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Anno V n° 3 luglio - settembre 2005 - Studi Cassinati

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d’argento e oggetti d’oro), che consigliarono loro di scendere in una città dove c’era<br />

l’ambasciata italiana (). Da parte di alcuni rappresentanti italiani, infatti, furono avviati<br />

verso un campo di raccolta e subito dopo trasferiti a Lublino, verso i confini con l’Ucraina.<br />

In quel campo i due incontrarono Raffaele Nardone, un altro paesano che svolgeva<br />

le mansioni di infermiere e che li informò su tante cose per sopravvivere in quel<br />

campo. Dopo circa due mesi furono fatti salire su un treno merci e fu loro detto che li<br />

portavano ad Odessa sul Mar Nero per riportarli in Italia con una nave in quanto le ferrovie<br />

erano impraticabili. Ad un certo punto del viaggio notarono che il treno dopo una<br />

sosta invertiva il senso di marcia e dopo alcune ore degli ufficiali si accorsero che le stazioni<br />

dove esso si fermava mon erano quelle della linea per Odessa, in Ucraina. Il treno,<br />

infatti, fece tappa nella stazione di Sluk, in Bielorussia, poco lontano dalla città di<br />

Minsk. Nel nuovo campo di raccolta i tre prigionieri di Caira, Rosato, Genoveffo e Raffaele,<br />

rimasero fino alla fine di <strong>settembre</strong>, lavorando alle riparazioni stradali. In quel<br />

campo, dopo qualche giorno, incontrarono Saverio Leva, un altro paesano che, purtroppo,<br />

venne subito trasferito in un nuovo campo di raccolta. Nel campo il vestiario e<br />

l’alimentazione erano di provenienza americana e inglese e, questo fatto, ricorda Rosato,<br />

decise la loro sorte. Correva voce, infatti, nel campo, che essi erano stati di nuovo<br />

presi dai russi dopo la liberazione per andare a sgombrare le rovine di Stalingrado ma i<br />

nuovi rapporti dei Russi con gli alleati inglesi e americani, decisero favorevolmente la<br />

loro sorte, evitando il nuovo trasferimento con conseguenze imprevedibili. Rosato ricorda<br />

di aver notato in quel campo un medico italiano, anche lui prigioniero di guerra,<br />

che si adoperava a medicare i feriti, ma non ebbe mai modo di parlargli e di fare amicizia.<br />

A gruppi iniziò finalmente il rimpatrio e il primo a rimettere piede a Caira fu Raffaele<br />

Nardone che portò ai familiari dei due amici notizie rassicuranti sulla loro sorte.<br />

Durante tutto il periodo della prigionia Rosato d’Alessandro spedì diverse lettere ai familiari<br />

che ne ricevettero ben poche, ma lui ne ricevette una sola che, tra le altre notizie,<br />

gli comunicava che suo fratello Clementino, anche lui prigioniero, aveva già fatto<br />

ritorno a casa. Dopo due settimane di viaggio con una sosta inspiegabile di 6 giorni in<br />

Ungheria, procurandosi il cibo per le campagne circostanti, finalmente anche Rosato e<br />

Genoveffo rientrarono in Italia, a Pescantina, nei pressi di Verona. Venne loro consegnato<br />

un lasciapassare e il 20 ottobre del 1945, il treno arrivò finalmente alla stazione<br />

distrutta di Cassino, ma non si fermò. Rosato e Genoveffo dovettero scendere alla stazione<br />

di Mignano, aspettarono un treno che arrivava da Napoli e finalmente Rosato, attraversando<br />

una Cassino ancora segnata dalle ferite della guerra, poté risalire alla casa<br />

paterna, su alla contrada Imperatore, e riabbracciare i familiari che da pochi mesi erano<br />

rientrati da Casabona, in Calabria, dove erano stati sfollati.<br />

Passati alcuni anni, Rosato ebbe bisogno del medico e si recò a Caira nell’ambulatorio<br />

del medico condotto del tempo. Grande fu il suo stupore nel rivedere in quello studio<br />

il medico del campo di raccolta di Sluk: il dottore Dante Capaldi Gagliardi che, da<br />

Acquafondata, era venuto ad esercitare la sua professione proprio a Caira.

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