere di cacao, con il vantaggio di avere un contenuto<br />

di grassi molto basso e una quasi totale assenza di teobromina.<br />

Questa farina è un prodotto ideale <strong>per</strong> gli alimenti dietetici.<br />

96


Un nuovo utilizzo è quello dell’estrazione del succo mediante infusione<br />

delle polpe in alcool ed acqua. Tale prodotto si utilizza come aromatizzante<br />

nel<strong>la</strong> concia dei tabacchi e nel<strong>la</strong> produzione di liquori e sciroppi.<br />

Vi sono anche applicazioni in campo farmaceutico e nel<strong>la</strong> cosmesi. La<br />

farina di polpa è infatti un efficace antidiarroico ed esercita tra l’altro<br />

un’azione rie<strong>qui</strong>librante del<strong>la</strong> flora batterica dell’intestino. Nel campo del<strong>la</strong><br />

cosmesi <strong>la</strong> farina di semi è utilizzata <strong>per</strong> <strong>la</strong> produzione dei rossetti.<br />

Note storiche: sull’origine del<strong>la</strong> pianta i botanici si dividono in due correnti<br />

di pensiero: <strong>per</strong> alcuni proviene dall’Africa o dallo Yemen; <strong>per</strong> altri<br />

si tratta di una specie originaria dei paesi del bacino del Mediterraneo.<br />

Nel<strong>la</strong> tradizione popo<strong>la</strong>re era molto diffusa <strong>la</strong> convinzione che il carrubo<br />

fosse dimora delle fate o del demonio: mai addormentarsi sotto un carrubo,<br />

il diavolo avrebbe potuto impossessarsi dell’incauto malcapitato.<br />

(Informazioni tratte dal volume “La via del carrubo” dell’Ente Fauna Siciliana).<br />

RISO<br />

“Risu: quantu mi accalu e mi isu”<br />

Riconoscimento: Tipicità non riconosciuta<br />

Luogo di produzione: fin oltre <strong>la</strong> metà dell’Ottocento il riso, cereale a<br />

semina primaverile, viene coltivato in quasi tutte le pianure fluviali del<strong>la</strong><br />

Sicilia; centri di produzione sono Lentini, <strong>la</strong> Piana di Catania, i territori<br />

del Simeto, Centuripe, Paternò, ed ancora Ca<strong>la</strong>tabiano, Vittoria e Bivona.<br />

Caratteristiche: il riso che si produceva in sicilia era l’Oryza sativa japonica,<br />

una varietà così chiamata molti secoli dopo e tutt’altro che solo<br />

nipponica. Diventava un cereale importante <strong>per</strong> <strong>la</strong> vita economica del<strong>la</strong><br />

peniso<strong>la</strong> dal XV secolo.<br />

Note storiche: <strong>la</strong> con<strong>qui</strong>sta araba del<strong>la</strong> Sicilia avviene nell'827 e segna<br />

il cambiamento radicale delle coltivazioni e del<strong>la</strong> cultura gastronomica e<br />

più segnatamente del<strong>la</strong> pasticceria. Gli arabi introducono in Sicilia <strong>la</strong> coltivazione<br />

del riso.<br />

Pianta coltivata con successo nel<strong>la</strong> nostra Iso<strong>la</strong> poiché fornisce rese elevate<br />

ed un reddito di molto su<strong>per</strong>iore a quello del frumento "...sino al<br />

centuplicare il suo fruttato in quei siti abbondanti di sorgive di acqua o<br />

contigui ai fiumi ove possano facilmente congegnarsi delle prese..." (La<br />

Via, 1845), <strong>la</strong> sua coltivazione durerà fino al 1877, sempre più delimitata<br />

in zone lontane dai centri abitati ed, infine, proibita <strong>per</strong> motivi di carattere<br />

sanitario. Un Regio Decreto del 1820 ne proibiva già <strong>la</strong> diffusione nei<br />

97


luoghi prossimi all’abitato e lungo le strade principali, incoraggiandone <strong>la</strong><br />

coltivazione cosiddetta a “secco”. Le tecniche colturali e l’elevato fabbisogno<br />

idrico di questa pianta fanno sì che i territori dove viene diffusa<br />

diventano ben presto ma<strong>la</strong>rici: "Pianta paludosa ricerca acque abbondanti<br />

e stagnanti onde nudrisce <strong>la</strong> gente lontana, e ammazza quel<strong>la</strong> che<br />

coltiva o che abita i paesi vicini..." (Ferrara, 1834). Tentativi di coltivare il<br />

riso a “secco”, cioè mediante sistemi di irrigazione simili a quelli impiegati<br />

<strong>per</strong> gli ortaggi, daranno scarsi risultati, soprattutto nelle rese.<br />

Ciò nonostante, alcuni piatti a base di riso, rappresentano l’offerta tipica<br />

del<strong>la</strong> ristorazione iso<strong>la</strong>na. La Sicilia può essere definita un continente in<br />

una regione , a distanza di 50 KM e di pochi mesi, cambia radicalmente<br />

il paesaggio, ora brullo, avaro ora rigoglioso, forestale. Il riso, nel<strong>la</strong> gastronomia<br />

dell’iso<strong>la</strong> segue lo stesso <strong>per</strong>corso; in alcune zone ed in partico<strong>la</strong>r<br />

<strong>per</strong>iodi dell’anno è usato essenzialmente come prodotto <strong>per</strong> confezionare<br />

dolci, basti ricordare le sfinci di risu, dolci fritti nel<strong>la</strong> “sugna” e<br />

annaffiati di miele, preparati <strong>per</strong> S. Martino nel<strong>la</strong> Sicilia meridionale ionica<br />

o ancora il riso “niuro”, dolce votivo, del<strong>la</strong> Madonna nera di Tindari e<br />

come non ricordare il risu du paradisu, dolce tipico palermitano, ge<strong>la</strong>to<br />

“pezzo duro” a base di crema di riso.<br />

Interessante notare, come tutti i dolci citati siano di fattura conventuale,<br />

di un cristianesimo che utilizzando un prodotto “musulmano” si abbandona<br />

ai piaceri e ai peccati del<strong>la</strong> go<strong>la</strong>.<br />

Altri piatti a base di riso meritano <strong>la</strong> nostra attenzione. In partico<strong>la</strong>re, il riso<br />

con gli asparagi selvatici, piatto tipico del<strong>la</strong> tradizione gastronomica<br />

siracusana, u risu chi cruzziteddi (castagne di montagna), u ripiddu nivicatu<br />

(risotto condito con il nero di seppia, ricotta fresca e salsa di pomodoro<br />

piccante) tipico del catanese che simboleggia l’Etna con <strong>la</strong> sua <strong>la</strong>va<br />

nera, con <strong>la</strong> neve <strong>per</strong>enne e le fiamme del vulcano.<br />

A Siracusa si prepara con il riso un piatto partico<strong>la</strong>re “<strong>la</strong> ventre di poccu<br />

china” pancia di maiale ripiena di riso, pistacchi e sa<strong>la</strong>me, cotta in acqua<br />

acidu<strong>la</strong>ta <strong>per</strong> parecchie ore.<br />

La tummà<strong>la</strong>, timballo di riso, confezionato <strong>per</strong> Natale nel<strong>la</strong> Sicilia orientale<br />

in onore dell’Emiro Thumma, rimane il piatto protagonista quale testimone<br />

del<strong>la</strong> dominazione araba in Sicilia; ricco di ingredienti e di difficile<br />

preparazione è diventato nel tempo, emblema del<strong>la</strong> cucina dei Monzù(<br />

cuoco professionista presso le case baronali). Oggi , ha ceduto il passo<br />

ad altre preparazioni, testimone muto di un fasto ormai scomparso.<br />

Potrebbero essere citati ancora tanti altri piatti a base di riso che hanno<br />

caratterizzato il nostro paesaggio agrario e <strong>la</strong> nostra cucina, ma in verità<br />

i siciliani rimaniamo essenzialmente dei “pastasciuttari”, mangiatori di<br />

pastasciutta.<br />

98


GRANO DURO<br />

“Nun sugnu mari e fazzu l’unni, nun sugnu porcu e haiùnsiti,<br />

nun sugnu pecora e tu mi tunni.”<br />

Riconoscimento: Tipicità non riconosciuta<br />

Luogo di produzione: intera provincia di Siracusa<br />

Caratteristiche: grano duro tipo Simeto<br />

PS C P G NC<br />

81,3 15,9 12,7 10,4 16<br />

dove PS: Peso Specifico; C: Colore; P: Peso; G: Glutine; NC: Numero di<br />

partite analizzate<br />

Note storiche: “Partimmo dopo cena e scendemmo ben presto nel<strong>la</strong><br />

ricca contrada di Leontinoi, che produce abbondante quantità di grano.<br />

Questa pianura, di dodici miglia di <strong>la</strong>rghezza su venti di profondità, rappresentava<br />

anticamente i campi dei Lestrigoni, divisa e bagnata dal Simeto,<br />

il più grande fiume del<strong>la</strong> Sicilia che trasporta con le sue acque una<br />

gran quantità di ambra gial<strong>la</strong> e nera che si va a cercare al punto del suo<br />

sbocco nel mare e che poi viene <strong>la</strong>vorata a Catania. Attraversammo il<br />

fiume su di una chiatta. Cercavo <strong>la</strong> ragione dell'estrema fertilità di questi<br />

campi che rendono da dieci a cinquanta volte il seme che vi si semina.<br />

Credetti di trovarne <strong>la</strong> causa nel<strong>la</strong> natura del suolo formato da un terreno<br />

grasso, ricco di una gran quantità di ceneri dell'Etna; i sali, rinnovati continuamente<br />

dalle esa<strong>la</strong>zioni nitrose di cui l'aria di questi vulcuni è impregnata,<br />

rendono produttiva finanche l'atmosfera. Tutti questi elementi aggiunti<br />

al<strong>la</strong> dolcezza del clima ne hanno fatto una terra talmente fertile ed<br />

ubertosa che il grano vi cresce naturalmente ed anche selvaggio, ciò<br />

che fa credere che proprio in Sicilia si era cominciato a conoscere l'uso<br />

di questa pianta. Ne ho raccolto io stesso al mio primo viaggio e mi sono<br />

accertato del<strong>la</strong> sua forma e del<strong>la</strong> differenza con il grano che noi conosciamo.<br />

Quello selvaggio non su<strong>per</strong>a i quattro pollici su di uno stelo nodoso<br />

che non è né liscio né diritto come quello dell'altro, e che, quando è<br />

maturo, si spezza facilmente nel punto dei nodi e <strong>la</strong>scia fuoriuscire <strong>la</strong><br />

spiga che normalmente è composta di tre granelli e termina con una<br />

barba corta, ruvida e ferma che, invece di mantenersi diritta, come nel<strong>la</strong><br />

spiga dell'altro grano, si mantiene orizzontalmente ed in senso contrario<br />

tra di loro. Il chicco è piccolo, lungo e secco, <strong>la</strong> pellico<strong>la</strong> è spessa e <strong>la</strong><br />

parte farinosa è bianchissima ed ha lo stesso sapore del<strong>la</strong> farina dell'altro<br />

grano. Sul posto si sostiene che bastano tre anni di coltura <strong>per</strong> snaturarlo<br />

e renderlo tale e quale a quello di cui si fa uso oggi. Tuttavia, quello<br />

99


che mi fa credere che <strong>la</strong> specie ne sia diversa è che ne ho trovato non<br />

solo in terreni pietrosi, ma anche nei campi più abbondanti di messi e sul<br />

bordo dei grandi appezzamenti, misto all'altro grano, senza che abbia<br />

mutato <strong>la</strong> sua natura aspra e selvaggia” (Vivant Denon, 1788, Voyage in<br />

Sicile).<br />

Spontaneo in Sicilia fu trovato una specie di grano, il Triticum villosum; e<br />

il botanico Mattei avanzò l’ipotesi che il villosum attraverso le vicende<br />

del<strong>la</strong> coltivazione possa essersi trasformato in sativum, data <strong>la</strong> tenue differenza<br />

tra loro intercorrente. La Sicilia <strong>qui</strong>ndi possiede titolo almeno<br />

dello stesso valore di molte altre regioni <strong>per</strong> proc<strong>la</strong>marsi cul<strong>la</strong> del grano:<br />

questo sia detto senza pretendere di interferire nelle conclusioni rigidamente<br />

scientifiche dei competenti.<br />

Le varietà di grano più diffuse erano: il furmentu di maravigghia (triticum<br />

compositum); <strong>la</strong> majorca, grano tenero con le reste corte; <strong>la</strong> russìa, ruscìa<br />

o tal<strong>la</strong>rò (Vil<strong>la</strong>frati, Ciminna); <strong>la</strong> cannamasca che faceva granelli<br />

bianchi rotondi e piuttosto leggeri; il farru turcu (Nicosia) che faceva<br />

«granelli lunghi quanto i gherigli del<strong>la</strong> spina e <strong>la</strong> spiga con le reste nere»;<br />

<strong>la</strong> bufa<strong>la</strong>, dalle spighe grosse, <strong>la</strong> rapparina, con spighe a grappolo;<br />

diverse varietà di grano duro (giustolisa, realforte, gigante gioja, pao<strong>la</strong>);<br />

il grano marzuolo, detto tumminia, timilia o trimulia. I nomi cambiavano<br />

da paese a paese. Ma, indipendentemente da come si chiamassero, tutte<br />

le specie di grano godevano del<strong>la</strong> benedizione divina, tranne <strong>la</strong> sega<strong>la</strong><br />

o jirmana. Questo grano nero, secondo una leggenda raccolta a Naso,<br />

era stato maledetto dal Signore al tempo di Erode, <strong>per</strong>ché non aveva<br />

offerto il necessario riparo a Gesù, Giuseppe e Maria, in fuga verso<br />

l’Egitto: “le spighe al loro passaggio si piegarono senza rialzarsi, sicché<br />

sarebbero stati benissimo sco<strong>per</strong>ti”.<br />

Riconoscimento: Tipicità non riconosciuta<br />

Luogo di produzione: Sicilia sud-orientale (Noto, SR).<br />

100<br />

LUMACA HELIX ASPERSA<br />

Caratteristiche: il prodotto si presenta retinato, asciutto, spurgato e<br />

pronto da cucinare. Le lumache naturali vengono conservati in contenitori<br />

di vetro (gr. 500, gr. 350), mentre il prodotto fresco viene conservato<br />

in sacchetti in raffia o contenitori in p<strong>la</strong>stica. Le lumache naturali conservate<br />

a tem<strong>per</strong>atura ambiente possono durare 48 mesi, mentre il prodotto<br />

fresco può essere conservato a tem<strong>per</strong>atura ambiente o in frigo a<br />

+4/6°C e dura 12 mesi.<br />

Note storiche: in cucina le lumache erano già apprezzate dai greci e


dai romani. Apicio scrive che vanno spurgate nel <strong>la</strong>tte <strong>per</strong> diversi giorni,<br />

fino a quando gonfie non possono più rientrare nel loro guscio. Con Plinio<br />

il Giovane, <strong>per</strong> <strong>la</strong> prima volta vengono codificate le regole <strong>per</strong><br />

l’ingrasso: farine di cereali ed erbe aromatiche. Ma è con Fulvio Lappino<br />

(50° secolo a.C.) che nascono ufficialmente gli allevamenti di lumache;<br />

pare che questo ricco mercante le facesse arrivare a Roma dal<strong>la</strong> Sardegna,<br />

dal<strong>la</strong> Sicilia e dalle coste nord africane. Nobilitate dal<strong>la</strong> cucina francese,<br />

dopo essere state <strong>per</strong> secoli cibo di contadini, già all’inizio del diciannovesimo<br />

secolo, sono entrate di diritto nei menù dei grandi ristoratori,<br />

risvegliando l’interesse in tutta Europa.<br />

Le chiocciole vígnaiole sono note come ntuppatieddi (da ntuppari, coprire),<br />

<strong>per</strong>ché l'a<strong>per</strong>tura del<strong>la</strong> conchiglia, in questi gasteropodi, è rico<strong>per</strong>ta<br />

da un o<strong>per</strong>colo a mò di gorgiera inamidata.<br />

Le vignaiole prendono nel siracusano anche un altro nome: scauzzi (da<br />

scau, scuro di pelle; si dice anche riferito a donna dal<strong>la</strong> carnagione bruna,<br />

scauzza), che scau trova <strong>la</strong> sua etimologia in schiavo, il pirata turco<br />

o «arabo» -o, comunque, di colore- che nelle sue scorrerie <strong>per</strong> il mare e<br />

le coste di Sicilia finiva a volte <strong>per</strong> cadere in prigionia.<br />

“Al<strong>la</strong>rmi al<strong>la</strong>rmi <strong>la</strong> campana sono li turchi sunu iunti a <strong>la</strong> marina”.<br />

La lumaca vignaío<strong>la</strong>, col volto ve<strong>la</strong>to di bianco come una bel<strong>la</strong> odalisca,<br />

ha <strong>la</strong> sua vita segreta dentro le spirali del suo guscio olivastro. Ermafrodita,<br />

ha uno strano modo di fare all'amore: Marcel Ro<strong>la</strong>nd ne ha investigato<br />

e colto l'intimità del rito: “La sua funzione pare sia quel<strong>la</strong> di provocare<br />

il desiderio e <strong>la</strong> voluttà mediante <strong>la</strong> sofferenza; concezione morbosa<br />

che si credeva nata dal<strong>la</strong> <strong>per</strong>versità umana e che si è stupiti d'incontrare<br />

nel regno dell'istinto. Se è veramente cosi, il muro rivestito d'edera,<br />

il mucchio delle fascine dimenticate in un canto del giardino, gli orli del<br />

canaletto di scarico del<strong>la</strong> fontana, le vecchie tavole appoggiate contro il<br />

muro, tutti questi angolini modesti dove non c'è posto che <strong>per</strong> l'innocenza,<br />

<strong>la</strong> semplicità, <strong>la</strong> dolcezza assistono a scene di un nuovo medioevo<br />

sanguinoso, e mi pare di sentire sghignazzare l'ombra di messer Gilles<br />

de Rais e dei suoi emuli”.<br />

“Dopo che le chiocciole -<strong>per</strong> concludere con lo stesso Ro<strong>la</strong>nd- si sono<br />

dunque scambiate, non più nel senso figurato ma nel senso reale, le<br />

frecce del loro turcasso amoroso, riprendono a vivere di solito nel loro<br />

scrigno di terra nera da cui assorbono gli umori e <strong>la</strong> frescura delle acque<br />

piovane. In questo nirvana vengono dissotterrate - ve<strong>la</strong>te ancora di un<br />

lieve letargo - e già naturaliter pronte al sacrificio supremo. A volte alle<br />

prime piogge squarciano il velo e pascono sulle zolle di erba bagnata: in<br />

questo primo affiorare al<strong>la</strong> luce vengono raccolte e deposte in panieri di<br />

canna intrecciata, Dentro questa cel<strong>la</strong> arieggiata <strong>la</strong> lumaca, come una<br />

novizia, viene sottoposta a una vigilia di digiuno e astinenza; espurga e<br />

respira <strong>per</strong> immo<strong>la</strong>rsi sul rogo d'olio d'una padel<strong>la</strong>”.<br />

101


La centrale dei ntuppatieddí è Florìdia: <strong>qui</strong> queste lumache trovano il loro<br />

giorno olocausto <strong>per</strong> l'Ascensione, <strong>la</strong> sagra paesana, quando le cerimonie<br />

varie, le processioni, le bande musicali, le corse dei cavalli si<br />

svolgono tra odori di erbe aromatiche e fumi di soffritto che s'alzano da<br />

turiboli nel sancta sanctorum delle taverne e delle cucine di famiglia.<br />

La morte degli ntuppatieddi è à mbríaca (cioè “al<strong>la</strong> ubriaca”) secondo un'antica<br />

ricetta che i floridíani si tramandano di generazione in generazione.<br />

Si depongono le lumache in una pento<strong>la</strong> d'acqua che va a fuoco<br />

lento. Questo primo tepore galeotto - facilmente scambiabile con le<br />

brezze africane - induce le vignaiole a tirar fuori il capo. Il calore del<strong>la</strong><br />

pento<strong>la</strong>, che vieppiù s'intensifica, come una strozza le soffoca nell'attímo<br />

del godimento di una fittizia primavera. Già a fianco, in un secondo fornello,<br />

una padel<strong>la</strong> attende col puro olio d'oliva già scoppíettante: le lumache<br />

vengono condite con pepe nero e pepe rosso, aglio, soffritto di<br />

cipolletta e un battesimo di vino, e <strong>qui</strong>ndi rico<strong>per</strong>te da un piatto in modo<br />

che tutti gli aromi e il condimento penetrino nei segreti meandri delle spirali<br />

in cui s'avvolge <strong>la</strong> vignaío<strong>la</strong>.<br />

A cottura completa i ntuppatieddi si servono ancora caldi e fragranti e da<br />

ínnaffiare, pasteggiando, con abbondante libagione di buon vino, possibilmente<br />

di quello del “Ruttàzzu”, una prodígiosa contrada di vigneti tra<br />

Siracusa, Floridia e Belvedere.<br />

102


LA VITICOLTURA IN PROVINCIA DI SIRACUSA<br />

La provincia di Siracusa è da<br />

sempre nota <strong>per</strong> l’importanza dei<br />

suoi vini, primo fra tutti il Moscato di<br />

Siracusa e di Noto che studi ampelografici<br />

dell’800 hanno tentato di<br />

identificare con il vino Biblino o Pollio<br />

delle antiche fonti greche.<br />

Il clima è caldo-arido, con tem<strong>per</strong>ature<br />

medie tra le più alte dell’Iso<strong>la</strong><br />

(17,6°C). Nel <strong>per</strong>iodo luglio-agosto<br />

le tem<strong>per</strong>ature massime su<strong>per</strong>ano sempre i 30°C, che, con <strong>la</strong> mancanza<br />

di precipitazioni, induce nell’uva un’alta concentrazione zuccherina, con<br />

fenomeni di appassimento degli acini più o meno spinto fino ad interessare<br />

in alcune annate il 30-35% di bacche.<br />

I terreni sono a giacitura pianeggiante e di bassa collina, di tipo bruno<br />

calcareo con un grado di argillosità intorno al 25%, a reazione sub alcalina,<br />

con discreta quantità di sostanza organica e buona dotazione di elementi<br />

minerali.<br />

Prima dell’invasione fillosserica i vitigni a bacca bianca diffusi nel siracusano,<br />

comunque quantitativamente contenuti rispetto a quelli rossi,<br />

erano i Catarratti, <strong>la</strong> Naccarel<strong>la</strong>, l’Albanello e il Moscatello.<br />

Il Moscato è una famiglia di uva di colore sia bianco che nero, da<br />

sempre presente nell’area mediterranea. Alcune varietà sono utilizzate<br />

esclusivamente <strong>per</strong> <strong>la</strong> vinificazione di vini da dessert, come il moscato<br />

bianco di Siracusa e il moscato di Noto, alcune come uva da tavo<strong>la</strong>, altre<br />

sia <strong>per</strong> <strong>la</strong> preparazione dell’uva passa che <strong>per</strong> <strong>la</strong> vinificazione, come nel<br />

caso dello Zibibbo di Pantelleria.<br />

Altrettanto rinomato è il Rosso di Pachino, prodotto nel Val di Noto. Il<br />

“Pachino” dall’Ottocento agli inizi del Novecento, come vino da taglio,<br />

era molto richiesto in Francia (Gironda e Borgogna), oltre che in nord<br />

Italia.<br />

Tra i vitigni a bacca rossa leader indiscusso da sempre è il Nero<br />

d’Avo<strong>la</strong>, che proprio nel territorio di Avo<strong>la</strong> è stato selezionato diverse<br />

centinaia di anni e trova nel Val di Noto <strong>la</strong> massima espressione enologica.<br />

Esso oggi rappresenta più dell’80% delle su<strong>per</strong>fici vitate siracusane<br />

(riconducibili in massima parte al pachinese), coltivate nel 90% dei<br />

casi con il sistema dell’alberello. Il Nero d’Avo<strong>la</strong> è detto anche Ca<strong>la</strong>brese,<br />

dal dialettale “ca<strong>la</strong>risi”, che letteralmente significa uva (ca<strong>la</strong>) di Avo<strong>la</strong>.<br />

É un vitigno che opportunamente coltivato e vinificato dà origine a grandi<br />

vini rossi da invecchiamento in cui le sensazioni olfattive di frutta rossa,<br />

anche dopo molti anni, rappresentano <strong>la</strong> componente più caratteristica.<br />

103


Entra nel<strong>la</strong> costituzione dei vini Eloro a DOC e Cerasuolo di Vittoria a<br />

DOC e di altre DOC siciliane di più recente costituzione. Si presta anche<br />

<strong>per</strong> <strong>la</strong> produzione di vini giovani e novelli, avendo un colore rosso con<br />

sfumature violette, davvero suggestivo, aroma di frutta rossa (prugna,<br />

mora) molto pronunciato e tannini non “al<strong>la</strong>ppanti”. Qualche decennio fa<br />

era utilizzato quasi esclusivamente <strong>per</strong> <strong>la</strong> produzione di vini da taglio<br />

(Pachino) ed esportato in grandi quantità, spesso via mare (porto di<br />

Marzamemi), in Italia (Toscana, Piemeonte ecc.) ed all’estero ( Francia,<br />

dove era anche detto “<strong>la</strong> vin médecine). Da qualche anno è stato “risco<strong>per</strong>to”<br />

ed entra di merito, in purezza o in <strong>per</strong>centuale con altri vitigni, nel<strong>la</strong><br />

produzione dei migliori vini rossi siciliani. Il Nero d’Avo<strong>la</strong> ha un grappolo<br />

non molto grande con un acino medio-piccolo leggermente appuntito.<br />

Il colore del<strong>la</strong> buccia a maturazione è violetto intenso. L’acino appena<br />

pressato ri<strong>la</strong>scia un succo dal colore rosso-vio<strong>la</strong>ceo, molto zuccherino e<br />

di buona acidità.<br />

Altro vitigno a bacca rossa, molto diffuso prima del<strong>la</strong> fillossera, era il<br />

Frappato di Vittoria, denominato in provincia di Siracusa “Surra” o “Lignaggio<br />

Surra”. La sua origine, molto probabilmente, è nel Vittoriese dove<br />

è coltivato almeno dal XVII secolo. Vinificato in purezza dà vini con<br />

buona acidità, poco tannici e profumati, nei quali predomina <strong>la</strong> nota aromatica<br />

di marasca. Entra nel<strong>la</strong> costituzione del Cerasuolo di Vittoria a<br />

DOC con una <strong>per</strong>centuale minima del 40%, contribuendo a rendere più<br />

profumato ed elegante il Nero d’Avo<strong>la</strong>.<br />

Di recente introduzione è il Perricone, che tra <strong>la</strong> fine dell’Ottocento e<br />

gli inizi del Novecento era diffusissimo ed esclusivo, come varietà ad<br />

uva nera, delle province di Trapani e Palermo. Ne fu ridotta drasticamente<br />

<strong>la</strong> produzione a causa del<strong>la</strong> infestazione fillosserica. Ancor oggi è<br />

un vitigno poco diffuso, anche se rientra in alcune importanti DOC siciliane,<br />

tra cui l’Eloro.<br />

Tra i vitigni di recente introduzione vi è <strong>la</strong> presenza degli alloctoni<br />

Merlot, Sirah e Cabernet Sauvignon.<br />

Tecnica colturale: con piccole variazioni, le tecniche di coltivazione sono<br />

quelle solite dell’alberello. La <strong>la</strong>vorazione dei vigneti è prevalentemente<br />

svolta con motocoltivatori: i trattamenti antiparassitari, dato<br />

l’ambiente caldo arido, sono parecchio contenuti. Da qualche decennio<br />

si sta diffondendo <strong>la</strong> pratica dell’irrigazione.<br />

Tecnica enologica: nel pachinese esiste da tempo l’uso del<strong>la</strong> vendita<br />

del mosto o del vino appena svinato e, più recentemente, dell’uva in<br />

cassette. Prima <strong>la</strong> vinificazione veniva effettuata presso i numerosi palmenti<br />

esistenti nel<strong>la</strong> zona ed il mosto o il vino era poi portato al<strong>la</strong> vendita<br />

presso i cosiddetti scagni, che preparavano i vini da taglio da spedire via<br />

104


mare o in ferrovia fuori dall’Iso<strong>la</strong>. Oggi molta uva viene venduta a terzi,<br />

ma vengono creandosi nuove aziende imbottigliatrici dotate di attrezzature<br />

enologiche moderne ed adeguate al<strong>la</strong> produzione di vini di ottimo livello<br />

qualitativo.<br />

Eloro DOC: è una DOC recente, istituita nel 1994, che ricade in una antica<br />

zona vitivinico<strong>la</strong>. L’Eloro DOC può essere prodotto a Noto, Pachino,<br />

Portopalo di Capo Passero e Rosolini, e nel comune di Ispica (provincia<br />

di Ragusa). Le tipologie previste sono il rosso e il rosato. I vitigni sono:<br />

