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Gennaio - Febbraio - Marzo 2007 - Ordine dei Giornalisti

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Trentadue medaglie d’oro il 29 marzo <strong>2007</strong> al Circolo della Stampa<br />

AGLIE<br />

R<br />

Vieri Poggiali<br />

Giornalista a 360 gradi<br />

tra Toscana e Mitteleuropa<br />

Quando il curriculum dell’interlocutore riempie tre pagine fitte<br />

fitte, vuol dire che la chiacchierata si prospetta intensa e interessante.<br />

Vieri Poggiali, classe 1934, vive in una casa elegante<br />

nel centro di Milano, e non appena si varca la soglia della<br />

sua abitazione gli occhi cadono sui busti di due personaggi a<br />

lui particolarmente cari: Giuseppe Verdi e Franz Joseph<br />

(Francesco Giuseppe), l’ultimo kaiser dell’impero austro-ungarico.<br />

Sono il ricordo di una grande passione, la musica lirica, e<br />

delle origini della madre. Poggiali è nato a Milano, figlio di un<br />

toscano – da qui il nome tipicamente fiorentino – e di una triestina,<br />

quando ancora Trieste era sotto l’impero austro-ungarico<br />

ed emergeva in Europa come crogiuolo di etnie e di lingue. “In<br />

casa – ricorda – si parlava tedesco. Infatti ho frequentato la<br />

scuola tedesca, dove le suore non venivano a dividere due che<br />

si azzuffavano, ma si preoccupavano solo che i contendenti<br />

non si colpissero nelle parti basse, perché quello era un segno<br />

di vigliaccheria”.<br />

Vieri si laurea all’Università Cattolica di Milano in Scienze<br />

Politiche. Il padre, giornalista, gli sconsiglia di intraprendere la<br />

sua stessa carriera e preferirebbe per il figlio un incarico da di-<br />

O<br />

di Alessandro Ruta<br />

plomatico. Ma Vieri non cede: a 22 anni diventa redattore del<br />

quotidiano economico “Il Sole”, e a 27 anni ne è già vice-direttore.<br />

In seguito, però, sceglie di diventare free-lance: “Le proposte<br />

alternative non mancavano. Mi avevano chiamato per fare<br />

il caposervizio agli interni del Corriere della Sera, ma erano<br />

tempi in cui si finiva troppo tardi e avevo problemi in famiglia.<br />

Poi mi volevano corrispondente fisso da Vienna, ma rifiutai anche<br />

quell’incarico: la capitale austriaca mi sembrava troppo<br />

lontana. Fosse stato oggi, chissà”.<br />

Inizia così a collaborare con vari giornali, dal “Sole 24 Ore” a<br />

“Gente”, da “La nazione” alla “Domenica del Corriere”. In più,<br />

dal 1966, comincia una quasi trentennale collaborazione fissa<br />

con la Rai: “Il servizio pubblico è un gran carrozzone, ma è un<br />

ambiente simpatico. Ho lavorato per i telegiornali, le rubriche<br />

economiche e i giornali-radio. Nel 1978 dovevo diventare caporedattore<br />

del Tg1 ma le beghe politiche, già allora d’attualità,<br />

mi tennero nel limbo per un anno e mezzo. Quando la situazione<br />

si sbloccò era troppo tardi: avevo già rinunciato all’incarico.<br />

In Rai comunque non entro più dal 1995”.<br />

Da libero professionista, Poggiali comincia ad accostarsi agli<br />

uffici stampa. Dal 1972 al 1976 e dal 1978 al 1982, Vieri è direttore<br />

responsabile delle Relazioni esterne del gruppo<br />

Montedison. “Sono convinto – ammette – di essere stato corretto<br />

in entrambi gli ambiti. C’era chi mi criticava aspramente,<br />

ad esempio L’Espresso, accusandomi di conflitto d’interesse, in<br />

quanto facevo commenti di borsa e la Montedison era quotata.<br />

Ma ho sempre avuto sufficiente onestà intellettuale per non<br />

farmi influenzare negativamente dalle mie due occupazioni. Se<br />

uno ha la coscienza a posto può conciliare il lavoro giornalistico<br />

e di ufficio stampa. Certo, quando Montedison ha comprato<br />

Il Messaggero e ha dato soldi a Rizzoli per il Corriere della<br />

Sera, allora lì ho fatto un passo indietro e me ne sono andato<br />

dal Gruppo. D’altronde, era un periodo in cui ero anche sindacalista”.<br />

Poggiali, infatti, è attivo quasi da sempre nel sindacato.<br />

Dal 1961 al 1991 è stato delegato per la Lombardia a tutti i<br />

congressi nazionali della Fnsi. Dal 1964 al 1997 è stato componente<br />

del consiglio direttivo dell’Alg, del Consiglio dell’ordine<br />

<strong>dei</strong> giornalisti di Milano, del Consiglio nazionale dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong><br />

