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Gli indiani d’america lo chiamavano <strong>kamoose</strong>, da cui deriva il<br />
nome dell’animale in lingua anglosassone: moose appunto. Le<br />
leggende sul conto di questo stupefacente cervide si sono<br />
sprecate, ma qui voglio ricordare quella che io ritengo essere<br />
la più affascinante ed evocativa. Si narra infatti che nel gergo<br />
dei nativi americani, il nome <strong>kamoose</strong> derivasse proprio da<br />
alcuni gerghi di alcune tribù, che lo consideravano uno spirito<br />
invisibile e del quale potessero vedere soltanto la gigantesca<br />
ombra, talmente grande da oscurare dal sole un’intera<br />
montagna.<br />
Ma venendo alle cose più strettamente etologiche, una delle<br />
peculiarità di questa specie è il curioso approccio con le altre<br />
specie che ne condividono l’habitat, come orsi, lupi, wapiti<br />
(erroneamente definiti alci in numerosi documentari<br />
naturalistici), coyote, caribù, renne e bisonti. Difficilmente<br />
diviene preda di qualcuno dei predatori succitati, troppo<br />
grande per un orso, troppo forte per lupi e coyote, mentre con<br />
i consimili ungulati wapiti, bisonti, renne e caribù convive<br />
pacificamente senza mai occuparne l’areale in quanto abitante<br />
solitario e schivo della taiga nordica. Raggiunge le zone