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Gennaio - Febbraio - Marzo 2007 - Ordine dei Giornalisti

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Trentadue medaglie d’oro il 29 marzo <strong>2007</strong> al Circolo della Stampa<br />

Giovanni Bianco<br />

Una scrittura in punta di sci<br />

dal Giappone ai Pirenei<br />

di Alessandro Braga<br />

Di Giovanni “Gianni” Bianco, classe 1932, non si può certo dire<br />

che non sia stato un giornalista “d’alta quota”. Dalle montagne<br />

trentine alle olimpiadi invernali di Sapporo, la carriera di<br />

Bianco è stata segnata dalle piste innevate. Ha cominciato la<br />

sua attività alla sede Rai di Bolzano, quando era ancora studente<br />

universitario, per poi passare all’“Alto Adige”, dove nel<br />

1955 ha iniziato il praticantato. Nel 1957, l’iscrizione all’albo <strong>dei</strong><br />

giornalisti professionisti. Dieci anni dopo l’allora presidente del<br />

consiglio <strong>dei</strong> ministri Aldo Moro, al suo terzo incarico, chiese<br />

all’Eni, proprietario del Giorno, un “aiuto” per risolvere la questione<br />

dell’Alto Adige. Il quotidiano fondato da Enrico Mattei decise<br />

di aprire un dorso bolzanino e lo affidò a Giovanni Bianco.<br />

“È stata un’esperienza molto bella – ricorda Bianco – la questione<br />

altoatesina era tutt’altro che risolta, gli attentati nella regione<br />

erano all’ordine del giorno. Credo che io e i miei colleghi<br />

del Giorno siamo riusciti a dare un seppur piccolo contributo,<br />

almeno dal punto di vista mediatico, alla risoluzione della questione”.<br />

Cinque anni di grandi esperienze nelle cronache trentine<br />

poi, nel 1972, quando la questione altoatesina era ormai<br />

stata risolta da Moro, la decisione da parte dell’Eni, proprietario<br />

del “Giorno”, di chiudere il dorso bolzanino.<br />

Iniziò allora l’avventura milanese, sempre al “Giorno”: nel corso<br />

degli anni, responsabile della pagina culturale, capocronista<br />

(in quel periodo lavorava per la cronaca giudiziaria l’attuale presidente<br />

dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti lombardi, Franco Abruzzo),<br />

infine inviato per la pagina politica. Un anno dopo il trasferimento<br />

a Milano, la svolta. Un caso fortuito lo proietta nel mondo<br />

dello sport invernale, una sua vecchia passione: “Eravamo<br />

alla vigilia delle Olimpiadi invernali di Sapporo e Gianni Clerici,<br />

che doveva seguire l’evento per il giornale, si ammalò. Italo<br />

Pietra, l’allora direttore, sapendo del mio interesse per lo sci,<br />

mi chiamò e mi disse: “Gianni, devi andare in Giappone, a<br />

Sapporo, per le olimpiadi invernali”. Combattuto tra la mia voglia<br />

e l’inquietudine per la nuova avventura, chiesi e ottenni 24<br />

ore di tempo prima di comunicare la mia risposta.<br />

Quella sera ne ho parlato a mia moglie che mi ha spronato ad<br />

affrontare la nuova prova: “Dai Gianni, che bello, non sei mai<br />

stato in Giappone!”. Il giorno stesso disse a Pietra che accettava.<br />

Preparò le valigie e volò in Giappone. Da qui ha inizio<br />

quella che lui stesso definisce la sua “doppia vita professionale”.<br />

Nei tre mesi invernali si occupava di sci, per i restanti nove<br />

mesi di politica, cronaca e cultura: “Una vita quasi schizofrenica,<br />

ma accomunata dallo stesso entusiasmo con cui seguivo<br />

le gare sportive come la cronaca giudiziaria cittadina”.<br />

Nel 1980 Gianni Brera passò al “Giornale” di Montanelli, e<br />

Bianco si dedicò totalmente alle vicende sportive, fino alla pensione,<br />

nel 1987. Ma non ha mollato del tutto. Ha continuato per<br />

altri dieci anni a seguire per il “Giorno” gli avvenimenti degli<br />

sport invernali, fino ai campionati mondiali di sci del 1996. In<br />

venticinque anni, ha collezionato sette Olimpiadi e quindici<br />

campionati mondiali invernali.<br />

La sua passione per lo sport continua anche dopo l’abbandono<br />

definitivo al “Giorno”. Nel 1996 diventa direttore responsabile<br />

della riviste “Sci” e “Sci fondo”, di cui è tuttora presidente<br />

onorario, e diventa presidente dell’associazione “<strong>Giornalisti</strong> italiani<br />

sciatori”. Oggi, settantacinquenne, non ha abbandonato<br />

l’interesse per lo sport: “Sono presidente <strong>dei</strong> <strong>Giornalisti</strong> Italiani<br />

