Gennaio - Febbraio - Marzo 2007 - Ordine dei Giornalisti
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PROFESSIONI:<br />
MASTELLA, NESSUNA<br />
VOLONTÀ DI ABOLIRE ORDINI<br />
ROMA, 1 dicembre 2006. ‘’Nessun terremoto per gli ordini e i collegi esistenti, nessuna volontà di abolirli, ma soltanto la necessità<br />
di procedere ad una loro riorganizzazione eventualmente attraverso un accorpamento in gruppi professionali omogenei’’.<br />
È quanto ha dichiarato il ministro della Giustizia Clemente Mastella conversando con i giornalisti a margine del forum ‘’Verso il<br />
piano strategico’’, organizzato dall’Amministrazione comunale di Benevento.<br />
“E chiaro, ha aggiunto il Guardasigilli, che se viene meno l’interesse pubblico che ha reso necessaria l’istituzione dell’ <strong>Ordine</strong>,<br />
l’attività professionale dovrà essere diversamente disciplinata al fine di garantire gli interessi degli utenti, la cui tutela è di primaria<br />
importanza’’.<br />
(ANSA)<br />
dal “Governo Prodi” volta le spalle alle regole<br />
e alle legge 4/1999 del “Governo D’Alema”<br />
<strong>Ordine</strong>:<br />
Corriere della Sera<br />
30 dicembre 2006<br />
Lettere al Corriere<br />
Risponde<br />
SERGIO ROMANO<br />
botta e<br />
risposta<br />
Romano/<br />
Abruzzo<br />
Corriere della Sera<br />
3 gennaio <strong>2007</strong><br />
rubrica<br />
INTERVENTI<br />
E REPLICHE<br />
ORDINI PROFESSIONALI:<br />
L’ANOMALIA DEI GIORNALISTI<br />
Qualche tempo fa lei intervenne sul Corriere<br />
per denunciare il carattere anacronistico degli<br />
ordini professionali, come sono attualmente<br />
ordinati, cioè a difesa del privilegio e ostacolo<br />
al merito. E poiché il problema è ancora<br />
aperto e attende una risposta in sede politica,<br />
credo che meriti qualche considerazione.<br />
Naturalmente la questione non è quella della<br />
esistenza di un ordine professionale di per sé.<br />
La questione sta nel fatto che da noi non si<br />
tratta, come in ogni Paese civile, di libere associazioni<br />
private, bensì di vere e proprie corporazioni<br />
imposte e regolate da una legge.<br />
Anche negli Stati Uniti, ad esempio, esistono<br />
in ogni Stato le Bar Associations, ma non si<br />
ha l’obbligo di appartenervi per esercitare legittimamente<br />
la professione legale una volta<br />
che ne siano accertati i titoli. Una delle maggiori<br />
anomalie è rappresentata a mio avviso<br />
dall’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti, una professione<br />
che in un Paese libero dovrebbe essere soggetta<br />
soltanto al giudizio del pubblico.<br />
Attualmente l’<strong>Ordine</strong> è minuziosamente regolato<br />
dalla legge 3 febbraio 1963 che si compone<br />
di ben 75 articoli e che impone vincoli<br />
ferrei al libero esercizio della professione.<br />
Varrà la pena di ricordare che l’<strong>Ordine</strong> è un<br />
frutto del fascismo.<br />
Fu istituito il 26 febbraio 1928, decreto n. 384,<br />
in funzione <strong>dei</strong> fini repressivi che il regime si<br />
proponeva. Ora i tempi sono cambiati e a parole<br />
non si perde occasione per esaltare la libertà,<br />
ma evidentemente la tentazione del<br />
privilegio continua a prevalere. Mi chiedo, e<br />
chiedo a lei, non sarebbe una bella prova di<br />
civiltà se dai ranghi stessi <strong>dei</strong> giornalisti si levassero<br />
voci perché la anomalia di questo ordine<br />
palesemente illiberale fosse cancellata<br />
Roberto Vivarelli / Firenze<br />
Caro Vivarelli, qualche giorno dopo l’articolo<br />
del Corriere a cui lei si riferisce,ricevetti la lettera<br />
di un giovane notaio con cui ebbi più tardi<br />
una conversazione. Mi disse che il suo<br />
<strong>Ordine</strong> garantiva la serietà e la preparazione<br />
professionale <strong>dei</strong> membri, che gli esami erano<br />
severi, che le tariffe erano molto ragionevoli,<br />
che la liberalizzazione avrebbe provocato<br />
un effetto «forbice»: servizi mediocri a<br />
prezzi stracciati e servizi di qualità a prezzi<br />
più alti di quelli praticati ora. Anche un difensore<br />
dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti potrebbe sostenere<br />
che l’istituzione garantisce con l’esame<br />
di ammissione e i corsi universitari la<br />
competenza professionale, punisce la violazione<br />
<strong>dei</strong> principi deontologici, mette la categoria<br />
in condizione di meglio resistere alle interferenze<br />
esterne. Questi argomenti non sono<br />
privi di una certa validità, ed è probabile<br />
che la soppressione degli Ordini, se mai qualche<br />
governo ne avrà il coraggio, creerebbe,<br />
soprattutto nella fase iniziale, un certo numero<br />
