07.01.2015 Views

Gennaio - Febbraio - Marzo 2007 - Ordine dei Giornalisti

Gennaio - Febbraio - Marzo 2007 - Ordine dei Giornalisti

Gennaio - Febbraio - Marzo 2007 - Ordine dei Giornalisti

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

PROFESSIONI:<br />

MASTELLA, NESSUNA<br />

VOLONTÀ DI ABOLIRE ORDINI<br />

ROMA, 1 dicembre 2006. ‘’Nessun terremoto per gli ordini e i collegi esistenti, nessuna volontà di abolirli, ma soltanto la necessità<br />

di procedere ad una loro riorganizzazione eventualmente attraverso un accorpamento in gruppi professionali omogenei’’.<br />

È quanto ha dichiarato il ministro della Giustizia Clemente Mastella conversando con i giornalisti a margine del forum ‘’Verso il<br />

piano strategico’’, organizzato dall’Amministrazione comunale di Benevento.<br />

“E chiaro, ha aggiunto il Guardasigilli, che se viene meno l’interesse pubblico che ha reso necessaria l’istituzione dell’ <strong>Ordine</strong>,<br />

l’attività professionale dovrà essere diversamente disciplinata al fine di garantire gli interessi degli utenti, la cui tutela è di primaria<br />

importanza’’.<br />

(ANSA)<br />

dal “Governo Prodi” volta le spalle alle regole<br />

e alle legge 4/1999 del “Governo D’Alema”<br />

<strong>Ordine</strong>:<br />

Corriere della Sera<br />

30 dicembre 2006<br />

Lettere al Corriere<br />

Risponde<br />

SERGIO ROMANO<br />

botta e<br />

risposta<br />

Romano/<br />

Abruzzo<br />

Corriere della Sera<br />

3 gennaio <strong>2007</strong><br />

rubrica<br />

INTERVENTI<br />

E REPLICHE<br />

ORDINI PROFESSIONALI:<br />

L’ANOMALIA DEI GIORNALISTI<br />

Qualche tempo fa lei intervenne sul Corriere<br />

per denunciare il carattere anacronistico degli<br />

ordini professionali, come sono attualmente<br />

ordinati, cioè a difesa del privilegio e ostacolo<br />

al merito. E poiché il problema è ancora<br />

aperto e attende una risposta in sede politica,<br />

credo che meriti qualche considerazione.<br />

Naturalmente la questione non è quella della<br />

esistenza di un ordine professionale di per sé.<br />

La questione sta nel fatto che da noi non si<br />

tratta, come in ogni Paese civile, di libere associazioni<br />

private, bensì di vere e proprie corporazioni<br />

imposte e regolate da una legge.<br />

Anche negli Stati Uniti, ad esempio, esistono<br />

in ogni Stato le Bar Associations, ma non si<br />

ha l’obbligo di appartenervi per esercitare legittimamente<br />

la professione legale una volta<br />

che ne siano accertati i titoli. Una delle maggiori<br />

anomalie è rappresentata a mio avviso<br />

dall’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti, una professione<br />

che in un Paese libero dovrebbe essere soggetta<br />

soltanto al giudizio del pubblico.<br />

Attualmente l’<strong>Ordine</strong> è minuziosamente regolato<br />

dalla legge 3 febbraio 1963 che si compone<br />

di ben 75 articoli e che impone vincoli<br />

ferrei al libero esercizio della professione.<br />

Varrà la pena di ricordare che l’<strong>Ordine</strong> è un<br />

frutto del fascismo.<br />

Fu istituito il 26 febbraio 1928, decreto n. 384,<br />

in funzione <strong>dei</strong> fini repressivi che il regime si<br />

proponeva. Ora i tempi sono cambiati e a parole<br />

non si perde occasione per esaltare la libertà,<br />

ma evidentemente la tentazione del<br />

privilegio continua a prevalere. Mi chiedo, e<br />

chiedo a lei, non sarebbe una bella prova di<br />

civiltà se dai ranghi stessi <strong>dei</strong> giornalisti si levassero<br />

voci perché la anomalia di questo ordine<br />

palesemente illiberale fosse cancellata<br />

Roberto Vivarelli / Firenze<br />

Caro Vivarelli, qualche giorno dopo l’articolo<br />

del Corriere a cui lei si riferisce,ricevetti la lettera<br />

di un giovane notaio con cui ebbi più tardi<br />

una conversazione. Mi disse che il suo<br />

<strong>Ordine</strong> garantiva la serietà e la preparazione<br />

professionale <strong>dei</strong> membri, che gli esami erano<br />

severi, che le tariffe erano molto ragionevoli,<br />

che la liberalizzazione avrebbe provocato<br />

un effetto «forbice»: servizi mediocri a<br />

prezzi stracciati e servizi di qualità a prezzi<br />

più alti di quelli praticati ora. Anche un difensore<br />

dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti potrebbe sostenere<br />