Nero d’Avo<strong>la</strong>, Frappato o Pignatello (da soli o insieme). É possibile riportare<br />

in etichetta il vitigno omonimo se presente in una misura minima del<br />

90%. A Pachino è stato istituito un Consorzio di tute<strong>la</strong> a sostegno di<br />

questo Doc e di quel<strong>la</strong> del Moscato di Noto.<br />

Moscato di Noto DOC: il riconoscimento di questa DOC è del 1974<br />

(GU n. 199/74). La zona di produzione ricade nei comuni di Noto Rosolini,<br />

Pachino e Avo<strong>la</strong>. É ottenuto con le uve Moscato giallo o Moscatel<strong>la</strong> e<br />

può essere naturale, spumante e liquoroso.<br />

Moscato di Siracusa DOC: nell’Ottocento era rinomato in tutto il mondo.<br />

Il più pregiato era quello proveniente dai bianchi terreni calcareoargillosi<br />

tra Siracusa e Floridia. Il riconoscimento DOC è del 1973. La<br />

zona di produzione del Moscato di Siracusa è quel<strong>la</strong> ricadente nel territorio<br />

del solo comune capoluogo. Il vitigno è il Moscato bianco, localmente<br />

chiamato Moscato giallo o Moscatello giallo. La gradazione alcolica<br />

minima naturale è di 16,5 di cui almeno 14 svolta, ottenibile anche a<br />

mezzo di un leggero appassimento delle uve sul<strong>la</strong> pianta o su stuoie. La<br />

produzione annua di questo vino è bassa, anche se in via di incremento.<br />

Sicilia IGT: I vini Sicilia a IGT vantano una produzione consistente e<br />

possono essere prodotti sull’intero territorio siciliano; sono bianchi, rossi<br />

e rosati, prodotti con uno o più vitigni, a bacca di colore corrispondente,<br />

autorizzati e/o raccomandati <strong>per</strong> le rispettive province siciliane.<br />

105


Agrigento: i prodotti<br />

PECORINO SICILIANO<br />

Riconoscimento: Denominazione di Origine Protetta (DOP) - REG. CE<br />

n. 1107/96<br />

Luogo di produzione: Sicilia<br />

Caratteristiche: formaggio ottenuto nel <strong>per</strong>iodo compreso fra ottobre e<br />

giugno dal<strong>la</strong> <strong>la</strong>vorazione del <strong>la</strong>tte intero di pecora fresco e proveniente<br />

da allevamenti ubicati nel territorio regionale.<br />

Il <strong>la</strong>tte fresco intero di pecora viene coagu<strong>la</strong>to con caglio di agnello; <strong>la</strong><br />

cagliata viene spurgata a mano dopo essere stata posta in cesti (fascedde)<br />

di giungo atti a model<strong>la</strong>re <strong>la</strong> forma; viene praticata a mano <strong>la</strong><br />

sa<strong>la</strong>tura a secco e si avvia al<strong>la</strong> stagionatura <strong>per</strong> almeno quattro mesi.<br />

Al consumo si presenta di forma cilindrica a facce piene o leggermente<br />

concave; altezza da cm 10 a c m 18; peso variabile da 4 a 12 kg; crosta<br />

bianco giallogna, con tipica model<strong>la</strong>tura rugosa a canestro; coppatura<br />

con olio o morchie di olio; pasta compatta, bianca o paglierina con limitata<br />

occhiatura; grasso sul<strong>la</strong> sostanza secca non inferiore al 40%; sapore<br />

piccante caratteristico.<br />

“VASTEDDA” DELLA VALLE DEL BELICE<br />

Riconoscimento: Denominazione di Origine Protetta (DOP) - Promosso<br />

dall’Associazione Regionale Allevatori del<strong>la</strong> Sicilia e da un gruppo di<br />

produttori, il 28 agosto del 2001 nasce il Consorzio <strong>per</strong> <strong>la</strong> Tute<strong>la</strong> del formaggio<br />

Vastedda del<strong>la</strong> Valle del Belice<br />

Luogo di produzione: Provincia di Trapani: Ca<strong>la</strong>tafimi, Campobello di<br />

Mazzara, Castelvetrano, Ghibellina, Partanna, Poggioreale, Sa<strong>la</strong>paruta,<br />

Salemi, Santa Ninfa, Vita. Provincia di Agrigento: Caltabellotta, Menfi,<br />

Montevago, Sambuca di Sicilia, Santa Margherita di Belice, Sciacca;<br />

Provincia di Palermo: Contessa Entellina, Bisac<strong>qui</strong>no.<br />

Caratteristiche: formaggio prodotto tipicamente nel <strong>per</strong>iodo estivo ottenuto<br />

dal<strong>la</strong> <strong>la</strong>vorazione del <strong>la</strong>tte intero crudo ovino esclusivamente del<strong>la</strong><br />

razza ovina “Valle del Belice”.<br />

La metodologia di produzione è simile a quel<strong>la</strong> del pecorino siciliano, ma<br />

<strong>la</strong> specialità è rappresentata dal<strong>la</strong> fi<strong>la</strong>tura effettuata da abili casari.<br />

Al consumo si presenta unico formaggio fresco di pecora a pasta fi<strong>la</strong>ta in<br />

Sicilia ed uno dei pochi in Europa; forma a pagnotta o focaccia del diametro<br />

di 18 cm e peso di 0,5 – 1,0 kg; assenza di crosta; colore avorio,<br />

assenza di occhiatura, presenza di striatura dovute al<strong>la</strong> fi<strong>la</strong>tura artigianale;<br />

odore lieve, sa<strong>la</strong>to appena <strong>per</strong>cepibile; aroma di <strong>la</strong>tte fresco e burro;<br />

106


gusto dolce e retrogusto leggermente acidulo, fresco molto gradevole;<br />

oleosità assente; grasso sul<strong>la</strong> sostanza secca non inferiore al 35%.<br />

I risultati preliminari dell’indagine microbiologica condotta dall’istituto Zooprofi<strong>la</strong>ttico<br />

S<strong>per</strong>imentale del<strong>la</strong> Sicilia “A. Mirri” nell’ambito del<strong>la</strong> ricerca<br />

“Valorizzazione e promozione del formaggio Vastedda del<strong>la</strong> valle del Belice<br />

attraverso le sue caratterizzazione moleco<strong>la</strong>re, chimica e microbiologica”,<br />

hanno evidenziato come le forme del<strong>la</strong> Vastedda del<strong>la</strong> valle del<br />

Belice monitorate, prodotte nei caseifici aziendali dei soci del Consorzio<br />

di Tute<strong>la</strong>, presentano buone caratteristiche microbiologiche e di sicurezza<br />

alimentare.<br />

Le linee principali del<strong>la</strong> tecnologia di produzione sono:<br />

Specie/razza<br />

Pecora del<strong>la</strong> Valle del Belice e i suoi incroci.<br />

materia prima: Latte intero, crudo.<br />

Microflora: Naturale<br />

Caglio: Pasta di agnello<br />

sistema di alimentazione: prevalentemente Pascolo naturale e coltivato<br />

con integrazione di foraggi e concentrati in stal<strong>la</strong> in quantità variabile<br />

rispetto al<strong>la</strong> stagione foraggera.<br />

Note storiche: da sempre nel<strong>la</strong> Valle del Belice parte del <strong>la</strong>tte di pecora<br />

autoctona, oggi elevata a razza “Valle del Belice” veniva anticamente ed<br />

ancora oggi viene trasformato in vastedda o focaccia, le attrezzature utilizzate<br />

erano/sono – tina di legno “rotu<strong>la</strong>” – bastone di legno <strong>per</strong> <strong>la</strong> fi<strong>la</strong>tura<br />

– tavoliere di legno – fiscelle di giunco – piatti fondi “ vastedde” – caldaia<br />

di rame stagnata. La vastedda del<strong>la</strong> Valle del Belice è l’unico formaggio<br />

di pecora a pasta fi<strong>la</strong>ta. Prima veniva prodotta solo nel <strong>per</strong>iodo<br />

estivo attualmente, vista <strong>la</strong> grande richiesta, viene prodotto tutto l’anno.<br />

Il <strong>la</strong>tte coagu<strong>la</strong>, in una tina di legno, a 36/40°C con caglio in pasta di agnello<br />

in 40-50’ . La cagliata viene rotta con una rotu<strong>la</strong> di legno e fatta<br />

rassodare in fiscelle di giunco (<strong>per</strong> acidificare naturalmente). Per circa<br />

24-48 ore viene <strong>la</strong>sciata riposare e dopo, tagliata a fette fi<strong>la</strong>ta con <strong>la</strong><br />

scotta o acqua calda e l’ausilio di un bastone di legno. Viene estratta<br />

con le mani e <strong>qui</strong>ndi deposta su piatti fondi, “vastedda”, <strong>per</strong> conferirgli <strong>la</strong><br />

c<strong>la</strong>ssica forma.<br />

In sa<strong>la</strong>moia <strong>per</strong> circa 30 minuti -2 ore; successivamente viene posta ad<br />

asciugare e dopo 12-48 ore e pronta <strong>per</strong> il consumo.<br />

MELONE DI SICILIA<br />

Riconoscimento: Indicazione Geografica Protetta (IGP) in fase di riconoscimento.<br />

Zona di produzione: Provincia di Trapani: comuni di Alcamo, Busto Pa-<br />

107


lizzolo, Ca<strong>la</strong>tafimi, Castel<strong>la</strong>mmare del Golfo, Custonaci, Erice, Ghibellina,<br />

Paceco, Poggioreale, Sa<strong>la</strong>paruta, Santa Ninfa, Trapani, Valderice e<br />

Vita, oltre ad alcune zone del territorio di Marsa<strong>la</strong>, Mazzara del Vallo e<br />

Castelvetrano. Provincia di Palermo: Camporeale, Roccamena, San Cipirello,<br />

Contessa Entillina, Roccapalumba ed alcune zone del territorio di<br />

Bisa<strong>qui</strong>no, Campofiorito, Corleone, Monreale, Pa<strong>la</strong>zzo Adriano, Partinico,<br />

San Giuseppe Jato, Prizzi, Vicari, Lercara Freddi, Cacciamo, Alia,<br />

Valledolmo. Provincia di Agrigento: Montevago, Sambuca di Sicilia, Santa<br />

Margherita Belice, Menfi.<br />

Caratteristiche: melone del<strong>la</strong> caratteristica forma tondeggiante <strong>per</strong> il<br />

frutto a buccia verde, allungata <strong>per</strong> il frutto a buccia gial<strong>la</strong>, con buccia<br />

rugosa o liscia; <strong>la</strong> polpa è di colore bianco consistente e croccante, partico<strong>la</strong>rmente<br />

fragrante ed intensamente profumata; il peso dei frutti è di<br />

circa 1 kg.<br />

Esso rappresenta una grande risorsa ed una ricchezza <strong>per</strong> l’economia<br />

locale, in quanto va ad integrarsi nell’economia agrico<strong>la</strong> locale con <strong>la</strong><br />

coltivazione del grano duro, rappresentando una fonte integrativa di reddito.<br />

La coltivazione avviene in pieno campo su terreno nudo rico<strong>per</strong>to con<br />

film p<strong>la</strong>stico; il trapianto delle piantine si effettua a file con distanza di 2,5<br />

m tra le file e di 1 m nel<strong>la</strong> fi<strong>la</strong>; <strong>la</strong> raccolta è fatta a mano nel <strong>per</strong>iodo<br />

compreso tra giugno ed ottobre. É vietato l’uso di auxine, giberelline,<br />

ormoni vegetali; produzione massima consentita: 250 q.li <strong>per</strong> ettaro <strong>per</strong><br />

tipo a buccia gial<strong>la</strong>, 140 q.li <strong>per</strong> ettaro <strong>per</strong> tipo a buccia verde.<br />

UVA DA TAVOLA DI CANICATTÌ<br />

Riconoscimento: Indicazione Geografica Protetta (IGP) - Reg. CE n.<br />

2325/97<br />

Luogo di produzione: comprende 20 comuni intorno a Canicattì nelle<br />

province di Agrigento e Caltanissetta. L’area coltivata e di circa 11.250<br />

ettari, di cui 9.000 ricadono nell’agrigentino e 2.250 ettari nel nisseno.<br />

Quasi tutta <strong>la</strong> produzione Sicilia è concentrata soprattutto sul<strong>la</strong> varietà<br />

“ITALIA”. Nel comprensorio di Canicattì, <strong>la</strong> varietà Italia copre quasi tutta<br />

<strong>la</strong> su<strong>per</strong>ficie ad uva da tavo<strong>la</strong>. Infatti in questa zona, il processo di rinnovamento<br />

del<strong>la</strong> varietà è più lento e una delle poche alternative al<strong>la</strong> varietà<br />

Italia è <strong>la</strong> Red Globe.<br />

Anche questa varietà è partico<strong>la</strong>rmente adatta al<strong>la</strong> stessa tecnica di <strong>la</strong>vorazione<br />

dell’uva Italia.<br />

Caratteristiche: uva bianca, grappolo esente da difetti; peso del grap-<br />

108


polo minimo 400 grammi; peso medio dell’acino da 3 a 5 grammi; acini<br />

grossi con buccia sottile, polpa carnosa croccante; colore dal giallo al<br />

giallo pallido; aroma delicato di moscato.<br />

i vigneti sono coltivati a tendone con 1.100 piante <strong>per</strong> ettaro; <strong>per</strong> le produzione<br />

medio tardive, essi sono rico<strong>per</strong>ti con materiale p<strong>la</strong>stico <strong>per</strong> evitare<br />

che i grappoli si bagnino durante le piogge. Tre sono i metodi di coltivazione:<br />

il “sistema convenzionale”, <strong>la</strong>rgamente utilizzato, che consente<br />

di ottenere grappoli uniformi eliminando quelli non idonei già a giugno;<br />

il “sistema biologico”, che dà un prodotto meno <strong>per</strong>fetto dal punto di vista<br />

estetico; l’insacchettamento dei grappoli, una tecnica questa a metà fra il<br />

sistema convenzionale e quello biologico. La produzione massima unitaria<br />

consentita è pari a 350 q/ha. La raccolta comincia dal<strong>la</strong> terza decade<br />

di agosto nelle zone costiere e prosegue fino a settembre (dicembre nelle<br />

zone più fresche, come Canicattì e Delia).<br />

Note storiche: l’uva “Italia” è, tra le uve da tavo<strong>la</strong>, sicuramente una delle<br />

più apprezzate sia <strong>per</strong> l’aspetto sia <strong>per</strong> il gusto, oltre che <strong>per</strong> <strong>la</strong> notevole<br />

resistenza a manipo<strong>la</strong>zione e trasporto. Anche <strong>la</strong> Sicilia, come il resto<br />

del<strong>la</strong> Peniso<strong>la</strong>, ha subito nel corso degli anni una riduzione di su<strong>per</strong>ficie<br />

destinata a questa produzione, (ad esempio dai 22 mi<strong>la</strong> ettari del<br />

1991 si è passati ai 17 mi<strong>la</strong> del 1998, dati Istat) e questo grazie alle estirpazione<br />

con premio, introdotto dal Reg. CEE 1442/88.<br />

In base a tale disposizione sono stati abbandonati in Sicilia oltre 10 mi<strong>la</strong><br />

ettari di vigneto pari al 47% delle estirpazioni totali nazionali. La forte<br />

adesione a questa misura è stata determinata da diversi fattori, primo fra<br />

tutti il premio comunitario concesso, ritenuto partico<strong>la</strong>rmente remunerativo<br />

soprattutto dalle imprese marginali o con impianti ormai vetusti e<br />

obsoleti o situati in zone non vocate. C’è stata inoltre una crisi che in alcuni<br />

anni ha colpito i vari mercanti, con il re<strong>la</strong>tivo crollo dei prezzi, dovuto<br />

sia al<strong>la</strong> sovrapproduzione sia al concorrenza di altre zone produttive,<br />

con in testa <strong>la</strong> Regione Puglia.<br />

VINO “CONTEA DI SCLAFANI”<br />

Riconoscimento: Denominazione di Origine Control<strong>la</strong>ta (DOC) - D.M.<br />

21/08/1996<br />

Luogo di produzione: Provincia di Agrigento, parte del territorio di<br />

Cammarata.<br />

Tipologie di prodotto, varietà e caratteristiche: vini bianchi, rossi, rosati,<br />

spumanti e novelli.<br />

Contea di Sc<strong>la</strong>fani bianco: vitigni Catarratto, Inzolia e Grecanico da so-<br />

109


li o congiuntamente, min. 50%; <strong>per</strong> il restante 50% possono concorrere<br />

le uve di altri vitigni raccomandati e/o autorizzati <strong>per</strong> le rispettive provincie.<br />

Colore giallo paglierino talvolta con riflessi verdognoli. Grad. Alc.<br />

Min. 10,5% vol..<br />

Contea di Sc<strong>la</strong>fani rosso e novello: vitigni Nero d’Avo<strong>la</strong> e Perticone,<br />

da soli o congiuntamente, min. 50%; <strong>per</strong> il restante 50% possono concorrere<br />

le uve di altri vitigni raccomandati e/o autorizzati <strong>per</strong> le rispettive<br />

provincie. Colore rosso rubino più o meno intenso talvolta con riflessi<br />

vio<strong>la</strong>cei. Grad. Alc. Min. 11% vol.<br />

Contea di Sc<strong>la</strong>fani rosato: vitigno Nerello Mascalese min. 50%; <strong>per</strong> il<br />

restante 50% possono concorrere le uve di altri vitigni raccomandati e/o<br />

autorizzati <strong>per</strong> le rispettive provincie. Colore rosato tenue più o meno caric,<br />

grad. Alc. Min. 10,5%vol..<br />

Contea di Sc<strong>la</strong>fani spumante bianco o rosato: gli stessi vitigni impiegati<br />

<strong>per</strong> i bianchi o rosati. Le pratiche <strong>per</strong> <strong>la</strong> produzione dello spumante<br />

seguono il metodo del<strong>la</strong> fermentazione naturale in autoc<strong>la</strong>ve o in bottiglia<br />

senza aggiunta di anidride carbonica. Colore giallo paglierino più o<br />

meno intenso. O rosato tenue, Grad. Alc. Min. 10,5% vol..<br />

Contea di Sc<strong>la</strong>fani memorabili bianchi : vitigni Inzolfa, Catarratto,<br />

Grecanico, Grillo, Chardonnay, Pinot bianco, Sauvignon, min. 85%; possono<br />

concorrere, <strong>per</strong> <strong>la</strong> restante <strong>per</strong>centuale, le uve di altri vitigni raccomandati<br />

e/o autorizzati <strong>per</strong> le rispettive provincie. Colore giallo paglierino<br />

più o meno intenso, talvolta con riflessi verdolini (Grecanico e Sauvignon),<br />

o dal colore giallo più o meno intenso (Grillo), Grad. alc. min.<br />

10,5% vol..<br />

Contea di Sc<strong>la</strong>fani memorabili rossi: vitigni Nerello Mascalese, Perticone,<br />

Nero d’Avo<strong>la</strong>, Cabernet Sauvignon, Pinot nero, Syrah, Merlot e<br />

Sauvignon min. 85%; possono concorrere, <strong>per</strong> <strong>la</strong> restante <strong>per</strong>centuale,<br />

le uve di altri vitigni raccomandati e/o autorizzati <strong>per</strong> le rispettive province.<br />

Colore rosso rubino più o meno intenso, a volte rubino carico tendente<br />

al granato (Cabernet Sauvignon ), a volte con riflessi vio<strong>la</strong>cei (Nero<br />

d’Avo<strong>la</strong>). Grad. alc. min. 11% vol..<br />

Contea di Sc<strong>la</strong>fani Riserva: stessa composizione varietale del contea<br />

di Sc<strong>la</strong>fani rosso o rosso monovariabile con l’esclusione del Nerello Mascalese.<br />

Prima dell’ammissione al consumo il vino deve essere sottoposto<br />

ad un <strong>per</strong>iodo di invecchiamento obbligatorio min. 2 anni a partire dal<br />

1° novembre dell’anno di vendemmia. Colore dal rosso rubino carico al<br />

granato. Grad. alc. min. 11% vol..<br />

110


Contea di Sc<strong>la</strong>fani Dolce: le uve idonee al<strong>la</strong> produzione dei bianchi<br />

possono essere destinate al<strong>la</strong> produzione di questa tipologia. Colore<br />

giallo paglierino Intenso. Grad. alc. min. 11% vol..<br />

Contea di Sc<strong>la</strong>fani Dolce vendemmia tardiva: gli stessi vitigni <strong>per</strong> <strong>la</strong><br />

produzione dei bianchi. La metodologia di produzione prevede<br />

l’appassimento delle uve sul<strong>la</strong> pianta, <strong>la</strong> raccolta non prima del<strong>la</strong> 1° di<br />

ottobre, vinificazione in recipiente di legno, affinamento <strong>per</strong> sei mesi in<br />

recipiente di legno del<strong>la</strong> capacità massima di 500 litri. può essere immesso<br />

al consumo dopo 18 mesi a decorrere dal 1° novembre dall’anno<br />

di vendemmia. Colore dal giallo paglierino intenso all’ambrato. Grad. alc.<br />

min. 18% vol..<br />

VINO “MENFI”<br />

Riconoscimento: Denominazione di Origine Control<strong>la</strong>ta (DOC) - D.M.<br />

01/09/97<br />

Luogo di produzione: parte del territorio dei comuni di Menfi, Sciacca e<br />

Sambuca di Sicilia (provincia di Agrigento).<br />

Tipologie di prodotto, varietà e caratteristiche: vini bianchi e rossi.<br />

Menfi bianco: vitigni Inzolfa, Chardonnay, Catarratto bianco lucido e<br />

Grecanico da soli o congiuntamente, min. 75%; fino a un max. del 25%,<br />

altri vitigni a bacca bianca non aromatici, raccomandati e/o autorizzati<br />

<strong>per</strong> le rispettive province. Colore giallo paglierino talvolta con riflessi<br />

verdognoli. Grad. Alc. Min. 11% vol..<br />

Menfi rosso: vitigni Nero d’Avo<strong>la</strong>, Sangiovese, Cabernet Sauvignon,<br />

Syrah min. 70%; possono concorrere fino ad un max del 30%, altri vitigni<br />

a bacca nera, raccomandati e/o autorizzati <strong>per</strong> le rispettive province. Colore<br />

rosso rubino intenso. Grad. Alc. Min. 11,5% vol..<br />

Menfi monovarietali bianco: vitigno Chardonnay, Grecanico e Inzolfa<br />

min. 85%; possono concorrere, fino ad un max. del 15% altri vitigni a<br />

bacca bianca nono aromatici, raccomandati e/o autorizzati <strong>per</strong> le rispettive<br />

province. Colore giallo paglierino. Grad. Alc. Min. 11 - 11,5%vol..<br />

Menfi monovarietali rossi: vitigni Nero d’Avo<strong>la</strong>, Sangiovese, Cabernet<br />

Saugnon, Syrah e Merlot, min. 85%; possono concorrere, fino ad un<br />

max. del 15% altri vitigni a bacca nera, raccomandati e/o autorizzati <strong>per</strong><br />

le rispettive province. Colore rosso rubino intenso, con sfumature vio<strong>la</strong>cee<br />

(Sangiovese) o sfumato (Syrah). Grad. Alc. Min. 11,5 - 12% vol..<br />

111


Menfi Bonera : vitigni, Nero d’Avo<strong>la</strong>, Cabernet Sauvignon, Merlot, Sangiovese,<br />

Syrah, da soli o congiuntamente min. 85%; prima<br />

dell’immissione al consumo il vino deve essere sottoposto ad un <strong>per</strong>iodo<br />

di affinamento min. di 1 anno a partire dal 1° novembre dell’anno di vendemmia.<br />

Colore rosso rubino con eventuali sfumature granate. Grad.<br />

alc. min. 12% vol..<br />

Menfi rosso “Riserva” e Menfi Bonera “Riserva”: vino base proveniente<br />

dai vitigni utilizzati <strong>per</strong> le tipologie rosso e Bonera e sottoposto ad<br />

un <strong>per</strong>iodo di invecchiamento min. 2 anni. Colore rosso rubino intenso<br />

con riflessi granato (Bonera “Riserva”). Grad. alc. min. 12,5% vol..<br />

Menfi “Feudo dei fiori”: vitigni Chardonnay e Inzolia da soli o congiuntamente<br />

min. 80%; possono concorrere, fino ad un max. del 20%, altri<br />

vitigni a bacca bianca, raccomandati e/o autorizzati <strong>per</strong> <strong>la</strong> provincia di<br />

Agrigento. Colore giallo paglierino con sfumature verdi. Grad. alc. min.<br />

11,5% vol..<br />

Menfi vendemmia tardiva: vitigni Chardonnay, Catarratto bianco lucido,<br />

Inzolfa e Sauvignon b<strong>la</strong>nc da soli congiuntamente <strong>per</strong> il 100%. La<br />

metodologia di produzione prevede l’appassimento dell’uva sul<strong>la</strong> pianta<br />

e <strong>la</strong> loro vendemmia non prima del 10 settembre di ogni anno <strong>per</strong> lo<br />

Chardonnay e il Sauvignon b<strong>la</strong>nc e del 25 settembre <strong>per</strong> l’Inzolia e il Catarratto<br />

bianco lucido. Colore giallo da paglierino a dorato. Grad. alc.<br />

min. 12,5% vol..<br />

VINO “SAMBUCA DI SICILIA”<br />

Riconoscimento: Denominazione di Origine Control<strong>la</strong>ta (DOC) - D.M.<br />

14/09/95<br />

Luogo di produzione: tutto il territorio del comune di Sambuca di Sicilia<br />

(provincia di Agrigento).<br />

Tipologie di prodotto, varietà e caratteristiche: vini bianchi e rossi.<br />

Sambuca di Sicilia bianco: vitigni Inzolia, dal 50% al 75%;Catarratto<br />

lucido e Chardonnay da soli o congiuntamente <strong>per</strong> il restante 25 % o<br />

50%; possono concorrere, fino ad un max. del 15%, altri vitigni a bacca<br />

bianca (non aromatici), raccomandati e/o autorizzati <strong>per</strong> <strong>la</strong> provincia, con<br />

l’inclusione del Trebbiano toscano. Colore giallo paglierino più o meno<br />

intenso a volte con riflessi verdognoli. Grad. Alc. Min. 10,5% vol..<br />

Sambuca di Sicilia rosso: vitigni Nero d’Avo<strong>la</strong> dal 50% al 75%, Nerello<br />

112


Mascalese, Sangiovese e Cabernet Sauvignon da soli o congiuntamente<br />

<strong>per</strong> il restante 25% e 50%; possono concorrere, fino ad un max. del<br />

15%, altri vitigni a bacca nera, (non aromatici) raccomandati e/o autorizzati<br />

<strong>per</strong> <strong>la</strong> provincia. Colore rosso rubino talvolta con riflessi granato.<br />

Grad. Alc. Min. 11,5% vol.. Prima dell’immissione al consumo deve essere<br />

sottoposto ad un <strong>per</strong>iodo di invecchiamento obbligatorio min. di 6<br />

mesi a partire dal 1° novembre dell’anno di vendemmia.<br />

Sambuca di Sicilia rosato: vitigni Nero d’Avo<strong>la</strong> dal 50% al 75%, Nerello<br />

Mascalese Sangiovese e Cabernet Sauvignon da soli o congiuntamente<br />

<strong>per</strong> il restante 25% e 50%; possono concorrere, fino ad un max. del 15%<br />

altri vitigni a bacca nera, (non aromatici) raccomandati e/o autorizzati<br />

<strong>per</strong> <strong>la</strong> provincia. Colore rosato pallido con eventuali riflessi aranciati.<br />

Grad. Alc. Min. 11,5% vol..<br />

Sambuca di Sicilia Chardonnay: vitigni Chardonnay min. 85%; possono<br />

concorrere <strong>per</strong> il restante 15% altri vitigni a bacca bianca nera non<br />

aromatici, raccomandati e/o autorizzati <strong>per</strong> <strong>la</strong> provincia con l’esclusione<br />

del Trebbiano toscano. Colore giallo dorato carico. Grad. alc. min. 12%<br />

vol..<br />

Sambuca di Sicilia rosso “Riserva”: stessa composizione del Sambuca<br />

di Sicilia rosso; Colore rosso rubino con ampia presenza di colore<br />

granato. Grad. alc. min. 12, % vol.. prima dell’immissione al consumo<br />

deve essere sottoposto ad un <strong>per</strong>iodo di invecchiamento min. di 24 mesi,<br />

dei quali almeno 6 mesi in recipienti di legno, a partire dal 1° novembre<br />

dell’anno di vendemmia.<br />

VINO “SANTA MARGHERITA DI BELICE”<br />

Riconoscimento: Denominazione di Origine Control<strong>la</strong>ta (DOC) - D.M.<br />

09/01/96<br />

Luogo di produzione: tutto il territorio del comune di Santa Margherita<br />

di Belice e Montevago (provincia di Agrigento).<br />

Tipologie di prodotto, varietà e caratteristiche: vini bianchi e rossi.<br />

Santa Margherita di Belice bianco: vitigni Inzolia, dal 30% al 50%;<br />

Grecanio e Catarratto bianco lucido, da soli o congiuntamente dal 50 %<br />

al 70%; possono concorrere, fino ad un max, del 15%, altri vitigni a bacca<br />

bianca raccomandati e/o autorizzati <strong>per</strong> <strong>la</strong> provincia, Colore giallo paglierino<br />

tenue con riflessi verdognoli. Grad. Alc. Min. 10,5% vol..<br />

113


Santa Margherita di Belice rosso: vitigni Nero d’Avo<strong>la</strong> dal 20% al 50%,<br />

Sangiovese e Cabernet Sauvignon da soli o congiuntamente <strong>per</strong> il restante<br />

