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Gennaio - Febbraio - Marzo 2007 - Ordine dei Giornalisti

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Trentadue medaglie d’oro il 29 marzo <strong>2007</strong> al Circolo della Stampa<br />

Candido Cannavò<br />

“Per me lo sport è stato<br />

un romanzo tinto solo di Rosa”<br />

di Andrea Sillitti<br />

Nella Catania del dopoguerra Candido Cannavò andava di corsa.<br />

Agile, magrissimo, resistente. Uno <strong>dei</strong> migliori mezzofondisti<br />

della Sicilia. È stata l’atletica a permettergli di uscire per la<br />

prima volta dall’isola e di gareggiare in giro per l’Italia con il Cus<br />

Catania. Ed è stata proprio la sconfinata passione per questa<br />

disciplina a procurargli il primo lavoro da giornalista: “Volevo diventare<br />

un medico, ho frequentato la facoltà per quattro anni,<br />

ma un giorno del ’48 venne da me il responsabile della cronaca<br />

sportiva della Sicilia di Catania. Iniziai a scrivere di atletica,<br />

poi mi dettero sempre più spazio: per l’Olimpiade di Helsinki facevo<br />

da solo due pagine al giorno in redazione”.<br />

Pochi anni e, nel ’55, la svolta: prima il contratto da praticante<br />

nel quotidiano catanese (“dopo sette anni di abusivismo di cui<br />

non rimpiango un solo giorno”), poi l’inizio del lungo e felicissimo<br />

matrimonio professionale con la “Gazzetta dello Sport”. Un<br />

sodalizio nato sulla scia di uno scandalo, il “caso Scaramella”.<br />

L’inchiesta portò alla luce la connivenza tra l’arbitro romano, poi<br />

squalificato a vita, e alcune società di calcio, tra cui il Catania<br />

che venne retrocesso in serie B. “Finì coinvolto anche il corrispondente<br />

della Gazzetta a Catania, così da Milano si ricordarono<br />

di una mia precedente candidatura. La fatalità non ha<br />

alternative né ama dare spiegazioni. Più volte io e il caso ci saremmo<br />

incontrati di nuovo in seguito”.<br />

Come un giorno del 1959, quando Cannavò si imbatte per caso<br />

in un collega che gli propone di andare a colazione con due<br />

ballerine di Milano. “Una delle due era Franca. L’anno dopo, il<br />

giorno di Sant’Ambrogio, ci siamo sposati”. Nel 2010 Candido<br />

e Franca festeggeranno le nozze d’oro. Una consuetudine, ormai,<br />

per Cannavò. Se ora può celebrare mezzo secolo di iscrizione<br />

all’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti, nel 2005 aveva già festeggiato i<br />