che l’istituzione garantisce con l’esame<br />

di ammissione e i corsi universitari la<br />

competenza professionale, punisce la violazione<br />

<strong>dei</strong> principi deontologici, mette la categoria<br />

in condizione di meglio resistere alle interferenze<br />

esterne. Questi argomenti non sono<br />

privi di una certa validità, ed è probabile<br />

che la soppressione degli Ordini, se mai qualche<br />

governo ne avrà il coraggio, creerebbe,<br />

soprattutto nella fase iniziale, un certo numero<br />

di inconvenienti. Ma continuo a pensare<br />

che gli Ordini rappresentino una istituzione<br />

anacronistica e che i vantaggi della loro soppressione<br />

siano maggiori degli inconvenienti.<br />

Ecco, con particolare riferimento all’<strong>Ordine</strong><br />

<strong>dei</strong> giornalisti, le mie ragioni.<br />

Non credo che i problemi di deontologia professionale<br />

debbano essere lasciati ai soci del<br />

club. Vi sono Paesi in cui il problema è stato<br />

risolto con la creazione di commissioni o collegi<br />

formati da rappresentanti della professione,<br />

rappresentanti <strong>dei</strong> consumatori, magistrati,<br />

avvocati, boniviri di diversa estrazione.<br />

L’idea che ogni persona debba essere giudicata<br />

dai suoi pari prefigura un possibile conflitto<br />

di interessi ed è feudale, cioè tipica di<br />

una società costituita da poteri autonomi, autogestiti<br />

e autoreferenziali. Gli Ordini obbediscono<br />

inevitabilmente alla logica dell’autoconservazione<br />

e del potere. Come ogni altro<br />

organismo associativo (penso ai sindacati)<br />

producono una nomenklatura dirigente con il<br />

suo inevitabile complemento di ambizioni personali,<br />

partiti, programmi elettorali. Per ottenere<br />

il consenso e l’appoggio <strong>dei</strong> soci la nomenklatura<br />

deve fornire servizi previdenziali,<br />

assistenziali, sanitari. Per finanziare questi<br />

servizi deve poter contare su un certo numero<br />

di soci, ma conservare al tempo stesso il<br />

principio della cooptazione. L’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti<br />

ha creduto di potere raggiungere questo<br />

risultato con due misure molto discutibili:<br />

la moltiplicazione <strong>dei</strong> corsi universitari che<br />

fungono da praticantato (il tirocinio che precede<br />

l’ingresso nella professione) e l’estensione<br />

della qualifica di giornalista agli addetti<br />

stampa. I corsi universitari, soprattutto in un<br />

Paese dove gli sbarramenti all’accesso sono<br />

piuttosto bassi, producono un numero di<br />

aspettative che non ha alcun rapporto con le<br />

esigenze del mercato e finiscono per creare,<br />

soprattutto nelle fasi di mutamento e transizione,<br />

molto precariato. Gli addetti stampa<br />

non sono e non possono essere giornalisti. Il<br />

portavoce di un’azienda è un avvocato difensore,<br />

tenuto dal suo impegno professionale, a<br />

esaltare i meriti dell’azienda, della istituzione<br />

o della persona per cui lavora, nascondendone<br />

per quanto possibile i difetti. Non so davvero<br />

come l’<strong>Ordine</strong> possa conciliare la sua<br />

funzione di garante della deontologia con il<br />

desiderio di allargare agli addetti stampa la<br />

cerchia <strong>dei</strong> soci. Aggiunga a tutto questo, caro<br />

Vivarelli, che il giornalismo vive di libertà<br />

ed è, come sosteneva Thomas Jefferson, l’indispensabile<br />

pilastro di un sistema politico liberale.<br />

Gli Ordini professionali tendono a<br />

creare lealtà e solidarietà che possono entrare<br />

in rotta di collisione con il principio della libertà.<br />

Sergio Romano<br />

LE RAGIONI DELL’ORDINE<br />

DEI GIORNALISTI<br />

Franco Abruzzo ringrazia l’ambasciatore<br />

Sergio Romano, che, con straordinaria<br />

sensibilità, ha chiesto al presidente<br />

dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti della<br />

Lombardia di far conoscere ai lettori<br />

del Corriere della Sera il suo punto di<br />

vista sull’argomento trattato dallo<br />

stesso Sergio Romano nell’edizione<br />

del 30 dicembre 2006 (“Ordini professionali:<br />

l’anomalia <strong>dei</strong> giornalisti”).<br />

Sergio Romano, rispondendo il 30 dicembre<br />

2006 a un lettore nella rubrica del<br />

Corriere della Sera dedicata alle lettere,<br />

non ha perso l’occasione per sferrare un<br />

duro attacco agli ordini professionali e in<br />

particolare all’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti.<br />

Nessuno pensa di censurare le opinioni<br />

dell’ex ambasciatore, ma sulle sue omissioni<br />

è lecito esprimere riserve e critiche:<br />

1) Il lettore di Firenze scrive: “Una delle<br />

maggiori anomalie è rappresentata a mio<br />

avviso dall’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti…<br />

Attualmente l’<strong>Ordine</strong> è minuziosamente<br />

regolato dalla legge 3 febbraio 1963 che<br />

si compone di ben 75 articoli e che impone<br />

vincoli ferrei al libero esercizio della<br />

professione. Varrà la pena di ricordare<br />

che l’<strong>Ordine</strong> è un frutto del fascismo. Fu<br />

istituito il 26 febbraio 1928, decreto n.<br />

384, in funzione <strong>dei</strong> fini repressivi che il<br />

regime si proponeva….”. Lo storico<br />

Romano ha glissato sugli errori ... storici<br />

di Vivarelli. Con il regio decreto 384/1928,<br />

il Governo Mussolini ha creato l’Albo (non<br />

l’<strong>Ordine</strong>) <strong>dei</strong> giornalisti, Albo gestito da un<br />

comitato di 5 giornalisti operante all’interno<br />

<strong>dei</strong> sindacati regionali fascisti <strong>dei</strong> giornalisti.<br />