50% e 80%; possono concorrere, fino ad un max del 15%, altri vitigni<br />

a bacca nera, raccomandati e/o autorizzati <strong>per</strong> <strong>la</strong> provincia. Colore<br />

rosso rubino con sfumature granate. Grad. Alc. Min. 11,5% vol..<br />

Santa Margherita di Belice monovarietali bianchi: vitigni Catarratto,<br />

Grecanico, Inzolfa min. 85%; possono concorrere <strong>per</strong> il restante <strong>per</strong>centuale<br />

altri vitigni a bacca bianca, raccomandati e/o autorizzati <strong>per</strong> <strong>la</strong> provincia.<br />

Colore giallo paglierino più o meno intenso o con riflessi verdognoli.<br />

Grad. Alc. Min. 10,5% vol..<br />

Santa Margherita di Belice monovarietali rossi: vitigni Nero d’Avo<strong>la</strong> e<br />

Sangiovese. Colore rosso rubino vivo (Nero d’Avo<strong>la</strong>) o con riflessi cerasuoli<br />

(Sangiovese). Grad. alc. min. 11,5% vol..<br />

VINO “SCIACCA”<br />

Riconoscimento: Denominazione di Origine Control<strong>la</strong>ta (DOC) – D.M.<br />

05/06/98<br />

Luogo di produzione: tutto il territorio dei comuni di Sciacca e di Caltabellotta<br />

(provincia di Agrigento); partico<strong>la</strong>re delimitazione territoriale riguardante<br />

<strong>la</strong> DOC Sciacca “Riserva Rayana”.<br />

Tipologie di prodotto, varietà e caratteristiche: vini bianchi, rossi, rosato.<br />

Sciacca Bianco: vitigni Inzolia, Grecanico, e Catarratto lucido min. 70%;<br />

possono concorrere, fino ad un max. del 30%, altri vitigni a bacca bianca<br />

(non aromatici), raccomandati e/o autorizzati <strong>per</strong> <strong>la</strong> provincia. Colore<br />

giallo paglierino talvolta con riflessi verdognoli. Grad. Alc. Min. 10,5%<br />

vol..<br />

Sciacca rosso: vitigni merlot e/o Cabernet Sauvignon e/o Nero d’Avo<strong>la</strong><br />

e/o Sangiovese min. 70%; possono concorrere, fino ad un max. del<br />

15%, altri vitigni a bacca nera (non aromatici), raccomandati e/o autorizzati<br />

<strong>per</strong> <strong>la</strong> provincia. Colore rosso rubino. Grad. Alc. Min. 11,5% vol..<br />

Sciacca rosato: vitigni impiegati <strong>per</strong> lo Sciacca rosso sottoposto a processo<br />

di vinificazione in bianco, ovvero uve bianche e rosse con mostificazione<br />

contemporanea. Colore rosato più o meno intenso. Grad. Alc.<br />

Min. 10,5%vol..<br />

114


Sciacca monovarietali bianchi: vitigni Grecanico, Inzolia e Chardonnay<br />

min. 85%; possono concorrere <strong>per</strong> <strong>la</strong> restante <strong>per</strong>centuale altri vitigni<br />

a bacca bianca no aromatici, raccomandati e/o autorizzati <strong>per</strong> <strong>la</strong> provincia.<br />

Colore giallo paglierino più o meno intenso o con riflessi dorati.<br />

Grad. Alc. Min. 10% vol. (Grecanico), 10,5% vol. (Inzolia), 11,5% vol.<br />

(Chardonnay).<br />

Sciacca bianco “Riserva Rayana” : vitigni Catarratto lucido e Inzolia,<br />

separatamente o congiuntamente min. 80%; possono concorrere <strong>per</strong> <strong>la</strong><br />

restante <strong>per</strong>centuale altri vitigni a bacca bianca non aromatici, raccomandati<br />

e/o autorizzati <strong>per</strong> <strong>la</strong> provincia. Colore giallo dorato carico.<br />

Grad. alc. min. 13,5% vol..<br />

Sciacca monovarietali rossi: vitigni Merlot, Cabernet Sauvignon, Nero<br />

d’Avo<strong>la</strong>, Sangiovese min. 85%; possono concorrere <strong>per</strong> <strong>la</strong> restante <strong>per</strong>centuale<br />

altri vitigni a bacca nera non aromatici, raccomandati e/o autorizzati<br />

<strong>per</strong> <strong>la</strong> provincia. Colore rosso rubino più o meno carico. Grad. alc.<br />

min. 11,5% - 12% vol..<br />

Sciacca rosso “Riserva”: vitigni Merlot, Cabernet Sauvignon, Nero<br />

d’Avo<strong>la</strong> Sangiovese min. 70%; possono concorrere <strong>per</strong> <strong>la</strong> restante <strong>per</strong>centuale<br />

altri vitigni a bacca nera non aromatici, raccomandati e/o autorizzati<br />

<strong>per</strong> <strong>la</strong> provincia. Colore dal rosso rubino tendente al granato.<br />

Grad. alc. min. 12,5% vol..<br />

115


I cibi Maltesi<br />

Introduzione<br />

Fino al <strong>per</strong>iodo medievale Malta era un’iso<strong>la</strong> autonoma con <strong>la</strong> propria<br />

lingua, le proprie usanze e <strong>la</strong> propria economia antiquata e <strong>per</strong> secoli,<br />

essa riuscì a mantenere intatta l’essenza del<strong>la</strong> sua civiltà. Il caso volle<br />

che nel 16esimo secolo ci fosse un ribaltamento nel governo delle isole<br />

maltesi e tale ribaltamento comportò l’arrivo di una civiltà e un modo di<br />

vita che erano in evidente contrasto con lo stato di iso<strong>la</strong>mento delle isole<br />

maltesi. Malta venne integrata nelle rotte di navigazione del centro Mediterraneo<br />

e ciò ne comportò una metamorfosi culturale.<br />

Appare <strong>qui</strong>ndi che l’allevamento degli animali fosse supplito prevalentemente<br />

dall’orticoltura e dall’apicoltura. Sembra che gli arabi avessero<br />

introdotto in Sicilia non solo <strong>la</strong> coltivazione del cotone ma anche di nuovi<br />

esemp<strong>la</strong>ri di frutta quali le arance, e tale coltivazione approdò eventualmente<br />

anche a Malta. Sembra inoltre probabile che <strong>la</strong> coltivazione locale<br />

delle olive e <strong>la</strong> produzione dell’olio, caposaldi, sembra, dell’agricoltura<br />

maltese nel <strong>per</strong>iodo c<strong>la</strong>ssico, fossero quasi arrivate al<strong>la</strong> fine.<br />

La vegetazione delle isole maltesi come <strong>per</strong> il resto del Mediterraneo<br />

è costituita in prevalenza da arbusti sempreverdi dalle foglie <strong>la</strong>rghe. Il<br />

grande storico francese, Fernand Braudel, sostiene che uno può trovare<br />

“<strong>la</strong> stessa eterna trinità” di frumento, olive e viti nelle regioni del Mediterraneo.<br />

Ciò significa che invece di complementarsi a vicenda le diverse<br />

terre del Mediterraneo producevano prodotti agricoli identici. Di conseguenza<br />

gli stati che confinano con l’area mediterranea possiedono i medesimi<br />

granai e torchi <strong>per</strong> olive, le medesime cantine, i medesimi attrezzi<br />

e bestiami, nonché le stesse tradizioni agrarie e le stesse preoccupazioni<br />

giornaliere. Ne consegue che con una tale identità di prodotti agrari il<br />

risultato sia il medesimo in tutti i paesi che confinano con il mare. I paesi<br />

del Mediterraneo avrebbero <strong>qui</strong>ndi dovuto essere in competizione diretta<br />

l’uno con l’altro eppure fino all’avvento dell’industrializzazione, partico<strong>la</strong>rmente<br />

fino al<strong>la</strong> metà del 19esimo secolo, il volume totale di scambio<br />

era piccolo e le distanze <strong>per</strong>corse erano brevi.<br />

È stato fatto presente che nel<strong>la</strong> Sicilia del 16esimo secolo <strong>la</strong> coltivazione<br />

dei cereali si fosse diffusa grazie soprattutto al<strong>la</strong> coltivazione del<br />

frumento nelle sue tre varietà: <strong>la</strong> tunimunia o timilia che veniva raccolta<br />

in primavera; <strong>la</strong> roccel<strong>la</strong> o maiorca che veniva utilizzata <strong>per</strong> produrre il<br />

pane bianco del paese ma che difficilmente si poteva esportare <strong>per</strong>ché<br />

poteva facilmente andare a male; e il grano forte che poteva essere conservato<br />

a lungo termine ed era <strong>qui</strong>ndi preferito sia <strong>per</strong> <strong>la</strong> coltivazione che<br />

<strong>per</strong> l’esportazione. In effetti, Malta non produceva abbastanza frumento<br />

da nutrire i suoi abitanti. Infatti nel 1590 solo 3,879 salme e 9 tumoli era<br />

quanto l’iso<strong>la</strong> poteva produrre. Il 50% del grano maltese che consisteva<br />

prevalentemente di orzo, arrivava dalle campagne intorno ai vil<strong>la</strong>ggi di<br />

116


Birkirkara, Naxxar, Siggiewi e Zebbug. Questi vil<strong>la</strong>ggi totalizzavano una<br />

produzione di 1,975 salme e 10 tumoli di frumento.<br />

Nel corso dei secoli Malta si basava prevalentemente sul<strong>la</strong> produzione<br />

agraria. Si trattava di una società che era dominata dal cibo, soprattutto<br />

dal pane, sia nei contesti pubblici che privati di tutto il Mediterraneo<br />

e di tutta Europa.<br />

Il cibo contadino<br />

Tra <strong>la</strong> popo<strong>la</strong>zione contadina del<strong>la</strong> Malta rurale, alcuni viveri si consumavano<br />

solo nei giorni di festa e <strong>per</strong> occasioni speciali, come i matrimoni,<br />

oppure nelle grandi case dei contadini benestanti.<br />

Non erano solo i contadini benestanti a deliziarsi di una cucina ricca<br />

ed abbondante, ma anche <strong>la</strong> gente di paese che viveva dei prodotti più<br />

buoni e freschi del<strong>la</strong> campagna.<br />

Il cibo urbano<br />

Erano i cuochi di paese, infatti, a migliorare, arricchire e a volte raffinare<br />

i piatti semplici e gustosi.<br />

Entro il primo ’800 i meno poveri tra <strong>la</strong> gente di campagna presero in<br />

mano questa usanza mentre <strong>la</strong> gente di paese andava in cerca di nuove<br />

s<strong>qui</strong>sitezze da scoprire. È questo stile di cucina, tra l’urbano ed il rurale<br />

che ci è <strong>per</strong>venuto oggi in una forma più o meno adulterata, specialmente<br />

se pensiamo che stiamo andando indietro al<strong>la</strong> cucina dei nostri antenati.<br />

Tutto sommato, oggi giorno, l’industria alimentare ci fornisce <strong>la</strong><br />

maggiorparte di ciò che consumiamo.<br />

Il caffè<br />

Con molta probabilità il chicco di caffé arrivò dall’Etiopia. Raggiunse il<br />

Cairo, sotto specie di bevanda, entro il 1510 e Istanbul nel 1517. Si diffuse<br />

ampiamente nell’Im<strong>per</strong>o turco, a Damasco, Aleppo e Algeri ed entro<br />

<strong>la</strong> fine del 16esimo secolo si stabilì in tutto il mondo is<strong>la</strong>mico. Le prime<br />

testimonianze di viaggiatori occidentali risalgono intorno al<strong>la</strong> fine del<br />

16esimo secolo. Entro il 1615 il caffé raggiunse Venezia.<br />

Ci sono evidenze del consumo di caffè a Malta nel 1626. Gli schiavi<br />

musulmani s’incontravano in un negozio di caffè a Vittoriosa dove bevevano<br />

abitualmente il caffè. Contrariamente a ciò che si pensa il caffè non<br />

veniva servito nero; difatti si racconta che ad un signore venne servito<br />

un caffè macchiato che rifiutò. I Cavalieri di San Giovanni in visita nel<br />

continente europeo resero questa bevanda popo<strong>la</strong>re in Italia, Francia ed<br />

eventualmente in Spagna, Austria, nel<strong>la</strong> Germania meridionale e in altre<br />

zone d’Europa.<br />

I negozi di caffè entrarono in voga nel 18esimo secolo entro cui tempo<br />

venne abbassato lo stato sociale delle taverne.<br />

117


Il vino<br />

Nell’Europa sud-occidentale era <strong>la</strong> norma consumare il vino sin dal<br />

<strong>per</strong>iodo dei romani. Nel sud-est questa usanza venne introdotta molto<br />

tempo prima. Nonostante ciò lo stato di ebbrezza si diffuse ovunque entro<br />

il 16esimo secolo specialmente nelle grandi città. Non era necessario<br />

il consumo di vino di alta qualità <strong>per</strong> portare all’ebbrezza urbana. Il vino<br />

di qualità inferiore veniva consumato in grandi quantità nelle taverne e in<br />

casa ed era considerato un alimento di poco valore.<br />

A Malta, <strong>la</strong> maggiorparte dell’uva raccolta dai vigneti maltesi veniva<br />

venduta nei mercati come frutta. Secondo un cronista, nel 17esimo e nel<br />

18esimo secolo <strong>la</strong> viticoltura maltese era così scarsa, che quasi tutto il<br />

vino consumato a Malta era importato dal<strong>la</strong> Sicilia. Tale affermazione<br />

crea un certo effetto soprattutto se si prende in considerazione che a<br />

causa di una scelta ridotta di bevande, il vino e l’acqua risultavano essere<br />

le bevande principali di quei tempi.<br />

L’Aquavite<br />

L’aquavite (brandy) e il liquore d’anici venivano consumati in quantità<br />

ridotte, soprattutto nel<strong>la</strong> zona portuale e tra <strong>la</strong> milizia.<br />

Il liquore d’anice era parico<strong>la</strong>rmente diffuso tra gli uomini durante le<br />

celebrazioni speciali, come le feste di matrimonio. Durante tali occasioni<br />

le donne consumavano il rosolio, preparato in colori diversi.<br />

Il Tabacco<br />

Il tabacco ebbe origine nel Nuovo Mondo. Quando Colombo approdò<br />

a Cuba nel novembre del 1492 egli vide gli indigeni fumare foglie di tabacco<br />

arroto<strong>la</strong>te. La pianta, così anche il suo nome, venne portata in Europa<br />

dove rimase oggetto del<strong>la</strong> curiosità <strong>per</strong> un <strong>per</strong>iodo di tempo alquanto<br />

lungo. Questa pianta che venne coltivata in Spagna e si diffuse rapidamente<br />

in Francia, Inghilterra, Italia, Russia e nei Balcani cresceva solitamente<br />

nei giardini botanici e si credeva possedesse delle sostanze<br />

medicinali.<br />

La pianta venne fatta oggetto di commercio a Lisbona, Siviglia e soprattutto<br />

Amsterdam non prima degli inizi del ’600, nonostante che il tabacco<br />

da naso avesse già riscosso popo<strong>la</strong>rità a Lisbona almeno dal<br />

1558. Una testimonianza che evidenzia <strong>la</strong> vendita del tabacco a Malta<br />

risale al 1630 quando Mastro Gioseppe Callus vendette due sacche di<br />

tabacco a due mercanti ebrei. La sacca venne imbarcata su una tartana<br />

che venne poi saccheggiata da pirati musulmani e se ne <strong>per</strong>sero le tracce.<br />

In Europa e nelle terre del Mediterraneo si fumava il tabacco con pipe<br />

fatte di argil<strong>la</strong>. I sigari e le sigarette vennero introdotti solo nel<br />

19esimo secolo.<br />

118


La Bigil<strong>la</strong><br />

É un impasto di fave essiccate. Oggi giorno <strong>la</strong> bigil<strong>la</strong> è un alimento assai<br />

popo<strong>la</strong>re, considerata una tradizionale delizia maltese. In effetti <strong>la</strong> bigil<strong>la</strong><br />

veniva comunemente consumata in occasione del decesso di un membro<br />

famigliare. Entro il 16esimo <strong>la</strong> bigil<strong>la</strong> diventò un espediente poco costoso<br />

<strong>per</strong> porgere i propri rispetti al morto e <strong>per</strong> fare un’o<strong>per</strong>a di carità<br />

nei confronti dei poveri. Era usanza, infatti, prepararne grandi quantità<br />

da distribuire ai poveri, essendoci <strong>la</strong> credenza che questo alimento poteva<br />

alleviare le pene delle anime del purgatorio.<br />

Questa pietanza non è di origini strettamente maltesi, tant’è che gli<br />

antichi romani offrivano i fagioli ai loro morti. La fava era l’unica varietà<br />

di fagiolo che gli era nota ed era già diffusa nel Medio Oriente dal 3000<br />

a.C. circa. Sempre allo stesso <strong>per</strong>iodo risalgono le pratiche religiose a<br />

cui veniva associata. Le fave venivano offerte in sacrificio nelle cerimonie<br />

ai morti, e come tanti altri riti pagani, queste cerimonie vennero riproposte<br />

dal<strong>la</strong> Chiesa Cattolica. Molte comunità rurali dell’Europa meridionale,<br />

partico<strong>la</strong>rmente dell’Italia, tutt’oggi associano lo stufato di fagioli<br />

al<strong>la</strong> ‘festa dei mortì. A Malta era partico<strong>la</strong>rmente diffuso tra <strong>la</strong> gente povera<br />

delle località portuali.<br />

Alimenti popo<strong>la</strong>ri del mondo moderno<br />

irre<strong>per</strong>ibili fino al 18esimo secolo<br />

La Patata<br />

Oggi giorno i maltesi associano i piatti a base di carne alle patate.<br />

Eppure non si tratta di un’usanza antica bensì di una cosa re<strong>la</strong>tivamente<br />

nuova. È solo al<strong>la</strong> fine del 19esimo secolo che <strong>la</strong> patata diventò un alimento<br />

essenziale nel<strong>la</strong> dieta dei maltesi e <strong>la</strong> sua introduzione non era<br />

stata priva di difficoltà. Difatti ci volle molta <strong>per</strong>suasione da parte degli<br />

agronomi maltesi e britannici prima che le patate, arrivate in Europa<br />

tramite gli spagnoli nel tardo 16esimo secolo e susseguentemente coltivate<br />

dagli inglesi agli inizi del 17esimo secolo, venissero coltivate.<br />

Sembra che <strong>la</strong> pianta del<strong>la</strong> patata fosse stata introdotta dall’ufficiale<br />

giudiziario Argotti, un dignitario dell’Ordine di San Giovanni, il quale stabilì<br />

i giardini botanici di Argotti a Floriana nel 1774.<br />

Durante gli anni del colonialismo britannico, l’agricoltura maltese attraversò<br />

una profonda svolta, spinta soprattutto dalle autorità concernate,<br />

e nel tentativo di incrementare <strong>la</strong> provvista del cibo vennero introdotte<br />

nuove piante da raccolto. Sembra che intorno al 1803 Alexander Ball introdusse<br />

<strong>la</strong> patata come pianta <strong>per</strong> generare soldi. La patata risultò un<br />

alimento molto prezioso <strong>per</strong> <strong>la</strong> flotta brittanica nel Mediterraneo soprattutto<br />

<strong>per</strong>ché in quel <strong>per</strong>iodo <strong>la</strong> flotta stava bloccando <strong>la</strong> maggiorparte dei<br />

porti del Mediterraneo.<br />

119


Ciò nonostante fino agli anni ’50 dell’800 non c’è traccia del suo uso<br />

in cucina. Durante <strong>la</strong> prima esibizione agraria tenuta il 29 giugno del<br />

1854, <strong>la</strong> patata era ancora considerata una rarità nell’agricoltura maltese<br />

tant’è che risulta esserci stato un solo contadino ad aver esibito questa<br />

pianta e <strong>la</strong> qualità non era altissima. Con il passare degli anni <strong>la</strong> pianta<br />

iniziò a riscuotere popo<strong>la</strong>rità e dal<strong>la</strong> seconda metà del 19esimo secolo,<br />

oltre a rimpiazzare le più tradizionali piante da raccolto come il seme del<br />

cumino e il cotone, i contadini iniziarono a seminarne due raccolti<br />

all’anno.<br />

Il Pomodoro<br />

A contribuire al<strong>la</strong> diffusione dei pomodori in Italia e in Francia da dove<br />

vennero poi introdotti a Malta, ci furono numerosi fattori: erano facili da<br />

coltivare, trasportare e preservare, costavano poco e si prestavano bene<br />

all’uso in cucina. Entro <strong>la</strong> metà del ’700 avevano già riscosso popo<strong>la</strong>rità<br />

a Napoli e nei suoi dintorni e anche in Provenza, ma a contribuire al loro<br />

successo fu <strong>la</strong> haute cuisine parigina che li rese un must nel<strong>la</strong> cucina<br />

raffinata di Francia e d’Europa.<br />

Entro <strong>la</strong> fine del 18esimo secolo, <strong>la</strong> salsa di pomodoro diventava un<br />

condimento di successo <strong>per</strong> piatti a base di carne, pesce e uova e nel<br />

19esimo secolo le ricette a base di pomodoro iniziarono ad aumentare,<br />

rendendoli così un alimento di <strong>la</strong>rgo consumo e non più una rarità. Nonostante<br />

le origini americane, i pomodori si adattarono bene al loro nuovo<br />

habitat mediterraneo soprattutto nell’Italia e nel<strong>la</strong> Spagna meridionale<br />

e, naturalmente, anche a Malta. Entro <strong>la</strong> fine del 19esimo secolo questo<br />

frutto del Nuovo Mondo diventò il simbolo del<strong>la</strong> cucina dell’Europa meridionale.<br />

I Formaggi<br />

A Malta i formaggi erano popo<strong>la</strong>ri e comuni nei secoli scorsi. Le evidenze<br />

documentate vanno indietro al 18esimo secolo dove vengono indicati<br />

vari tipi di formaggi. Viene inoltre indicato che in alcune zone<br />

d’Italia veniva consumato un certo tipo di formaggio ed era conosciuto<br />

come formaggio maltese.<br />

Questi formaggi sono databili al <strong>per</strong>iodo arabo a Malta, <strong>per</strong>ché i vocaboli<br />

che tutt’oggi indicano il nome dei formaggi sono di origine semitica.<br />

La Carne di Maiale<br />

Il consumo di carne di maiale era anch’esso piuttosto comune. Ci è<br />

dato sa<strong>per</strong>lo dai numerosi proverbi che sono databili al 18esimo secolo,<br />

comunque esistono altre testimonianze sul consumo del maiale che portano<br />

al 15esimo secolo.<br />

120


La Carne di Maiale con Riso<br />

Secondo Agius de Soldani sembrava esserci un sistema partico<strong>la</strong>re<br />

di come preparare tale pasto. La partico<strong>la</strong>rità più interessante è che <strong>la</strong><br />

carne veniva preparata in un contenitore a forma di vascello e di conseguenza<br />

venne ad esser nota come “porchetta in galera”.<br />

Il Pane<br />

Con l’arrivo dei cavalieri a Malta nel 1530 vennero introdotte diverse<br />

qualità di pane. Sembra che il consumo del pane maltese fosse già diffuso<br />

e continuò ad esserlo soprattutto tra <strong>la</strong> gente povera e di campagna.<br />

I cavalieri, dal canto loro, preferivano il pane al<strong>la</strong> francese. Sempre<br />

durante il <strong>per</strong>iodo dei cavalieri, agli infermi, ai soldati e ai marinai veniva<br />

distribuito un pane bianco noto come pane di seconda qualità. La terza<br />

qualità, ritenuta quel<strong>la</strong> dal valore meno nutrizionale, era il pane nero distribuito<br />

agli schiavi e a tutti i rematori delle galere dell’Ordine.<br />

È interessante rilevare che oggi abbiamo una qualità di pane dal nome<br />

di ‘ftira’. Si tratta di una qualità diversa dalle altre <strong>per</strong>ché è un tipo di<br />

pane quasi azzimo e piatto. Come Agius de Soldanis fa rilevare, questo<br />

pane veniva unito all’olio e/o al miele. Ciò nonostante <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> stessa si<br />

riferisca al fatto che uno consumava un pasto al<strong>la</strong> fine di una gioranta di<br />

astinenza. Si può <strong>qui</strong>ndi affermare che <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> che è oggi sinonimo di<br />

questo tipo di pane, fosse un tempo il pasto che l’uomo povero consumava<br />

al termine di una giornata di <strong>la</strong>voro.<br />

La Pasta<br />

Il nome generico di pasta si riferisce alle sue varie qualità nonché al<br />

metodo usato nel<strong>la</strong> sua preparazione. Agius de Soldanis fa accenno ad<br />

una qualità di tagliatelle conosciuta in maltese con il nome di fdewxa.<br />

Sembra che ci fossero tipi differenti di pasta fatta a mano dai contadini.<br />

Alcuni erano di forma lunga e sottile, mentre altri avevano una forma più<br />

picco<strong>la</strong> e spessa. È possibile che oltre a preparare un tipo di pasta <strong>per</strong> le<br />

<strong>la</strong>sagne, altri ne venivano preparati <strong>per</strong> essere consumati nelle zuppe<br />

aggiungendo così più valore nutrizionale al pasto. Sembra inoltre che<br />

anche i maltesi consumassero <strong>la</strong> focaccia e Agius de Soldanis fa riferimento<br />

a come ne avveniva <strong>la</strong> preparazione e a come i maltesi <strong>la</strong> riscaldassero<br />

vicino al fuoco. A prova di ciò esiste un vecchio proverbio maltese<br />

il quale sottolinea che a tutti piace <strong>la</strong> focaccia calda.<br />

La presenza dei macaroni è già documentata intorno al<strong>la</strong> metà del<br />

17esimo secolo anche se non è nota <strong>la</strong> qualità e <strong>la</strong> forma di questo popo<strong>la</strong>re<br />

pasto maltese.<br />

La paro<strong>la</strong> figol<strong>la</strong> è tutt’oggi in uso. Secondo Agius de Soldanis, in<br />

passato questo dolce era a forma di una figura maschile e femminile e<br />

veniva preparato in occasione del<strong>la</strong> Settimana Santa. Esistevano altre<br />

121


forme come cesti e animali e sopra ci veniva posto un uovo, il simbolo<br />

del<strong>la</strong> resurrezione.<br />

La qarcil<strong>la</strong> era una qualità partico<strong>la</strong>re di pasta originariamente preparata<br />

<strong>per</strong> le feste nuziali. Si trattava di un tipo di focaccia con sopra decorate<br />

due figure, lo sposo e <strong>la</strong> sposa.<br />

La qassata è tutt’oggi di <strong>la</strong>rgo consumo. Si tratta di una torta ripiena<br />

di formaggio e uova anche se al giorno d’oggi i ripieni possono essere di<br />

vario genere. Ha forma rotonda e le dimensioni possono variare a seconda<br />

dei gusti (Agius de Soldanis). A differenza dei cannoli siciliani e<br />

genovesi a cui è stata spesso associata, <strong>la</strong> qassata viene servita calda.<br />

Una produzione dolciaria conosciuta semplicemente con il nome di helwa<br />

è documentata da M.A. Vassalli il quale <strong>la</strong> descrive come un tipo di<br />

<strong>la</strong>sagne a base di miele. Una volta <strong>la</strong>vorata, essa diventa bianca ed e<strong>la</strong>stica.<br />

La helwa odierna è diversa da quel<strong>la</strong> del 18esimo secolo e descritta<br />

da Vassalli.<br />

Una ciambel<strong>la</strong> a base di pasta dolce era semplicemente nota come<br />

qaghqa (Agius de Soldanis). Questa ciambel<strong>la</strong> era ripiena di una varietà<br />

di ingredienti, oppure semplicemente di miele o di conserva di pomodoro.<br />

La varietà che è tutt’oggi <strong>la</strong> più comune è <strong>la</strong> qaghqa tà l-ghasel. Nonostante<br />

il nome, cioè ciambel<strong>la</strong> al miele, <strong>la</strong> misce<strong>la</strong> usata <strong>per</strong> il ripieno<br />

non comprende l’uso del miele come si usava un tempo. Oggi giorno il<br />

ripieno è a base di un impasto di me<strong>la</strong>ssa, zucchero, cacao e di spezie<br />

varie. In passato questo dolce veniva rega<strong>la</strong>to in occasione del Natale<br />

<strong>per</strong>ché il cerchio simboleggia l’eternità e il miele indica <strong>la</strong> dolcezza degli<br />

insegnamenti di Gesù Cristo.<br />

Il maqrut era un altro tipo di dolce molto diffuso tra i nostri antenati<br />

maltesi. Si tratta di un dolce a base di una pasta dolce a forma quadrango<strong>la</strong>re<br />

con un ripieno di datteri, chiodi di garofano, anice e acqua di fiori<br />

d’arancio, il quale viene fritto in olio molto caldo <strong>per</strong> ottenere una bel<strong>la</strong><br />

doratura. Si pensa che abbia origini che risalgono al primo <strong>per</strong>iodo<br />

dell’Ordine dei Cavalieri, cioè al 16esimo secolo. Ci sono molte simi<strong>la</strong>rità<br />

con alcuni dolci dell’Italia settentrionale (Bernardy). Sono tutt’oggi molto<br />

diffusi a Malta.<br />

Un altro dolce partico<strong>la</strong>re che è sinonimo delle attività religiose e culturali<br />

delle numerose parrocchie intorno alle isole maltesi, è il qubbajt.<br />

Si tratta di un dolce a base di miele e può essere bianco o caramel<strong>la</strong>to<br />