giornalisti e del Consiglio nazionale della Fnsi. È stato inoltre<br />

presidente dell’Inpgi.<br />

Giornalista, soprattutto, ma anche scrittore di libri di successo<br />

come Antonio Ghiringhelli, una vita per la Scala, dedicato allo<br />

storico sovrintendente del teatro milanese, e Montedisoneide:<br />

quest’ultimo poema eroicomico in endecasillabi rimati in 33<br />

canti, composto sotto pseudonimo. A questi vanno aggiunti i<br />

saggi didattici, soprattutto sul linguaggio del giornalismo economico,<br />

che definisce “spesso troppo criptico e incomprensibile,<br />

mentre invece dovrebbe essere un misto di informazione e<br />

formazione”. Poggiali, infatti, ha insegnato dal 1993 al 2005<br />

Dottrina e tecnica dell’informazione economica alla Cattolica di<br />

Milano. Ora le sue occupazioni predilette sono le collaborazioni<br />

su un sito economico-finanziario e la musica lirica: “Sono abbonato<br />

alla Scala, alla Fenice di Venezia e all’Opera di Roma.<br />

Ho fatto abbonare persino la mia nipotina di 13 anni, così già<br />

abitua l’orecchio alle meravigliose note di Verdi e di Richard<br />

Strauss”.<br />

Gian Carlo Ferretti<br />

A lezione da Pasolini<br />

per capire dove va il domani<br />

di Massimo Lanari<br />

Pontedera, quartiere operaio, inizio anni Cinquanta. “Scendi<br />

Gian Carlo, cercano un redattore al Calendario del Popolo!”.<br />

Sorride Gian Carlo Ferretti nel ricordare l’episodio che gli cambiò<br />

la vita. Un sorriso nostalgico perché rivede il personaggio<br />

che pronunciò quella frase. “Si chiamava Firenze Rovini”, racconta,<br />

“era un sarto, aveva uno di quei nomi un po’ strani tipici<br />

della Toscana. Uno di quei personaggi non rari all’epoca, gli autodidatti:<br />

reduci dalla guerra partigiana, ex deportati, studenti<br />

che avevano dovuto abbandonare la scuola, operai desiderosi<br />

di apprendere. Tutta gente che amava la storia, la scienza, la<br />

letteratura, ma che per ragioni di reddito o di lavoro non pote-<br />

va pagarsi gli studi. E che nel tempo libero leggeva libri e giornali<br />

creandosi così una cultura vivace e originale ”.<br />

Ferretti si era appena laureato all’Università di Pisa. Si era accostato<br />

al giornalismo scrivendo sul “Tirreno” e su altri quotidiani<br />

locali. “Fin da piccolo sognavo di fare il giornalista in una<br />

grande città. La mia passione erano le pagine culturali, ma seguivo<br />

anche la vita politica di quel periodo. Mi sentivo vicino alle<br />

posizioni del Pci e avevo molti amici tra gli operai comunisti,<br />

anche se non ero ancora un militante”.<br />

Per uno come Ferretti “Il Calendario del Popolo” era perfetto:<br />

un mensile di cultura popolare, “fiancheggiatore” del Pci e con<br />

sede a Milano. Nelle pagine del periodico, Ferretti risponde alle<br />

domande di quegli autodidatti che aveva conosciuto bene a<br />

Pontedera: “Chi era Alessandro Manzoni Oppure, quali sono<br />

