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Edizione del 02/06/2013 - Corriere

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Vincenzo Cannaviello<br />

CORRI R<br />

Domenica 2 giugno <strong>2013</strong><br />

Le cinque giornate di Avellino<br />

Nell’opuscolo <strong>del</strong>l’avellinese Pecchia, dal libro “Giornalismo <strong>del</strong> Risorgimento”, la cronaca degli avvenimenti <strong>del</strong> 1820, l’inizio<br />

di un moto verso la libertà. Gloriose giornate da collegare alle barricate di Napoli <strong>del</strong> 1848 e ai moti di Ariano <strong>del</strong> 1860<br />

ADAMO CANDELMO<br />

II giornalista Pellegrino Pellecchia,<br />

avellinese, compilò "un<br />

opuscolo ricavato dal libro<br />

Giornalismo <strong>del</strong> Risorgimento<br />

edito dalla casa editrice Vincenzo<br />

Bona di Torino dedicandolo:<br />

“Alla cara zia Filomena nel ricordo<br />

di papà. Roma 26 giugno '61”. Esso<br />

si intitola "LE CINQUE GIORNATE DI<br />

AVELLINO DEL 1820 ED I GIORNALI<br />

NAPOLETANI TRA LE DUE COSTITU-<br />

ZIONI". L'estratto interessa soprattutto<br />

la nostra Irpinia.<br />

Quarant'anni fa, di queste giornate, gli<br />

Irpini celebrarono il loro "centenario",<br />

un centenario che mette conto ricordare<br />

oggi mentre ci accingiamo a celebrare<br />

l'unità d'Italia.<br />

Vincenzo Cannaviello, che fu uno storico<br />

attento e costante nel ricercare le<br />

vicende <strong>del</strong>la sua Terra e ricostruirle<br />

giorno per giorno quasi in una singolare<br />

cronaca, ancora oggi così viva ed attuale,<br />

dettò in quel "centenario" questa<br />

lapide che sotto un bassorilievo in<br />

bronzo, dopo molte vicissitudini, fu<br />

murata sul Palazzo <strong>del</strong>la Prefettura di<br />

Avellino: "Il 2 luglio 1820 da Nola per<br />

Monteforte - centotrenta cavalleggeri e<br />

venti carbonari- qui trassero gridando<br />

costituzione e libertà- in cinque giorni<br />

- duce Lorenzo de Concilij- col popolo<br />

d'Irpinia divennero falangi - paventò e<br />

si arrese il Borbonesi scosse ed esultò<br />

l'Italia - Spuntava l'alba <strong>del</strong> Risorgimento<br />

Nazionale".<br />

E fu davvero in quelle cinque giornate<br />

e nei mesi successivi che ne seguirono<br />

l'inizio di un moto verso la libertà che<br />

non si fermerà più e con quelle gloriose<br />

giornate sono da collegare le barricate<br />

di Napoli <strong>del</strong> 1848, i moti di Ariano <strong>del</strong><br />

'60, la definitiva cacciata <strong>del</strong> Borbone.<br />

La battaglia che gli irpini ingaggiarono<br />