suoi leggendari 50 anni alla “Gazzetta”, dal 1983 al 2002 nelle<br />

vesti di direttore. “Ho lasciato il timone il 12 marzo 2002, proprio<br />

nel giorno in cui cadevano i miei 19 anni di direzione. Per<br />

l’occasione ho speso con felicità un capitale in rose color<br />

Gazzetta da regalare a tutte le colleghe e le signore che ruotano<br />

intorno al giornale”.<br />

Dopo quel primo articolo firmato nel ’55, Cannavò diventa ben<br />

presto una tra le grandi firme della “Gazzetta”, seguendo da inviato<br />

grandi eventi internazionali come Mondiali di calcio e<br />

Olimpiadi. Ma i tanti riconoscimenti ottenuti non lo allontanano<br />

dalla redazione della “Sicilia” e dall’amata Catania, città nella<br />

quale nel frattempo sono cresciuti i suoi tre figli: Alessandro,<br />

Marco e Marilisa. Nell’81, però, arriva una chiamata alla quale<br />

non può rispondere “no”. Gino Palumbo, direttore della<br />

“Gazzetta”, gli offre l’incarico di vice direttore. Due anni più tardi<br />

sarebbe arrivata la maglia rosa del giornalismo sportivo con<br />

l’investitura a direttore.<br />

Fatti, storie, incontri. In mezzo secolo di “Gazzetta” Cannavò ha<br />

visto tutto e il contrario di tutto. Ha provato a raccontare questi<br />

lunghi 50 anni nell’autobiografia Una vita in rosa, pubblicata nel<br />

2002 da Rizzoli. Un romanzo che attraverso la vicenda del protagonista<br />

fa rivivere i successi e i personaggi più importanti dello<br />

sport italiano e mondiale dal dopoguerra in poi. “Se mi chiedessero<br />

l’avvenimento che più mi è rimasto nel cuore – racconta<br />

– sceglierei la vittoria di Livio Berruti sui 200 metri ai<br />

Giochi di Roma del ‘60, le mie prime Olimpiadi, anche se di<br />

trionfi indimenticabili ne ho visti tanti. Quelli che ricordo meglio,<br />

purtroppo, sono gli episodi che invece cancellerei volentieri dalla<br />

memoria, come la tragedia dell’Heysel di Bruxelles nell’‘85 o<br />

l’estromissione di Pantani dal Giro d’Italia, il 5 maggio del<br />

1999”.<br />

E a proposito di fatti da dimenticare, è impossibile ignorare i<br />

drammatici scontri avvenuti il 2 febbraio scorso nella sua<br />

Catania, scontri che hanno sconvolto il calcio italiano: “Episodi<br />

come quelli che avvengono nei nostri stadi sono il segno di un<br />

grande disagio sociale. Il giornalismo in questo senso può ancora<br />

svolgere un ruolo positivo, battendosi per affermare i principi<br />

di lealtà e i valori dello sport”.<br />

Cannavò crede a tal punto nel ruolo educativo della professione<br />

da aver vissuto per otto mesi, nel 2003, da cronista volontario<br />

nel carcere di San Vittore. Esperienza da cui ha tratto un<br />

libro di successo, Libertà dietro le sbarre, edito tre anni fa da<br />

Rizzoli. “Ho scoperto che il carcere ha un’anima, e da quest’anima<br />

mi sono lasciato conquistare”. Oggi Cannavò continua a<br />

frequentare San Vittore, ma è solo uno <strong>dei</strong> tanti impegni del<br />

giornalista che, oltre a ricoprire il ruolo di Direttore editoriale<br />

Area Sport del gruppo Rcs, continua a scrivere libri e a firmare<br />

editoriali sulla “Gazzetta”. È passato più di mezzo secolo, ma<br />

Candido Cannavò continua a correre.<br />

Gian Piero Ratti<br />

“Che emozione quando Moser<br />

stabilì il record dell’ora”<br />

Fuma la pipa con del tabacco che fa arrivare dagli Stati Uniti e<br />

ha disegnato di persona la sua accogliente casa brianzola, non<br />

lontano dalla villa di Adriano Celentano. “Una volta – scherza<br />

– fumare, mangiare e bere tanto erano le caratteristiche peculiari<br />

del giornalista”.<br />

Gian Piero Ratti, per i colleghi Piero, ha passato ben più della<br />

metà <strong>dei</strong> suoi anni alla “Gazzetta dello Sport”, come inviato. E<br />

