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F<strong>il</strong>e riservato ad esclusivo fine di studio<br />
Coscienza del giudice e obbedienza alla legge<br />
dell’effettività e della continuità dell’ordinamento repubblicano e dei valori che esso<br />
esprime e garantisce, un m<strong>il</strong>itare, insomma, al quale si richiede «senso di responsab<strong>il</strong>ità<br />
e consapevole partecipazione» − per usare le parole della legge (art. 1346, 3°<br />
co. Cod. ord. m<strong>il</strong>.; art. 4, 1° co.) − nel perseguimento delle finalità istituzionali e<br />
nell’assolvimento dei propri compiti, nel rispetto della Costituzione e delle leggi.<br />
È evidente che questa concezione del m<strong>il</strong>itare non può non reagire sul tema<br />
dell’obbedienza all’ordine gerarchico. Se la disciplina deve costituire normale modo<br />
di essere che si radica nella coscienza del m<strong>il</strong>itare e la orienta verso l’astensione da ogni<br />
condotta che si ponga in contrasto con la legge penale, se al m<strong>il</strong>itare si richiede senso<br />
di responsab<strong>il</strong>ità, ciò implica che l’obbedienza non possa che essere obbedienza vig<strong>il</strong>e.<br />
Il vincolo all’obbedienza non può far venir meno <strong>il</strong> rapporto diretto, di coscienza e<br />
di dovere, del subordinato con <strong>il</strong> precetto penale, al di là e al di sopra dell’ordine ricevuto.<br />
La coscienza umana del subordinato dunque può (e deve) ribellarsi di fronte<br />
ad un ordine del superiore che gli impone la commissione di un reato.<br />
Il subordinato nell’eseguire l’ordine, dunque, così come <strong>il</strong> giudice nel processo<br />
interpretativo, non può sottrarsi alla responsab<strong>il</strong>ità della scelta e della valutazione critica:<br />
in tal senso la coscienza umana non può essere espunta dall’atto di obbedienza<br />
o dall’atto del decidere, non può venire nascosta, rispettivamente, dietro <strong>il</strong> paravento<br />
del dovere assoluto di obbedienza o dietro <strong>il</strong> dato positivo, in una concezione formalistica<br />
della legalità 16 .<br />
Questo accostamento tra l’esecuzione dell’ordine del superiore e la decisione del<br />
giudice può apparire (e in un certo senso è) ardito, perché è evidente la diversa portata<br />
dell’attività critica rivolta nei confronti di un ordine (un atto amministrativo)<br />
<strong>il</strong>legittimo alla stregua dell’ordinamento giuridico in cui l’ordine stesso si inserisce,<br />
da un lato, e la critica di una legge formalmente valida ma che contrasterebbe con<br />
principi ad essa gerarchicamente sovraordinati, dall’altro. Anche su un piano strettamente<br />
logico-giuridico l’attività di concretizzazione della norma generale ed astratta<br />
da parte del giudice è cosa ben diversa dalla materiale esecuzione di un ordine amministrativo<br />
17 . Ciò non toglie che <strong>il</strong> concetto di ordine sia uno dei concetti cardine<br />
della nostra cultura giuridica e che l’attività del giudice sia accomunata a quella<br />
dell’esecutore dell’ordine dalla pretesa normativistica di trasferire la responsab<strong>il</strong>ità<br />
materia di ordinamento m<strong>il</strong>itare. Per un primo commento al Codice, entrato in vigore <strong>il</strong> 9 ottobre<br />
2010 e accompagnato dal Testo Unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento m<strong>il</strong>itare<br />
(d.P.R. 15 marzo 2010, n. 90), si rinvia a R. De Nictolis, V. Poli, V. Tenore (a cura di), Commentario<br />
all’ordinamento m<strong>il</strong>itare, EPC, Roma 2010-2011.<br />
16 Vedi <strong>Riondato</strong>, Un diritto penale detto “ragionevole”, cit., p. 164 ss.<br />
17 L’esecuzione materiale dell’ordine del superiore è assim<strong>il</strong>ab<strong>il</strong>e più all’esecuzione della sentenza che<br />
alla decisione.<br />
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