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LION CLUB PA VESPRI giornalino web - Lions Palermo dei Vespri

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personaggio favoloso, direi un dramma, un romanzo,<br />

un film senza volto”. Tutti citano il rapporto con<br />

Sciascia, ma la vera simbiosi psichica e sentimentale<br />

fu con Ignazio, un dialogo che era in sintonia con la<br />

loro anima popolana, lei spigolatrice di Licata, lui<br />

commerciante di Bagheria, alla scoperta della profonda<br />

e vergine anima popolare. Era l’impegno civile<br />

e politico che aveva dettato tanti canti, in registri<br />

diversi, dal dolore quotidiano della miseria al tema<br />

della condanna mafiosa. Solo per citare qualche<br />

canto: Acidduzzu, La virrinedda, Mirrina, La pampina<br />

di l’alivu, Cu ti lu dissi, Venniri Santu, alla celebre<br />

Mi votu e mi rivotu (cavallo di battaglia di<br />

Mara Eli, stroncata in un incidente stradale), fino al<br />

forte j’ accuse di Mafia e parrini, oppure il terribile<br />

Carzari. La giovane Francesca si è cimentata nell’ironia<br />

smagliante di Me mughhieri unn’avi pila, che<br />

si intriga con la novità della lavatrice. Poco hanno<br />

aggiunto gli altri interventi.<br />

Con diverso amore amai tra gli anni Sessanta e<br />

Settanta la voce calda e passionale di Gabriella<br />

Ferri (la morte tragica nel 2004 per una caduta dal<br />

balcone, l’improvviso ictus per Rosa), non certo<br />

quella di Dove sta Zazà, ma quella che si incanagliva<br />

con la sua Roma popolare (vi ricordate La società<br />

<strong>dei</strong> magnaccioni del 1971?). Così Le<br />

mantellate ricordava Matri chi aviti li figghi a la<br />

badia, così tanto saettare di coltelli. Così altre rievocazioni<br />

malavitose si ripetevano nelle celebri<br />

Canzoni della mala di Ornella Vanoni, già nel<br />

17<br />

1957 con le solite Mantellate e Canto di carcerati<br />

calabresi, La Zolfara. Era tutto un fervere di esperienze<br />

popolari che davano vita ad un’Italia sotterranea<br />

che era ancora viva e sentita. Quella vita<br />

eccezionale che aveva antiche radici, dal Porta del<br />

Lament del Marchionn, delle Desgrazi de Giovanin<br />

Bongee e della Ninetta del Verzee fino alla<br />

plebe gaglioffa del Belli, ma anche alla vita eccezionale<br />

degli Scapigliati.<br />

Oggi? Si corre il rischio, come giustamente ammoniva<br />

Gabriella, di fare archeologia del Folklore,<br />

di musealizzare questo immenso<br />

patrimonio di esperienze di vita. La ragione?<br />

Tutta la materia è passata in mano agli addetti ai<br />

lavori, a quella scienza che purtroppo, nell’intento<br />

di salvare quella vita, la sta imbalsamando<br />

come un imenottero, parlo, con molto rincrescimento<br />

e sine ira et studio, del laboratorio palermitano<br />

di Cocchiara, gli studiosi di tradizioni<br />

popolari o antropologia culturale. L’amore tout<br />

court di Pitrè per la tradizione popolare trasformato<br />

in scienza. Ma è soprattutto l’assenza di<br />

geni dell’affabulazione emotiva, di cantatrici<br />

come Rusidda che davano a quei canti di vita il<br />

respiro dell’anima, dalle semplici ninnananne, ai<br />

canti del lavoro (la trebbiatura o la pesca), alle<br />

proteste sociali, tutte le ricerche sul campo, che<br />

formano già un’immensa biblioteca di sapere,<br />

sono destinate a restare relitti di un passato forse<br />

irrimediabilmente perduto.

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