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Fondi Ue, la spesa cresce ma resta bassa<br />

Ritardi, frammentazione in mille rivoli, mancanza di progetti<br />

coerenti con un obiettivo strategico di sviluppo. Adesso<br />

anche irregolarità nella gestione sancite dalla Ue per la<br />

Puglia. L’uso delle risorse comunitarie in Italia ha fatto acqua da<br />

tutte le parti. Si spera che possa andar meglio col nuovo periodo<br />

2014-2020 e con l’accordo di partenariato recentemente sottoposto<br />

a Bruxelles che andrà comunque cambiato in molte parti per<br />

richiesta della Commissione, ma, se si guarda ai precedenti, c’è da<br />

poco da stare allegri. Proviamo a fare un bilancio di quanto è avvenuto<br />

finora. A fine 2013, ma tra breve si avranno i dati relativi al<br />

primo periodo dell’anno in corso, tutti i programmi operativi dei<br />

fondi europei avevano superato i target di spesa, evitando la perdita<br />

di risorse legata alla scadenza del 31 dicembre. Fra il primo<br />

gennaio e il 31 dicembre 2013 sono state, infatti, certificate alla<br />

Commissione europea spese pari a circa 6,8 miliardi per il periodo<br />

di programmazione 2007-2013 (si può spendere fino a fine 2015).<br />

Alla fine del 2011 la percentuale di risorse spese sul totale di quelle<br />

disponibili era davvero misera, pari ad appena il 15%. All’inizio del<br />

2013, quindi circa dodici mesi dopo, aveva raggiunto in Italia il<br />

37%, quindi era più che raddoppiata. Merito soprattutto del Piano<br />

Azione Coesione, fortemente voluto dall’ex ministro della Coesione<br />

Territoriale del governo Monti, Fabrizio Barca, e portato<br />

avanti con convinzione dal suo successore nell’esecutivo Letta,<br />

Carlo Trigilia. Tale Piano Azione Coesione ha comportato, infatti,<br />

un’operazione di riprogrammazione di una parte dei fondi. Resta,<br />

comunque, troppo differenziato il risultato tra Centro-Nord e Mezzogiorno:<br />

a fronte di un livello di spesa pari al 49% per cento nelle<br />

regioni settentrionali, nell’area della Convergenza la spesa si<br />

ferma al 36%. In particolare per quel che riguarda il Piano Operativo<br />

regionale della Basilicata, la spesa certificata a fine 2013 arriva<br />

a 676 milioni circa, tra Fesr ed Fse, col primo che ha una<br />

percentuale di erogazione del 59,2% e il secondo del 71,5%. Per<br />

il Por Calabria la spesa certificata è di un miliardo e 206 milioni,<br />

con il Fesr al 36,5% di utilizzo e l’Fse al 59,6%. Il Por Campania<br />

è quello che ha maggiori criticità: la spesa certificata ha raggiunto<br />

un miliardo e 894 milioni, ma per il Fesr si ferma al 31,8%, mentre<br />

per l’Fse raggiunge il 50,6%.<br />

Per il Por Puglia la performance è decisamente migliore: spesa<br />

certificata a 3 miliardi e 184 milioni, Fesr con una percentuale di<br />

erogazione al 55,3%, Fse al 54,7%. Infine il Por Sicilia, con una<br />

spesa certificata di due miliardi e 521 milioni, laddove il Fesr è al<br />

37,6% e l’Fse al 54%. La scelta di procedere nel 2013 a due riprogrammazioni<br />

delle risorse è stata voluta proprio da Barca e da<br />

Trigilia: la prima è stata effettuata a giugno, la seconda a dicembre.<br />

Inoltre, nella seconda parte dell’anno scorso, sono state costituite<br />

alcune task force, in particolare per la Campania e per la<br />

Sicilia, per accelerare la spesa dei fondi europei. Tutto ciò ha consentito<br />

un’effettiva accelerazione che ha coinvolto le amministrazioni<br />

centrali e regionali, e ciò anche grazie alla riduzione del<br />

cofinanziamento nazionale, la cui spesa creava non pochi problemi<br />

a causa dei vincoli posti alla cassa dal Patto di Stabilità.<br />

L’ammontare complessivo delle risorse riorientate per finalità<br />

antirecessive è stato di circa 7 miliardi, di cui oltre 3 miliardi sui<br />

fondi strutturali 2007-2013 relativi a programmi operativi nazionali<br />

e regionali. Il rischio è che si dovrà procedere a nuove<br />

riprogrammazioni per fare in modo di arrivare indenni alla scadenza<br />

ultima per la certificazione a Bruxelles della spesa dei<br />

fondi 2007-2013, entro e non oltre il 31 dicembre 2015. Tali riprogrammazioni<br />

potrebbero riguardare lo spostamento di risorse<br />

da obiettivi che non riescono a essere raggiunti a progetti<br />

di rigenerazione urbana. In quanto investire sulle città meridionali,<br />

piccole ma soprattutto medie e grandi, consentirebbe non<br />

soltanto di rimettere in moto l’edilizia, ma di avviare una programmazione<br />

strategica che coniughi esigenze tra loro molto<br />

diverse, che hanno il comune denominatore di essere propedeutiche<br />

allo sviluppo delle aree metropolitane: il progetto<br />

Smart City, l’autonomia fiscale delle città, le crisi di industrie<br />

che alimentano i redditi urbani, l’inadeguatezza di alcuni fondamentali<br />

servizi sociali, una maggiore efficienza delle fonti<br />

energetiche e lo sviluppo delle nuove filiere sulle rinnovabili, il<br />

contrasto alla criminalità organizzata nelle aree ad elevata<br />

emarginazione sociale, le prospettive del turismo. Che sulla gestione<br />

dei fondi europei sia indispensabile cambiare totalmente<br />

passo, lasciando una gestione burocratese e sfruttando in<br />

pieno le risorse che arrivano dall’Ue, ne è convinto, primo tra<br />

tutti, il presidente del Consiglio Matteo Renzi. E nel suo governo<br />

le critiche al modo in cui finora sono state utilizzate le risorse<br />

che provengono da Bruxelles è netto. «Non dobbiamo dimenticare<br />

— fa eco al premier il ministro per le Regioni Carmela<br />

Lanzetta — che, sebbene l’Italia abbia migliorato la sua performance<br />

di attrazione e utilizzo dei fondi europei, il divario tra<br />

il Nord e il Sud quanto a capacità di spesa di quei fondi è allarmante».<br />

E il Commissario europeo per le Politiche Regionali<br />

Johannes Hahn lo sa benissimo.<br />

(Corriere del Mezzogiorno Economia)<br />

7aprile2014 asud’europa 23

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