(Agius de Soldanis). Oggi giorno al<strong>la</strong> misce<strong>la</strong> vengono unite le nocciole<br />

122


e del<strong>la</strong> frutta candita. È di consistenza dura e <strong>qui</strong>ndi ha una data di scadenza<br />

lunga. In tempi lontani questo dolce era il mezzo tramite il quale<br />

un futuro sposo si presentava ai suoceri il giorno del<strong>la</strong> festa di vil<strong>la</strong>ggio.<br />

Questi dolci si possono ac<strong>qui</strong>stare da chioschi di legno molto tradizionali<br />

che vengono allestiti nelle piazze principali dove viene celebrata <strong>la</strong> festa<br />

del vil<strong>la</strong>ggio.<br />

Un altro dolce che viene associato ad un altro evento partico<strong>la</strong>re è lo<br />

xkunvat che veniva consumato <strong>per</strong> celebrare il fidanzamento di una<br />

coppia. Originariamente questo dolce era composto di una sottile pasta<br />

dolce, simile alle fettuccine, unito al miele e poi fritto in olio bollente (Agius<br />

de Soldanis). Viene inoltre affermato che in passato ci veniva aggiunto<br />

l’anice oltre al miele (Caruana).<br />

Sembra che <strong>la</strong> kuccija fosse stata introdotta dai greci e che nel 1575<br />

venisse già consumata nelle isole maltesi. In un documento del delegato<br />

apostolico, il Monsignor Pietro Dusina, c’è una testimonianza del consumo<br />

di questo pasto in una cerimonia religiosa celebrata il 10 di febbraio.<br />

123


Sapori letterari<br />

IL CIBO DEI POVERI<br />

da “Jeli il pastore” di Giovanni Verga<br />

“Adesso badava alle sue pecore, e ad imparare come si fa il formaggio,<br />

e <strong>la</strong> ricotta, e il caciocavallo, e ogni altro frutto di mandra; ma fra<br />

le chiacchiere che correvano al<strong>la</strong> sera nel cortile tra gli altri pastori e<br />

contadini, mentre le donne sbucciavano le fave del<strong>la</strong> minestra, se si<br />

veniva a par<strong>la</strong>re del figlio di massaro Neri, il quale si prendeva in moglie<br />

Mara di massaro Agrippino, Jeli non diceva più nul<strong>la</strong>, e nemmeno<br />

osava di aprir bocca. Una volta che il campaio lo motteggiò, dicendogli<br />

che Mara non aveva voluto sa<strong>per</strong>ne più di lui, dopo che tutti avevano<br />

detto che sarebbero stati marito e moglie, Jeli che badava al<strong>la</strong><br />

pento<strong>la</strong> in cui bolliva il <strong>la</strong>tte, rispose facendo sciogliere il caglio adagio<br />

adagio:<br />

- Ora Mara si è fatta più bel<strong>la</strong> col crescere, che sembra una signora -<br />

.”<br />

da “I Ma<strong>la</strong>voglia” di Giovanni Verga<br />

(U cunsolu)<br />

“Gli amici portavano qualche cosa, com’è l’uso, pasta, ova, vino e<br />

ogni ben di Dio, che ci sarebbe voluto il cuor contento <strong>per</strong> mangiarsi<br />

tutto, e <strong>per</strong>fino compar Alfio Mosca era venuto con una gallina <strong>per</strong><br />

mano. (…) Donna Rosolina intanto raccontava a don Silvestro le<br />

grosse faccende che ci aveva <strong>per</strong> le mani: dieci canne di ordito sul te<strong>la</strong>io,<br />

i legumi da seccare <strong>per</strong> l’inverno, <strong>la</strong> conserva dei pomidoro da<br />

fare, che lei ci aveva un segreto tutto suo <strong>per</strong> avere <strong>la</strong> conserva dei<br />

pomidoro fresca tutto l’inverno.”<br />

da “Mastro-don Gesualdo” di Giovanni Verga<br />

“Come Dio volle finalmente, dopo un digiuno di ventiquattr’ore, don<br />

Gesualdo potè mettersi a tavo<strong>la</strong>, seduto di faccia all’uscio, in maniche<br />

di camicia, coi piedi indolenziti nelle vecchie ciabatte ch’erano<br />

anch’esse una grazia di Dio. La ragazza gli aveva apparecchiata una<br />

minestra di fave novelle, con una cipol<strong>la</strong> in mezzo, quattr’ova fresche,<br />

e due pomidori ch’era andata a cogliere tastoni dietro <strong>la</strong> casa. Le ova<br />

friggevano nel tegame, il fiasco pieno davanti; dall’uscio entrava un<br />

venticello fresco ch’era un piacere, insieme al tril<strong>la</strong>re dei grilli, e<br />

all’odore dei covoni nell’aia (…)<br />

Gesualdo posando il fiasco mise un sospirone, e appoggiò i gomiti sul<br />

deschetto:<br />

Tu non mangi?…Cos’hai?<br />

Diodata stava zitta in un cantuccio, seduta su di un barile, e le passò<br />

negli occhi, a quelle parole, un sorriso di cane accarezzato.<br />

124


- Devi avere fame anche tu. Mangia! Mangia!<br />

Essa mise <strong>la</strong> scodel<strong>la</strong> sulle ginocchia, e si fece il segno del<strong>la</strong> croce<br />

prima di cominciare, poi disse: - Benedicite a vossignoria!”<br />

LA CUCINA DEI BENEDETTINI<br />

da “I VICERÉ” di Federico De Roberto<br />

“ I monaci infatti facevano l’arte di Miche<strong>la</strong>sso: mangiare, bere e andare<br />

a spasso. Levatisi, <strong>la</strong> mattina, scendevano a dire ciascuno <strong>la</strong><br />

sua messa, giù nel<strong>la</strong> chiesa, spesso a porte chiuse, <strong>per</strong> non essere<br />

disturbati dai fedeli; poi se ne andavano in camera, a prendere qualcosa,<br />

in attesa del pranzo, a cui <strong>la</strong>voravano, nelle cucine spaziose<br />

come una caserma, non meno di otto cuochi, otre gli sguatteri. Ogni<br />

giorno i cuochi ricevevano da Nicolosi quattro carichi di carbone di<br />

quercia, <strong>per</strong> tenere i fornelli sempre accesi, e solo <strong>per</strong> <strong>la</strong> frittura il Cellerario<br />

di cucina consegnava loro, ogni giorno, quattro vesciche di<br />

strutto, di due rotoli ciascuna, e due cafissi d’olio: roba che in casa<br />

del principe bastava <strong>per</strong> sei mesi. I calderoni e le graticole erano tanto<br />

grandi che ci si poteva bollire tutta una coscia di vitel<strong>la</strong> e arrostire<br />

un pesce spada sano sano; sul<strong>la</strong> grattugia, due sguatteri, agguantata<br />

ciascuno mezza ruota di formaggio, stavano un’ora a spial<strong>la</strong>rve<strong>la</strong>; il<br />

ceppo era un tronco di quercia che due uomini non arrivavano ad abbracciare,<br />

ed ogni settimana un falegname, che riceveva quattro tarì<br />

e mezzo barile di vino <strong>per</strong> questo servizio, doveva segarne due dita,<br />

<strong>per</strong>ché si riduceva inservibile, dal tanto trituzzare. In città, <strong>la</strong> cucina<br />

dei Benedettini era passata in proverbio; il timballo di maccheroni con<br />

<strong>la</strong> crosta di pastafrol<strong>la</strong>, le arancine di riso grosse ciascuna come un<br />

mellone, le olive imbottite, i crespelli me<strong>la</strong>ti erano piatti che nessun altro<br />

cuoco sapeva <strong>la</strong>vorare; e pei ge<strong>la</strong>ti, <strong>per</strong> lo spumane, <strong>per</strong> <strong>la</strong> cassata<br />

ge<strong>la</strong>ta, i Padri avevano chiamato apposta da Napoli don Tino, il<br />

giovane del caffè di benvenuto. Di tutta quel<strong>la</strong> roba se ne faceva poi<br />

tanta, che ne mandavano in regalo alle famiglie dei Padri e dei novizi,<br />

e i camerieri, rivedendo gli avanzi, ci ripigliavano giornalmente quando<br />

quattro e quando sei tarì ciascuno.”<br />

LUMÌE DI SICILIA<br />

dall’omonima novel<strong>la</strong> di Luigi Pirandello<br />

“Prese <strong>la</strong> valigetta e il sacchettino di sotto <strong>la</strong> tavo<strong>la</strong>, e s’avviava <strong>per</strong><br />

uscire, quando gli venne in mente che lì, dentro il sacchetto, c’erano<br />

le belle lumìe ch’egli aveva portato a teresina dal paese.<br />

- Oh, guardate, zia Marta, - riprese.<br />

Sciolse <strong>la</strong> bocca al sacchetto e, facendo riparo d’un braccio, versò<br />

quei freschi frutti fragranti sul<strong>la</strong> tavo<strong>la</strong>.<br />

- E se mi mettessi a tirare tutte queste lumìe, - soggiunse – sul<strong>la</strong> testa<br />

125


126<br />

di quei ga<strong>la</strong>ntuomini là?<br />

- Per carità - gemette <strong>la</strong> vecchina tra le <strong>la</strong>grime, facendogli un nuovo<br />

cenno supplichevole di tacere.<br />

- No, niente, - riprese Micuccio, ridendo acre e rimettendosi in tasca il<br />

sacchetto vuoto. – Le avevo portate a lei; ma ora le <strong>la</strong>scio a voi so<strong>la</strong>,<br />

zia Marta.<br />

- Sentite, zia Marta, sentite l’odore del nostro paese… E dire che ci<br />

ho anche pagato il dazio… Basta. A voi so<strong>la</strong>, badate bene… A lei dite<br />

così: “Buona fortuna!” a nome mio.<br />

Riprese <strong>la</strong> valigetta e andò via. Ma <strong>per</strong> <strong>la</strong> sca<strong>la</strong>, un senso<br />

d’angoscioso smarrimento lo vinse: solo, abbandonato, di notte, in<br />

una grande città sconosciuta, lontano dal suo paese; deluso, avvilito,<br />

scornato. Giunse al portone, vide che pioveva a dirotto. Non ebbe il<br />

coraggio di avventurarsi <strong>per</strong> quelle vie ignote, sotto quel<strong>la</strong> pioggia.<br />

Rientrò pian piano, rifece una branca di sca<strong>la</strong>, poi sedette sul primo<br />

scalino e appoggiando i gomiti su le ginocchia e <strong>la</strong> testa tra le mani, si<br />

mise a piangere silenziosamente.<br />

Sul finir del<strong>la</strong> cena, Sina Marnis fece un’altra comparsa nel<strong>la</strong> cameretta.<br />

Vi trovò <strong>la</strong> mamma che piangeva anche lei, so<strong>la</strong>, mentre di là<br />

quei signori schiamazzavano e ridevano.<br />

- É andato via? – domandò, sorpresa.<br />

Zia marta accenno di sì col capo, senza guardar<strong>la</strong>. Sina fissò gli occhi<br />

nel vuoto, assorta, poi sospirò:<br />

- Poverino…<br />

Ma subito dopo le venne di sorridere.<br />

- Guarda, - le disse <strong>la</strong> madre, senza frenar più le <strong>la</strong>grime col tovagliolo<br />

– ti aveva portato le lumìe…<br />

- Oh, belle! – esc<strong>la</strong>mò Sina, con un balzo. Strinse un braccio al<strong>la</strong> vita<br />

e ne prese con l’altro mano quanto più poteva portarne.<br />

-No, di là no! – protestò vivamente <strong>la</strong> madre.<br />

Ma Sina scrollò le spalle e corse in sa<strong>la</strong> gridando:<br />

- Lumìe di Sicilia! Lumìe di Sicilia!”<br />

AL “PASCOLI & GIGLIO”<br />

da “Il garofano rosso” di Elio Vittorini<br />

“Aspettavamo <strong>la</strong> campana del secondo orario, tra undici e mezzogiorno,<br />

pigramente raccolti, sbadigliando, intorno ai tavolini del caffè Pascoli &<br />

Giglio, ch’era il caffè nostro, del Ginnasio-Liceo, sull’angolo di quel<strong>la</strong><br />

strada, anch’essa nostra, con <strong>la</strong> via principale del<strong>la</strong> città, dai borghesi<br />

detta Corso e da noi Parasanghea:<br />

I più fortunati mandavano giù l’una dietro l’altra granite di mandor<strong>la</strong>, <strong>la</strong><br />

più buona cosa da mandar giù ch’io ricordi del<strong>la</strong> mia infanzia; e c’era <strong>la</strong><br />

tenda rosso marrone che bruciava di sole come un sospeso velo di sab-


ia sopra i tavolini. C’erano discorsi di grandi parole, di grandi s<strong>per</strong>anze,<br />

e c’erano i pettegolezzi sco<strong>la</strong>ri sulle medie, i temi in c<strong>la</strong>sse, i professori e<br />

i compagni sgobboni.”<br />

ARANCE E DISPERAZIONE<br />

da “Conversazione in Sicilia” di Elio Vittorini<br />

“ E lui, piccolo siciliano, restò muto un pezzo nel<strong>la</strong> s<strong>per</strong>anza, poi<br />

guardò ai suoi piedi <strong>la</strong> moglie bambina che sedeva immobile, scura,<br />

tutta chiusa, sul sacco, e diventò dis<strong>per</strong>ato, e dis<strong>per</strong>atamente, come<br />

dianzi a bordo, si chinò e sfilò un pò di spago dal paniere, tirò fuori<br />

un’arancia, e dis<strong>per</strong>atamente l’offrì, ancora chino sulle gambe piegate,<br />

al<strong>la</strong> moglie e, dopo il rifiuto senza parole di lei, dis<strong>per</strong>atamente fu<br />

avvilito con l’arancia in mano, e cominciò a pe<strong>la</strong>r<strong>la</strong> <strong>per</strong> sé, a mangiar<strong>la</strong><br />

lui, ingoiando come se ingoiasse maledizioni.<br />

- Si mangiano a insa<strong>la</strong>ta, - io dissi, - <strong>qui</strong> da noi.<br />

- In America? – chiese il siciliano.<br />

- No, - io dissi , - <strong>qui</strong> da noi.<br />

- Qui da noi? – il siciliano chiese. – A insa<strong>la</strong>ta con l’olio?<br />

- Sì, con l’olio, - dissi io. – E uno spicchio d’aglio, e il sale…<br />

- E col pane? – disse il siciliano.<br />

- Sicuro, - io risposi. – Col pane. Ne mangiavo sempre <strong>qui</strong>ndici anni<br />

fa, ragazzo…<br />

A CASA DI DONNA CONCEZIONE<br />

da “Conversazione in Sicilia” di Elio Vittorini<br />

“ La signora apparve, alta, con <strong>la</strong> testa chiara, e io riconobbi <strong>per</strong>fettamente<br />

mia madre, una donna alta coi capelli castani quasi biondi, e<br />

il mento duro, il naso duro, gli occhi neri. Aveva sulle spalle una co<strong>per</strong>ta<br />

rossa in cui si teneva calda.<br />

(…)<br />

Venne odore di aringa ad arrostire, così mia madre soggiunse:- Andiamo<br />

in cucina…Ho l’aringa sul fuoco!-<br />

Si andò nel<strong>la</strong> stanza accanto dove il sole batteva sul<strong>la</strong> spalliera di ferro<br />

scuro del letto, e di là nel<strong>la</strong> picco<strong>la</strong> cucina dove il sole batteva su<br />

ogni cosa. In terra, dentro una pedana di legno, c’era acceso un braciere<br />

di rame. L’aringa vi arrostiva sopra, fumando, e mia madre si<br />

chinò a voltar<strong>la</strong>.<br />

- Sentirai com’è buona, - disse.<br />

- Sì, - diss’io, e respiravo l’odore dell’aringa, e non mi era indifferente,<br />

mi piaceva, lo riconoscevo odore dei pasti del<strong>la</strong> mia infanzia.<br />

- Immagino non ci sia nul<strong>la</strong> di più buono, - dissi. E domandai: - Ne<br />

mangiavamo, quand’ero ragazzo?-<br />

- Altro che,- disse mia madre. – Aringhe d’inverno e pe<strong>per</strong>oni<br />

127


128<br />

d’estate. Era sempre il nostro modo di mangiare. Non ti ricordi?<br />

- E le fave coi cardi, - dissi io, ricordando.<br />

- Sì, - disse mia madre, - le fave coi cardi. Tu eri pazzo <strong>per</strong> le fave coi<br />

cardi.<br />

- Ah! – dissi io. – Ne ero pazzo?<br />

E mia madre: - Sì, ne avresti voluto sempre un secondo piatto… E<br />

così pure le lenticchie cucinate con <strong>la</strong> cipol<strong>la</strong>, i pomodori secchi, e il<br />

<strong>la</strong>rdo…<br />

- E un rametto di rosmarino, no? – dissi io.<br />

E mia madre: - Sì,… E un rametto di rosmarino.<br />

E io: - Anche di loro ne avrei voluto sempre un secondo piatto?<br />

E mia madre: - Altro che! Eri come Esaù… Avresti dato via <strong>la</strong> primogenitura<br />

<strong>per</strong> un secondo piatto di lenticchie…”<br />

I PIACERI DELLA TAVOLA<br />

da “I piaceri” di Vitaliano Brancati<br />

“(…) Io non voglio far torto a vostro zio. Lo ammiro e lo rispetto. Ma<br />

vedete, professore, fra mio padre e vostro zio corre questo: che vostro<br />

zio sa mangiare (…) E mio padre, oltre che mangiare, sapeva<br />

anche cucinare!”<br />

“Chi mangia fa molliche, caro mio! Voglio dire che chi mangia sa anche<br />

cosa mangia.”<br />

Ci fu una pausa. “Quante me n’ha insegnate, quell’uomo! Per esempio:<br />

i pe<strong>per</strong>oni vanno conditi con sale grosso..."<br />

“E olio rancido!” Gridò il coro.<br />

“Proprio così: e olio rancido, che raschi <strong>la</strong> go<strong>la</strong>! Questo me l’ha insegnato<br />

lui.”<br />

“Oh, ma son cose che si sanno!” disse colui che aveva conservato <strong>la</strong><br />

pipa e mandava, dall’interno del<strong>la</strong> giacca, un puzzo di bruciato. “Chi<br />

condirebbe i pe<strong>per</strong>oni con sale fino e olio Sasso? Un pazzo so<strong>la</strong>mente!<br />

Però, nessuno vuole togliere merito a vostro zio; e tanto meno io,<br />

che ho avuto <strong>la</strong> gioia di vederlo mangiare più di una volta. Santo Cristo,<br />

era un vero piacere! Dopo un pranzo di sa<strong>la</strong>me, pastasciutta, un<br />

piatto di carne, un piatto di pesce, un piatto di salsiccia, un altro piatto<br />

di pesce, frutta e cannoli di ricotta, ecco che il vostro zio capitava da<br />

un amico nell’ora del<strong>la</strong> tavo<strong>la</strong> e, <strong>per</strong> non mostrarsi scortese con<br />

l’ospite, ricominciava a mangiare, tran<strong>qui</strong>llo, come se avesse lo stomaco<br />

vuoto”.<br />

(…)<br />

“É indubitabile che, spesso, sotto forme sottili, si nascondono veri giganti<br />

del ventre, veri semidei del<strong>la</strong> tavo<strong>la</strong>. (…) Tutta <strong>la</strong> natura<br />

s’affatica a riempire il piatto di questi potenti, di questi re del<strong>la</strong> tavo<strong>la</strong>,<br />

fra le cui mani il coltello luccica come un sottile scettro. ( Nota: É an-


che vero che gli uomini più fastidiosi e crudeli seguono una dieta.<br />

Molte decisioni folli si devono agli astemi; e oratori terribili, nel momento<br />

in cui facevano tremare l’uditorio con le loro terribili parole, avevano<br />

nel ventre soltanto un bicchiere di <strong>la</strong>tte.)<br />

Taluni di costoro, come abbiamo detto, nascondono <strong>la</strong> loro potenza<br />

sotto forme minute che ingannerebbero il cuoco più es<strong>per</strong>to.<br />

Ricordo che, un giorno d’estate, un gruppo di <strong>per</strong>sone siamo andate<br />

a far co<strong>la</strong>zione nel<strong>la</strong> casetta di un amico, prossima a Z. Fra noi<br />

c’erano due signori di mezza età. Asciutti, magri (…) nessuno li aveva<br />

notati, e io dimenticavo spesso che l’uno si chiamava L. e l’altro S. I<br />

due (…) erano famosi come due grandi pugi<strong>la</strong>tori: chiunque, nel paese,<br />

avesse ado<strong>per</strong>ato <strong>la</strong> forchetta nutriva <strong>per</strong> loro un senso di pauroso<br />

rispetto. Quand’essi entravano in una casa, nell’ora di pranzo, <strong>la</strong><br />

stessa cantina tremava, e i più remoti, pregiati e ben custoditi frutti si<br />

facevano piccoli dal<strong>la</strong> paura.<br />

Io li vidi mangiare.<br />

Erano lenti e misurati, e nel masticare portavano sempre il medesimo<br />

passo come l’es<strong>per</strong>to alpinista in una lunga sca<strong>la</strong>ta. Quando erano al<strong>la</strong><br />

frutta, uno di loro alzava <strong>la</strong> testa dal monte di bucce, che riempiva il<br />

suo piatto, e sospirava: “I maccheroni al forno!”<br />

“Sì,” diceva l’altro, “nemmeno se mi dessero un milione, tornerei a<br />

mangiare le <strong>la</strong>sagne, ma un piatto di maccheroni al forno sarebbe<br />

un’altra cosa!”<br />

L’ospite batteva le mani, e faceva spuntare i maccheroni al forno.<br />

“Che sorpresa, che lieta sorpresa!” gridavano i due, <strong>la</strong>sciando a metà<br />

<strong>la</strong> decima pesca. “Via, questo piatto!”<br />

“Bellissimi, stupendi!” ripeteva l’uno, masticando. “Ma non c’è primo<br />

senza secondo!”<br />

“Non potrei mangiare un solo boccone di quello che ho mangiato!” ribatteva<br />

l’altro. “Nemmeno se mi rega<strong>la</strong>ssero una miniera, rimetterei in<br />

bocca <strong>la</strong> salsiccia!”<br />

Ma ecco che spuntava <strong>la</strong> carne di maiale con lo stufato.<br />

“Oh, ma questo è tutt’altro par<strong>la</strong>re!” si mettevano subito a salmodiare.<br />

“Qui tocchiamo le stelle!…”<br />

E così fino al<strong>la</strong> nuova frutta, che adesso era un melone; e di nuovo,<br />

<strong>per</strong> un risotto una lepre uno stoccafisso ecc., al<strong>la</strong> terza frutta e al dolce.<br />

(…)<br />

Ma non tutti sono re, in questa feudalità del<strong>la</strong> tavo<strong>la</strong>: ci sono anche i<br />

principi, i marchesi, i conti, i baroni e i semplici cavalieri: voglio dire<br />

quelli che, pur volendo, non riescono a mangiare quanto i primi, e<br />

quelli che, pur mangiando qualcosa in meno, si chiazzano di blu in viso<br />

durante le fatiche del<strong>la</strong> digestione. (…)”<br />

129


A TAVOLA COL GATTOPARDO<br />

da “Il gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa<br />

“Al<strong>la</strong> fine del pranzo venne servita <strong>la</strong> ge<strong>la</strong>tina al rhum. Questo era il<br />

dolce preferito di don Fabrizio e <strong>la</strong> Principessa aveva avuto cura di<br />

ordinarlo <strong>la</strong> mattina di buon’ora. Si presentava minacciosa, con quel<strong>la</strong><br />

sua forma di torrione appoggiato su bastioni e scarpate, dalle pareti<br />

lisce e scivolose impossibili da sca<strong>la</strong>re, presidiata da una guarnigione<br />

rossa e verde di ciliegie e pistacchi; era <strong>per</strong>ò trasparente e tremo<strong>la</strong>nte<br />

e il cucchiaio vi si affondava con stupefacente agio.” (I, 46)<br />

“Il Principe aveva troppa es<strong>per</strong>ienza <strong>per</strong> offrire a degli invitati siciliani<br />

in un paese dell’interno, un pranzo che si iniziasse con un potage, e<br />

infrangeva tanto più facilmente le regole dell’alta cucina in quanto ciò<br />

corrispondeva ai propri gusti. Ma le informazioni sul<strong>la</strong> barbarica usanza<br />

forestiera di servire una brodaglia come primo piatto erano<br />

giunte con troppa insistenza ai maggiorenti di Donnafugata <strong>per</strong>ché un<br />

residuo timore non palpitasse in loro all’inizio di ognuno di quei pranzi<br />

solenni. Perciò quando tre servitori in verde, oro e cipria entrarono<br />

recando ciascuno uno smisurato piatto d’argento che conteneva un<br />

torreggiante timballo di maccheroni, soltanto quattro su venti <strong>per</strong>sone<br />

si astennero dal manifestare una lieta sorpresa (…) Buone creanze a<br />

parte, <strong>per</strong>ò, l’aspetto di quei babelici pasticci era ben degno di evocare<br />

fremiti di ammirazione. L’oro brunito dell’involucro, <strong>la</strong> fragranza di<br />

zucchero e di cannel<strong>la</strong> che ne emanava non erano che il preludio del<strong>la</strong><br />

sensazione di delizia che si sprigionava dall’interno quando il coltello<br />

squarciava <strong>la</strong> crosta: ne erompeva dapprima un vapore carico di<br />

aromi, si scorgevano poi i fegatini di pollo, gli ovetti duri, le sfilettature<br />

di prosciutto, di pollo e di tartufi impigliate nel<strong>la</strong> massa untuosa, caldissima<br />

dei maccheroncini corti cui l’estratto di carne conferiva un<br />

prezioso color camoscio”. (II, 82)<br />

“Mentre degustava <strong>la</strong> raffinata mesco<strong>la</strong>nza di bianco mangiare, pistacchio<br />

e cannel<strong>la</strong> racchiusa nei dolci che aveva scelti, Don Fabrizio<br />

conversava con Pal<strong>la</strong>vicino e si accorgeva che questi, al di là delle<br />

frasi zuccherose riservate forse alle signore, era tutt’altro che un imbecille<br />

(…)”. (V,192)<br />

IL MIELE E IL GIARDINO<br />

da “Le pietre di Pantalica” di Vincenzo Consolo<br />

(“La casa di Icaro”)<br />

“Ero andato l’ultima volta a trovarlo a Pa<strong>la</strong>zzolo un’estate di qualche<br />

anno fa. L’avevo pregato di accompagnarmi al<strong>la</strong> necropoli di Pantalica.<br />

Partimmo in quel pomeriggio d’agosto, salimmo su <strong>per</strong> quegli altipiani,<br />

i tavo<strong>la</strong>ti degli Iblei tagliati dalle cave, le profonde gole dentro<br />

cui scorrevano torrenti, scanditi dalle geometrie dei muretti a secco<br />

130


che recintavano campi di timo e d’asfodèlo, ombreggiati da carrubi.<br />

Qui si disponevano le arnie <strong>per</strong> quel famoso miele ibleo cantato dai<br />

poeti, da Teocrito a Virgilio. Viaggiavamo insomma dentro <strong>la</strong> più bel<strong>la</strong><br />

Arcadia. Arrivammo al paese di Sortino. Antonino mi disse che doveva<br />

fare una breve sosta, doveva andare a salutare un suo amico, uno<br />

degli ultimi mie<strong>la</strong>i del<strong>la</strong> zona. (…) Uccello e B<strong>la</strong>ncato si misero a par<strong>la</strong>re<br />

di miele, delle arnie di feru<strong>la</strong>, dei torchi, del<strong>la</strong> raccolta del miele<br />

bianco a maggio, di zagara d’arancio; del miele scuro d’agosto, di timo;<br />

e di cera, di coffe, di bbàvini. Poi B<strong>la</strong>ncato disse al<strong>la</strong> moglie di offrirci<br />

<strong>la</strong> spiritu ‘i fasciddaru. Venne <strong>la</strong> donna con guantiera, bottiglia,<br />

bicchieri. Ci versò un li<strong>qui</strong>do scuro, denso. Era un distil<strong>la</strong>to di miele,<br />

un liquore che, appena bevuto, dava subito tono, un senso di benessere.<br />

Mi dissero che quel liquore non era in commercio, veniva prodotto<br />

solo <strong>per</strong> uso familiare. Quando uscimmo dal<strong>la</strong> casa di B<strong>la</strong>ncato,<br />

il sole era ormai basso: troppo tardi <strong>per</strong> raggiungere Pantalica.”<br />

da “L’olivo e l’olivastro” di Vincenzo Consolo<br />

“Nel<strong>la</strong> frescura del bar venne a prenderlo l’amico Jano <strong>per</strong> condurlo<br />

nel<strong>la</strong> sua campagna, nel<strong>la</strong> contrada Làufi, tra il mare e i resti<br />

dell’antica Eloro, il castello, <strong>la</strong> città e <strong>la</strong> colonna alta, <strong>la</strong> Pizzuta, sul<strong>la</strong><br />

riva sinistra del Tellàro, ch’erano il baluardo estremo del regno siracusano.<br />

Era <strong>qui</strong> l’Heloria Tempe, <strong>la</strong> val<strong>la</strong>ta amena, l’ubertosa p<strong>la</strong>ga, il témenos,<br />

il recinto sacro, il santuario tra il bosco e il mare delle dee ctonie,<br />

delle fiaccole di pino, del sacrificio delle scrofe in ricordo del viaggio<br />

del<strong>la</strong> madre dis<strong>per</strong>ata.<br />

(…)<br />

Una picco<strong>la</strong> terra quel<strong>la</strong> di jano, con una casetta in mezzo a un frutteto,<br />

<strong>per</strong>i e granati e meli, fichi dolcissimi e rigogliosi ulivi, limoni, cedri,<br />

aranci, sorbi, gelsi, corbezzoli, azzeruoli, un giardino fitto di <strong>per</strong>enni<br />

zagare e di frutti, e cespi, siepi d’arbusti, cedrina, allora, menta, basilico,<br />

rosmarino…Accolsero festanti l’amico in viaggio Rosa e i figli.<br />

Jano gli parlò delle sue ricerche di etnologo, dei suoi studi sulle api e<br />

il miele, delle feste d’Avo<strong>la</strong>, gli lesse le sue poesie.<br />

Nel<strong>la</strong> bellezza di quel<strong>la</strong> casa, nel<strong>la</strong> serenità degli ospiti, sembrò al<br />

viaggiatore d’essere in un luogo in disparte, lontano dagli uomini che<br />

mangiano pane, lontano dai Ciclopi, d’essere ai confini del mondo, in<br />

un’iso<strong>la</strong> di sopravvivenza d’una umana misura ormai <strong>per</strong>duta.”<br />

131


Le ricette<br />

Siracusa<br />

132<br />

MACCU DI S. GIUSEPPE<br />

Ingredienti Quantità<br />

fave sgusciate secche gr. 200<br />

lenticchie gr. 200<br />

piselli gr. 200<br />

fagioli gr. 200<br />

ceci gr. 200<br />

borragine in mazzetti n. 2<br />

finocchio selvatico/in mazzetti n. 1<br />

cipol<strong>la</strong> bianca gr. 100<br />

pomodori secchi n. 2<br />

olio e.v.o. q.b.<br />

pepe nero q.b.<br />

Fasi di sviluppo del<strong>la</strong> ricetta<br />

I legumi secchi, tranne <strong>la</strong> lenticchie, più rapide da cuocere, si mettono<br />

a bagno <strong>per</strong> 12 ore in acqua leggermente sa<strong>la</strong>ta.<br />

Poi si cuociono tutti insieme, a fuoco lento in una pento<strong>la</strong> di coccio (è<br />

indispensabile questo tipo di recipiente <strong>per</strong> <strong>la</strong> buona riuscita), aggiungendo<br />

a metà cottura le verdure tagliuzzate, <strong>la</strong> cipol<strong>la</strong> e i pomodori<br />

a pezzetti.<br />

Dopo circa 3 ore e ½ il minestrone è pronto.<br />

Aggiungere sale pepe e olio secondo i gusti.<br />

Servire con quadratini di pane soffritti nell’olio, oppure aggiungendo<br />

qualche etto di pasta detta “corallina”.<br />

Dati Storici<br />

Nel<strong>la</strong> provincia regionale di Siracusa esistono due versioni diverse del<br />

modo di confezionare il “maccu”. La prima è quel<strong>la</strong> descritta da Aristofane<br />

nel<strong>la</strong> commedia le Rane ed utilizza esclusivamente fave secche; <strong>la</strong><br />

stessa ricetta con l’aggiunta del miele è riportata nel napoletano Liber de<br />

co<strong>qui</strong>na del 1300. La seconda <strong>versione</strong>, <strong>la</strong> più accreditata, fra <strong>la</strong> civiltà<br />

contadina, prevede l’utilizzo di vari tipi legumi secchi, ed è il piatto rituale<br />

del<strong>la</strong> festa di S. Giuseppe. Il piatto segna il confine fra <strong>la</strong> stagione invernale<br />

e l’inizio del<strong>la</strong> primavera ed è abitudine cucinarne una quantità <strong>per</strong> i<br />

vicini ed i parenti, come buon auspicio.