trae nome dalla costituzione: una parola<br />

pressoché magica che aveva travolto<br />

e acceso pacifiche contrade.<br />

I contadini dei dintorni di Avellino nella<br />

loro ignoranza parlavano di "cauzione"<br />

che il Sovrano avrebbe dovuto concedere:<br />

una sorta di pegno che il Borbone<br />

avrebbe dovuto dare ai contadini<br />

per poter governare. Ma quanto si fosse<br />

lontano da quella cauzione, e i Patrioti<br />

d'Irpinia dovettero apprendere a<br />

loro spese. Ferdinando di Borbone, spodestato,<br />

si trovava in Sicilia, al riparo<br />

dallo stretto, mentre Murat attraversava<br />

il Po e portava verso il Sud il primo<br />

soffio di idee nuove che la rivoluzione<br />

francese aveva forgiato.<br />

LA LOTTA DELLE “VINDITE”<br />

Così quando i 17 generali napoletani<br />

decisero di presentare a re Gioacchino<br />

un indirizzo chiedendo la costituzione,<br />

Ferdinando si affrettò a promettere ogni<br />

cosa, salvo a dimenticarsene non appena<br />

fu rimesso al trono. Cominciò proprio<br />

allora la lotta dei patrioti irpini,o<br />

rganizzata attraverso le "vindite" carbonare<br />

che diedero alla battaglia per la<br />

costituzione una forza decisiva. Risalgono<br />

al 1817 i primi "giornali manoscritti"<br />

che circolavano nell'Alta Irpinia<br />

fra Ariano, Grottaminarda, Melito,<br />

Montemarano. Uno di questi "giornali"<br />

fu trovato affisso a Montesarchio la<br />

mattina <strong>del</strong> 17 dicembre <strong>del</strong> 1817; conteneva<br />

questo proclama: "Da tutti gli<br />

angoli <strong>del</strong> Regno sono state inviate a<br />

S.M. <strong>del</strong>le domande ragionate per una<br />

Costituzione liberale, che assicuri ad un<br />

tempo il Re sul Trono e la Felicità Nazionale.<br />

Quando S.M. non è pieghevole<br />

questo giusto Invito,è autorizzato ed<br />

invitato ciascuno di sostenere i suoi diritti<br />

incominciando dal sospendere ogni<br />

contribuzione perché non dovuta ad un<br />

Governo che non riconosce i diritti <strong>del</strong>la<br />

Nazione, e continuando fino allo<br />

spargimento <strong>del</strong> sangue."<br />

Erano i primi segni <strong>del</strong>l'azione sempre<br />

più decisa che la Carboneria fin dagli<br />

albori <strong>del</strong> secolo andava svolgendo nelle<br />

contrade d'Irpinia e che doveva poi<br />

palesarsi nelle gloriose giornate <strong>del</strong><br />

1820. Provvidenziale fu per la sorte <strong>del</strong>la<br />

setta, <strong>del</strong>le "vindite" e <strong>del</strong>l'azione rivoluzionaria<br />

