Anno V n° 3 luglio - settembre 2005 - Studi Cassinati
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Polonia 1943-1945: Campo di lavoro 336<br />
per prigionieri di guerra<br />
Ricordi di guerra di Rosato d’Alessandro<br />
di<br />
Sergio Saragosa<br />
191<br />
Nel lontano mese di agosto del 1943, mentre l’Europa si apprestava a vivere il periodo<br />
più tremendo del secondo conflitto mondiale, il giovane Rosato d’Alessandro, classe<br />
1924, lasciava la natia contrada Imperatore a Caira, alle pendici dell’omonimo monte,<br />
per assolvere al suo dovere di soldato verso la patria, essendo stato chiamato alle armi.<br />
Fino ad allora il viaggio più lungo del neo soldato era stato quello compiuto per<br />
scendere a Cassino dove si svolgeva l’addestramento pre-militare.<br />
Arruolato nella Sassari, seconda compagnia, terzo battaglione, fu mandato a Trieste<br />
per completare l’addestramento. I nuvoloni dell’imminente tempesta già minacciavano<br />
la penisola risalendo lo stivale dalla Sicilia. L’otto <strong>settembre</strong>, insieme a un gruppo di<br />
suoi commilitoni, come lui diciannovenni, apprese la notizia dell’armistizio e contemporaneamente<br />
si ritrovò senza più la guida dei superiori che, in gran parte, si erano dileguati.<br />
Il mattino del nove la sua caserma, a Montebello, venne presa da un reparto tedesco<br />
e tutti coloro che in essa erano rimasti furono tradotti a Postumia, dove rimasero prigionieri<br />
per quattro giorni. Il 13 <strong>settembre</strong> tutti i prigionieri italiani furono caricati su<br />
un carro bestiame e portati in un campo di raccolta presso la città di Torun in Polonia,<br />
dopo aver attraversato la Jugoslavia, l’Austria e la Germania con un viaggio durato 2<br />
giorni e mezzo, senza cibo e senza acqua, facendo una sola sosta, scortati da soldati olandesi<br />
inquadrati nell’esercito tedesco. Nel campo vicino a Torun, che raccoglieva già circa<br />
trentamila prigionieri italiani, d’Alessandro incontrò il primo paesano, Genoveffo Saragosa.<br />
Svolse vari lavori ma, dopo poche settimane, insieme ad altri duecento prigionieri<br />
circa, venne utilizzato nella vicina città di Danzica per ammucchiare e per caricare<br />
carbone; lavoro duro e massacrante con cibo scarso a base di zuppe di carote, poche<br />
patate, rape e barbabietole. La domenica veniva dato ai prigionieri un piatto di spinaci.<br />
Dopo alcuni giorni, sotto la sorveglianza di un reparto della Wehrmacht, venne portato<br />
quotidianamente a lavorare in una vicina fabbrica dove rimase fino al 5 aprile del 1945,<br />
giorno in cui venne liberato dalle avanguardie dell’esercito russo. Il nuovo campo di lavoro,<br />
il 336, sorgeva alla periferia di Danzica e il gruppo di cui Rosato faceva parte iniziò<br />
a smontare, riparare e rimontare pezzi rotti di locomotive di treni. Per fortuna, durante<br />
quei due anni circa di prigionia, Rosato potè contare sull’amico e paesano Genoveffo,<br />
che gli aveva almeno evitato la solitudine e col quale aveva sempre potuto parlare<br />
dei parenti, degli amici e del paese lontano. Anche se la vita in fabbrica non era durissima,<br />
ricorda Rosato, gli italiani dovevano stare molto attenti a quello che dicevano,<br />
CDSC - STUDI CASSINATI - 3/<strong>2005</strong>