di inconvenienti. Ma continuo a pensare<br />
che gli Ordini rappresentino una istituzione<br />
anacronistica e che i vantaggi della loro soppressione<br />
siano maggiori degli inconvenienti.<br />
Ecco, con particolare riferimento all’<strong>Ordine</strong><br />
<strong>dei</strong> giornalisti, le mie ragioni.<br />
Non credo che i problemi di deontologia professionale<br />
debbano essere lasciati ai soci del<br />
club. Vi sono Paesi in cui il problema è stato<br />
risolto con la creazione di commissioni o collegi<br />
formati da rappresentanti della professione,<br />
rappresentanti <strong>dei</strong> consumatori, magistrati,<br />
avvocati, boniviri di diversa estrazione.<br />
L’idea che ogni persona debba essere giudicata<br />
dai suoi pari prefigura un possibile conflitto<br />
di interessi ed è feudale, cioè tipica di<br />
una società costituita da poteri autonomi, autogestiti<br />
e autoreferenziali. Gli Ordini obbediscono<br />
inevitabilmente alla logica dell’autoconservazione<br />
e del potere. Come ogni altro<br />
organismo associativo (penso ai sindacati)<br />
producono una nomenklatura dirigente con il<br />
suo inevitabile complemento di ambizioni personali,<br />
partiti, programmi elettorali. Per ottenere<br />
il consenso e l’appoggio <strong>dei</strong> soci la nomenklatura<br />
deve fornire servizi previdenziali,<br />
assistenziali, sanitari. Per finanziare questi<br />
servizi deve poter contare su un certo numero<br />
di soci, ma conservare al tempo stesso il<br />
principio della cooptazione. L’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti<br />
ha creduto di potere raggiungere questo<br />
risultato con due misure molto discutibili:<br />
la moltiplicazione <strong>dei</strong> corsi universitari che<br />
fungono da praticantato (il tirocinio che precede<br />
l’ingresso nella professione) e l’estensione<br />
della qualifica di giornalista agli addetti<br />
stampa. I corsi universitari, soprattutto in un<br />
Paese dove gli sbarramenti all’accesso sono<br />
piuttosto bassi, producono un numero di<br />
aspettative che non ha alcun rapporto con le<br />
esigenze del mercato e finiscono per creare,<br />
soprattutto nelle fasi di mutamento e transizione,<br />
molto precariato. Gli addetti stampa<br />
non sono e non possono essere giornalisti. Il<br />
portavoce di un’azienda è un avvocato difensore,<br />
tenuto dal suo impegno professionale, a<br />
esaltare i meriti dell’azienda, della istituzione<br />
o della persona per cui lavora, nascondendone<br />
per quanto possibile i difetti. Non so davvero<br />
come l’<strong>Ordine</strong> possa conciliare la sua<br />
funzione di garante della deontologia con il<br />
desiderio di allargare agli addetti stampa la<br />
cerchia <strong>dei</strong> soci. Aggiunga a tutto questo, caro<br />
Vivarelli, che il giornalismo vive di libertà<br />
ed è, come sosteneva Thomas Jefferson, l’indispensabile<br />
pilastro di un sistema politico liberale.<br />
Gli Ordini professionali tendono a<br />
creare lealtà e solidarietà che possono entrare<br />
in rotta di collisione con il principio della libertà.<br />
Sergio Romano<br />
LE RAGIONI DELL’ORDINE<br />
DEI GIORNALISTI<br />
Franco Abruzzo ringrazia l’ambasciatore<br />
Sergio Romano, che, con straordinaria<br />
sensibilità, ha chiesto al presidente<br />
dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti della<br />
Lombardia di far conoscere ai lettori<br />
del Corriere della Sera il suo punto di<br />
vista sull’argomento trattato dallo<br />
stesso Sergio Romano nell’edizione<br />
del 30 dicembre 2006 (“Ordini professionali:<br />
l’anomalia <strong>dei</strong> giornalisti”).<br />
Sergio Romano, rispondendo il 30 dicembre<br />
2006 a un lettore nella rubrica del<br />
Corriere della Sera dedicata alle lettere,<br />
non ha perso l’occasione per sferrare un<br />
duro attacco agli ordini professionali e in<br />
particolare all’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti.<br />
Nessuno pensa di censurare le opinioni<br />
dell’ex ambasciatore, ma sulle sue omissioni<br />
è lecito esprimere riserve e critiche:<br />
1) Il lettore di Firenze scrive: “Una delle<br />
maggiori anomalie è rappresentata a mio<br />
avviso dall’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti…<br />
Attualmente l’<strong>Ordine</strong> è minuziosamente<br />
regolato dalla legge 3 febbraio 1963 che<br />
si compone di ben 75 articoli e che impone<br />
vincoli ferrei al libero esercizio della<br />
professione. Varrà la pena di ricordare<br />
che l’<strong>Ordine</strong> è un frutto del fascismo. Fu<br />
istituito il 26 febbraio 1928, decreto n.<br />
384, in funzione <strong>dei</strong> fini repressivi che il<br />