pensare che all’inizio la sua strada doveva essere un’altra:<br />

“Studiavo Medicina, ero al quinto anno, poi sono morti i miei<br />

genitori e ho dovuto provvedere ai due fratellini più piccoli.<br />

Pagare l’affitto della casa e permettere loro di studiare stava di-<br />

ORDINE 1- 2- 3 <strong>2007</strong><br />

di Alessandro Ruta<br />

Angelo Garavaglia<br />

“Mi ritempravo con Mozart<br />

e raccontavo le gesta di Coppi”<br />

di Giuseppe Vespo<br />

“Cominciamo col dire che i miei amori sono due: La Gazzetta<br />

dello Sport e il loggione della Scala”. Angelo Garavaglia racconta<br />

la sua esperienza professionale, lunga cinquant’anni:<br />

“Ma di quel giornalismo oggi è rimasto poco”. Nessun tono nostalgico,<br />

comunque, per il cronista in Rosa. Tutto scorre liscio<br />

come in quei racconti che i nonni rodano su generazioni di nipoti,<br />

archiviati in una mente brillante e interrotti da una voce<br />

che inneggia continuamente alla bellezza della vita e di questo<br />

mestiere. “Ho cominciato in Gazzetta”, racconta. “Ricordo che<br />

entrai al giornale a dicembre, ero il più giovane, e a Natale mi<br />

regalarono un panettone Motta di cinque chili. Quando tornai a<br />

Carlo Perelli<br />

Io, nelle steppe russe<br />

a caccia di storie su due ruote<br />

di Damiano Beltrami<br />

“La storia più bella in 58 anni di Motociclismo Quella di un<br />

campione che diceva di esser morto tre volte: Alfredo Ravaldini”.<br />

A ripensarci, Carlo Perelli, oggi indaffarato direttore responsabile<br />

della rivista “Motociclismo d’Epoca”, fondata nel 1995 dopo<br />

essersi ritirato da “Motociclismo”, sorride. “Nel 1979 visitai le<br />

principali fabbriche di moto sovietiche, i club e i circuiti. Un colpaccio<br />

per Motociclismo: ero il primo giornalista occidentale che<br />

ci riusciva”. E ancor più singolare fu il personaggio che emerse<br />

da quel viaggio: un motociclista romagnolo famoso in Unione<br />

Sovietica e sconosciuto in patria.<br />

“Tornato in Italia, scrissi il reportage e lanciai un appello allo sco-<br />

ventando un’impresa, e ho iniziato a cercare un lavoro. Ho<br />

mandato una lettera a Gianni Brera, che allora dirigeva la<br />

Gazzetta, chiedendogli di poter scrivere qualcosa. Quando mi<br />

ha risposto di sì non ci potevo credere. Così, era la fine degli<br />

anni Quaranta, ho cominciato a collaborare, e poi ad essere inviato,<br />

a seguire i grandi eventi, soprattutto ciclismo e sci:<br />

Mondiali, Olimpiadi. Ma l’emozione più grande me l’ha data<br />

Francesco Moser quando ha stabilito il record dell’ora a Città<br />

del Messico”.<br />

Durante una gara, la Varsavia-Berlino-Praga, Piero ha conosciuto<br />

la sua futura moglie, che faceva la traduttrice per la<br />

Reuters. Al matrimonio il testimone era Gualtiero Zanetti. Solo<br />

una corsa non è mai riuscito a seguire: la Parigi-Roubaix. Ratti<br />

casa, mio padre, che in gioventù era emigrato in Argentina a<br />

cercar fortuna, mi chiese se l’avessi rubato”. Ride il signor<br />

Garavaglia: “Erano tempi diversi, di grande fatica, ma di enormi<br />

soddisfazioni”. Cavalcava tutte le mattine le Nord, dalla provincia<br />

a Milano: “Sapevi quando partivi, ma non potevi prevedere<br />

l’arrivo”. Al lavoro, “in una terra tra mito e ragione, respiravamo<br />

la poesia di questo mestiere: tra Coppi e Bartali, le<br />

grandi imprese, la folla raccolta nel cortile della Gazzetta di via<br />

Galilei, nell’ex fabbrica del sapone. La gente guardava i ciclisti<br />

che punzonavano le bici, incantati dal mito che contribuivamo<br />

a formare con la semplice cronaca di imprese sportive vere”.<br />

Ogni giorno, fino a sera. Fino all’urlo del proto che echeggiava<br />

per tutto il giornale e imponeva la chiusura. Fatte le pagine, via<br />

a coltivare le altre passioni, la musica su tutte. Altri miti, altre<br />

ricorda con affetto il suo rapporto con Brera: “Col Giuànn piano<br />

piano siamo diventati amici e si andava a pescare insieme.<br />

Era uno spettacolo vederlo remare con una mano sola, lui che,<br />

nato praticamente sul fiume, sapeva come navigare senza far<br />

scappare i pesci. Un altro grande maestro è stato Gianni<br />

Clerici”.<br />

Piero ce l’ha impresso in mente come se fosse ieri, il primo articolo<br />

scritto per la rosea, su una partita di calcio: “Saronno-<br />

Monza zero a zero. Da lì quante soddisfazioni, che ricordi<br />

quando impaginavo la Gazzetta in piazza Cavour con i tipografi,<br />

o le cene con Mario Fossati e Giuseppe Ambrosini.<br />

Quante cose ho imparato da loro, anche quando ero incaricato<br />

di dettare semplicemente i pezzi che scrivevano alla fine delle<br />

tappe del Giro d’Italia. Oggi i giovani non ascoltano più gli<br />

anziani, e fanno male. L’umiltà deve essere una dote fondamentale<br />

per diventare giornalisti”.<br />

Ratti non ha mai smesso di scrivere. Alla fine di gennaio, infatti,<br />

ha seguito per la Gazzetta la tradizionale Marcialonga di sci<br />

di fondo: “Forse piaccio ai lettori perché riesco a far vivere un<br />

evento attraverso i miei pezzi. Oggi è tutto a portata di mano<br />

su internet, nessuno va più a fare il cronista sul campo, e parlare<br />

con gli sportivi è sempre più difficile. Le sale stampa di una<br />

volta erano piccole, e lavorare in mezzo al ticchettio delle macchine<br />

per scrivere ti dava una carica indescrivibile. Adesso, invece,<br />

basta schiacciare due tasti sul computer”.<br />

coppie: Mozart e Beethoven, Verdi e Wagner. “Ho vissuto in<br />

una penombra divina, il giornale mi assicurava la pagnotta e la<br />

musica mi ritemprava lo spirito”. Poi il mondo, i viaggi: alla scoperta<br />

delle imprese che fanno grandi gli uomini. Un giro lungo,<br />

fino al desk. Nel 1968 Garavaglia è caposervizio alle pagine del<br />

calcio, “del calcio vero” e la “Gazza” cambia sede, si sposta in<br />

piazza Cavour, palazzo <strong>dei</strong> giornali.<br />

Col trasferimento <strong>dei</strong> cronisti della “rosea” al “Corriere”,<br />