Golfisti, una realtà che conta 120 iscritti in tutta Italia e che organizza<br />

molti eventi e iniziative”, dice con orgoglio. Appesi sci,<br />

racchette e scarponi al chiodo, non lascia insomma il mondo<br />

dello sport, e si dedica con tutta la sua passione a mazze, buche<br />

e campi verdi.<br />

Giancarlo Rizza<br />

“Quando sul boss Turatello<br />

ho battuto sul tempo la polizia”<br />

di Valentina Colosimo<br />

Nella cartelletta sul tavolo del salottino sono raccolti i documenti<br />

che segnano i passaggi della sua carriera. Vecchie lettere scritte<br />

a macchina indirizzate all’<strong>Ordine</strong> e a Carlo De Martino, ritagli<br />

di giornali, fogli che certificano l'idoneità alla professione.<br />

Giancarlo Rizza, classe 1929, li sfoglia insieme alla moglie, e<br />

con una punta di emozione emergono ricordi, piccoli episodi dai<br />

suoi quarant’anni di carriera. “Il Giorno mi cambiò la vita”, dice<br />

senza esitazioni. Fin dal principio, il quotidiano fondato da Enrico<br />

Mattei segna il percorso di Rizza. “Riuscii a entrare al Corriere<br />

Lombardo come praticante perché Il Giorno di Gaetano<br />

Luigi Speroni<br />

Una vita da duemila interviste<br />

e l’amicizia con Gaber e Mina<br />

di Francesco Abiuso<br />

“Giovanotto, la proposta mi interessa. Cosa cerchi, soldi”,<br />

chiese Nino Nutrizio a uno <strong>dei</strong> tanti ventenni in attesa davanti<br />

alla sua scrivania. “No, voglio solo lavorare”, ribattè il giovane.<br />

La risposta piacque così tanto al leggendario direttore della<br />

“Notte” che volle subito mettere alla prova chi l’aveva pronunciata.<br />

Inizia così l’avventura giornalistica di Luigi Speroni.<br />

Mezzo secolo di un’attività che lo porterà a diventare firma di<br />

una tra le maggiori testate nazionali. “Da quel giorno cambiò<br />

tutto. Avevo 23 anni e iniziai a puntare la sveglia per alzarmi<br />

alle sette”.<br />

Il primo compito, affidatogli dal direttore della “Notte” in persona,<br />

fu quello di recarsi ogni mattina alle otto e un quarto alla<br />

stazione Centrale, a un passo dalla redazione. “Dovevo aspettare<br />

che dai vagoni letto scendessero i vip. Politici, divi dello<br />

sport e dello spettacolo. Intervistarli nei pochi metri che portano<br />

dalla banchina fino all’area <strong>dei</strong> taxi. Due domande, sufficienti<br />

per andare di corsa in redazione e, entro le nove e mezza<br />

– ora in cui il giornale chiudeva per andare in stampa –,<br />

scrivere l’intervista per la prima pagina”. Idea semplice e vincente:<br />

una delle tante del grande Nutrizio.<br />

Funzionò, ma non subito: “I primi giorni – racconta Speroni –<br />

non trovavo nessuno, perché non riconoscevo i volti, soprattutto<br />

<strong>dei</strong> politici. In quelle mattinate, però, scoprii che Nutrizio<br />