Ingredienti Quantità<br />

riso gr. 700<br />

mandorle spel<strong>la</strong>te gr. 6<br />

sale q.b.<br />

RISU CA MENNULA<br />

Fasi di sviluppo del<strong>la</strong> ricetta<br />

Tritare gli spicchi di mandorle.<br />

Strizzarli con un panno di lino in un litro e mezzo di acqua fredda fino<br />

ad ottenere un <strong>la</strong>tte di mandor<strong>la</strong>.<br />

Fare bollire il <strong>la</strong>tte di mandor<strong>la</strong>, rego<strong>la</strong>re di sale, versare il riso e far<br />

cuocere <strong>per</strong> 15-18 minuti.<br />

Dati Storici<br />

Questo piatto testimonia <strong>la</strong> storia del<strong>la</strong> città di Avo<strong>la</strong> e gli ordinamenti<br />

colturali tipici del suo territorio.<br />

Il tappeto di “cannameli” risulta <strong>per</strong> un lungo <strong>per</strong>iodo <strong>la</strong> struttura base<br />

dell’economia dello “Stato d’Avo<strong>la</strong>”<br />

La presenza ad Avo<strong>la</strong> del<strong>la</strong> canna da zucchero è documentata dal<strong>la</strong><br />

prima metà del quattrocento.<br />

Ancora in contrada Tappeto è possibile vedere i ruderi del<strong>la</strong> macina del<br />

trappeto di cannameli e dell’acquedotto.<br />

(da “La città esagonale” - Francesca Gringeri Pantano)<br />

VENTRI DI MAIALE CHINA DI RISU<br />

Ingredienti Quantità<br />

ventre di maiale n. 1<br />

riso q.b.<br />

uova medie, sode n. 6<br />

parmigiano gr. 100<br />

polpa tritata di vitello gr. 200<br />

mortadel<strong>la</strong> in piccoli pezzi gr. 100<br />

caciocavallo fresco a cubetti gr. 150<br />

mazzo di prezzemolo tritato n. 1<br />

noce moscata q.b.<br />

spicchio d’aglio in camicia n. 1<br />

vino bianco q.b<br />

sale q.b.<br />

pepe q.b.<br />

133


Fasi di sviluppo del<strong>la</strong> ricetta<br />

Pulire bene il ventre con il limone, cucirlo <strong>la</strong>sciando a<strong>per</strong>to solo un<br />

buco, <strong>per</strong> farcirlo.<br />

Lessare il riso e sco<strong>la</strong>rlo a metà cottura, quasi croccante.<br />

Roso<strong>la</strong>re leggermente <strong>la</strong> polpa di vitello con uno spicchio d’aglio in<br />

camicia, bagnare con mezzo bicchiere di vino bianco e <strong>la</strong>sciare evaporare.<br />

Tritare <strong>la</strong> mortadel<strong>la</strong> grosso<strong>la</strong>namente con il coltello.<br />

Lessare le uova e sgusciarle.<br />

Unire al riso <strong>la</strong> carne tritata, il caciocavallo, il prezzemolo tritato<br />

l’odore del<strong>la</strong> noce moscata, rego<strong>la</strong>re di sale.<br />

Farcire il ventre con questo composto ed con manovra ardita introdurre<br />

le uova sgusciate e sode, ponendole al centro del riso cucire<br />

l’a<strong>per</strong>tura con ago e filo.<br />

Immergerlo nell’acqua sa<strong>la</strong>ta ed in ebollizione.<br />

Cuocere <strong>per</strong> circa due ore .<br />

Pungerlo con <strong>la</strong> punta sottile di un coltello o con i rebbi di una forchetta,<br />

senza <strong>per</strong>ò provocare <strong>la</strong>cerazioni profonde che favorirebbero<br />

<strong>la</strong> penetrazione del li<strong>qui</strong>do di cottura.<br />

Servire freddo, tagliato a fette<br />

Dati Storici<br />

Porcurossu, niuru e grossu, quannu camìni tifai cchiù grossu<br />

134<br />

Ni <strong>la</strong> testa di lu maiali<br />

Cc’ è chi pigghiari e cc’è chi <strong>la</strong>ssari.<br />

Ni <strong>la</strong> testa d'un cunigghiu<br />

nenti <strong>la</strong>ssu e nenti pigghiu.<br />

Cùsi marita sta sempri infrastornu, cùammazza un porcu <strong>la</strong> passa scia<strong>la</strong>nnu,<br />

cùsi marita si scanta d'un cornu, cùammazza un porcu nun temi dannu,<br />

cùsi marita rivali havi attornu, cù ammazza un porcu nun havi 'st'affannu,<br />

cùsi marita sta cuntentu gnornu cù ammazza un porcu sta contentu un<br />

annu!<br />

Il maiale ha sempre rappresentato nel<strong>la</strong> tradizione popo<strong>la</strong>re <strong>la</strong> festa,<br />

l’allegria, lo stare insieme.<br />

Prima dell’avvento dell’industrializzazione selvaggia, ogni famiglia contadina<br />

possedeva almeno un maiale, che veniva ‘scannatò o <strong>per</strong> Natale<br />

o <strong>per</strong> Carnevale e sempre di sabato, <strong>per</strong> dare <strong>la</strong> possibilità a tutta <strong>la</strong> famiglia<br />

di mangiare di grasso <strong>per</strong> cinque giorni consecutivi senza venir<br />

meno all'obbligo dell'astinenza dal<strong>la</strong> carne nel<strong>la</strong> giornata di venerdì.


Tri sù li festi principali: Pasqua, Natali e quannu s'ammazza lu maiali.<br />

Patrono dei porci è Sant'Antonio Abate, nell'iconografia popo<strong>la</strong>re rappresentato<br />

con il bastone di eremita, il maiale e <strong>la</strong> fiamma. Al bastone è<br />

appeso un campanello <strong>per</strong>ché anticamente i maiali si <strong>la</strong>sciavano pasco<strong>la</strong>re<br />

liberi anche nelle città, purché avessero un campanello che ne rive<strong>la</strong>sse<br />

<strong>la</strong> presenza. Ne è prova verosimile, in Ortigia, l'attuale Ronco del<br />

Carmelo, adiacente al<strong>la</strong> chiesa del Carmine, che sino a 50 anni fa nel<strong>la</strong><br />

denominazione dialettale era chiamato u curtigghiu ré porci. Una volta<br />

<strong>per</strong> le strade di Belvedere, frazione di Siracusa, prima del passaggio del<strong>la</strong><br />

processione del<strong>la</strong> Patrona, un banditore faceva questo annuncio al<strong>la</strong><br />

popo<strong>la</strong>zione:<br />

Ritirativi ' i porci ca passa a Matri sant'Anna.<br />

La fiamma rappresenta il fuoco che l'Abate, a quel, che si tramanda, riusciva<br />

interamente a dominare. Addirittura <strong>la</strong> credenza popo<strong>la</strong>re gli attribuiva<br />

poteri taumaturgici, tra i quali quello di guarire l’herpes zoster, una<br />

ma<strong>la</strong>ttia volgarmente chiamata focu ri sant'Antoniu.<br />

Ogni comunità di monaci, che a Lui si ispirava, allevava un maiale, che<br />

chiamava Antòni, <strong>per</strong> trarne il <strong>la</strong>rdo ritenuto curativo del<strong>la</strong> suddetta ma<strong>la</strong>ttia.<br />

(Dal<strong>la</strong> rivista “I Siracusani”)<br />

LA CUCCÌA (i chicchi del<strong>la</strong> penitenza)<br />

Ingredienti (10 porzioni) Quantità<br />

frumento ammol<strong>la</strong>to gr. 500<br />

sale fino q.b.<br />

olio e.v.o. q.b.<br />

Ricetta di facile ma lenta preparazione (2 ore), tipica del<strong>la</strong> cucina popo<strong>la</strong>re,<br />

oggi servita calda o fredda come dolce.<br />

Fasi di sviluppo del<strong>la</strong> ricetta<br />

Mettere a bagno il frumento almeno 12 ore prima dell’utilizzo.<br />

Sco<strong>la</strong>rlo e cuocerlo in acqua sa<strong>la</strong>ta.<br />

La cottura dovrà essere lenta e prolungata.<br />

Sgoccio<strong>la</strong>to si serve condito con qualche goccia di olio.<br />

Dati Storici<br />

I CHICCHI DELLA PENITENZA<br />

Nel XVIII secolo, esattamente nel<strong>la</strong> prima domenica di maggio del 1646,<br />

in piena epoca spagno<strong>la</strong> aragonese, nacque a Siracusa, nel più vecchio<br />

e nobile quartiere del<strong>la</strong> Pentapoli siracusana e cioè nell'isolotto di Ortigia,<br />

<strong>la</strong> ‘cuccìà.<br />

135


Che cosa è <strong>la</strong> cuccia? É un cibo frugalissimo che, appena nato, si diffuse<br />

rapidamente in tutta <strong>la</strong> Sicilia. L'accezione dialettale ‘cuccìà deriva da<br />

‘còcciù che e<strong>qui</strong>vale a ‘chicco, granellinò. Si dice infatti un còcciu di frumento,<br />

un còcciu di racina. ‘Cucciaré significa invero beccare, piluccare,<br />

mangiare un còccíu al<strong>la</strong> volta.<br />

La storia è questa e fino ad un certo punto lo è. Il 1646, dopo un inverno<br />

eccezionalmente rigido, una annata di siccità, di carestia, di fame nera, í<br />

magazzini statali e quelli vescovili erano vuoti: grano, altri cereali, legumi,<br />

farine, non ce ne erano più, neanche una cucchiaiata, Siracusa era<br />

in ginocchio; <strong>la</strong> gente era affamata, stremata.<br />

Era <strong>la</strong> prima domenica di maggio. Il Vescovo, Monsignor Francesco Elìa<br />

De Rossi, dopo aver celebrato in Cattedrale <strong>la</strong> solenne Messa domenicale,<br />

era rimasto in Duomo con i fedeli a pregare all'altare di Santa Lucia:<br />

Verginel<strong>la</strong> gloriosa, di Gesù diletta Sposa,<br />

nostra madre e cittadina, gli occhi a noi dal cielo inchina.<br />

Santa Luciuzza prega Dio <strong>per</strong> noi, fai un miracolo, salvaci.<br />

I fedeli che non trovavano posto nel Duomo portavano il simu<strong>la</strong>cro del<strong>la</strong><br />

Santuzza a spal<strong>la</strong>, in processione <strong>per</strong> le strade di Ortigia, fra <strong>la</strong> fol<strong>la</strong> inginocchiata<br />

e piangente che pregava.<br />

Un bel momento entrò in Duomo una quaglia che aveva nel suo piccolo<br />

becco una piccolissima spiga di grano e che andò a posarsi sul<strong>la</strong> spalliera<br />

del soglio vescovile. Contemporaneamente entrò in Duomo di corsa<br />

ansimante, un uomo, un portuale che annunzio:<br />

è arrivata una mattícàna carica di sacchi di frumento;<br />

sta facendo rifornímento di acqua al<strong>la</strong> fontana Aretusa;<br />

noi stiamo scaricando i sacchi sugli scogli, accanto al<strong>la</strong> fontana.<br />

In pochi minuti, tutti gli ortigiani si precipitarono al<strong>la</strong> marina; trovarono i<br />

sacchi del<strong>la</strong> salvezza e il bastimento non c'era più, era scomparso. Miracolo?!<br />

Sugli scogli sùbito i siracusani di Ortigia squarciarono alcuni sacchi e arrostirono<br />

il grano o lo cossero con l'acqua di Aretusa o dello Ionio. Ne<br />

mangiarono quanto bastò <strong>per</strong> bloccare <strong>la</strong> fame, <strong>la</strong> nera fame che li attanagliava.<br />

Ne approfittarono anche rondini e gabbiani che "cucciarono"<br />

allegramente sulle scogliere <strong>per</strong> qualche ora.<br />

Il resto, montagne di sacchi, sotto <strong>la</strong> scorta delle guardie del viceré di<br />

turno, andò a finire nei magazzini governativi. Il grano cotto in acqua e<br />

sale si chiamò, dunque, ‘cuccìà.<br />

Ogni anno, <strong>la</strong> prima domenica di maggío, a Siracusa, soprattutto in Ortigia<br />

ed in molte altre città e cittadine del<strong>la</strong> Sicilia, si fa una grande festa di<br />

ringraziamento a Santa Lucia.<br />

La festa si chiama ‘Santa Lucia di Maggiù e ‘Santa Lucia dé quagghì<br />

(delle quaglie).<br />

136


La cuccìa è dunque un pasto che si mangia <strong>per</strong> penitenza, <strong>per</strong> ringraziamento.<br />

E non infrange il voto d'una giornata di digiuno chi mangia<br />

qualche cucchiaiata di grano cotto in acqua e sale, condito con qualche<br />

goccia di olio.<br />

A poco a poco <strong>per</strong>ò in Sicilia questo cibo da penitenza si è trasformato<br />

in vero e proprio dolce che si realizza in versioni diverse, tuttavia simili,<br />

da una provincia all'altra. La <strong>versione</strong> più ricca naturalmente è quel<strong>la</strong> palermitana.<br />

C'è almeno una Lucia in ogni famiglia che, rispettando il calendario<br />

liturgico cristiano, confeziona questo dolce il 13 dicembre che è<br />

il giorno del martirio di Lucia e il giorno dell'onomastico di tutte le Lucíe<br />

del mondo.<br />

(Da ‘Accademia del<strong>la</strong> Cucina Italianà, Aprile 1995 N° 54 – Enzo Siena,<br />

Accademico Onorario di Siracusa)<br />

UZZÀTA (granita di mandor<strong>la</strong>)<br />

Ingredienti Quantità<br />

mandorle sgusciate gr. 150<br />

zucchero semo<strong>la</strong>to gr. 150<br />

mandorle amare gr. 20<br />

acqua lt. 1<br />

cannel<strong>la</strong> q.b.<br />

Fasi di sviluppo del<strong>la</strong> ricetta<br />

pe<strong>la</strong>re le mandorle , dopo averle sbollentate <strong>per</strong> qualche istante<br />

pestarle nel mortaio assieme allo zucchero o nel cutter fino ad ottenere<br />

un composto fine ed omogeneo<br />

stem<strong>per</strong>are il panetto di mandor<strong>la</strong> nell’acqua e profumare con un pizzico<br />

di cannel<strong>la</strong><br />

passare al<strong>la</strong> sorbettiera fino ad ottenere <strong>la</strong> c<strong>la</strong>ssica granita.<br />

Dati Storici<br />

L’origine etimologica del<strong>la</strong> nostra “orzata”è incerta; molto probabilmente<br />

i suoi natali sono di origine spagno<strong>la</strong>. In Spagna, infatti, esiste una bevanda<br />

rinfrescante preparata con acqua, zucchero e con il <strong>la</strong>tte di un tubercolo<br />

di una pianta (il Cy<strong>per</strong>us esculentus) diffusa nel<strong>la</strong> piana di Valencia<br />

chiamata appunto horchata de chufa. Si serve fresca, a volte ge<strong>la</strong>ta<br />

o in forma di granita. L'etimologia di horchata e orxata deriva probabilmente<br />

dal cata<strong>la</strong>no ordiata (da ordi, orzo), che a sua volta, analogamente<br />

al<strong>la</strong> paro<strong>la</strong> italiana “orzata”, procede dal <strong>la</strong>tino (hordeata < hordeum,<br />

orzo).<br />

Secondo <strong>la</strong> tradizione popo<strong>la</strong>re spagno<strong>la</strong>, <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> sarebbe nata ai tem-<br />

137


pi del<strong>la</strong> con<strong>qui</strong>sta di Valencia, quando Giacomo I d'Aragona, al momento<br />

di entrare in città, si vide offrire un assaggio di questa bevanda da parte<br />

di una bel<strong>la</strong> ragazza valenciana. Il sovrano, deliziato da questa bevanda<br />

misteriosa, avrebbe risposto “Açò és or, xata” (“questo è oro, ragazza”),<br />

da cui il nome. Questa <strong>versione</strong>, pur essendo inverosimile, <strong>per</strong>ché xata<br />

è un castiglianismo che probabilmente era del tutto sconosciuto al cata<strong>la</strong>no<br />

del secolo XI, ci piace molto <strong>per</strong>ché <strong>la</strong> riteniamo aderente al gusto<br />

del<strong>la</strong> nostra granita e <strong>per</strong>ché ci piace pensare che i Siracusani, <strong>la</strong> mattina,<br />

hanno “l’oro in bocca”<br />

138<br />

“CAZZAMARRU”<br />

Ingredienti (1 porzione) Quantità<br />

asparagi interi gr. 20<br />

cipol<strong>la</strong> novel<strong>la</strong> in rondelle 3-4<br />

patate in rondelle 3-4<br />

salsiccia tritata<br />

pepe rosso q.b.<br />

olio q.b.<br />

asparagi<br />

sale q.b.<br />

É un secondo piatto, di facile e rapida preparazione (10’-15’), che va<br />

servito caldo.<br />

Fasi di sviluppo del<strong>la</strong> ricetta<br />

Nel<strong>la</strong> carta alluminio sistemare gli asparagi, <strong>la</strong> cipol<strong>la</strong>, le patate precedentemente<br />

tagliate a rondelle e sbianchite e a piacimento <strong>la</strong> salsiccia.<br />

Condire con olio, sale e pepe rosso q.b.<br />

Accartocciare e porre sopra o sotto <strong>la</strong> brace. Lasciare cuocere <strong>per</strong><br />

10-15 minuti. Servire il piatto ben caldo.<br />

Dati storici<br />

Piatto tipico Sortinese, rive<strong>la</strong> l’ironia di una comunità e <strong>la</strong> capacità di fare<br />

cucina con niente.<br />

Pochi ingredienti, mirabilmente mischiati, conferiscono al piatto un corretto<br />

e<strong>qui</strong>librio, fra il dolce delle patate, l’amaro dello asparago ed il sapido<br />

del<strong>la</strong> salsiccia.<br />

‘MPANATA ‘ CCA MURINA<br />

Ingredienti Quantità<br />

farina grano duro kg. 1


lievito di birra gr. 25<br />

sale fino gr. 20<br />

olio e.v.o. q.b.<br />

acqua q.b.<br />

murena kg. 1<br />

patate gr. 500<br />

prezzemolo tritato q.b.<br />

pomodoro pe<strong>la</strong>to gr. 400<br />

sale q.b.<br />

pepe nero q.b.<br />

olio e.v.o. q.b.<br />

Un piatto unico, di media difficoltà e lenta preparazione (2 ore)<br />

Fasi di sviluppo del<strong>la</strong> ricetta<br />

Fare riposare l’impasto <strong>per</strong> impanate <strong>per</strong> circa mezz’ora.<br />

Lavare bene <strong>la</strong> murena e tagliar<strong>la</strong> a pezzetti.<br />

Affettare le patate molto sottili e <strong>la</strong>sciarle in acqua e sale <strong>per</strong> 20 minuti.<br />

Stendere <strong>la</strong> pasta e foderare uno stampo oleato dai bordi bassi.<br />

Adagiarvi sopra un letto di patate, <strong>la</strong> murena e tutti gli altri ingredienti.<br />

Coprire <strong>la</strong> focaccia con un altro strato di pasta e <strong>la</strong>sciare riposare<br />

almeno 30 minuti prima di infornare.<br />

Dati Storici<br />

Il termine impanata deriva dallo spagnolo ‘empanadillà.<br />

Trattasi di ‘pizze chiusé, farcite in vario modo secondo <strong>la</strong> disponibilità di<br />

prodotti.<br />

Ad Avo<strong>la</strong> e lungo tutta <strong>la</strong> fascia costiera fino Portopalo sono tipiche le<br />

impanate con vari prodotti del<strong>la</strong> pesca, spesso di basso valore commerciale.<br />

Così durante <strong>la</strong> cena del Santo Natale non è difficile trovare a tavo<strong>la</strong> le<br />

scaccie con <strong>la</strong> raia (razza), ca anciddi (anguille), ca tunnina o con prodotti<br />

spontanei del<strong>la</strong> campagna locale, <strong>per</strong> esempio, le scaccie ca aiti<br />

(bietole selvatiche).<br />

(da ‘Antichi sapori a tavolà, AAPIT Siracusa - Pro Loco Avo<strong>la</strong>)<br />

FUNGO DI CARRUBO, LUMACHE E PEPERONI<br />

Ingredienti Quantità<br />

lumache grandi /spurgate kg. 1,2<br />

139


fungo di carrubo gr. 500<br />

pe<strong>per</strong>oni arrostiti gr. 500<br />

pomodori pe<strong>la</strong>ti gr. 400<br />

aglio in spicchi q.b.<br />

pe<strong>per</strong>oncino macinato q.b.<br />

olio e.v.o. q.b.<br />

prezzemolo tritato n. 1 mazzo<br />

Fasi di sviluppo del<strong>la</strong> ricetta<br />

Lavare accuratamente il fungo di carrubo.<br />

Tagliarlo a tocchetti e <strong>la</strong>sciarlo insaporire in una padel<strong>la</strong> con olio, aglio<br />

e poco prezzemolo.<br />

Bollire le lumache, dopo averle <strong>la</strong>vate con cura e togliere <strong>la</strong> parte finale.<br />

Arrostire i pe<strong>per</strong>oni e dopo averli spel<strong>la</strong>ti, tagliarli a listarelle e farli<br />

insaporire in una padel<strong>la</strong> con le lumache ed il pomodoro pe<strong>la</strong>to.<br />

Aggiungere i tocchetti di fungo <strong>la</strong>sciare crogio<strong>la</strong>re <strong>per</strong> qualche minuto.<br />

Rego<strong>la</strong>re di sale e pepe e profumare con prezzemolo tritato.<br />

Servire caldo.<br />

Dati Storici<br />

I piccoli bianchi babbuci erano un pò, a tavo<strong>la</strong>, come i ceci abbrustoliti<br />

(calia) e i lupini nei lunghi pomeriggi d'ozio: servivano a ‘passare il tempo’,<br />

<strong>per</strong> stancarsi di mangiare... senza aver mangiato. Erano <strong>qui</strong>ndi l'ideale<br />

<strong>per</strong> i padri di famiglia di scarso danaro e di abbondante progenie.<br />

Certamente, i piatti di crastuna davano sensazioni gagliarde e forti, ma<br />

nessun paragone era possibile con gli 'ntuppateddi, con le lumache cioè,<br />

scure e non grosse, che una lieve membrana bianca teneva chiuse nel<br />

guscio, e che andavano trovate <strong>la</strong>vorando di zappetta, smuovendo <strong>la</strong><br />

terra dei campi <strong>per</strong> <strong>la</strong> profondità di qualche decina di centimetri. A tavo<strong>la</strong><br />

venivano servite con le stesse ricette dei crastuna, ma gli effetti goderecci<br />

risultavano di ben altro calibro. Più che meritato era l'onore d'una<br />

sagra <strong>per</strong> l'ascensione.<br />

(da ‘www.comune.floridia.sr.it’ - Vincenzo La Rocca)<br />

Nel tempo dell'Ascensione, dopo le prime piogge i floridiani, cui è stata<br />

tramandata <strong>la</strong> tradizione, compiono <strong>la</strong> magia armandosi di <strong>la</strong>nterna al<strong>la</strong><br />

ricerca nelle vicine 'chiane' delle lumache, specie i ‘ntuppateddi, <strong>la</strong>vorando<br />

con cura <strong>la</strong> terra con <strong>la</strong> zappetta. In attesa di quel<strong>la</strong> delizia di primavera,<br />

<strong>la</strong> gente continua ad arrotarsi il pa<strong>la</strong>to a base di 'babbuci' che<br />

servono a stancare lo stomaco senza aver mangiato. Erano l'ideale <strong>per</strong><br />

le famiglie numerose che, non riuscivano a gustare le prelibatezze del<strong>la</strong><br />

140


festa. Raccolti i 'ntupateddi nelle ceste o nei ‘panari’, con una certa impazienza<br />

se ne assaggiano le qualità, abbrustolendone qualcuno sul<strong>la</strong><br />

brace. Poi si consuma il loro rito insieme ai 'crastuna', meno pregiati, nel<br />

menù familiare: bolliti e conditi con olio, sale, pepe, menta e il succo dei<br />

purissimi cedri dell'altipiano ibleo, cul<strong>la</strong> del mitico fiume Anapo, o accoppiati,<br />

dopo essere stati bolliti, a frizzanti pe<strong>per</strong>oni delle 'chiane'. Così<br />

mentre le donne preparano <strong>la</strong> morte delle lumache a base di piccanti<br />

salse di pomodori, <strong>la</strong> gente arriva da ogni parte e lì, tra marciapiede e<br />

strada, a godersi <strong>la</strong> vittoria del cavallo preferito dagli scommettitori nel<br />

'Palio di Maggio' in uno sfogo di quotidianità e in una metamorfosi che<br />

affonda lontane origini e che viene riproposto ai floridiani e siciliani dei<br />

tre Continenti.<br />

(Dal Cantore del costume e del folklore del 'Continente Sicilia', l'Ascensione<br />

e le Sagre a Floridia, ‘Il sacro e il profano di una festa popo<strong>la</strong>re’ -<br />

Santi Martorino)<br />

ZUCCÀRU SANFURICCHI o CICCI BELLA<br />

Ingredienti Quantità<br />

miele di zagara kg. 1<br />

olio e.v.o. q.b.<br />

Per <strong>la</strong> preparazione occorrono: un tavolo di marmo, un lungo chiodo,<br />

una tavoletta di legno e una di zinco del<strong>la</strong> misura di cm 10 x 50.<br />

