Raccolta Sentenze
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ACCESSO AI CONTI CORRENTI SENZA AUTORIZZAZIONI? E’ VALIDO<br />
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. TRIBUTARIA, SENTENZA N. 4001/2009<br />
La Sezione Tributaria Civile della Corte di Cassazione ha stabilito che, nei confronti del contribuente, è da<br />
considerarsi valida la prova dei dati bancari acquisiti dalla Guardia di Finanza anche senza autorizzazione<br />
del Comandate. La Corte ha infatti precisato che “la mancanza della autorizzazione dell’ispettore<br />
compartimentale (o, per la Guardia di Finanza, del comandante di zona) prevista ai fini della richiesta di<br />
acquisizione, dagli istituti di credito, di copia dei conti bancari intrattenuti con il contribuente, non preclude<br />
l’utilizzabilità dei dati acquisiti, atteso che la detta autorizzazione attiene ai rapporti interni e che in materia<br />
tributaria non vige il principio (presente nel codice di procedura penale) della inutilizzabilità della prova<br />
irritualmente acquisita, salvi i limiti derivanti da eventuali preclusioni di carattere specifico”. La Corte ha<br />
inoltre precisato che “l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, richiesta per la trasmissione, agli uffici delle<br />
imposte, dei documenti, dati e notizie acquisiti dalla Guardia di Finanza nell’ambito di un procedimento<br />
penale, è posta a tutela della riservatezza delle indagini penali, non dei soggetti coinvolti nel procedimento<br />
medesimo o di terzi, con la conseguenza che la mancanza dell’autorizzazione, se può avere riflessi anche<br />
disciplinari a carico del trasgressore, non tocca l’efficacia probatoria dei dati trasmessi, né implica l’invalidità<br />
dell’atto impositivo adottato sulla scorta degli stessi”.<br />
GIUDICE DI PACE? PUÒ DISPORRE ANCHE DEL RISARCIMENTO DEL DANNO NON PATRIMONIALE<br />
CORTE DI CASSAZIONE, SENTENZA N. 4493/2009<br />
La Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione ha stabilito che “il giudice di pace, nell'ambito del solo<br />
giudizio d'equità, può disporre il risarcimento del danno non patrimoniale anche fuori dei casi determinati<br />
dalla legge e di quelli attinenti alla lesione dei valori della persona umana costituzionalmente protetti, sempre<br />
che il danneggiato abbia allegato e provato (anche attraverso presunzioni) il pregiudizio subito, essendo da<br />
escludere che il danno non patrimoniale rappresenti una conseguenza automatica dell'illecito […]”. In<br />
particolare, gli Ermellini hanno evidenziato che “quanto alla risarcibilità del danno morale, va ribadito che nel<br />
giudizio di equità del giudice di pace, venendo in rilievo l'equità cd. formativa o sostitutiva della norma di<br />
diritto sostanziale, non opera la limitazione del risarcimento del danno non patrimoniale ai soli casi<br />
determinati dalla legge, fissata dall'art. 2059 che sia pure nell'interpretazione costituzionalmente corretta di<br />
tale disposizione”.<br />
EVASIONE FISCALE DEL PROFESSIONISTA? LA SOLA VERIFICA SUI CONTI CORRENTI NON È<br />
SUFFICIENTE PER L’INCRIMINAZIONE<br />
CORTE DI CASSAZIONE, SENTENZA N. 5430/2009<br />
La Terza Sez. Penale della Corte di Cassazione ha stabilito che per la condanna di un professionista e di un<br />
imprenditore per evasione e/o per un altro reato fiscale, non sono sufficienti le verifiche sui conti bancari. Gli<br />
Ermellini hanno precisato che “l’art. 32, comma primo n. 2), del D.P.R. 29.9.1973 n. 600 contiene una<br />
presunzione legale di corrispondenza delle partite attive, risultanti dai rapporti del contribuente sottoposto a<br />
verifica con gli istituti di credito, con i ricavi dell’attività di impresa o professionale, in assenza della<br />
dimostrazione che le stesse ‘non hanno rilevanza’ ai fini della determinazione del reddito soggetto ad<br />
imposta” e che “detta presunzione, tuttavia, non opera in sede penale, sicché il giudice di merito deve<br />
motivare in ordine alle ragioni per le quali i dati della verifica effettuata in sede fiscale sono stati ritenuti<br />
attendibili”. La Corte ha infine evidenziato che è stato affermato da una Sentenza della Corte che “ai fini<br />
dell’individuazione del superamento o meno della soglia di punibilità di cui all’art. 5 D.lgs. n. 74 del 2000,<br />
spetta esclusivamente al giudice penale il compito di procedere all’accertamento e alla determinazione<br />
dell’ammontare dell’imposta evasa, attraverso una verifica che può venire a sovrapporsi o anche ad entrare<br />
in collisione , con quella eventualmente effettuata dinanzi al giudice tributario” e che “con la stessa pronuncia<br />
è stato inoltre precisato che, ai fini dell’accertamento in sede penale, deve darsi prevalenza al dato fattuale<br />
reale rispetto ai criteri di natura meramente formale che caratterizzano l’ordinamento tributario”