mi seguiva a distanza e mi spiava. Voleva vedere come sapevo<br />

muovermi sul campo”.<br />

Il primo grande vip “intercettato” da Speroni fu l’attore Memo<br />

Benassi: “Scese dal treno e aveva in braccio un gatto. Lo avvicinai,<br />

gli chiesi qualcosa al riguardo e scoprii una storia curiosa,<br />

da prima pagina. Benassi, in quei giorni di scena al teatro<br />

Nuovo, era così affezionato alla bestiola che, da quando<br />

questa si era ammalata, ogni giorno la portava avanti e indietro<br />

fino a Firenze per farla visitare da un veterinario. Qualche<br />

giorno dopo, incontrai Giuseppe Pella, allora presidente del<br />

Consiglio. Un po’ alla volta presi fiducia”.<br />

Dalla “Notte”, a metà degli anni Sessanta, Speroni passa in<br />

via Solferino. Prima come inviato alla “Domenica del Corriere”<br />

(diretta da Guglielmo Zucconi), poi al “Corriere della Sera”.<br />

Scrive nella pagina degli spettacoli, in cui prende il posto di<br />

Vincenzo Buonassisi. Per anni seguirà il festival di Sanremo,<br />

girerà l’Italia come inviato speciale: “Il bello di questo mestiere<br />

è che ti dà la possibilità di incontrare gente e situazioni diverse.<br />

In tutta la mia carriera avrò intervistato più di duemila<br />

persone. Alcuni sono diventati anche miei amici, come Sergio<br />

Endrigo, Giorgio Gaber, Mina, Piero Chiara”.<br />

Che emozione, il “Corrierone”: “Quegli anni mi hanno permesso<br />

di conoscere, soltanto per citarne alcuni, Dino Buzzati,<br />

Baldacci aveva rastrellato giornalisti ovunque e servivano nuove<br />

leve”. Durante il praticantato riesce a scrivere servizi importanti:<br />

le reazioni a livello cittadino del lancio dello Sputnik, la<br />

morte di Don Gnocchi. “Per un praticante era tanto”, ricorda<br />

Rizza. “Il mio maestro fu Leonida Villani, il capo della cronaca<br />

bianca”. Divenuto professionista, passa a “Il Popolo di Milano”.<br />

Ci resta per poco: è il 1960, Baldacci lascia la direzione del<br />

“Giorno” e fonda il settimanale “Abc”, portando con sé Leoni e<br />

Balzan, due colonne portanti del quotidiano milanese. Il nuovo<br />

direttore del “Giorno”, Italo Pietra, cerca cronisti. Giancarlo Rizza<br />

viene assunto e comincia a occuparsi di cronaca nera. È entusiasta:<br />

“Fu un periodo esaltante”, racconta. Un pensiero va agli<br />

ex colleghi: “C’erano grandi nomi che frequentavano la cronaca:<br />

Bernardo Valli, Natalia Aspesi, Adele Cambria”. Poi, ecco gli<br />

anni di piombo, le telefonate minatorie e gli interrogatori della<br />

polizia. “Arrivavano minacce anche dai carcerati. Chiamavano a<br />

casa e mi chiedevano perché scrivevo di terrorismo. Io non ci<br />

tenevo a fare il martire, ho sempre tentato di tenerli buoni”, confessa<br />

Rizza. Una mattina lo convoca anche la Procura della<br />

Repubblica: “Volevano sapere come avevo avuto la notizia di alcuni<br />

arresti, nomi importanti indagati per corruzione”. Mentre il<br />

procuratore Mauro Gresti lo interroga, “fuori dalla stanza un ufficiale<br />

<strong>dei</strong> carabinieri faceva tintinnare le manette”, racconta oggi<br />