successiva, verso la fine<br />

<strong>del</strong> 1818 la nomina di Guglielmo Pepe<br />

a comandante <strong>del</strong>le due provincie di<br />

Avellino e di Foggia con Lorenzo de<br />

Concilij capo <strong>del</strong>lo Stato Maggiore.<br />

Si trattò allora, dopo la partenza dal<br />

Napoletano <strong>del</strong>le truppe Austriache, di<br />

istituire e organizzare le milizie provinciali<br />

che avevano principalmente il<br />

compito di sconfiggere il brigantaggio<br />

allora dilagante in molte piaghe <strong>del</strong><br />

Sud. Lorenzo de Concilij che aveva il<br />

compito di assoldare le milizie, d'accordo<br />

con Guglielmo Pepe (insieme i<br />

due si erano battuti nel 1799 per la repubblica<br />

partenopea e poi nell'infelice<br />

campagna di Murat) per l'ammissione<br />

alla Milizia richiedeva un solo requisito:<br />

l'appartenenza alla Carboneria, sicché<br />

non passò molto tempo che Milizia<br />

e Carboneria costituivano un tutt'uno:<br />

l'una, la Milizia, era il braccio visibile<br />

<strong>del</strong>lo Stato, l'altra, la Carboneria, il<br />

braccio invisibile che l'altro moveva e<br />

LA DOMENICA DEL CORRIERE<br />

comandava.<br />

Molti fogli e giornaletti manoscritti circolavano<br />

in quel tempo: la memoria c'è<br />

conservata dagli atti dei processi che si<br />

susseguivano ai fatti di Monteforte;<br />

purtroppo materialmente quei giornaletti<br />

sono andati quasi tutti distrutti o<br />

dispersi. Su uno di essi, che fu trovato<br />

il 13 luglio 1818 in Montesarchio era<br />

scritto: "Gli individui tutti appartenenti<br />

alla setta Carbonara si riuniranno<br />

mercoledì la notte in Montesarchio per<br />

togliere dal mondo il pappagallo Reggente<br />

I^".<br />

IL MANCATO RAPIMENTO<br />

DI METTERNICK<br />

In quei due anni che precedettero i moti<br />

di Avellino, la Milizia e la Carboneria<br />

erano diventati talmente potenti che<br />

Guglielmo Pepe e Lorenzo de Concilij<br />

progettarono un disegno rivoluzionario<br />

che avrebbe dovuto, forse, mutare i<br />

connotati d'Europa. Nel 1818 Francesco<br />

d'Austria e il Metternick vennero a Napoli<br />

per visitare il Borbone, e il governo<br />

napoletano, che aveva in gran conto<br />

l'efficienza <strong>del</strong>le "milizie" di Avellino<br />

e dei paesi limitrofi - decise di includere<br />

nei festeggiamenti una visita<br />

degli imperiali ospiti anche alla città di<br />

Avellino e ai principali centri <strong>del</strong>l'Alta<br />

Irpinia per far ammirare lo "spirito marziale"<br />

di quelle milizie. Pepe e de Concilij<br />

pensarono allora che fosse venuto<br />

il gran giorno e idearono di far prigionieri<br />

in Avellino nel palazzo <strong>del</strong>la Prefettura<br />

il Borbone, l'Imperatore Francesco<br />

d'Austria con tutta la famiglia imperiale,<br />

il Metternick, i ministri Medici<br />

e Nugent, e inviarli al carcere di Nusco<br />

e quindi a quello di Melfi, dove avreb-<br />

PAGINE DI STORIA<br />

bero dovuto concedere la costituzione.<br />

Troppa grazia! Il piano era stato studiato<br />

fin nei minimi dettagli: avrebbero dovuto<br />

avere una parte non indifferente i<br />

"giardinieri" (così venivano chiamate in<br />

Irpinia le donne Carbonare) che avrebbero<br />

intrappolati a un certo punto con<br />

una parvenza di festa in una determinata<br />

ala <strong>del</strong> palazzo gli uomini <strong>del</strong> seguito<br />

reale e imperiale. Senonchè la visita<br />

ad Avellino fu cassata dal viaggio<br />

di Francesco d'Austria, e al Pepe e al de<br />

Concilij rimase l'amarezza <strong>del</strong> piano<br />

andato a vuoto, di cui il Pepe ci ha dato<br />

ricordo nelle "Memorie" pubblicate<br />

a Parigi nel 1847. Ma il seme era stato<br />

gettato, non si poteva più ritirare. La rivoluzione<br />

covava non soltanto più sotto<br />

le "vindite" dei Carbonari ma ormai<br />

apertamente. Fu fissata anche la data:<br />

essa doveva scoppiare ad Avellino il 29<br />

La ventata napoleonica non era passata invano in quelle contrade,<br />

e l'attività <strong>del</strong>le industrie e dei commerci, che apparivano<br />