regime si proponeva….”. Lo storico<br />
Romano ha glissato sugli errori ... storici<br />
di Vivarelli. Con il regio decreto 384/1928,<br />
il Governo Mussolini ha creato l’Albo (non<br />
l’<strong>Ordine</strong>) <strong>dei</strong> giornalisti, Albo gestito da un<br />
comitato di 5 giornalisti operante all’interno<br />
<strong>dei</strong> sindacati regionali fascisti <strong>dei</strong> giornalisti.<br />
L’articolo 7 della legge 2307/1925<br />
- che prefigurava la nascita di un <strong>Ordine</strong><br />
<strong>dei</strong> giornalisti - non è stato mai attuato dal<br />
regime, perché, con la nascita delle corporazioni<br />
(1926), la rappresentanza delle<br />
professioni è stata affidata ai sindacati fascisti.<br />
Romano avrebbe potuto precisare<br />
che l’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti è nato nel 1963<br />
su iniziativa di due eminenti personalità<br />
della democrazia repubblicana, Aldo<br />
Moro e Guido Gonella.<br />
L’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti “impone vincoli ferrei<br />
al libero esercizio della professione”<br />
Romano, come giornalista pubblicista, conosce,<br />
si presuppone, la legge professionale<br />
69/1963 e in particolare gli articoli 2<br />
e 48 dedicati alla deontologia. Questi i<br />
principi che si ricavano da quei due articoli:<br />
1) la libertà di informazione e di critica<br />
come diritto insopprimibile <strong>dei</strong> giornalisti;<br />
2) la tutela della persona umana e il<br />
rispetto della verità sostanziale <strong>dei</strong> fatti<br />
principi da intendere come limiti alle libertà<br />
di informazione e di critica; 3) l’esercizio<br />
delle libertà di informazione e di<br />
critica ancorato ai doveri imposti dalla<br />
buona fede e dalla lealtà; 4) il dovere di<br />
rettificare le notizie inesatte; 5) il dovere<br />
di riparare gli eventuali errori; 6) il rispetto<br />
del segreto professionale sulla fonte<br />
delle notizie, quando ciò sia richiesto dal<br />
carattere fiduciario di esse; 7) il dovere di<br />
promuovere la fiducia tra la stampa e i lettori;<br />
8) il mantenimento del decoro e della<br />
dignità professionali; 9) il rispetto della<br />
propria reputazione; 10) il rispetto della<br />
dignità dell’<strong>Ordine</strong> professionale; 11) il<br />
dovere di promozione dello spirito di collaborazione<br />
tra i colleghi; 12) il dovere di<br />
promozione della cooperazione tra giornalisti<br />
ed editori. Le "regole" fissate dal legislatore<br />
sono il perno dell’autonomia <strong>dei</strong><br />
giornalisti: l’editore non può impartire al<br />
direttore disposizioni in contrasto con la<br />
deontologia professionale. Senza legge<br />
professionale, direttori e redattori sarebbero<br />
degli impiegati di redazione tenuti<br />
soltanto all’obbligo di fedeltà verso l’azienda<br />
(articolo 2105 del Codice civile).<br />
2) Romano scrive: “Gli Ordini obbediscono<br />
inevitabilmente alla logica dell’autoconservazione<br />
e del potere… Per ottenere<br />
il consenso e l’appoggio <strong>dei</strong> soci la nomenklatura<br />
deve fornire servizi previdenziali,<br />
assistenziali, sanitari… L’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong><br />
giornalisti ha creduto di poter raggiungere<br />
questo risultato con due misure molto<br />
discutibili: la moltiplicazione <strong>dei</strong> corsi universitari<br />
che fungono da praticantato e<br />
l’estensione della qualifica di giornalisti<br />
agli addetti stampa”. Anche qui, Romano<br />
incorre in molteplici errori: l’<strong>Ordine</strong> non si<br />
occupa di servizi previdenziali, compito<br />
questo del sindacato (Fnsi). L’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong><br />
giornalisti, figlio della Costituzione, con<br />
20 master universitari ha aperto le porte<br />
a tutti, togliendo agli editori il potere<br />
esclusivo di fare i giornalisti, un potere<br />
che dura appunto dal 1928. Tutti hanno il<br />
diritto di andare sul mercato e di giocare<br />
la loro partita personale.<br />
3) L’ambasciatore Romano ama citare gli<br />
Stati Uniti e Jefferson, ma probabilmente<br />
dimentica di vivere in Italia, dove gli editori<br />
hanno interessi in altri campi (banche,<br />
auto, cemento, assicurazioni, costruzioni<br />
etc). Perché Romano non si batte<br />
per introdurre una norma antitrust del tipo<br />
“chi ha interessi privati in altri settori<br />
non può possedere giornali”<br />
Franco Abruzzo<br />
presidente dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti<br />
della Lombardia<br />
ORDINE 1- 2- 3 <strong>2007</strong><br />
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