con un sorriso. Un altro caso clamoroso è la rapina al Brera<br />

Club. Rizza, giocatore professionista di bridge, viene a sapere<br />

che il boss della mala Francis Turatello, detto “Faccia d’angelo”,<br />

ha fatto irruzione nel seminterrato dove si gioca d’azzardo, rapinando<br />

tutti i presenti.“Turatello gestiva le bische di tutta Milano<br />

ed era infastidito dall’apertura del circolo. Nessuno sporse denuncia<br />

perché Faccia d’angelo si era preso anche le carte d’identità<br />

<strong>dei</strong> giocatori come arma di ricatto”. La rapina avviene di<br />

sabato sera. La polizia lo apprende dal giornale il lunedì mattina:<br />

“Dal commissariato mi chiamarono increduli”. In via<br />

Fatebenefratelli lo conoscono bene, Rizza frequenta quotidianamente<br />

la sala stampa della polizia, è un “topo da questura”.<br />

Finché la nomina a caposervizio lo riporta in redazione, ancora<br />

al “Giorno”, il giornale che lo ha sempre accompagnato, dove<br />

termina la sua carriera nel 1993.<br />

D'<br />

MEDAGL<br />

Achille Campanile, Giancarlo Fusco. Ce li avevi lì di fianco,<br />

ogni giorno, e ti sembrava normale. Soltanto dopo mi sono reso<br />

conto della fortuna avuta”.<br />

Il primo pezzo firmato che appare sul primo quotidiano d’Italia<br />

non si scorda mai: “Adesso è diverso, firmano tutti e con molta<br />

più facilità. Prima bisognava aspettare un bel po’. Quando<br />

venne il mio momento, ero fuori per servizio. Mi chiamarono<br />

per dirmi che il giorno dopo avrei avuto una bella sorpresa.<br />

Offrii champagne a tutti. Ricordo che nello stesso periodo ottenne<br />

la sua prima firma anche Ettore Mo. Al Corriere erano<br />

preoccupati perché, con un cognome come il suo, anche la sigla<br />

era come una firma”.<br />

Altro ricordo molto vivo l’arrivo alla direzione di via Solferino di<br />

Piero Ottone: “Mi trovavo in Versilia, in un hotel vicino alla<br />

Bussola. Il segretario di redazione mi chiamò: il primo ordine<br />

del nuovo direttore, disse, è di non accettare più nessuna<br />

ospitalità. Scesi alla reception e dissi che volevo pagare. Un<br />

problema con il presidente della Proloco: la sentì come un’offesa<br />

personale”.<br />

Ma la carriera di Speroni va ben oltre il quotidiano. Direttore<br />

<strong>dei</strong> programmi Rizzoli Tv, capo ufficio stampa della Rizzoli libri,<br />

direttore <strong>dei</strong> servizi giornalistici e delle relazioni esterne di<br />

Euro Tv. Quindi la collaborazione con Enzo Tortora (“Una persona<br />

perbene, di una correttezza esemplare”) in veste di coautore<br />

per le trasmissioni Portobello e Giallo di Rai 2. Infine, il<br />

ruolo di consulente per la Televisione della Svizzera italiana.<br />

Speroni è anche un appassionato storico e saggista, autore<br />

di una ventina di libri come Il Duca degli Abruzzi (con cui ha<br />

vinto il Premio Lunigiana), Amedeo d’Aosta Re di Spagna e<br />

Fiorello La Guardia. Per sei anni, fino al febbraio 2005, ha diretto<br />

l’Ifg Carlo De Martino, prima scuola di giornalismo italiana.<br />

Il 7 dicembre del 2004 l’allora sindaco di Milano, Gabriele<br />

Albertini, gli ha consegnato l’Ambrogino d’oro, massima onorificenza<br />

milanese: “Al di fuori dell’ambito lavorativo, la mia più<br />

grande soddisfazione”.<br />

O R<br />

O<br />

Albaluminosa Suraci<br />

“Che coraggio negli anni ‘50<br />

essere croniste di nera”<br />

“Ai miei tempi per una donna era difficile entrare in un mondo<br />

chiuso come quello del giornalismo, c’erano molti pregiudizi nei<br />

nostri confronti”. Sorride Albaluminosa Suraci, Bernard da sposata,<br />

ricordando i suoi primi passi da cronista: “Per fortuna le<br />

cose sono cambiate”.<br />

ORDINE 1- 2- 3 <strong>2007</strong><br />

di Andrea Sillitti<br />

Gli inizi nel 1951 alla “Provincia di Como”. La Suraci segue alcuni<br />

grandi processi del dopoguerra, come quello alla contessa<br />

Pia Bellentani, accusata dell’omicidio dell’amante, che finisce<br />

con la condanna dell’imputata a 10 anni di reclusione.<br />

Cronaca giudiziaria, ‘bianca’, poi il passaggio a un altro quotidiano<br />

della zona, “Il Corriere della Provincia”, dove cura una<br />

pagina su Cantù e in genere si occupa di fatti locali. Quindi il<br />

matrimonio e l’abbandono del lavoro di redazione.<br />

Passano gli anni e, una volta stabilitasi a Varese, la Suraci comincia<br />

a dedicarsi alla ricerca storica, pubblicando una decina<br />

di libri sulle piccole e grandi realtà del territorio. Protagonisti e<br />

soggetti tra i più disparati: il lago di Varese, le corse di cavalli o<br />

la storica associazione <strong>dei</strong> cotonifici milanesi.“Mi è sempre piaciuto<br />

andare all’origine delle cose”, spiega. Oggi la giornalista<br />

continua a scrivere per i quotidiani sui temi a lei cari, ma ha ancora<br />

vivi nella memoria gli anni da giovane cronista giudiziario:<br />

“Di recente mi sono rivista in televisione, proprio quando hanno<br />

riproposto il caso Bellentani.<br />

All’epoca fece molto scalpore, il palazzo di Giustizia di Como<br />

era stracolmo di gente”. Durante un’udienza, un giorno in cui<br />

non si riusciva a respirare tanta era la ressa, la Suraci avanzò<br />

una proposta: “Chiesi al presidente della Corte d’Assise di aprire<br />

a un gruppo di persone, tra curiosi e colleghi giornalisti, la<br />

gabbia degli imputati, visto che era vuota”.<br />

L’episodio suscitò un tale scalpore che ci fu addirittura un’interrogazione<br />

parlamentare. Albaluminosa Suraci ricorda sorridendo:<br />

“Feci proprio un bel casino”.<br />

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