Fasi di sviluppo del<strong>la</strong> ricetta<br />

Appendere <strong>la</strong> tavoletta di legno a un solido sostegno, su questa applicare<br />

<strong>la</strong> striscia di zinco (tutte e due in senso verticale), in alto fissare<br />

il lungo chiodo e ungere di olio sia questo che lo zinco.<br />

Versare il miele in un recipiente possibilmente di rame e farlo bollire<br />

mesco<strong>la</strong>ndo, sempre nello stesso senso, con un mestolo di canna (o<br />

di legno).<br />

Quando il miele comincerà a fare i fili toglierlo immediatamente dal<br />

fuoco e rovesciarlo sul ripiano di marmo già unto di olio, impastarlo<br />

sveltamente con una paletta e quando sarà abbastanza freddo <strong>la</strong>vorarlo<br />

con le mani unte d'olio.<br />

Appena risulterà un pò consistente, tirarlo formando una lunga striscia;<br />

appender<strong>la</strong> al chiodo come uno straccio e tirar<strong>la</strong> con tutte due<br />

le mani, sino al limite di trazione, formando così due strisce, indi<br />

congiungere i due <strong>la</strong>ti del<strong>la</strong> striscia, toglier<strong>la</strong> dal chiodo, tirar<strong>la</strong> con le<br />

mani e appender<strong>la</strong> un'altra volta al chiodo continuando con lo stesso<br />

procedimento di prima sino a quando <strong>la</strong> ciaurrina diventerà bianca.<br />

Di tanto in tanto, ungere le mani con olio. Formare poi con il composto<br />

dei cerchi e delle sagome attorcigliate.<br />

141


Dati Storici<br />

Circa trenta anni fa, nei quartieri popo<strong>la</strong>ri, verso le quattro del pomeriggio,<br />

passava un vecchietto, dagli occhi lucidi e dalle mani rugose e spaventosamente<br />

grandi; spingeva un vecchio carretto e gridava, sbattendo<br />

una <strong>la</strong>tta vuota di DDT su una cassetta metallica:<br />

‘a cicci bel<strong>la</strong>aa!<br />

I ragazzini, a quel grido diventavano delle schegge impazzite. Tutti andavano<br />

al<strong>la</strong> ricerca di ferro vecchio, da barattare con una stecca di ‘zuccàro’<br />

avvolta in un foglio di carta bianca.<br />

Un giorno, consegnai, nelle mani screpo<strong>la</strong>te dell’omino, il ferro da stiro a<br />

carbone di mia nonna. L’uomo mi guardò impietosito, aprì <strong>la</strong> magica<br />

cassetta, ed estrasse <strong>la</strong> ‘cicci bel<strong>la</strong>’e mi disse: attìa piccirìddu, pòttiti stù<br />

fèrru ‘a casa, prima ca tò matri tà dubba a tumbu<strong>la</strong>ti, te mancia.<br />

Oggi, che viviamo nel <strong>per</strong>iodo degli i<strong>per</strong>mercati, questo racconto sembra<br />

appartenere al<strong>la</strong> preistoria; le nostre strade sono in<strong>qui</strong>nate dai rumori dei<br />

c<strong>la</strong>cson di automobilisti maleducati e <strong>la</strong> voce degli ambu<strong>la</strong>nti, guidatori di<br />

‘<strong>la</strong>pi’, è definitivamente scomparsa.<br />

A Siracusa, solo l’otto dicembre, nel<strong>la</strong> piazzetta dell’Immaco<strong>la</strong>ta, è possibile<br />

gustare lo zuccàru, ‘u zuccaru cò ruppu’.<br />

142<br />

CERNIA ALLA MATALOTTA<br />

Ingredienti Quantità<br />

cernia fresca kg. 2<br />

pomodori pe<strong>la</strong>ti/ o maturi gr. 400<br />

olive bianche gr. 150<br />

aglio in camicia (spicchi) n. 2<br />

cipol<strong>la</strong> bianca gr. 100<br />

prezzemolo tritato (mazzi) n. 1<br />

cap<strong>per</strong>i sa<strong>la</strong>ti gr. 50<br />

vino bianco/secco ml. 125<br />

olio e.v.o. q.b.<br />

pepe nero q.b<br />

sale q.b<br />

Fasi di sviluppo del<strong>la</strong> ricetta<br />

Roso<strong>la</strong>re in un tegame basso e <strong>la</strong>rgo <strong>la</strong> cipol<strong>la</strong> affettata e l'aglio in<br />

camicia,assieme ai filetti di acciuga.<br />

Aggiungere le fette di cernia, bagnare col vino e unire i pomodori pe<strong>la</strong>ti,<br />

le olive, i cap<strong>per</strong>i, il sale e il pepe nero macinato fresco.<br />

Allungare, se necessario, con mezzo bicchiere d'acqua e fare cuci-


nare a fuoco basso <strong>per</strong> circa <strong>qui</strong>ndici minuti.<br />

A fine cottura spolverare con il prezzemolo.<br />

Dati Storici<br />

Lo straordinario sapore di questo piatto è dovuto al<strong>la</strong> semplicità degli ingredienti<br />

ma soprattutto al<strong>la</strong> loro genuinità. Il termine matalotta deriva<br />

dal francese ‘matelot’ e indica il marinaio.<br />

‘Al<strong>la</strong> marinara’ e ‘al<strong>la</strong> matalotta’ sono delle espressioni e<strong>qui</strong>pollenti: indicano<br />

in genere uno stufatino di pesce.<br />

Si chiamerà zuppa, quando nel piatto si troverà del pane raffermo o leggermente<br />

tostato.<br />

PUPPETTA DI MUCCU<br />

Ingredienti Quantità<br />

neonato rosso di triglia gr. 800<br />

pan grattato gr. 80<br />

aglio tritato (spicchi) n. 1<br />

prezzemolo tritato q.b.<br />

sale q.b.<br />

pepe q.b.<br />

farina q.b.<br />

pecorino stagionato gr. 50<br />

Fasi di sviluppo del<strong>la</strong> ricetta<br />

Lavorare il neonato con una modesta quantità di pan grattato, il<br />

prezzemolo, pepe nero, una manciata di pecorino grattugiato e un filetto<br />

d’aglio finemente tritato.<br />

Fare delle polpette, leggermente schiacciate, infarinarle e friggerle in<br />

abbondante olio.<br />

Tamponare con carta assorbente e servire (N.B. risultano ottime anche<br />

fredde).<br />

Dati Storici<br />

‘A chi iai puppetti ri muccu ‘nda testa?’<br />

Espressione tipica dialettale <strong>per</strong> indicare una <strong>per</strong>sona con un cervello<br />

poco efficiente.<br />

Molti nel<strong>la</strong> preparazione usano le uova, <strong>per</strong> legare il composto, mortificando<br />

<strong>per</strong>ò il gusto del novel<strong>la</strong>me.<br />

Splendido il racconto di Enzo Siena, nel suo libro ‘La cucina dello scoglio’,<br />

dove riporta il dialogo fra u’ iammicaru, u’ Ziu Piddu Fontana e<br />

l’autore medesimo:<br />

143


‘Che uova si fa u’ piscirovu, malu cristianu!’<br />

(U’ iammicaru invita Enzo Siena a realizzare le polpette senza l’aggiunta<br />

di uova e senza spremere limone al<strong>la</strong> fine).<br />

144<br />

PASTA FRITTA ALLA SIRACUSANA<br />

Ingredienti (10 porzioni) Quantità<br />

capelli d’angelo g. 700<br />

sugna <strong>per</strong> friggere kg. 1<br />

uova sbattute 3<br />

miele di zagara g. 200<br />

pan grattato abbrustolito q.b.<br />

sale q.b.<br />

Fasi di sviluppo del<strong>la</strong> ricetta<br />

Lessare <strong>la</strong> pasta al dente, sco<strong>la</strong>r<strong>la</strong> e formare delle piccole polpettine.<br />

Passarle nell’uovo battuto e successivamente nel pan grattato leggermente<br />

abbrustolito.<br />

Friggerle nel<strong>la</strong> sugna o in olio d’oliva e.v.o.<br />

Cospargerle con miele ai fiori di zagara.<br />

N.B. una <strong>versione</strong> di pasta fritta al<strong>la</strong> siracusana prevede che le polpette<br />

vengano immerse nel<strong>la</strong> sugna bollente subito dopo lo scotto, senza<br />

l’utilizzo dell’uovo e del pan grattato.<br />

Dati Storici<br />

Pare che il piatto fu inventato Don Francesco Bonanno Principe di Cattolica<br />

e Roccafiorita, diplomatico presso <strong>la</strong> corte di Carlo VI.<br />

La pietanza si colora di oriente ed è stata negli anni passati una vera<br />

leccornia. Oggi è in disuso.<br />

PASTIZZU DI NATALI (Noto)<br />

Ingredienti Quantità<br />

pasta di grano tenero lievitata gr. 400<br />

ragù di polpa di maiale gr. 400<br />

pomodori gr. 400<br />

cipol<strong>la</strong> n. 1<br />

prezzemolo q.b.<br />

vino rosso vecchio (bicchieri) ½<br />

maccheroni freschi gr. 400<br />

cime di broccoli lessate gr. 300<br />

limone femminello n. 1


icotta gr. 250<br />

formaggio piacentino gr. 100<br />

olio e.v.o. , sale e pepe nero q.b.<br />

Fasi di sviluppo del<strong>la</strong> ricetta<br />

Lavorare con olio e succo di limone <strong>la</strong> pasta di pane, poi stesi due<br />

dischi sottili, riporne uno nel<strong>la</strong> teglia rotonda unta d’olio, e conservare<br />

l’altro <strong>per</strong> <strong>la</strong> co<strong>per</strong>tura.<br />

Soffriggere in un tegame nell’olio <strong>la</strong> cipol<strong>la</strong> tritata con il prezzemolo e<br />

i pezzi di polpa magra del maiale.<br />

Unire i pomodori nettati e spezzettati <strong>per</strong> farne un ragù, con<br />

l’aggiunta di mezzo bicchiere di vino di Pachino, aggiustare di sale e<br />

pepe.<br />

A parte lessare i broccoli e poi saltarli in padel<strong>la</strong>.<br />

Lessare al dente i maccarruni, sco<strong>la</strong>rli e condire con il sugo, avendo<br />

cura di tritare <strong>la</strong> polpa di maiale cotta.<br />

Adagiare i maccheroni ed il resto dell’intingolo sul<strong>la</strong> pasta del<strong>la</strong> taglia<br />

(i bordi del<strong>la</strong> pasta vanno rialzati), <strong>qui</strong>ndi sparpagliare le cimette dei<br />

broccolo (cavolfiore bianco) soffritte, <strong>la</strong> ricotta ed il formaggio grattugiato.<br />

Sa<strong>la</strong>re, pepare, versare un filino d’olio a chiudere con <strong>la</strong> sfoglia di<br />

pasta.<br />

Pizzicare fortemente i bordi affinché combaciando le due sfoglie, bucherel<strong>la</strong>re<br />

il co<strong>per</strong>chio con <strong>la</strong> forchetta e mandare il forno caldo: astrarre<br />

il pasticcio appena avrà preso un bel colore dorato, umettare<br />

<strong>la</strong> “faccia” con un pò d’olio o sugna passata con un pezzetto di stoffa<br />

e servire caldo.<br />

Dati Storici<br />

È <strong>la</strong> variante “rusticana” del<strong>la</strong> ricetta PASTICCIU DI SUSTANZA (il popolo,<br />

in gastronomia, tutele volte che ha potuto si è sempre ispirato al<strong>la</strong><br />

cucina del “potere”. Questo pasticcio si ricollega al<strong>la</strong> ‘Pasticza’.<br />

145


Agrigento<br />

146<br />

GELATO AL MELONE<br />

Ingredienti (6 porzioni) Quantità<br />

melone giallo maturo gr . 800<br />

succo di limone, quasi maturo ½ limone<br />

albumi d’uovo n. 4<br />

zucchero semo<strong>la</strong>to gr. 100<br />

sale fino q.b.<br />

Si tratta di un dolce tipico, <strong>la</strong> cui preparazione è di media difficoltà e richiede<br />

circa 5 ore dal preparare al servire freddo.<br />

Fasi di sviluppo del<strong>la</strong> ricetta<br />

Togliete al melone scorza e seme e fate a pezzetti <strong>la</strong> polpa. Frul<strong>la</strong>te<strong>la</strong><br />

con il succo di limone fino ad avere un composto liscio.<br />

Versatelo in un contenitore da freezer del<strong>la</strong> capacità di un litro e<br />

mezzo circa e livel<strong>la</strong>te <strong>la</strong> su<strong>per</strong>ficie; mettete in freezer fino a quando<br />

comincia a solidificare ai bordi.<br />

In un contenitore di acciaio, preferibilmente con <strong>la</strong> frusta elettrica al<strong>la</strong><br />

massima velocità montare gli albumi con il sale. Aggiungete gradualmente<br />

lo zucchero, un cucchiaio al<strong>la</strong> volta, battendo dopo ogni<br />

aggiunta, fino a che non è completamente sciolto e gli albumi sono<br />

ben sodi.<br />

Frul<strong>la</strong>re il composto di melone parzialmente schiacciato <strong>per</strong> tritarlo<br />

finemente. Amalgamate con <strong>la</strong> spato<strong>la</strong> gli albumi montati. Rimettete<br />

il tutto nel contenitore; coprite e mettete in freezer a solidificare, <strong>per</strong><br />

circa tre ore.<br />

Lasciare il sorbetto a tem<strong>per</strong>atura ambiente <strong>per</strong> dieci minuti, <strong>per</strong>ché<br />

sia facile farne delle palline.<br />

Dati Storici<br />

Cenni storici di Andrea Camilleri<br />

Il “gelu di muluni” è un dolce tipico di Ferragosto che si consuma <strong>per</strong><br />

tradizione in alcuni comuni dell’agrigentino, soprattutto a Joppolo Giancaxio<br />

dove al<strong>la</strong> fine del secolo era partico<strong>la</strong>rmente intensa <strong>la</strong> coltivazione<br />

del melone. Questo frutto in antichità venne importato dall’Africa e<br />

dall’Asia e venne considerato, inizialmente, un cibo plebeo anche se<br />

successivamente venne nobilitato finendo anche sulle tavole dei ricchi.<br />

Quel ge<strong>la</strong>to era davvero speciale e aveva un gusto che ancora oggi lo<br />

scrittore Andrea Camilleri e molti altri del<strong>la</strong> sua generazione, non sono<br />

più riusciti a ritrovare in nessun altro prodotto artigianale.<br />

Quello era il ge<strong>la</strong>to che da giovane ‘il papà del Commissario Montalba-


no’ andava a gustare ai tavolini del Caffè Castiglione, in via Roma, il celebre<br />

locale sul corso principale di Porto Empedocle, frequentato nel secolo<br />

scorso da intellettuali e artisti del calibro di Luigi Pirandello .<br />

Un ge<strong>la</strong>to che <strong>per</strong>fino gli amici di Leonardo Sciascia facevano a gara <strong>per</strong><br />

farlo arrivare direttamente nelle campagne di contrada Noce, negli asso<strong>la</strong>ti<br />

pomeriggi estivi degli anni sessanta, <strong>per</strong> una gradita e fresca sorpresa<br />

al maestro di Racalmuto.<br />

“Il ge<strong>la</strong>to del<strong>la</strong> Pasticceria Castiglione era un qualcosa di sublime – racconta<br />

lo scrittore empedoclino – un prodotto artigianale sul quale sono<br />

state ricamate tante leggende e qualche verità ed io appartengo al<strong>la</strong><br />

schiera di quei fortunati che hanno potuto godere in passato di queste<br />

delizie del pa<strong>la</strong>to, soprattutto durante gli afosi pomeriggi estivi, a coronamento<br />

di qualche scommessa vinta con gli amici”.<br />

“Quel Caffè - Pasticceria – racconta ancora Andrea - era un vero momento<br />

culturale; un luogo di grandi incontri dove spesso si riuniva anche<br />

<strong>la</strong> nostra compagnia dei filodrammatici <strong>per</strong> studiare le parti da mettere in<br />

scena. Oltretutto il locale, dietro aveva un’enorme sa<strong>la</strong> da biliardo dove<br />

ho trascorso moltissimo tempo del<strong>la</strong> mia gioventù. Il Caffè “Castiglione”<br />

era il gran luogo d’incontro del paese. Poi aveva quei ge<strong>la</strong>ti favolosi e<br />

<strong>qui</strong>ndi arrivava gente un pò da tutta <strong>la</strong> provincia ma anche dal<strong>la</strong> Sicilia<br />

<strong>per</strong> assaggiare queste specialità.<br />

Addirittura nel 1924, quando venne in Sicilia Benito Mussolini, subito<br />

dopo il delitto di Giacomo Matteotti, e si fermò da queste parti, in visita<br />

ad Agrigento, gli fecero assaggiare il famoso ge<strong>la</strong>to empedoclino alle<br />

mandorle. Per <strong>la</strong> cronaca, a Mussolini, giunto partico<strong>la</strong>rmente accaldato<br />

al Comune, <strong>per</strong> cercare di dargli un pò di sollievo, gli offrirono una coppa<br />

di ge<strong>la</strong>to di Castiglione. E il Duce se ne innamorò al punto che in seguito<br />

pare abbia fatto più volte telefonare al<strong>la</strong> Capitaneria di Porto affinché gli<br />

si preparasse quel famoso ge<strong>la</strong>to che poi, segretamente, lui avrebbe<br />

mandato a ritirare mediante un idrovo<strong>la</strong>nte in grado di ammarava nel<br />

mare empedoclino <strong>per</strong> prendere in consegna il prezioso carico e trasferirlo<br />

prima a Ostia e poi a Roma, direttamente al<strong>la</strong> sua residenza di pa<strong>la</strong>zzo<br />

Venezia.”<br />

“A questo proposito – continua lo scrittore - devo anche raccontare una<br />

storia molta bel<strong>la</strong>. Come sapete <strong>la</strong> prima autostrada che venne costruita<br />

in Italia fu <strong>la</strong> Ostia – Roma e mio zio, che era antifascista, mi disse che<br />

quell’autostrada venne fatta costruire da Mussolini proprio <strong>per</strong>ché altrimenti<br />

i ge<strong>la</strong>ti di Castiglione gli arrivavano tutti squagliati da Porto Empedocle…!”<br />

“Ge<strong>la</strong>ti così – conclude tristemente Andrea Camilleri – non ricordo di averli<br />

più mangiati da nessun’altra parte!”.<br />

147


148<br />

CECI CON LA PASTA<br />

Ingredienti (6 porzioni) Quantità<br />

ceci secchi gr. 700<br />

finocchietto selvatico gr. 500<br />

<strong>la</strong>sagnette di farina, fresche gr. 400<br />

guanciale maiale affumicato gr. 100<br />

conserva pomodoro gr. 200<br />

cipol<strong>la</strong> verde gr. 200<br />

aglio q.b.<br />

salvia q.b.<br />

rosmarino q.b.<br />

pe<strong>per</strong>oncino rosso n. 1<br />

olio e.v.o. del Belice gr. 100<br />

Primo piatto di tradizione popo<strong>la</strong>re, di facile e veloce preparazione (max<br />

1 ora).<br />

Fasi di sviluppo del<strong>la</strong> ricetta<br />

I ceci secchi si mettono ad ammol<strong>la</strong>re in acqua con un pizzico di bicarbonato<br />

<strong>la</strong> sera prima. Poi, in un tegame di coccio, rosoleremo con<br />

un poco d’olio <strong>la</strong> pancetta tagliata a dadini, insaporita da una foglia di<br />

salvia, un rametto di rosmarino, l’erba cipollina tritata, il pe<strong>per</strong>oncino<br />

a pezzetti.<br />

A parte, in acqua sa<strong>la</strong>ta abbondante, avremmo bollito i ceci e, nel<strong>la</strong><br />

stessa acqua, lesseremo le <strong>la</strong>sagnette miste al finocchietto selvatico.<br />

Quando <strong>la</strong> pasta è al dente, spegnere il fuoco, togliere un pò d’acqua<br />

di cottura se dovesse risultare eccessiva e condire con l’intingolo del<br />

tegame, nel quale avremo prima stem<strong>per</strong>ato <strong>la</strong> conserva di pomodoro<br />

se lo vogliamo, ma se ne può fare a meno.<br />

La minestra è buonissima anche fredda.<br />

TIMBALLO DEL GATTOPARDO<br />

Ingredienti (8 porzioni) Quantità<br />

tagliatelle all’uovo gr. 500<br />

petto di pollo gr. 200<br />

prosciutto crudo gr. 100<br />

prosciutto cotto gr. 100<br />

piselli freschi sgusciati gr. 100<br />

estratto di carne q.b.<br />

funghi porcini secchi gr. 200


formaggio grana gr. 200<br />

<strong>la</strong>certo di vitello gr. 500<br />

cipol<strong>la</strong> verde gr. 150<br />

rosmarino q.b.<br />

sedano dolce n. 1<br />

vino bianco q.b.<br />

olio e.v.o. Nocel<strong>la</strong>ra q.b.<br />

farina grano tenero gr. 250<br />

zucchero semo<strong>la</strong>to gr. 100<br />

cannel<strong>la</strong> polvere q.b.<br />

sale fino q.b.<br />

strutto gr. 50<br />

burro gr. 50<br />

uova n. 2<br />

Piatto ricercato, di alta difficoltà e lunga preparazione (3 ore)<br />

Fasi di sviluppo del<strong>la</strong> ricetta<br />

Mettere il <strong>la</strong>certo in un tegame con olio, roso<strong>la</strong>re su tutti i <strong>la</strong>ti ed aggiungere<br />

<strong>la</strong> cipol<strong>la</strong>. Quando <strong>la</strong> cipol<strong>la</strong> si roso<strong>la</strong> aggiungere il vino,<br />

dopo qualche <strong>la</strong> carota, il sedano e il rosmarino ed u pizzico di sale.<br />

Aggiungere l’acqua e coprire appena <strong>la</strong> carne.<br />

Portare ad ebollizione e far cuocere a fuoco lento <strong>per</strong> qualche ora.<br />

Togliere <strong>la</strong> carne e le verdure. Le verdure vengono passate al setaccio.<br />

Poi metterle nel sughetto e ridurlo a fuoco lento.<br />

Mesco<strong>la</strong>re insieme al<strong>la</strong> farina lo zucchero, <strong>la</strong> cannel<strong>la</strong> ed il sale, metter<strong>la</strong><br />

a fontana sul piano da <strong>la</strong>voro e aggiungere lo strutto ed il burro,<br />

l’uovo ed il vino q.b.. Amalgamare bene l’impasto e <strong>la</strong>sciare riposare<br />

il tutto <strong>per</strong> circa un ora.<br />

Soffrigere <strong>la</strong> cipol<strong>la</strong> e aggiungere il petto di pollo tagliato a striscioline,<br />

i funghi porcini e fare roso<strong>la</strong>re <strong>per</strong> qualche minuto ed aggiungere<br />

il prosciutto cotto e crudo tagliato a listelle. Sbagnare con vino bianco,<br />

quando è spumato aggiungere i piselli sbollentati precedentemente,<br />

<strong>la</strong> panna e l’estratto di carne. Portare ad ebollizione.<br />

Cuocere le tagliatelle in acqua bollente, sco<strong>la</strong>rli al dente e maneggiarli<br />

con il condimento spolverando con del parmigiano. Stendere <strong>la</strong><br />

pasta frol<strong>la</strong> e sistemar<strong>la</strong> in uno stampino, metter<strong>la</strong> dentro uno stampino<br />

avendo cura di chiuder<strong>la</strong> bene. Bucherel<strong>la</strong>re <strong>la</strong> pasta con una<br />

forchetta e spennel<strong>la</strong>re con uovo.<br />

Cuocere al forno moderato a 180° circa. quando è pronto sformare e<br />

girare il timballo decorandolo con <strong>la</strong> rimanente pasta e rimetterlo a<br />

forno <strong>per</strong> dorare <strong>la</strong> pasta.<br />

149


150<br />

IL POTAGGIO<br />

Ingredienti (4 porzioni) Quantità<br />

carciofi violetta di menfi n. 6<br />

piselli freschi sgranati gr. 500<br />

fave primizie gr. 800<br />

limone (succo) n. 1<br />

olio e.v.o. del Belice gr. 100<br />

cipol<strong>la</strong> verde gr. 200<br />

aglio q.b.<br />

rosmarino q.b.<br />

Primo piatto di tradizione popo<strong>la</strong>re, di facile e veloce preparazione (max<br />

1 ora).<br />

Fasi di sviluppo del<strong>la</strong> ricetta<br />

Roso<strong>la</strong>re in un tegame, in olio extra vergine d’oliva, i piselli sgusciati<br />

freschi, le favette verdi, i fondi di carciofo e le cipolle.<br />

Cuocere aggiungendo acqua a piccole dosi.<br />

Sa<strong>la</strong>re, pepare e servire come contorno alle salsicce di maiale arrostite<br />

sulle braci o cotte in padel<strong>la</strong> con un pò di vino.<br />

AGNELLO PASQUALE<br />

Ingredienti (10 porzioni) Quantità<br />

farina di mandorle pe<strong>la</strong>te kg. 1<br />

zucchero semo<strong>la</strong>to kg. 1<br />

vaniglia in polvere q.b.<br />

acqua naturale gr. 250<br />

Dolce di tradizione popo<strong>la</strong>re, di media difficoltà e con una preparazione<br />

di circa 2 ore. La paternità del<strong>la</strong> ricetta è riconducibile al Monastero di<br />

Santo Spirito.<br />

Fasi di sviluppo del<strong>la</strong> ricetta<br />

Mettete in un tegame l’acqua e lo zucchero, rimesco<strong>la</strong>te e portate ad<br />

ebollizione, togliendo dal fuoco non appena lo zucchero fi<strong>la</strong>.<br />

Ve ne accorgerete prendendo il mestolo di legno con cui avete rimesco<strong>la</strong>to<br />

il composto e sollevandolo, <strong>per</strong> <strong>la</strong>sciare sco<strong>la</strong>re qualche goccia<br />

di zucchero sciolto.<br />

Se <strong>la</strong> goccia co<strong>la</strong>ndo si allungherà a filo, è il momento di togliere il<br />

tegame dal fuoco e di incorporarvi <strong>la</strong> farina di mandorle e <strong>la</strong> vaniglia.<br />

Il punto di cottura è importante <strong>per</strong>ché andando oltre lo zucchero potrebbe<br />

bruciarsi.