le principali religioni nel mondo”<br />

Nel 1955 il passaggio all’“Unità”, prima agli Interni e poi in terza<br />

pagina. Qui Ferretti si occupa di critica letteraria e intervista<br />

molti autori italiani del tempo, da Pasolini a Sereni, fino a<br />

Calvino”.<br />

Ferretti rimane colpito, in particolare, da Pier Paolo Pasolini:<br />

“Un intellettuale ‘disorganico’ e controcorrente rispetto a tutto,<br />

ai partiti, alle tradizioni letterarie, al potere. Un pessimista che<br />

criticava la società senza pretendere però di cambiarla secondo<br />

modelli utopistici. Era unilaterale, come tutti i grandi che<br />

sanno vedere il futuro: questa era la grande forza di Pasolini, e<br />

io mi definisco un pasolinista”.<br />

Nel 1968 lavora a “Tempo medico”. Nel 1976 approda nel mondo<br />

dell’editoria: dal 1982 al 1984 diventa direttore editoriale degli<br />

Editori Riuniti. Nel frattempo, infatti, Ferretti si dedica allo studio<br />

del mercato editoriale librario fino a quando, nel 1987, ottiene<br />

la cattedra di Letteratura italiana contemporanea<br />

all’Università La Sapienza di Roma.<br />

Durante la sua carriera, Ferretti ha vissuto il giornalismo e la<br />

letteratura con la stessa intensità, ma con ottiche diverse. “Dal<br />

mio maestro Luigi Russo ho imparato che ogni autore è<br />

espressione di un determinato periodo storico. Ma mentre il<br />

grande scrittore sa fare qualcosa di più, sa incidere sulla società,<br />

il giornalista deve solo riportare la notizia e commentarla<br />

con onestà. Il lettore, ieri come oggi, è un soggetto maturo”.<br />

Giuseppe Rossetti<br />

Legato da un filo magico<br />

al mondo della sua Pavia<br />

di Valentina Colosimo<br />

Prima, gli anni di lavoro sette giorni su sette, senza altro pensiero<br />

che il giornale. Infine, l’addio continuamente rimandato<br />

alla sua prima passione, nata ai tempi dell’università e coltivata<br />

con determinazione in un piccolo quotidiano di provincia,<br />

“Il Giornale di Pavia”.<br />

Per Giuseppe Rossetti il legame con il giornalismo non si è<br />

mai allentato, e anche quando è diventato dirigente dell’Aler<br />

(Azienda lombarda per l’Edilizia residenziale) a Pavia, ha trovato<br />

il modo di occuparsi di carta stampata, gestendo la società<br />

editrice di Federcasa. A 73 anni, Rossetti ci riflette su:<br />

“Rimangono sempre <strong>dei</strong> fili rossi”.<br />

A percorrerlo a ritroso, il filo rosso conduce all’Università di<br />

Firenze. È il 1954. Il giovane studente di Scienze politiche<br />

Giuseppe Rossetti dirige il giornale universitario “Nuova generazione”.<br />

Sono solo le prove generali del futuro incarico. Ha<br />

già le idee chiare e una professione che lo attira. Comincia infatti<br />

a frequentare la redazione della “Gazzetta di Mantova”.<br />

L’occasione per diventare praticante nasce per un caso: “Uno<br />

<strong>dei</strong> redattori della Gazzetta di Mantova era andato a fare il militare<br />