sempre più fiorenti, si innestò un'ampia propaganda<br />

patriottica, facendo leva sulle condizioni economiche avvilenti<br />

in cui l'amministrazione Borbonica lasciava il Sud<br />

maggio <strong>del</strong> 1820; i fatti di Spagna avevano<br />

eccitato la fantasia dei patrioti irpini<br />

che volevano ripetere quei moti per<br />

ottenere dal Borbone la costituzione. E<br />

non aveva proprio in quei giorni un<br />

giornale francese pubblicato che i monarchi<br />

d'Europa avevano declinato il<br />

"non intervento" negli affari interni di<br />

un altro Stato. Di questo parlò de Concilij<br />

sul finire <strong>del</strong> maggio <strong>del</strong> 1820 in<br />

una visita che fece a Nola al generale<br />

Carrascosa, ma in risposta il generale<br />

gli mostrò una copia <strong>del</strong> Giornale <strong>del</strong>le<br />

due Sicilie dove era detto, o almeno fatto<br />

intendere, esattamente il contrario, e<br />

cioè che presto si sarebbe riunito a Parigi<br />

un congresso <strong>del</strong>le principali Potenze<br />

per decidere degli ultimi avvenimenti<br />

<strong>del</strong>la Spagna. Quelle notizie consigliarono<br />

una maggiore prudenza e il<br />

moto rivoluzionario già pronto per il 29<br />

19<br />

maggio fu disdetto: in tutta fretta furono<br />

spediti dall' "Alta Vendita" di Avellino<br />

emissari verso i luoghi dove già<br />

praticamente si stava mettendo in opera<br />

la rivoluzione, e si fece appena in<br />

tempo a dare il contrordine.<br />

RIVOLUZIONE E "CAUZIONE"<br />

Il popolo Irpino in quel tempo era ormai<br />

maturo per la sua "rivoluzione", e<br />

la "cauzione" (costituzione) era ormai<br />

una richiesta non più occasionale o segreta,<br />

ma era sulla bocca di tutti, borghesi,<br />

popolani e contadini. Non solo i<br />

giornaletti manoscritti <strong>del</strong>le "vindite"<br />

contribuirono a infiammare la popolazione;<br />

ma ci si servì di singolari iniziative<br />

giornalistiche che fra i1 1817 e il<br />

1820 fiorirono nella Regione. La ventata<br />

napoleonica non era passata invano<br />

in quelle contrade, e l'attività <strong>del</strong>le industrie<br />

e dei commerci, che apparivano<br />

sempre più fiorenti, si innestò un'ampia<br />

propaganda patriottica, facendo leva<br />

sulle condizioni economiche avvilenti<br />

in cui l'amministrazione Borbonica<br />

lasciava il Sud.<br />

Parlando e scrivendo <strong>del</strong>le cose semplici<br />

di ogni giorno, <strong>del</strong>l'attività che ciascuno<br />

era tenuto a svolgere, gli uomini<br />

di lettere e i patrioti arrivavano più rapidamente<br />

al cuore di quelle genti semplici<br />

e per secoli abbandonate e sfruttate.<br />

Tramontato a Pizzo l'astro napoleonico<br />

e restituito sul trono di Napoli<br />

Ferdinando I, il monarca cerca di essere<br />

liberale: e rispetta quelle istituzioni<br />

che l'esperienza di dieci anni aveva dimostrato<br />

utili alle popolazioni (e non<br />

disturbavano, beninteso, le casse <strong>del</strong><br />

Reame).<br />

E così fu rispettata anche la "Società<br />

agraria di Principato Ultra": questa come<br />

le altre stabilite nelle città "capitali<br />

<strong>del</strong> regno"- cambiò nome e si chiamò<br />

R. Società Economica". Nel 1817, pei tipi<br />

di Cava e Giambarda, fu stampato in<br />

Avellino il "Real Decreto e Statuto <strong>del</strong>le<br />

R. Società Economiche stabilite nelle<br />

Capitali <strong>del</strong>le Provincie <strong>del</strong> Regno <strong>del</strong>le<br />

due Sicilie di qua dal Faro".<br />

Probabilmente si debbono anche questa<br />

tipografia i piccoli giornali stampati<br />

alla macchia in quegli anni, di cui è<br />

menzione negli atti processuali per la<br />

rivoluzione <strong>del</strong> 1820.<br />

Di essi, inoltre, si ha traccia in molte<br />

pubblicazioni conservate nel Grande<br />

Archivio di Stato di Napoli, nell' “Elenco<br />

<strong>del</strong> fatto in ordine cronologico successi<br />

in Avellino dal 1818 a tutto il marzo<br />

<strong>del</strong> 1821", di d. Giulio Ruggiero, giudice<br />

<strong>del</strong>la Gran Corte Criminale di Avellino<br />

(da un manoscritto appartenente ai<br />

Capone di Montella e riesumato dal<br />

Cannaviello).<br />

Nel 1819 alla carica di segretario fu<br />

chiamato Serafino Pionati, che proprio<br />

all'indomani <strong>del</strong> mancato moto rivoluzionario<br />

di Avellino, e un mese prima<br />

<strong>del</strong>la sortita di Morelli e Silvati, così<br />

scriveva nel suo "Rapporto <strong>del</strong> 30 maggio<br />

1819: l'industria degli abitanti - vi si<br />

leggeva - non poteva svilupparsi sotto<br />

la tirannide viceregnale e l'anarchia<br />

feudale: costituzioni infelici, <strong>del</strong>le quali<br />

lungo tempo era stata depressa: un<br />

governo malfermo, un'amministrazione<br />

sgherresca doveva portare fra tanti<br />

mali anche il ristagno <strong>del</strong> commercio<br />

interno!" I tempi, come si vede, erano<br />

mutati, se uomini come il Pionati, investiti<br />

di mansioni ufficiali, potevano<br />

scrivere su una pubblicazione pressoché<br />

ufficiale, frasi di questo genere.

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