Rimesco<strong>la</strong>te bene <strong>per</strong> fare amalgamare <strong>la</strong> farina allo zucchero, e<br />

versate <strong>la</strong> pasta sul tavolo di marmo, opportunamente bagnato.<br />

Appena sarà fredda <strong>la</strong>vorate<strong>la</strong> a lungo finchè non diventi liscia e<br />

compatta. A questo punto potrete preparare con le apposite formine<br />

il dolce desiderato.<br />

Dati storici<br />

Uno dei dolci che, con <strong>la</strong> colomba e le uova, è certamente il simbolo <strong>per</strong><br />

eccellenza del rituale del<strong>la</strong> Pasqua, è l’agnus paschalis: il dolce si riferisce<br />

all’agnello, è detto anche ‘picuredda’ (pecorel<strong>la</strong>), e attualmente viene<br />

confezionato soprattutto dai dolciari. Di solito l’agnello eseguito con<br />

formelle di gesso e rifinito a mano, segue sempre una iconografia c<strong>la</strong>ssica:<br />

è sdraiato su un piano di forma ellissoidale, a <strong>la</strong>to del<strong>la</strong> bandierina<br />

rossa del<strong>la</strong> resurrezione.<br />

In genere gli “agnellini” dell’Agrigentino, e in partico<strong>la</strong>re quelli di Favara<br />

o del monastero di Santo Spirito di Palma di Montechiaro, sono rico<strong>per</strong>ti<br />

con giulebbe di zucchero e decorati con fiorellini e palline argentate.<br />

Strettamente connesso con l’agnello pasquale è il dolce a forma di cuore,<br />

eseguito in genere anche dai dolciari con pasta reale, con decorazioni<br />

di tipo orientale. Agnello e cuore costituiscono, come in genere i dolci<br />

pasquali, un dono destinato ora ai bambini, ora ai fidanzati, ai suoceri, ai<br />

genitori.<br />

TAGANU DI ARAGONA (Tegame di Aragona)<br />

Ingredienti (8 porzioni) Quantità<br />

uova n. 4<br />

olio e.v.o. gr. 50<br />

rigatoni (pasta secca) gr. 500<br />

cipol<strong>la</strong> tritata gr. 50<br />

piselli freschi sgusciati gr. 200<br />

pane grattato gr. 200<br />

carne tritata di maiale gr. 200<br />

formaggio tuma gr. 200<br />

formaggio caciocavallo gr. 100<br />

cipol<strong>la</strong> verde gr. 150<br />

sale fino q.b.<br />

pepe bianco q.b.<br />

Piatto ricercato di cucina creativa, di alta difficoltà e lunga preparazione<br />

(3 ore)<br />

151


Fasi di sviluppo del<strong>la</strong> ricetta<br />

Dopo aver preparato un ragù con <strong>la</strong> cipol<strong>la</strong> affettata soffritta nell’olio<br />

aggiungete <strong>la</strong> carne tritata e l’estratto di pomodoro allungato con<br />

l’acqua.<br />

Unite i piselli sgusciati, condite con sale e pepe e <strong>la</strong>sciate cuocere<br />

<strong>per</strong> circa un’ora. Lessate i rigatoni e sco<strong>la</strong>teli bene ma che siano al<br />

dente.<br />

Prendete un tegame di coccio o una pirofi<strong>la</strong> di vetro unta di olio,<br />

spargete il pan grattato e versate all’interno i rigatoni conditi al ragù a<br />

cui avrete aggiunto <strong>la</strong> tuma a pezzetti.<br />

Sbatte le uova unendoci il caciocavallo grattugiato e versate sopra i<br />

rigatoni in modo che durante <strong>la</strong> cottura si formi una crosta dorata.<br />

Poi passate al forno <strong>per</strong> circa venti minuti.<br />

152<br />

CASTRATO DI AGNELLO<br />

Ingredienti Quantità<br />

costolette di agnello castrato gr . 800<br />

succo di limone maturo q.b.<br />

sale fino q.b.<br />

Secondo piatto di tradizione popo<strong>la</strong>re, di facile e veloce preparazione<br />

(30 min.).<br />

Fasi di sviluppo del<strong>la</strong> ricetta<br />

Procuratevi delle costolette di castrato di agnello e fatele macerare a<br />

lungo in una marinata di olio, aglio, limone, sale e pepe.<br />

Poi cuocetele al<strong>la</strong> brace e servite, scottanti, guarnite di fette di limone.<br />

Dati storici<br />

L. Pirandello da Il capretto nero.<br />

“Dicevano gli antichi che gli Akragantini mangiavano ogni giorno come<br />

se dovessero morire il giorno dopo e costruivano le loro case come se<br />

non dovessero morire mai.....”<br />

Ingredienti (6 porzioni) Quantità<br />

semo<strong>la</strong> di grano duro gr . 500<br />

ciocco<strong>la</strong>to nero fondente gr. 100<br />

mandorle non pe<strong>la</strong>te gr. 100<br />

pistacchio locale verde gr. 100<br />

CUSCUS DOLCE


zuccata candita gr. 50<br />

cannel<strong>la</strong> polvere gr. 10<br />

zucchero velo gr. 30<br />

Dolce di tradizione popo<strong>la</strong>re, di alta difficoltà e con una preparazione di<br />

circa 5 ore. La paternità del<strong>la</strong> ricetta è riconducibile al Monastero di Santo<br />

Spirito.<br />

Fasi di sviluppo del<strong>la</strong> ricetta<br />

Mettere <strong>la</strong> farina di semo<strong>la</strong> in uno apposito recipiente, chiamato ‘mafaradda’.<br />

Con le dita bagnate di acqua, sa<strong>la</strong>te<strong>la</strong> leggermente e raccogliete<strong>la</strong>.<br />

Manipo<strong>la</strong>te<strong>la</strong> con moto rotatorio delle dita in modo da ricavare delle<br />

palline non più grandi del<strong>la</strong> testa di uno spillo.<br />

Lasciate asciugare <strong>per</strong> tre ore su una tovaglia il cous scous. Poi procedete<br />

al<strong>la</strong> cottura a vapore nel tegame detto ‘couscousiera’: mettete<br />

<strong>la</strong> semo<strong>la</strong> nel<strong>la</strong> parte centrale del tegame, una sorta di co<strong>la</strong>pasta, solo<br />

quando l’acqua comincerà a bollire.<br />

Rimettete il cous cous nel tegame e fatelo cuocere ancora <strong>per</strong> venti<br />

minuti. Toglietelo dal fuoco e <strong>la</strong>sciatelo raffreddare. Addolcitelo con<br />

qualche cucchiaio di zucchero a velo, le mandorle, le scaglie di ciocco<strong>la</strong>to<br />

e i pistacchi sgusciati e tritati e i pezzetti di zuccata.<br />

Mesco<strong>la</strong>te e servite in tavo<strong>la</strong>, freddo spolverato con <strong>la</strong> cannel<strong>la</strong>.<br />

Dati storici<br />

I dolci segreti di Santo Spirito<br />

Si chiama ‘cùscus’, ma a differenza di quello tradizionale arabo, quello<br />

agrigentino è dolce ed è fatto di mandorle e pistacchio.<br />

In pochi conoscono questa vera e propria specialità del<strong>la</strong> pasticceria,<br />

realizzata nel silenzio più completo, all'interno dell'antico monastero di<br />

Santo Spirito, dalle suore Cistercensi, le monache di c<strong>la</strong>usura che vivono<br />

nel complesso monumentale situato nel cuore di Agrigento. Per poter<br />

avere il privilegio di gustare questi dolci è necessario risalire dal<strong>la</strong> via<br />

Atenea attraverso i vicoli fino a Santo Spirito e bussare al monastero,<br />

fondato nel 1290 e che oggi ospita dodici religiose, (<strong>la</strong> più anziana ha 91<br />

anni, <strong>la</strong> più giovane solo 23), che dividono <strong>la</strong> loro giornata tra preghiere,<br />

meditazioni e <strong>la</strong>voro. Una ‘suorina’, dietro una grata in penombra, vi domanderà<br />

il motivo del<strong>la</strong> vostra visita e, appreso che intendete ac<strong>qui</strong>stare<br />

una confezione di dolci al pistacchio, ve li farà arrivare attraverso ‘<strong>la</strong> finestrel<strong>la</strong>’,<br />

l'unico mezzo <strong>per</strong> poter comunicare e scambiare beni materiali.<br />

La vera curiosità è che, all'interno del convento, è da tempo in funzione<br />

un moderno e attrezzato <strong>la</strong>boratorio di pasticceria <strong>per</strong> <strong>la</strong> preparazione<br />

dei dolci a base di antiche ricette che poi vengono venduti a turisti e visi-<br />

153


tatori al<strong>la</strong> sco<strong>per</strong>ta di quel luogo misterioso affascinante e suggestivo,<br />

ricco di storia, e che racchiude alcuni grandi capo<strong>la</strong>vori d'arte come gli<br />

stucchi del Serpotta o le statue lignee del Gaggini, collocate nel<strong>la</strong> chiesa<br />

del monastero.<br />

Tornando ai dolci, si tratta di ricette mantenute segrete, tramandate a<br />

voce, nei secoli, dalle varie monache che si sono succedute tra quelle<br />

mura, e so<strong>la</strong>mente una di loro, (oggi è suor Ildegarde, <strong>la</strong> Madre Badessa)<br />

ne conosce fino in fondo il segreto; depositaria di uno straordinario<br />

segreto di dolcezza da molti definito un vero e proprio ‘trionfo del<strong>la</strong> go<strong>la</strong>’.<br />

Del<strong>la</strong> delicatezza di questo cuscus dolce, rimase partico<strong>la</strong>rmente colpito<br />

anche lo scrittore Leonardo Sciascia che in passato ebbe a scrivere: ‘É<br />

già un miracolo che noi, <strong>per</strong> una volta, l'abbiamo potuto gustare: un dolce<br />

degno di un'agape angelica, arrivato, <strong>per</strong> segreto tramite, a noi peccatori’.<br />

Questo cuscus dolce al pistacchio, che alcuni studiosi ed es<strong>per</strong>ti di gastronomia<br />

fanno risalire al<strong>la</strong> tradizione araba, in sostanza non è che <strong>la</strong><br />

<strong>versione</strong> dolcificata del cuscus sa<strong>la</strong>to del trapanese. Il cuscus dolce delle<br />

suore Cistercensi di Agrigento, non è che il risultato di una amalgama<br />

di semolino e uova, olio e zucchero, pistacchi e mandorle, cannel<strong>la</strong> e<br />

ciocco<strong>la</strong>ta, noci e frutta candita, datteri e spezie.<br />

I golosi dunque non hanno che da bussare al<strong>la</strong> porta del convento di<br />

c<strong>la</strong>usura del centro storico e chiedere di ac<strong>qui</strong>stare il prodotto ‘di giornata’.<br />

Per avere il cuscus al pistacchio e mandorle non è necessario spendere<br />

grandi somme (si può anche solo fare un'offerta) ma quel dolce<br />

s<strong>qui</strong>sito <strong>per</strong>metterà di assaporare un'assoluta novità del<strong>la</strong> pasticceria siciliana<br />

e al medesimo tempo, <strong>la</strong> vostra offerta contribuirà a far sopravvivere<br />

<strong>la</strong> picco<strong>la</strong> e <strong>la</strong>boriosa comunità delle suore di c<strong>la</strong>usura del monastero<br />

di Santo Spirito.<br />

154<br />

SPAGHETTI CON DADOLATA DI TONNO<br />

E POMODORO FRESCO AL PROFUMO DI BASILICO<br />

Ingredienti (4 porzioni) Quantità<br />

tonno fresco gr. 300<br />

pomodoro maturo gr. 500<br />

spaghetti gr. 300<br />

basilico fresco (foglie) n. 20<br />

olio e.v.o. del Belice gr. 100<br />

cipollotto verde gr. 200<br />

aglio q.b.<br />

vino bianco secco q.b.


Fasi di sviluppo del<strong>la</strong> ricetta<br />

In un saltiere capiente fare imbiondire con l’olio <strong>la</strong> cipol<strong>la</strong> precedentemente<br />

tagliata a julienne sottile; unire poi il tonno spel<strong>la</strong>to e tagliato<br />

a dadi grosso<strong>la</strong>ni.<br />

Fare roso<strong>la</strong>re bene e sfumare con il vino, sa<strong>la</strong>re e pepare e fare<br />

cuocere <strong>per</strong> alcuni minuti.<br />

A parte spel<strong>la</strong>re e togliere i semi ai pomodori, tagliati poi a cubetti.<br />

Unire il tutto al tonno , tritare il basilico e aggiungerlo al<strong>la</strong> salsa.<br />

Cuocere gli spaghetti in abbondante acqua bollente sa<strong>la</strong>ta, sco<strong>la</strong>ti,<br />

mesco<strong>la</strong>rli delicatamente con <strong>la</strong> salsa . Servire con un filo di olio crudo<br />

e foglie di basilico.<br />

Dati storici<br />

In passato il tonno era considerato un cibo povero che veniva preparato<br />

con l’aggiunta di pochi altri elementi.<br />

L’antica ricetta dei ‘tonnaroti’ di Siculiana Marina narra di s<strong>qui</strong>siti tranci di<br />

tonno rosso fresco, affettati e messi in pirofi<strong>la</strong> con qualche goccia d’olio<br />

d’oliva e i vari aromi: aglio, origano e pepe nero. Poi sulle carni si spremeva<br />

un limone e si versava qualche goccia d’acqua di mare <strong>per</strong> far<br />

prendere ancora un pò di sapore. Infine si copriva bene il tutto e si <strong>la</strong>sciava<br />

cucinare a fuoco lento <strong>per</strong> una ventina di minuti. E con il sugo<br />

che si otteneva dal<strong>la</strong> cottura del tonno, si finiva anche <strong>per</strong> condire <strong>la</strong> pasta.<br />

Altra ricetta tramandata nei secoli sono le famose ‘polpette di tonno’ che<br />

altro non erano che tonno sott’olio sgoccio<strong>la</strong>to, impastato con prezzemolo,<br />

aglio, un cucchiaio di salsa di pomodoro, pepe nero, un uovo e un pò<br />

di pecorino. Le polpette andavano poi fritte in olio bollente. Tutte ricette,<br />

queste, che si sarebbero <strong>per</strong>se nel tempo se ad Agrigento non ci fosse<br />

chi da anni <strong>la</strong>vora a Siculiana, <strong>per</strong> riuscire a recu<strong>per</strong>are le antiche usanze<br />

del<strong>la</strong> cucina locale.<br />

MACCU DI SAN GIUSEPPE<br />

Ingredienti (6 porzioni) Quantità<br />

fave secche gr. 200<br />

ceci secchi gr. 100<br />

lenticchie secche gr. 100<br />

fagioli secchi gr. 100<br />

castagne secche gr. 100<br />

cipol<strong>la</strong> nostrana n. 1<br />

aglio q.b.<br />

foglie salvia q.b.<br />

155


osmarino q.b.<br />

pomodori rossi secchi n. 3<br />

olio e.v.o. del Belice gr. 100<br />

cuore di sedano gr. 50<br />

Primo piatto di tradizione popo<strong>la</strong>re, di bassa difficoltà ma lenta preparazione<br />

(circa 3 ore).<br />

Fasi di sviluppo del<strong>la</strong> ricetta<br />

Mettere in acqua ad ammorbidire <strong>per</strong> circa <strong>qui</strong>ndici – venti ore tutti i<br />

legumi secchi e le castagne. Poi in una grande pento<strong>la</strong> (“caudiruni”)<br />

con acqua mettere insieme tutti i legumi, il finocchietto e il sedano<br />

tagliati, i pomodori secchi tagliati a pezzetti e <strong>la</strong> cipol<strong>la</strong>, sale e pepe.<br />

Lasciare cuocere <strong>per</strong> circa tre ore. A fine cottura condite il tutto con<br />

abbondante olio crudo.<br />

156<br />

UOVA DI MURRÌNA<br />

Ingredienti (6 porzioni) Quantità<br />

mandorle tritate gr. 60<br />

zucchero a velo gr. 100<br />

albumi d’uova n. 4<br />

crema pasticcera gr. 200<br />

cannel<strong>la</strong> in polvere gr. 5<br />

burro gr. 50<br />

zucca candita gr. 300<br />

Dolce di tradizione popo<strong>la</strong>re, di bassa difficoltà e con una preparazione<br />

di circa 1 ora.<br />

Fasi di sviluppo del<strong>la</strong> ricetta<br />

Sbattete le uova con <strong>la</strong> frusta, unite lo zucchero e le mandorle tritate<br />

molto finemente.<br />

In una padel<strong>la</strong>, appena unta di olio, versate cucchiaiate di uova sbattute,<br />

in modo da ottenere tante crepes rotonde.<br />

Disponete su di un piatto e <strong>la</strong>sciate raffreddare<br />

A parte, tagliate a pezzettini <strong>la</strong> zucca candita e aggiungete <strong>la</strong> crema<br />

pasticcera: aggiungete un pizzico di cannel<strong>la</strong> e mettete su di ogni<br />

crepes un cucchiaio di crema; avvolgete delicatamente su sé stessa<br />

e spolverate abbondantemente con zucchero a velo e un pizzico di<br />

cannel<strong>la</strong>.


MINESTRA DI SEPPIE<br />

Ingredienti (8 porzioni) Quantità<br />

seppie fresche gr. 500<br />

finocchietto selvatico gr. 500<br />

spaghetti sminuzzati gr. 200<br />

patate lesse gr. 200<br />

formaggio caciocavallo gr. 200<br />

cipollotto verde gr. 200<br />

aglio q.b.<br />

salvia q.b.<br />

rosmarino q.b.<br />

pe<strong>per</strong>oncino rosso n. 1<br />

olio e.v.o. del Belice gr. 100<br />

piselli freschi gr. 200<br />

salsa di pomodoro gr. 250<br />

acqua naturale lt. 1<br />

Primo piatto di tradizione popo<strong>la</strong>re, di bassa difficoltà e con una preparazione<br />

di circa 1 ora.<br />

Fasi di sviluppo del<strong>la</strong> ricetta<br />

Lavare con abbondante acqua le seppie, togliere gli interni e tagliarle<br />

a pezzettini.<br />

In una pento<strong>la</strong> a bordi alti, soffriggere l’olio e il cipollotto, aggiungere<br />

le seppie e fare roso<strong>la</strong>re, avendo cura di bagnarle con acqua.<br />

Portare ad ebollizione e aggiungere il pomodoro, il finocchietto tagliuzzato,<br />

i piselli, il sedano a tocchetti e far bollire <strong>per</strong> dieci minuti<br />

Aggiustare di sale e pepe. Aggiungere poi le patate a tocchetti piuttosto<br />

piccoli e portare a cottura. Servire in un piatto da zuppa con<br />

una manciata di caciocavallo.<br />

Ingredienti Quantità<br />

ricotta kg. 1<br />

<strong>la</strong>tte lt. 1<br />

zucchero gr. 700<br />

farina gr. 300<br />

uova n. 3<br />

amido <strong>per</strong> dolci gr. 200<br />

ciocco<strong>la</strong>to fondente gr. 100<br />

MINNE DI VERGINI<br />

157


vanillina (bustina) n. 1<br />

Fasi di sviluppo del<strong>la</strong> ricetta<br />

Preparare il biancomangiare, versando in una pento<strong>la</strong> il <strong>la</strong>tte, l’amido<br />

<strong>per</strong> dolci, circa 250 gr. di zucchero e <strong>la</strong> vanillina.<br />

Mesco<strong>la</strong>re sempre fino ad ottenere una crema densa e <strong>la</strong>sciate raffreddare.<br />

In un tegame, a fiamma bassa, sciogliete lo zucchero con un pò di<br />

acqua e aggiungete <strong>la</strong> ricotta setacciata e <strong>la</strong> farina, lentamente, continuando<br />

a mesco<strong>la</strong>re sempre. Togliete dal fuoco quando il composto<br />

è ben amalgamato.<br />

Aggiungete le uova, una al<strong>la</strong> volta, e <strong>la</strong>sciate raffreddare <strong>per</strong> circa<br />

due ore.<br />

In una teglia unta di olio, disponete dei mucchietti d’impasto, formando<br />

un incavo al centro di ognuno che riempirete con un pò di<br />

biancomangiare. Al centro mettete un pezzetto di ciocco<strong>la</strong>to fondente,<br />

dandogli <strong>la</strong> forma di mammelle.<br />

Mettete nel forno caldo il tutto <strong>per</strong> circa 20 minuti.<br />

Abbinamento consigliato con uno dei seguenti vini:<br />

Miceli – Moscato Nunn 2000<br />

Sottesoli – Menfi Mandrarossa<br />

Botti di Antistene – Sympiosio Bianco<br />

158


Malta<br />

KUSKSU (Zuppa di fagioli)<br />

Ingredienti (6 porzioni) Quantità<br />

cipolle n. 2<br />

aglio (spicchi) n. 2 - 4<br />

passata di pomodoro n. 1 cucchiaio<br />

fagioli gr. 500<br />

pastina (kusksu) gr. 100<br />

piselli gr. 200<br />

olio q.b.<br />

acqua naturale lt. 2<br />

Condimenti aggiuntivi:<br />

formaggette fresche di Malta<br />

o ricotta n. 4-8<br />

uova n. 4<br />

E’ un piatto tradizionale di facile e rapida preparazione (45-50 min.).<br />

Fasi di sviluppo del<strong>la</strong> ricetta<br />

Affettare le cipolle e l’aglio e friggere.<br />

Aggiungere <strong>la</strong> passata e continuare <strong>la</strong> frittura <strong>per</strong> un altro paio di minuti.<br />

Aggiungere i fagioli e friggere <strong>per</strong> altri 2-3 minuti.<br />

Versare l’acqua e cuocere lentamente <strong>per</strong> 25 minuti a co<strong>per</strong>chio<br />

chiuso.<br />

Aggiungere <strong>la</strong> pastina e i piselli e cuocere <strong>per</strong> circa 10 minuti.<br />

Per un pasto completo, aggiungere le formaggette (formaggio maltese a<br />

base di <strong>la</strong>tte di capra). C’è l’usanza di consumare prima <strong>la</strong> zuppa e poi le<br />

uova e le formaggette condite con olio d’oliva, olive maltesi e del pane.<br />

KWAREZIMAL (Dolci di Quaresima)<br />

Ingredienti (4-6 porzioni) Quantità<br />

nocciole e pistacchi tritati gr. 200<br />

mandorle tritate gr. 200<br />

farina gr. 200<br />

zucchero gr. 250<br />

cannel<strong>la</strong> q.b.<br />

acqua di fiori d’arancio q.b.<br />

scorza di limone grattuggiata n. 1<br />

scorza di arancia grattuggiata n. 1<br />

159


scorza di mandarino grattuggiata n. 1<br />

cacao gr. 15<br />

Dolce tipico di media difficoltà e ma di veloce preparazione (30 min.).<br />

Fasi di sviluppo del<strong>la</strong> ricetta<br />

Amalgamare insieme tutti gli ingredienti e unire il tutto con acqua fino<br />

ad ottenere una pasta sostenuta.<br />

Tagliare in forma ovale <strong>per</strong> ottenere una pasta con uno spessore di 2<br />

cm, una lunghezza di 17 cm e una <strong>la</strong>rghezza di 5 cm.<br />

Cuocere in forno <strong>per</strong> circa 20 minuti a una tem<strong>per</strong>atura di 190˚C.<br />

A caldo versarci sopra miele maltese e spargervi le noci tritate.<br />

Questo dolce è preparato durante il <strong>per</strong>iodo del<strong>la</strong> Quaresima, comunque<br />

alcune varianti possono includere burro e uova.<br />

160<br />

FRITTURI TAL-MAKKU (Frittelle di Mer<strong>la</strong>no)<br />

Ingredienti Quantità<br />

mer<strong>la</strong>ni interi n. 2<br />

uova sbattute n. 2<br />

aglio tritato q.b.<br />

erbe aromatiche q.b.<br />

olio q.b.<br />

fette di limone<br />

E’ un secondo piatto a base di pesce, di facile e veloce preparazione (15<br />

min.)<br />

Fasi di sviluppo del<strong>la</strong> ricetta<br />

Lavare i pesci (senza pulirli) e unirli alle uova sbattute, l’aglio tritato e<br />

le erbe aromatiche.<br />

Con il misto ottenuto formare delle frittelle da friggere in una padel<strong>la</strong><br />

bassa.<br />

Lasciarle sco<strong>la</strong>re e servire calde con fette di limone.<br />

MAJJAL IL-FORN (Maiale Arrosto)<br />

Ingredienti (2 porzioni) Quantità<br />

carne di maiale (scannello) n. 2<br />

patate gr. 500<br />

cipol<strong>la</strong> grande n. 1<br />

semi di finocchio q.b.<br />

olio 2 cl.<br />

E’ un secondo piatto a base di pesce, di facile e veloce preparazione (30


min.)<br />

Fasi di sviluppo del<strong>la</strong> ricetta<br />

Aromatizzare <strong>la</strong> carne di maiale mettendo da parte alcuni semi di finocchio.<br />

Sbucciare e <strong>la</strong>vare le patate, affettare <strong>la</strong> cipol<strong>la</strong> e unire alle patate.<br />

Aggiungere l’olio e condire.<br />

Disporre <strong>la</strong> carne in fondo al tegame, ricoprirlo con il misto di patate.<br />

Versare un pò di acqua nel tegame, aggiungere i semi di finocchio e<br />

cuocere in forno a fuoco moderato.<br />

GULEPP TAL-HARRUB (Sciroppo di Carrubba)<br />

Ingredienti Quantità<br />

carrube gr. 500<br />

zucchero gr. 600<br />

acqua lt. 1<br />

limone n. 1<br />

rum o whisky q.b.<br />

E’ una bevanda di semplice composizione ma di lunga preparazione.<br />

Fasi di sviluppo del<strong>la</strong> ricetta<br />

Pulire bene le carrube e cuocere in forno a fuoco medio. Una volta<br />

raffreddate, tagliarle a piccoli pezzi.<br />

Tenerle a bagno <strong>per</strong> 24 ore, poi bollire nel<strong>la</strong> stessa acqua fino<br />

all’ammorbidimento delle carrube.<br />

Spremere il limone e aggiungere <strong>la</strong> scorza al li<strong>qui</strong>do.<br />

Cucinare <strong>per</strong> altri 20 minuti, sco<strong>la</strong>re l’acqua, aggiungere lo zucchero<br />

e cucinare <strong>per</strong> un’altra ora e mezza.<br />

Quando il li<strong>qui</strong>do inizia ad addensare, rimuovere dal fuoco e quando<br />

diventa tiepido, versare il whisky o il rum.<br />

A Malta questo sciroppo non viene usato come rimedio <strong>per</strong> i bambini<br />

piccoli.<br />

STUFFAT TAL-FENEK (Stufato di Coniglio)<br />

Ingredienti (4 porzioni) Quantità<br />

coniglio tagliato a pezzi n. 1<br />

vino bianco o rosso n. 1 bicchiere<br />

aglio n. 1 spicchio<br />

olio q.b.<br />

alloro, timo e maggiorana q.b.<br />

161


cipolle n. 2<br />

piselli cotti gr. 100<br />

pomodori grossi n. 2<br />

passata di pomodoro<br />

E’ un secondo a base di carne, di media difficoltà e di veloce preparazione<br />

(1 ora).<br />

Fasi di sviluppo del<strong>la</strong> ricetta<br />

Riscaldare l’olio nel<strong>la</strong> padel<strong>la</strong>, condire il coniglio e roso<strong>la</strong>re.<br />

Cuocere a fuoco medio <strong>per</strong> altri 5-8 minuti e aggiungere l’aglio,<br />

l’alloro e le erbe.<br />

Cuocere a co<strong>per</strong>chio chiuso fino all’assorbimento delle erbe e<br />

dell’aglio.<br />

Aggiunere le cipolle finemente tritate, soffriggere e versare il vino.<br />

Quando il vino è quasi assorbito, rimuovere il coniglio, aggiungere <strong>la</strong><br />

passata di pomodoro e cuocere nel<strong>la</strong> stessa padel<strong>la</strong>.<br />

Aggiungere i pomodori affettati, cuocere lentamente <strong>per</strong> circa 30 minuti<br />

e aggiungere il coniglio.<br />

Continuare <strong>la</strong> cottura, aggiungere i piselli e servire caldo con le patate<br />

fritte.<br />

162<br />

TORTA TAL-LAMPUKI (Torta di Lampughe)<br />

Ingredienti (4 porzioni) Quantità<br />

<strong>per</strong> <strong>la</strong> pasta<br />

farina gr. 800<br />

margarina gr. 200<br />

<strong>la</strong>rdo gr. 200<br />

condimento q.b.<br />

<strong>per</strong> il ripieno<br />

<strong>la</strong>mpuga n. 1, grossa<br />

cipolle medie n. 2<br />

aglio n. 4-6 spicchi<br />

spinaci gr. 400<br />

olive verdi gr. 100<br />

cap<strong>per</strong>i gr. 80<br />

menta, basilico e maggiorana q.b.<br />

olio q.b.<br />

E’ un secondo a base di pesce, di media difficoltà e con una preparazione<br />

di circa 1 ora e 15 min.


Fasi di sviluppo del<strong>la</strong> ricetta<br />

<strong>per</strong> <strong>la</strong> pasta<br />

Unire <strong>la</strong> farina, <strong>la</strong> margarina e il <strong>la</strong>rdo.<br />

Aggiungere un pizzico di sale e impastare usando l’acqua.<br />

<strong>per</strong> il ripieno<br />

Pulire e tagliare il pesce a tranci.<br />

Infarinare e friggerlo con le erbe aromatiche e l’aglio.<br />

Nello stesso tegame soffriggere <strong>la</strong> cipol<strong>la</strong> e cuocere leggermente gli<br />

spinaci (già bolliti), aggiungere le olive tritate e i cap<strong>per</strong>i. Aggiungere<br />

il pesce.<br />

Stendere <strong>la</strong> pasta sulle pareti di una teglia e versare il contenuto del<br />

tegame mettendoci sopra i rimanenti filetti di pesce.<br />

Ricoprire con il resto del<strong>la</strong> pasta e mettere in forno a tem<strong>per</strong>atura<br />

media fino al<strong>la</strong> doratura del<strong>la</strong> sfoglia.<br />

BIGHILLA (Puré di Fave)<br />

Ingredienti Quantità<br />

fave gr. 200<br />

aglio n. 4-6 spicchi<br />

prezzemolo tritato q.b.<br />

pe<strong>per</strong>oncino q.b.<br />

olio d’oliva q.b.<br />

E’ un antipasto tipico, di facile e veloce preparazione (15-20 min.)<br />

Fasi di sviluppo del<strong>la</strong> ricetta<br />

Tenere a bagno le fave <strong>per</strong> una notte.<br />

Portare ad ebollizione e cuocere lentamente fino al quasi totale assorbimento<br />

dell’acqua.<br />

Schiacciare le fave e condire aggiungendo l’aglio e l’olio d’oliva.<br />

Servire con il prezzemolo tritato e del pe<strong>per</strong>oncino.<br />

XKUNVAT (Croccanti fiocchi di pasta)<br />

Ingredienti Quantità<br />

farina di lievito gr. 200<br />

burro gr. 25<br />

zucchero gr. 20<br />

tuorlo d’uovo n. 1<br />

anice o brandy n. 3 cucchiai<br />

acqua di fiori d’arancio n. 3 cucchiai<br />

163


miele maltese q.b.<br />

ciocco<strong>la</strong>to a scaglie gr. 60<br />

pistacchi tritati<br />

E’ un dessert tipico, di facile e veloce preparazione (20 min.)<br />

Fasi di sviluppo del<strong>la</strong> ricetta<br />

Passare <strong>la</strong> farina al setaccio, aggiungere lo zucchero e il burro.<br />

Amalgamare il tutto con il tuorlo d’uovo, l’acqua e l’anice. Se<br />

l’impasto è troppo secco, aggiungere l’acqua. Far riposare preferibilmente<br />

<strong>per</strong> 24 ore.<br />

Stendere <strong>la</strong> pasta e tagliar<strong>la</strong> a lunghe strisce (simili alle tagliatelle).<br />

Dalle strisce (6 o 8) formare un nido a spirale e friggere in olio bollente.<br />

Sco<strong>la</strong>re e servire con sopra del miele <strong>la</strong>sciato a sgoccio<strong>la</strong>re abbondantemente,<br />

delle noci tritate e del ciocco<strong>la</strong>to a scaglie.<br />

Questo dolce tradizionalmente si serviva durante <strong>la</strong> ‘quccija’, una festa<br />

organizzata in occasione del primo compleanno di un bambino.<br />

164<br />

SOPPA TÀ L-ARMLA (Zuppa del<strong>la</strong> Vedova)<br />

Ingredienti (4 porzioni) Quantità<br />

cipolle affettate n. 2<br />

patate affettate n. 2<br />

olio o burro q.b.<br />

cavolfiore gr. 200<br />

sedano tagliato n. 1 gambo<br />

piselli gr. 300<br />

spinaci kg. 1<br />

formaggette fresche maltesi n. 4<br />

uova n. 2<br />

E’ un primo piatto tipico, di facile e veloce preparazione (20 min.)<br />

Fasi di sviluppo del<strong>la</strong> ricetta<br />

Soffriggere <strong>la</strong> cipol<strong>la</strong> e aggiungere <strong>la</strong> verdura tagliata a pezzetti.<br />

Cuocere <strong>per</strong> un altro paio di minuti.<br />

Aggiungere l’acqua e coprire tutti gli ingredienti e cuocere dolcemente<br />

<strong>per</strong> un’ora e mezza.<br />

Prima di servire affogare le uova nel brodo e aggiungere le formaggette<br />

o <strong>la</strong> ricotta. Riscaldare ma senza arrivare ad ebollizione e condire.<br />

Per servire, disporre nel piatto nell’ordine che segue: l’uovo, <strong>la</strong> formaggetta<br />

(‘Gbejniet’) e il brodo.


