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30 Geriatria 2007 Vol. XIX; n. 1 <strong>Gennaio</strong>/Febbraio<br />

Poiché il paziente spesso non può essere chiamato<br />

in causa nel processo decisionale, esso ricade<br />

sul team sanitario e sui fanmiliari che si trovano<br />

dinanzi a scelte comunque difficili.<br />

Nonostante sia universalmente accettato ed empiricamente<br />

provato che l’alimentazione è il presupposto<br />

irrinunciabile per permettere la vita, diversi studi<br />

clinici hanno messo in dubbio i benefici che potrebbero<br />

derivare dall’utilizzo della nutrizione enterale nei<br />

paziente affetti da demenza. C’è difficoltà ad avere un<br />

supporto adeguato di evidenza poichè non è eticamente<br />

proponibile effettuare trias clinici randomizzati<br />

per verificare differenze di aspettativa di vita tra<br />

paziente nutriti o meno con questa metodica (16).<br />

In alcune realtà per garantire un adeguato processo<br />

decisionale è stato creato un team multidisciplinare<br />

comprendente diverse figure professionali<br />

(gastroenterologo, nutrizionista, medico curante,<br />

comitato etico, logoterapista, manager infermieristico),<br />

consultabile quando viene presa in considerazione<br />

l’ipotesi di posizionare un “tubo nutrizionale”<br />

(SNG, PEG, PEJ). Il risultato ottenuto, forse anche<br />

per la macchinosità organizzativa, è stato quello di<br />

ridurre drasticamente il numero di malati in cui è<br />

stata posta l’indicazione per tale procedura (17).<br />

Da uno studio effettuato nelle case protette olandesi<br />

è emerso che in questo Paese prevale la tendenza<br />

a rinunciare alla nutrizione e alla idratazione artificiale<br />

dei pazienti con demenza in fase avanzata<br />

piuttosto che ad iniziarla; nella maggior parte dei<br />

casi la decisione di fare a meno del supporto nutrizionale<br />

interessa pazienti in cui sopraggiunge una<br />

complicanza in fase acuta (infezioni polmonari,<br />

stroke, infezioni del tratto urinario). Si è visto che la<br />

sopravvivenza risulta correlata direttamente alla<br />

quantità di liquidi assunta giornalmente: il 60%<br />

circa dei pazienti muore entro 1 settimana dal momento<br />

in cui si interrompe la nutrizione e l’idratazione<br />

artificiale; i pazienti che sopravvivono più a<br />

lungo sono quelli in cui l’apporto di liquidi (assun-<br />

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11. Serpa L.F. et al.: Effects of continuous versus bolus infusion of ente-<br />

BIBLIOGRAFIA<br />

ti autonomamente) è maggiore. In questi pazienti è<br />

stato valutato anche il livello di disagio associato<br />

all’interruzione del trattamento attraverso scale di<br />

valutazioni specifiche per i pazienti con demenza<br />

(DS-DAT). Dopo i primi giorni dall’interruzione il<br />

livello di disagio tende ovviamente a calare con la<br />

vitalità del paziente, ed è infatti più alto nei pazienti<br />

con stato di vigilanza maggiormente preservato e<br />

sembra essere inversamente correlato al momento<br />

in cui sopraggiunge la morte (18).<br />

La realtà italiana e dei paesi latini in genere<br />

dove non prevale la imposizione assicurativa ma<br />

una particolare attenzione alla salvaguardia della<br />

vita, è molto lontana dalle premesse metodologiche<br />

e dalle conseguenti conclusioni dello studio.<br />

Ma il problema fondamentale non è tanto quello<br />

del decidere la cessazione o meno della nutrizione e<br />

quindi della vita ma è rappresentato dal fatto che i<br />

pazienti con demenza di grado severo, al contrario<br />

di quelli oncologici, non vengono considerati come<br />

pazienti affetti da una condizione patologica terminale<br />

e per tale ragione non si mettono in atto per<br />

loro misure di intervento finalizzate al miglioramento<br />

della qualità di vita ed al controllo palliativo<br />

dei sintomi, preservandoli da tunnel diagnostici ed<br />

interventi terapeutici inutilmente aggressivi al limite<br />

dell’accanimento terapeutico (19).<br />

Ciò è talmente vero che neppure negli Stati<br />

Uniti per i malati di demenza sono ancora diffuse,<br />

come per i malati neoplastici terminali, le “advanced<br />

directives” o consensi anticipati a procedure di<br />

rianimazione cardiopolmonare, ospedalizzazione,<br />

nutrizione artificiale, ecc.<br />

Questi “testamenti biologici” di estrema attualità<br />

potrebbero essere di grande aiuto nel processo<br />

decisionale in tutte le fasi della cura dei malati di<br />

demenza delle generazioni future ma non darebbero<br />

che risposte dilatorie ai tanti anziani i cui bisogni<br />

decisionali straripano ora dalle nostre corsie.<br />

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