L’articolo 7 della legge 2307/1925<br />

- che prefigurava la nascita di un <strong>Ordine</strong><br />

<strong>dei</strong> giornalisti - non è stato mai attuato dal<br />

regime, perché, con la nascita delle corporazioni<br />

(1926), la rappresentanza delle<br />

professioni è stata affidata ai sindacati fascisti.<br />

Romano avrebbe potuto precisare<br />

che l’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti è nato nel 1963<br />

su iniziativa di due eminenti personalità<br />

della democrazia repubblicana, Aldo<br />

Moro e Guido Gonella.<br />

L’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti “impone vincoli ferrei<br />

al libero esercizio della professione”<br />

Romano, come giornalista pubblicista, conosce,<br />

si presuppone, la legge professionale<br />

69/1963 e in particolare gli articoli 2<br />

e 48 dedicati alla deontologia. Questi i<br />

principi che si ricavano da quei due articoli:<br />

1) la libertà di informazione e di critica<br />

come diritto insopprimibile <strong>dei</strong> giornalisti;<br />

2) la tutela della persona umana e il<br />

rispetto della verità sostanziale <strong>dei</strong> fatti<br />

principi da intendere come limiti alle libertà<br />

di informazione e di critica; 3) l’esercizio<br />

delle libertà di informazione e di<br />

critica ancorato ai doveri imposti dalla<br />

buona fede e dalla lealtà; 4) il dovere di<br />

rettificare le notizie inesatte; 5) il dovere<br />

di riparare gli eventuali errori; 6) il rispetto<br />

del segreto professionale sulla fonte<br />

delle notizie, quando ciò sia richiesto dal<br />

carattere fiduciario di esse; 7) il dovere di<br />

promuovere la fiducia tra la stampa e i lettori;<br />

8) il mantenimento del decoro e della<br />

dignità professionali; 9) il rispetto della<br />

propria reputazione; 10) il rispetto della<br />

dignità dell’<strong>Ordine</strong> professionale; 11) il<br />

dovere di promozione dello spirito di collaborazione<br />

tra i colleghi; 12) il dovere di<br />

promozione della cooperazione tra giornalisti<br />

ed editori. Le "regole" fissate dal legislatore<br />

sono il perno dell’autonomia <strong>dei</strong><br />

giornalisti: l’editore non può impartire al<br />

direttore disposizioni in contrasto con la<br />

deontologia professionale. Senza legge<br />

professionale, direttori e redattori sarebbero<br />

degli impiegati di redazione tenuti<br />

soltanto all’obbligo di fedeltà verso l’azienda<br />

(articolo 2105 del Codice civile).<br />

2) Romano scrive: “Gli Ordini obbediscono<br />

inevitabilmente alla logica dell’autoconservazione<br />

e del potere… Per ottenere<br />

il consenso e l’appoggio <strong>dei</strong> soci la nomenklatura<br />

deve fornire servizi previdenziali,<br />

assistenziali, sanitari… L’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong><br />

giornalisti ha creduto di poter raggiungere<br />

questo risultato con due misure molto<br />

discutibili: la moltiplicazione <strong>dei</strong> corsi universitari<br />

che fungono da praticantato e<br />

l’estensione della qualifica di giornalisti<br />

agli addetti stampa”. Anche qui, Romano<br />

incorre in molteplici errori: l’<strong>Ordine</strong> non si<br />

occupa di servizi previdenziali, compito<br />

questo del sindacato (Fnsi). L’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong><br />

giornalisti, figlio della Costituzione, con<br />

20 master universitari ha aperto le porte<br />

a tutti, togliendo agli editori il potere<br />

esclusivo di fare i giornalisti, un potere<br />

che dura appunto dal 1928. Tutti hanno il<br />

diritto di andare sul mercato e di giocare<br />

la loro partita personale.<br />

3) L’ambasciatore Romano ama citare gli<br />

Stati Uniti e Jefferson, ma probabilmente<br />

dimentica di vivere in Italia, dove gli editori<br />

hanno interessi in altri campi (banche,<br />

auto, cemento, assicurazioni, costruzioni<br />

etc). Perché Romano non si batte<br />

per introdurre una norma antitrust del tipo<br />

“chi ha interessi privati in altri settori<br />

non può possedere giornali”<br />

Franco Abruzzo<br />

presidente dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti<br />

della Lombardia<br />

ORDINE 1- 2- 3 <strong>2007</strong><br />

7

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!