Altre varianti di questa ricetta comprendono l’uso dell’indivia e del<strong>la</strong> <strong>la</strong>ttuga.<br />

165


Malta in regata: <strong>la</strong> storia nel<strong>la</strong> storia<br />

Il club<br />

Malta è sede di tre fra le associazioni sportive più antiche e b<strong>la</strong>sonate<br />

d’Europa.<br />

Il Malta Polo Club, fondato nel 1868, alcuni anni dopo che l’Esercito<br />

britannico ed i coltivatori britannici di thè avevano sco<strong>per</strong>to il gioco in India.<br />

Il Royal Malta Golf Club, se non il più antico, è uno tra i primi Golf<br />

Club fondati al di fuori di Stati Uniti, Regno Unito ed Ir<strong>la</strong>nda.<br />

Come il Polo Club e Golf Club, le origini del Royal Malta Yacht Club<br />

risalgono al diciannovesimo secolo.<br />

La data del primo insediamento del Royal Malta Yacht Club non può<br />

essere definita con certezza, benchè ci siano notizie sull’esistenza di<br />

uno Yacht Club a Malta a far data dal 1835, come risulta da una nota<br />

secondo cui l'ammiragliato autorizzò nel 1873 l'uso dell'Insegna Blu<br />

(Blue Ensign) del Regno Unito (decreto riemesso nel 1894 e nel 1935).<br />

Ma nel 1892 il Club aveva virtualmente cessato di esistere.<br />

Intorno al 1896 un gruppo ristretto di gentiluomini residenti a Malta,<br />

possedendo un’imbarcazione di 30 tonnel<strong>la</strong>te denominata "RHODA",<br />

formò un'associazione che era comunemente nota come il Rhoda Sailing<br />

Club.<br />

All’inizio il loro interesse primario fu l’andare in crociera, ma in seguito<br />

furono organizzate delle gare <strong>per</strong> barche e piccoli natanti locali, che attirò<br />

altri membri entusiasti che non erano soci del club originario. Da questi<br />

ed altri ancora nel 1905 venne fondato un club noto come Mediterranean<br />

Skiff Club, e fu adottato come c<strong>la</strong>sse di gara il West of Eng<strong>la</strong>nd<br />

Conference Dinghy.<br />

Il Mediterranean Skiff Club rimase attivo fino al 1916, quando fu sciolto<br />

dal<strong>la</strong> maggioranza dei soci.<br />

Il Club venne ricostituito nel 1921 sotto il nome di Malta Yacht Club, e<br />

nel 1928 si avviarono i primi passi <strong>per</strong> il riconoscimento ufficiale del prefisso<br />

"Reale (Royal)", sebbene già alcuni anni prima l'Ammiragliato avesse<br />

adottato questa forma di denominazione nel<strong>la</strong> corrispondenza con<br />

il Club.<br />

Nel 1929, a seguito del successo di una regata di barche a motore, fu<br />

fondato il Malta Motor Boat Club e nel 1930 i due Clubs furono fusi sotto<br />

il nome del più anziano tra i due, con il dichiarato intento di rappresentare<br />

un punto di incontro tra le componenti del<strong>la</strong> comunità locale di origine<br />

maltese ed inglese e, a tal fine, di realizzare una sede idonea alle attività<br />

del Club.<br />

É importante sottolineare che questi obiettivi non si sarebbero <strong>per</strong>si di<br />

vista in futuro, visto che sono stati <strong>la</strong> base <strong>per</strong> negoziare con il Governo<br />

166


<strong>la</strong> concessione dell’area sul<strong>la</strong> quale costruire, nel<strong>la</strong> consapevolezza che<br />

il fallimento di questa impresa avrebbe inciso sul benessere ed il futuro<br />

del Club.<br />

Nell’agosto del 1935 i Lords<br />

Commissari dell'Ammiragliato accordarono<br />

al Malta Yacht Club <strong>la</strong><br />

restaurazione del passato privilegio<br />

di portare l'Insegna Blu.<br />

Dopo lo scoppio del<strong>la</strong> guerra con<br />

l’Italia nel 1940 il Club ha cessato di<br />

o<strong>per</strong>are. Un anno più tardi alcuni tra<br />

i membri più motivati, sostenuti da<br />

alcuni soggetti nuovi ed entusiasti<br />

arrivati a rinforzare <strong>la</strong> guarnigione,<br />

continuarono a gareggiare finchè gli<br />

attacchi del<strong>la</strong> Luftwaffe non li costrinse<br />

fuori dall'acqua.<br />

Il 18 luglio 1942 una bomba distrusse<br />

completamente <strong>la</strong> sede del<br />

Club e molte imbarcazioni vennero<br />

totalmente distrutte o gravemente<br />

danneggiate.<br />

Non era ancora il 1944 che fu di nuovo possibile rimettere insieme un<br />

numero sufficiente di <strong>per</strong>sone desiderose di gareggiare e ricostituire il<br />

Club.<br />

St. Rocco Baths fu <strong>la</strong> sede provvisoria del Club fino al 1950. Barche<br />

che erano state vendute al di fuori del Club furono rintracciate e ricomprate;<br />

scafi, vele e parti meccaniche furono ricostruiti o riparati e ripresero<br />

così le gare, prima in piccolo ma con il tempo in modo sempre crescente.<br />

Nel 1945 fu ripristinata <strong>la</strong> Regata Annuale e le Long Distance<br />

Dinghy Races ebbero luogo <strong>per</strong> <strong>la</strong> prima volta dai tempi del<strong>la</strong> guerra.<br />

La sede del Club a Floriana (Hay Wharf, Banchina del Fieno) fu ricostruita<br />

sul suo luogo originario al<strong>la</strong> fine del 1949 ed il Club con ciò fu debitamente<br />

ristabilito nei suoi locali<br />

originali.<br />

Nel 1952 sono state introdotte le<br />

regate in mare a<strong>per</strong>to <strong>per</strong> imbarcazioni<br />

di 30 e 50 metri quadri e da allora<br />

sono state tenute rego<strong>la</strong>rmente<br />

regate verso vari porti del<strong>la</strong> Sicilia,<br />

Libia e Tunisia.<br />

Nel 1968 fu attuata <strong>la</strong> prima edizione<br />

del<strong>la</strong> Middle Sea Race e il<br />

167


1987 vide <strong>la</strong> partenza del<strong>la</strong> regata Rimini-Malta-Rimini.<br />

Nel 1970 il Club si è trasferito dal<strong>la</strong> sede di Floriana a quel<strong>la</strong> di Fort<br />

Manoel, nell’iso<strong>la</strong> Manoel (Manoel Is<strong>la</strong>nd). La sede di Floriana, usata<br />

ancora <strong>per</strong> le imbarcazioni minori, è stata definitivamente abbandonata<br />

nel 1982.<br />

Negli anni seguenti i locali e le attività sono rimasti immutati, con <strong>la</strong><br />

Malta-Syracuse Race e <strong>la</strong> Middle Sea Race divenuti principali eventi internazionali.<br />

Il secondo, che era stato generosamente sostenuto dal Martini International<br />

Club fin dal 1972, è divenuto noto come il Martini Middle Sea<br />

Race e nel 1974 <strong>la</strong> gara associata <strong>per</strong> yachts non-IOR diventa il Martini<br />

Ulysses Cruiser Race.<br />

Nel 1980 fu inaugurato il Porto Cervo Race in partnership con il Yacht<br />

Club Costa Smeralda, e lo stesso anno segna <strong>la</strong> ripresa di una gara annuale<br />

verso <strong>la</strong> Tunisia, in col<strong>la</strong>borazione<br />

con l'Autorità Portuale di El-<br />

Kantaoui.<br />

Nel 1978 il nome del Club venne<br />

cambiato in Valletta Yacht Club e <strong>la</strong><br />

Bandiera Marittima di Malta divenne<br />

l'insegna del Club.<br />

Il 13 novembre 1990 il Club ha<br />

assunto <strong>la</strong> denominazione originale,<br />

ROYAL MALTA YACHT CLUB.<br />

La sede storica: Fort Manoel<br />

Fort Manoel sorge su un’iso<strong>la</strong> collegata al<strong>la</strong> terraferma da un ponticello<br />

in muratura (in maltese Il-Gzira ossia ‘l’isolà o ‘l’isolottò).<br />

I Cavalieri di Malta utilizzarono l’iso<strong>la</strong> come zona franca di iso<strong>la</strong>mento<br />

contro <strong>la</strong> peste e le ma<strong>la</strong>ttie contagiose diffuse tra il XVII ed il XVIII secolo.<br />

Originariamente i Cavalieri costruirono<br />

sull’iso<strong>la</strong> un ospedale <strong>per</strong> <strong>la</strong><br />

quarantena ed un <strong>la</strong>zzaretto sul suo<br />

fianco sud, e l'insenatura divenne il<br />

porto di quarantena: le navi arrivate<br />

dai porti infettati dal<strong>la</strong> peste dovettero<br />

rimanere parecchi giorni in quelle<br />

acque, mentre il loro e<strong>qui</strong>paggio veniva<br />

alloggiato al Lazzaretto.<br />

Durante <strong>la</strong> grave pestilenza, il Gran Maestro Manoel de Vilhena, portoghese,<br />

cominciò a valutare positivamente l'importanza militare dell'iso<strong>la</strong><br />

<strong>per</strong> <strong>la</strong> difesa del<strong>la</strong> parte occidentale di La Valletta. A tal proposito<br />

168


commissionò, a proprie spese, <strong>la</strong> costruzione del<strong>la</strong> fortezza che fu edificata<br />

fra il 1723 ed il 1755 e che oggi porta il suo nome (Fort Manoel, <strong>per</strong><br />

l’appunto); <strong>la</strong> picco<strong>la</strong> iso<strong>la</strong> Il-Gzira su cui sorge è altresì nota come Manoel<br />

Is<strong>la</strong>nd (‘l'iso<strong>la</strong> di Manoel’).<br />

Fort Manoel è un forte a forma di<br />

stel<strong>la</strong>, prevalentemente costruito<br />

con roccia nativa dell'iso<strong>la</strong> su cui<br />

sorge. La progettazione originale<br />

<strong>per</strong> <strong>la</strong> realizzazione di un forte sull'iso<strong>la</strong><br />

fu o<strong>per</strong>a dell'ingegnere militare<br />

francese René Jacob de Tigné. Al<br />

progetto finale ha contribuito il <strong>la</strong>voro<br />

del Cav. Charles François de<br />

Mondion, a quel tempo ingegnere<br />

militare dei Cavalieri di Malta, incaricato<br />

degli impianti di fortificazione e difesa, oltre che del<strong>la</strong> ricostruzione<br />

di Mdina. Mondion, che ne ha su<strong>per</strong>visionato <strong>la</strong> costruzione, è stato sepolto<br />

nel<strong>la</strong> cappel<strong>la</strong> all’interno del forte.<br />

Il forte fu destinato fin dal<strong>la</strong> sua costruzione a scopi militari, inizialmente<br />

sotto i Cavalieri e successivamente sotto il controllo militare britannico;<br />

oggi rappresenta una delle più notevoli costruzioni militari in Europa.<br />

Ha un design davvero elegante, con un ingresso ancor più di grande<br />

effetto, come è chiaramente visibile da Marsamxett Harbour; dal Forte si<br />

gode altresì una vista su<strong>per</strong>ba di Valletta e del porto. Le sue mura possenti<br />

abbracciavano una <strong>la</strong>rga Piazza d’Armi circondata da due file di<br />

caserme ad arco, in grado di accogliere 500 uomini. La bel<strong>la</strong> cappel<strong>la</strong> di<br />

S.Anthony e una statua bronzea<br />

del Gran Maestro davano maggior<br />

lustro al<strong>la</strong> piazza.<br />

Durante <strong>la</strong> seconda guerra<br />

mondiale, intorno al forte venne<br />

schierata una batteria pesante antiaerea<br />

(3,7 pollici). I cannoni vennero<br />

montati in postazioni specifiche<br />

schierate in un semicerchio intorno<br />

al forte.<br />

Purtroppo, <strong>la</strong> cappel<strong>la</strong> ed alcune delle costruzioni sono state distrutte<br />

durante gli attacchi aerei del<strong>la</strong> II guerra mondiale (il grave danneggiamento<br />

subito dal forte è infatti conseguenza dei bombardamenti). La statua<br />

del Gran Maestro Vilhena è stata rimossa ed oggi adorna una picco<strong>la</strong><br />

piazza di Floriana, che è anche chiamata chiamato ‘Città Vilhenà.<br />

Dal 1906 Fort Manoel non ricopre più un ruolo militare, essendo stato<br />

169


definitivamente disarmato dai militari britannici. Oggi è destinato a scopi<br />

più ‘pacificì (è sede storica del Royal Malta Yacht Club) ed attualmente<br />

oggetto di importanti <strong>la</strong>vori di restauro, <strong>per</strong> riparare <strong>la</strong> devastazione del<br />

tempo e del<strong>la</strong> guerra. La conclusione dei <strong>la</strong>vori è attesa <strong>per</strong> il 2010.<br />

Le regate<br />

prova gli skip<strong>per</strong>s e gli e<strong>qui</strong>paggi),<br />

sia dal<strong>la</strong> bellezza dei luoghi che<br />

fanno da sfondo al<strong>la</strong> regata: in primo<br />

luogo le coste di Malta e Gozo e<br />

poi -sul<strong>la</strong> lunga distanza- le profonde<br />

acque azzurre di Sicilia e dello<br />

Stretto di Messina, le isole di Pantelleria<br />

e Lampedusa, l’attività vulcanica<br />

di Stromboli e dell’Etna.<br />

170<br />

ROLEX MIDDLE SEA RACE<br />

Descritta come una tra le più belle<br />

gara veliche nel mondo, il Rolex<br />

Middle Sea Race è una c<strong>la</strong>ssica<br />

d’altura di grande livello, spesso<br />

menzionata al<strong>la</strong> stregua del Rolex<br />

Fastnet e del Rolex Sydney-Hobart.<br />

Il <strong>per</strong>corso -607 miglia di circumnavigazione<br />

del<strong>la</strong> Sicilia e delle isole<br />

di Malta- è reso unico sia dal<strong>la</strong> variabilità<br />

delle condizioni meteomarine<br />

(che mettono davvero a dura<br />

MALTA-SYRACUSE RACE<br />

Questa regata molto popo<strong>la</strong>re<br />

nasce da una amichevole rivalità tra<br />

i velisti maltesi e siciliani.<br />

Ormai giunta al<strong>la</strong> 47ma edizione<br />

nel 2007, vede <strong>la</strong> partenza e l’arrivo<br />

alternati ogni anno tra il Royal Malta<br />

Yacht Club e <strong>la</strong> Sezione di Siracusa<br />

del<strong>la</strong> Lega Navale Italiana.


MALTA SAN LEONE RACE (Trofeo SAPERI & SAPORI)<br />

Tra le attività svolte nell’ambito del progetto Sa<strong>per</strong>i&Sapori, il Royal<br />

Malta Yacht Club ha curato <strong>la</strong> realizzazione del<strong>la</strong> prima edizione del<strong>la</strong><br />

regata “Malta-San Leone”.<br />

Sette e<strong>qui</strong>paggi si sono affrontati in una regata dominata dal forte<br />

vento di scirocco che ha <strong>per</strong>messo<br />

al<strong>la</strong> barca vincitrice di raggiungere <strong>la</strong><br />

linea d'arrivo dinanzi al porto di San<br />

Leone (AG) in sole 10 ore e 06 minuti,<br />

ad una media di 10 nodi.<br />

Éstato così ribadito il ruolo<br />

dell’agonismo sportivo come strumento<br />

di promozione del<strong>la</strong> conoscenza<br />

dei luoghi e delle tradizioni<br />

dei luoghi visitati.<br />

171


L’accordo di rete<br />

In data 08/10/2007 il Comitato di Pilotaggio di “Sa<strong>per</strong>i & Sapori” ha approvato<br />

l’ACCORDO DI RETE “SAPERI & SAPORI” - PROTOCOLLO DI<br />

INTESA PER AZIONI IN PARTNERSHIP, attività specifica prevista fin<br />

dall’origine nell’ambito del progetto e finalizzata a promuovere il mantenimento<br />

dei rapporti ai fini di nuove col<strong>la</strong>borazioni transfrontaliere, anche<br />

dopo <strong>la</strong> conclusione del progetto.<br />

Così come previsto nel progetto approvato, scopo principale<br />

dell’accordo è “<strong>la</strong> creazione di una rete nel campo socio-culturale, del<strong>la</strong><br />

formazione, del<strong>la</strong> ricerca, anche con il coinvolgimento di altri enti specialistici<br />

come l’Università ed i centri di ricerca; <strong>la</strong> realizzazione e <strong>la</strong> messa<br />

in rete di iniziative culturali comuni; gli scambi sco<strong>la</strong>stici ed extra sco<strong>la</strong>stici;<br />

<strong>la</strong> promozione del recu<strong>per</strong>o del patrimonio culturale (materiale ed<br />

immateriale) di interesse transfrontaliero; <strong>la</strong> valorizzazione del<strong>la</strong> cultura<br />

dei paesi”.<br />

Il testo dell’accordo ha tenuto conto di alcuni aspetti strategici che, durante<br />

<strong>la</strong> fase attuativa del progetto, sono stati rego<strong>la</strong>mentati dall’Unione<br />

Europea, ed in partico<strong>la</strong>re:<br />

l’inserimento del<strong>la</strong> Sicilia e di Malta nell’elenco delle regioni ammesse<br />

a beneficiare del finanziamento dei Fondi Strutturali nell’ambito<br />

dell’obiettivo «Convergenza» <strong>per</strong> il <strong>per</strong>iodo 2007-2013;<br />

l’individuazione dei territori siciliani e maltesi che siano ammissibili al<br />

finanziamento del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale nel quadro<br />

degli aspetti transfrontalieri dell’obiettivo «Coo<strong>per</strong>azione Territoriale<br />

Europea» <strong>per</strong> il <strong>per</strong>iodo 2007-2013;<br />

lo specifico riferimento<br />

o alle azioni di coo<strong>per</strong>azione interregionale ed alle reti di coo<strong>per</strong>azione<br />

e di scambio di es<strong>per</strong>ienze previste dal<strong>la</strong> programmazione<br />

dei Fondi Strutturali <strong>per</strong> il <strong>per</strong>iodo 2007-2013;<br />

o alle strategie ed agli ambiti di priorità del FESR-Fondo Europeo di<br />

Sviluppo Regionale (Rego<strong>la</strong>mento (CE) N. 1080/2006 del Par<strong>la</strong>mento<br />

Europeo e del Consiglio del 5 luglio 2006), nell'ambito degli<br />

obiettivi «Convergenza» e «Coo<strong>per</strong>azione territoriale europea»;<br />

o alle strategie ed agli ambiti di priorità del FSE-Fondo Sociale Europeo<br />

(Rego<strong>la</strong>mento (CE) n. 1081/2006 del Par<strong>la</strong>mento Europeo e<br />

del Consiglio del 5 luglio 2006) nell'ambito degli obiettivi «Convergenza»<br />

e «Competitività regionale e occupazione»<br />

Pertanto, l’accordo di rete sottoscritto è rilevante non solo <strong>per</strong> aver rispettato<br />

le previsioni progettuali, ma anche -e soprattutto!- <strong>per</strong> avere dato<br />

corpo ad un <strong>per</strong>corso coerente con le strategie dell’asse 1 del Programma<br />

Interreg IIIA Italia-Malta e con le azioni prioritarie dei Fondi<br />

Strutturali <strong>per</strong> il <strong>per</strong>iodo 2007-2013.<br />

172


Altresì, l’accordo strutturato come un sistema “a<strong>per</strong>to”, ossia estensibile<br />

a partner esterni pubblici/privati i cui scopi istituzionali siano coerenti con<br />

quelli previsti nell’accordo.<br />

L’assunzione di un impegno a “promuovere il mantenimento e lo sviluppo<br />

di reciproche re<strong>la</strong>zioni, essendo ciò ritenuto un indispensabile strumento<br />

<strong>per</strong> <strong>la</strong> realizzazione delle finalità istituzionali, attraverso una sinergia<br />

congiunta <strong>per</strong> <strong>la</strong> promozione dell’identità locale attraverso <strong>la</strong> valorizzazione,<br />

<strong>la</strong> conoscenza, <strong>la</strong> fruizione e <strong>la</strong> tute<strong>la</strong> delle peculiarità, tipicità<br />

ed eccellenze del territorio secondo un approccio ispirato ai principi dello<br />

sviluppo sostenibile” rappresenta l’atto concreto di una volontà di essere<br />

“rete” e di promuoverne l’estensione.<br />

Lo scopo dell’accordo è attuato se le azioni vengono proposte da almeno<br />

due tra i partners che hanno sottoscritto l’accordo.<br />

Per i dettagli si rinvia all’accordo di rete ed agli allegati che ne costituiscono<br />

parte integrante.<br />

173


Bibliografia<br />

AA.VV., La Sicilia del vino, Giuseppe Maimone editore, Catania 2003<br />

AA.VV., La storia dell’Arte, Vol. I: Le prime civiltà, Electa, Mi<strong>la</strong>no 2006.<br />

AA.VV., Lessico Universale Italiano Treccani, Vol. XII, Roma 1973<br />

AA.VV., Storia del<strong>la</strong> Sicilia, in Storia di Napoli e del<strong>la</strong> Sicilia, Vol. I, Napoli<br />

1979<br />

AA.VV., web sites partners, 2007<br />

Bernabò Brea L., La Sicilia prima dei Greci, 1968<br />

Brydone P., Viaggio in Sicilia e a Malta, 1770, a cura di Vittorio Frosini,<br />

trad. di F. Marengo e M.E. Zuppelli, Mi<strong>la</strong>no 1968<br />

Calciati R., Corpus Nummorum Siculorum. La monetazione di bronzo,<br />

III, Mi<strong>la</strong>no 1983-1987.<br />

Coleiro E., Ricerche numismatiche, in Missione archeologica italiana a<br />

Malta. Rapporto preliminare del<strong>la</strong> campagna 1964, Roma 1965.<br />

Commissione Europea, Decisione C(2004) 4912 dell’08-12-2004 recante<br />

approvazione del “Programma di Coo<strong>per</strong>azione Transfrontaliera Italia-<br />

Malta 2004-06”<br />

Griffo P., Agrigento. La storia, <strong>la</strong> topografia, i monumenti, gli scavi, Legambiente,<br />

Agrigento, 1995<br />

Kanceff E., Rampone R., Viaggiatori stranieri in Sicilia in età moderna,<br />

Siracusa 1988<br />

Legge 20 febbraio 2006, n. 77, Misure speciali di tute<strong>la</strong> e fruizione dei siti<br />

italiani di interesse culturale, paesaggistico e ambientale, inseriti nel<strong>la</strong><br />

“lista del patrimonio mondiale”, posti sotto <strong>la</strong> tute<strong>la</strong> dell' UNESCO, GURI<br />

n. 58 del 10 marzo 2006<br />

Manfredi L. I., Monete puniche. Re<strong>per</strong>torio epigrafico e numismatico delle<br />

leggende monetali puniche, in Bollettino di Numismatica, Supplemento,<br />

Monografia VI, 1995.<br />

Mozzillo A, Vallet G., Settecento siciliano. I viaggi di Dominique Vivant<br />

Denon e Jean Richard de Saint-Non, trad. di L. Mascoli, in Storia di Napoli<br />

e del<strong>la</strong> Sicilia, Napoli 1979<br />

Picone G., Memorie storiche agrigentine, Salvatore Montes, Girgenti<br />

1866<br />

Tusa S., La Sicilia nel<strong>la</strong> preistoria, Sellerio Ed., Palermo 1983<br />

Tuzet H., Viaggiatori stranieri in Sicilia nel XVIII secolo, Palermo 1988<br />

Voza C., Guida di Siracusa, Siracusa 1994<br />

174


Credits<br />

Nome e Cognome Ruolo Ente (*)<br />

Referenti Istituzionali<br />

Santo Longo Dirigente Sco<strong>la</strong>stico (09/2007 fine) (1)<br />

Concetto Scandurra Dirigente Sco<strong>la</strong>stico (inizio 08/2007) (1)<br />

Giuseppe Sa<strong>la</strong>mone Dirigente Sco<strong>la</strong>stico (09/2007 fine) (2)<br />

Ange<strong>la</strong> Sammartino Dirigente Sco<strong>la</strong>stico (inizio 08/2007) (2)<br />

Reginald Abe<strong>la</strong> Chairman (3)<br />

Mariel<strong>la</strong> Muti Soprintendente (4)<br />

Georges Bonello DuPuis Commodore (5)<br />

Antonio Valenti Commissario (inizio 01/2007) (6)<br />

Rosalia Camerata Scovazzo Presidente (01/2007 fine) (6)<br />

Referenti O<strong>per</strong>ativi<br />

Santo Longo Comitato Pilotaggio (09/2007 fine) (1)<br />

Concetto Scandurra Comitato Pilotaggio (inizio 08/2007) (1)<br />

Giuseppe Sa<strong>la</strong>mone Comitato Pilotaggio (09/2007 fine) (2)<br />

Ange<strong>la</strong> Sammartino Comitato Pilotaggio (inizio 08/2007) (2)<br />

Joseph Bonello Comitato Pilotaggio (3)<br />

Paolo Tiralongo Comitato Pilotaggio (4)<br />

Arthur Podesta Comitato Pilotaggio (5)<br />

Giovanni Leto Barone Comitato Pilotaggio (6)<br />

<strong>Umberto</strong> Vanel<strong>la</strong> Project Manager (1)<br />

I Sa<strong>per</strong>i<br />

Antonio Infantino Direttore Ricerca (6)<br />

Tommaso Guagliardo E<strong>la</strong>borazione e ICT (6)<br />

Domenico Cacopardo Ricercatore (1)<br />

Agostina Musumeci Ricercatore (4)<br />

Anita Crispino Ricercatore (4)<br />

Gerard Montanaro Cauchi Ricercatore (5)<br />

Ange<strong>la</strong> Rizzuto Ricercatore (6)<br />

Magda Modica Ricercatore (6)<br />

Antonio Valenti Assistente al<strong>la</strong> ricerca (6)<br />

Giovanni Buscemi Assistente al<strong>la</strong> ricerca (6)<br />

175


Nome e Cognome Ruolo Ente (*)<br />

I Sapori<br />

Francesco Ortisi Direttore Ricerca (1)<br />

Giovanni Fichera Ricercatore (1)<br />

Angelo Trupia Ricercatore (2)<br />

Lorenzo Rosso Ricercatore (2)<br />

Joseph Bonello Ricercatore (3)<br />

Joseph Mamo Ricercatore (3)<br />

Philip Cauchi Ricercatore (3)<br />

Francesco Graffeo Ricercatore (6)<br />

Carmel Cassar Testi (3)<br />

Vincent Zammit Testi (3)<br />

Graziel<strong>la</strong> Bencini Traduzioni (3)<br />

Malta in Regata<br />

Peter Dimech Organizzazione e Ricerca (5)<br />

Roselle Rose Ricerca e Testi (5)<br />

Pubblicazione<br />

Filippo Seminara E<strong>la</strong>borazione testi e grafica (1)<br />

Santo Andrea Bordonaro E<strong>la</strong>borazione testi e grafica (1)<br />

Luigi Regalbuto E<strong>la</strong>borazione testi e grafica (4)<br />

Giovanni Buscemi E<strong>la</strong>borazione testi e grafica (6)<br />

<strong>Umberto</strong> Vanel<strong>la</strong> E<strong>la</strong>borazione e su<strong>per</strong>visione<br />

testi e grafica<br />

(1)<br />

(*) Enti di provenienza:<br />

(1) IPSSART Federico II di Svevia Siracusa<br />

(2) IPSSARCT G. Ambrosini Favara (AG)<br />

(3) ITS Malta<br />

(4) Soprintendenza BB.CC.AA. Siracusa<br />

(5) Royal Malta Yacht Club<br />

(6) Parco Valle dei Templi Agrigento<br />

176

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