e quindi si liberò un posto”. Quel posto Rossetti lo occupa<br />

da praticante lavorando in cronaca “senza un giorno di vacanza,<br />

neppure a Natale”. Nonostante tutto, quell’anno<br />

Rossetti riesce ancora a studiare: “Dormivo sul treno di notte<br />

per andare a Firenze e il pomeriggio seguente ero di nuovo a<br />

Mantova al giornale”.<br />

Quando nel 1956 diventa professionista, viene assunto dal<br />

“Giornale di Pavia”. Dodici mesi da redattore ordinario, poi l’incarico<br />

più prestigioso. Un primato: a 27 anni è il più giovane<br />

direttore di quotidiano d’Italia. “Non ho mai avuto grossi problemi,<br />

anche con i giornalisti più vecchi di me: l’ambiente era<br />

piccolo e ci si conosceva bene”, racconta Rossetti.<br />

Lavora tantissimo, dalle dieci del mattino alle tre di notte, ma<br />

considera l’impegno “una fatica piacevole”, sommando sforzi<br />

e passione per il mestiere.<br />

Di quell’esperienza, Rossetti ricorda soprattutto la vitalità del<br />

microcosmo provinciale, dove i contatti sono più diretti e i personaggi<br />

più coloriti; dove non manca neppure l’assessore che<br />

si offende e denuncia il giovane direttore per diffamazione per<br />

un’interiezione mal interpretata: un “per Bacco” scritto così,<br />

con la B maiuscola, a indicare il dio del vino e, secondo l’assessore<br />

vilipeso, una sottile insinuazione al suo vizio di bere.<br />

Nel 1971 la società editrice Athena viene dichiarata fallita dal<br />

Tribunale di Milano e “Il Giornale di Pavia” cessa le pubblicazioni.<br />

Giuseppe Rossetti si trasferisce a Milano, dove comincia a dirigere<br />

l’ufficio stampa della Federazione regionale delle industrie<br />

lombarde, e registra la testata “Lombardia Notizie”. Poi,<br />

gli incarichi dirigenziali: direttore dell’Unione industrie della<br />

provincia di Pavia, infine presidente dell’Aler della sua città.<br />

Ma il filo rosso continua a tenerlo legato al giornalismo, tanto<br />

che da alto dirigente riesce ancora a occuparsi di carta stampata,<br />

gestendo le riviste di settore di Federcasa.<br />

Carla Stampa<br />

Da “Epoca” a Montecitorio<br />

una vita tra inchieste e politica<br />

“Politica, in una sintesi elementare, è l’agire comune per il bene<br />

comune, non l’agire in proprio per il bene di pochi”. Così<br />

Carla Stampa, all’anagrafe Stampacchia, definiva la gestione<br />

della cosa pubblica in un articolo del febbraio 2002. Parole forti<br />

nella loro semplicità, espresse da chi per una vita intera ha<br />

avuto a che fare, da giornalista e da personaggio istituzionale,<br />

con le problematiche legate alla deontologia professionale e alla<br />

politica.<br />

ORDINE 1- 2- 3 <strong>2007</strong><br />

di Matthias Pfaender<br />

Carla Stampa nasce a Roma nel 1930 e si trasferisce a Milano<br />

nel 1965. Qui, come ha raccontato nello stesso articolo, ha avvio<br />

la sua carriera, svolta ininterrottamente nell’ambito del maggiore<br />

gruppo editoriale italiano: “Ho trascorso una trentina d’anni<br />

in Mondadori, anni conclusi con una singolare coincidenza:<br />

quando Berlusconi si appropriava della prima casa editrice nazionale,<br />

dopo una feroce battaglia proprietaria con Carlo De<br />

Benedetti (Lodo Mondadori), io me ne uscivo per andare in<br />

parlamento come deputata del Pds nel proporzionale della<br />

Lombardia. Era il 1994”.<br />

Per la Mondadori lavora come inviata per il settimanale<br />

“Epoca”, realizzando inchieste sociali e di costume. Scrive anche<br />

un libro sul caso di Sacco e Vanzetti (Mondatori, 1974).<br />

Durante gli anni da inviata muove i primi passi nel mondo della<br />

politica, e ricopre prima il ruolo di rappresentante del<br />

Comitato di redazione a “Epoca”, poi di consigliere nazionale<br />

dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> <strong>Giornalisti</strong>.<br />

Una volta passata alla politica, mette la sua esperienza di giornalista<br />

a disposizione della VII Commissione della Camera<br />

(Cultura, Scienza, Informazione) e della Commissione speciale<br />

Napolitano per il riordino del sistema radiotelevisivo e per<br />

l’Editoria.<br />

Pur trasferitasi a Roma per frequentare le sedute della<br />

Camera, la Stampa mantiene stretti contatti con il suo collegio<br />

elettorale e con il territorio lombardo, seguendo in particolare,<br />

direttamente con interpellanze, i problemi della piccola editoria<br />

e del volontariato, la questione della chiusura della discarica di<br />

Cerro Maggiore, la ristrutturazione del settore periodici della<br />

Rizzoli, la vicenda delle scuole civiche e <strong>dei</strong> Centri Donna di<br />

Milano.<br />

Anche se in questa circostanza ha preferito non rilasciare interviste,<br />

l'<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti della Lombardia trova doveroso<br />

rendere omaggio alla sua carriera.<br />

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