Garavaglia è nominato caporedattore. Ogni capo dirigeva le<br />

sue pagine, e in quel periodo non si convocava neanche la riunione.<br />

Angelo Garavaglia è stato tra quelli che hanno lavorato<br />

alla “Gazzetta dello Sport” in anni record: dalla direzione ad interim<br />

di Giuseppe Ambrosini e Gualtiero Zanetti a quella di<br />

Candido Cannavò, passando per tante imprese sportive e giornalistiche.<br />

Su tutte, il record <strong>dei</strong> tre milioni di lettori di media del 1983. È<br />

uscito dal giornale nel 1988, in tempo per vedere “l’appiattimento<br />

<strong>dei</strong> quotidiani e <strong>dei</strong> giornalisti” sui modelli televisivi.<br />

“L’avvento delle tv commerciali ha cambiato il modo di fare questo<br />

mestiere”. Testimone di un declino, canta un vecchio proverbio<br />

cinese: “Quando ti rendi conto – recita Garavaglia – che<br />

non è il pisello che fa sbocciare la primavera ma il contrario,<br />

capisci che è finita la poesia”. Quell’88, erano 51 i redattori in<br />

“odor di santità. Siamo usciti in quattro. Perché anche in queste<br />

cose bisogna cogliere il momento giusto”.<br />

D'<br />

MEDAGLIE<br />

O R<br />

nosciuto pilota. Per dieci anni nessuna risposta. Poi, una mattina,<br />

squilla il telefono: ‘Pronto, son Ravaldini’, dice la voce. ‘Ma<br />

quale Ravaldini’ ‘Quello della Russia’. ‘Ostrega, ma dove sei’<br />

‘Al mio paese’”. Perelli incontrò Alfredo e la moglie Galina a<br />

Gatteo a Mare, in provincia di Cesena: “Ripeteva divertito che<br />

si sentiva morto tre volte. Mentre si ritirava dalla Russia con<br />

l’Armir, cercò di farsi caricare su un camion nazista. Gli spararono<br />

una mitragliata e cascò nella neve. Mezzo assiderato, lo<br />

salvò una capitana dell’Armata rossa. I russi lo fecero prigioniero,<br />

deportandolo in Siberia. Sarebbe morto la seconda volta,<br />

se non fosse finito a fare il guidatore di trattori. Il che gli consentiva<br />

di difendersi dal gelo riscaldandosi vicino al motore.<br />

Finita la guerra restò in Russia. Cominciò a correre in moto e a<br />

vincere. Entrò nell’albo d’oro del campionato di velocità sovietico.<br />

Poi si laureò in ingegneria, si sposò e fece carriera. Alla fine<br />

degli anni Novanta, assalito dalla malinconia, tornò a Gatteo.<br />

Quando l’anziana madre aprì la porta, le venne un colpo. E appena<br />

si riprese dallo choc, gliene venne un altro: doveva restituire<br />

i soldi della pensione di guerra che aveva preso per quarant’anni.<br />

Lui si sentì morto per la terza volta. Era ormai il fu<br />

Alfredo Ravaldini”.<br />

Carlo Perelli, sguardo attento e occhiali alla Woody Allen, è un<br />

affabulatore quasi ipnotico. Figlio di un tipografo che stampava<br />

“Motociclismo”, imparò a leggere sillabando marche di moto. Poi<br />

un giornalista della rivista chiese al padre: “Te ghe minga un fieu<br />

per sistema i fotugrafie de’ l’archivi” Il 1° ottobre del 1949 il sedicenne<br />

Carluccio entrò al giornale. “In redazione sfogliavo le riviste<br />

straniere. Il vecchio redattore capo mi diceva: “Te vedet,<br />

‘lap’ voeur dì gir normal, ‘fast lap’, giro veloce. Non parlava inglese,<br />

conosceva solo alcuni termini. Così mi misi a studiare un<br />

po’ la lingua e dal 1953 cominciai a collaborare con riviste inglesi<br />

e olandesi”. E proprio su quelle riviste straniere, Perelli, all’inizio<br />

di settembre del 1957, pubblicò lo scoop più clamoroso<br />

della sua carriera. “Venni a sapere che la Gilera, grande protagonista<br />

del campionato del mondo, voleva ritirarsi dalle gare.<br />

Sparai subito la notizia sui giornali inglesi. Apriti cielo: mi chiama<br />

la Gazzetta dello Sport chiedendomi se mi dà di volta il cervello.<br />

La Gilera smentiva, ma il 26 settembre in una riunione<br />

stampa effettivamente annunciò il ritiro dalle corse”.<br />

21<br />

O

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